Non potevo far passare il Carnevale di quest’anno senza regalarvi i parafrittus.
Erano un paio d’anni che mia madre esprimeva il desiderio di prepararli, prima di farsi prendere da altri propositi più salutisti e ripiegare su dolci al forno.
Ma, cavoli, è Carnevale! E a Carnevale si frigge!!
E dunque quest’anno ci siamo messe all’opera, ripescando dal baule dei ricordi un vecchio quadernetto che riportava la ricetta che lei stessa aveva trascritto durante una lezione di “economia domestica”.
Il quadernetto non porta solo ricette trascritte a mano, ma anche innumerevoli ritagli di vecchie riviste, ed è per me di un valore inestimabile, poichè in quelle pagine immagino i cambiamenti di costume di almeno 50 anni.
Quindi inutile dire che mi sono persa a sfogliarlo e a fotografarne alcune vecchie pagine…
Questo naturalmente mentre l’impasto dei nostri dolci lievitava.
Ma sul quadernetto di mia madre sono appuntati come “fatti e fritti”, perchè in questo post ho scelto di chiamarli con il loro nome in lingua sarda?
Dovete sapere che
il nome tradotto in modo letterale, dal sardo para frittus, significa frati fritti, Come spiega Giulio Gaviano
qui, probabilmente in un tempo lontano, questo era il nome assegnato a queste frittelle, poichè la loro forma e il loro colore ricordavano proprio i frati. Il buco era la chierica e la riga a metà, il segno dell’olio in frittura, era il cordone che legava il saio in vita. Probabilmente in un tempo in cui il Carnevale era un liberatorio periodo prima dei sacrifici gastronomici della quaresima, il mangiare un frate (o qualcosa a forma di frate) fritto rappresentava un goliardico gesto liberatorio.
Giulio Gaviano dice che l’uso della denominazione fatti e fritti sta oggi entrando nell’uso comune, perchè in molti hanno perso nell’immaginario, la figura del frate in saio, confrontata con la forma di questi dolcetti. Posso permettermi di contraddirlo, visto che sul quadernetto di mia madre, e quindi un bel po’ di anni fa, venivano già tradotti in italiano con la parola “fatti e fritti”.
La cosa interessante però è che gli stessi dolci si trovano ancora oggi in Toscana, precisamente a Pisa, dove arrivarono forse al tempo delle Repubbliche Marinare. Arrivati lì e tradotto il nome in pisano, secoli fa, quando i frati in saio per le strade non costituivano un’eccezione, restano ancora oggi frati fritti.
Ho provato a rifare l’esperimento di Gaviano, cercando “fatti fritti” su Google: i risultati sono 868.000; cercando “frati fritti” i risultati sono 60.400; con la ricerca “para frittus” i risultati sono solo 12.300.
E quindi sta a noi, generazione di foodblogger, diffondere nuovamente il nome tradizionale:
para frittus per tutti!!
La ricetta: Para Frittus, i frati fritti
(LA MIA RICETTA – 50 g di lievito per 1 Kg di farina erano veramente troppi!!!):
500 g di farina (250 g di manitoba e 250 g di tipo 0)
15 g di lievito di birra
250 ml di latte intero
50 g di burro
3 cucchiai di zucchero
buccia grattugiata di mezzo limone
2 uova grandi
1 pizzico di sale
Sciogliere il lievito in un po’ di latte.
Mettere in una ciotola la farina con lo zucchero. Cominciare ad impastare, con il latte e lievito e poi con il latte restante. Aggiungere le uova, una alla volta, con il pizzico di sale. Per ultimo aggiungere il burro morbido con la buccia di limone. L’impasto deve restare molto morbido ma lavorabile.
Lasciar lievitare fino al raddoppio.
Versare l’impasto sulla spianatoia infarinata e fare un paio di giri di pieghe verso il centro dell’impasto. Lasciarlo riposare ancora mezz’ora.
Prendere dall’impasto delle porzioni da circa 40-50 g e formare delle palline.
Creare un buco al centro di ogni pallina ed aspettare il raddoppio.
Nel frattempo scaldare l’olio per friggere (di oliva o di arachide). Quando è pronto depositarvi un paio di parafrittus per volta. Quando sono ben gonfi, girarli per farli dorare sull’altro lato. Depositarli su carta assorbente per qualche istante e poi passarli nello zucchero semolato.
Sono buoni da mangiare ancora tiepidi.
ingredienti dagli appunti originali (ma 50 g di lievito per 1 Kg di farina mi sono sembrati davvero troppi)
1 kg di farina
1/2 l latte
50 g di lievito di birra fresco
100 g di strutto
4 cucchiai di zucchero
la buccia grattugiata di un limone
4 o 5 uova
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Posso immaginare il piacere misto alla curiosità nello sfogliare il quaderno di tua madre. E' un valore inestimabile in tutti i sensi.
Non conoscevo questi dolci, sono sempre curiosa di conoscere le origine delle ricette e qui da te c'è l'imbarazzo della scelta.
Ciao Fra, mia mamma li ha sempre chiamati "fatti e fritti", anzi, pare che mia nonna non facesse neppure la seconda lievitazione e quindi erano davvero formati e subito buttati nell'olio bollente, segno che questo nome è molto ben radicato nella cultura comune. "Frati fritti" le ha riportato in mente il vero significato del nome sardo, solo dopo che gliel'ho detto io.. 😉
Grazie per la ricetta modificata, ti volevo chiedere di quanto sono (più o meno) i tempi di attesa delle due lievitazioni ( giusto per incastrare meglio la ricetta nei ritmi della giornata)… Grazie
Giorgio, se ricordo bene dalle 2,5 alle 3 ore per la prima lievitazione e circa mezz’ora – o poco più – per la seconda. Naturalemente se abbassi ancora la quantità di lievito ci metterà di più, ma resteranno soffici più a lungo dopo la cottura! 😀
I para frittus mi ricordano troppo l’infanzia…quando in inverno andavamo a trovare i nonni in Sardegna.
La nonna passava ore già al freddo in “casa del forno” a friggere parafrittus per noi nipotini…poi una ruzzolata nello zucchero e li afferravamo golosamente con le nostre manine, quasi una gara a chi se ne accaparrava di più! Grazie per avermi riportata un po’ a quei ricordi leggeri e assolati…bacini Ale, buona giornata!
Grazie a te per aver condiviso questa dolcezza, Chiara! <3
Son perfetti?????
Hai visto il quadernetto di mia madre, Ile? 🙂
Una grande abbraccio! 😀