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English Veg Breakfast con il Tondo Liscio di Pachino IGP

Torno con un’altra ricetta ispirata dai pomodori di Pachino IGP.
Questa volta il protagonista è un’altra varietà del pomodoro di Pachino,
meno conosciuta rispetto al famosissimo ciliegino, ma davvero
particolare e saporita: si tratta del Tondo Liscio di Pachino IGP.
La bacca è un po’ più grande del ciliegino, verde e profumatissima,
dalla consistenza soda e croccante. Ha un gusto delizioso, intenso,
vitaminico, quasi piccante.
Il suo migliore utilizzo, finché è verde,
è in insalata. Se non li divorate subito, quando diventano più maturi e
più morbidi possono essere utilizzati anche cotti.
Per la mia ricetta ho preso ispirazione dalla classica colazione anglosassone, normalmente composta da salsicce e bacon accompagnata da frittelle di patate e pomodori grigliati.
Ho scelto di isolare solo la parte vegetariana dell’english breakfast
per creare un contorno coloratissimo: asparagi sbollentati e conditi
con olio extravergine e aceto balsamico, pomodori Tondo Liscio di
Pachino IGP tagliati a fette e grigliati ed infine le potato hash, saporitissime frittelle di patate grattugiate, fuori croccanti e dentro morbide, che più semplici e golose non si può!
Con un contorno così si colora anche la più banale fettina in padella!
La ricetta: Contorno “English Veg Breakfast”: pomodori grigliati, asparagi e potato hash
orientativamente:
4 pomodorini Tondo Liscio di Pachino IGP a persona
5 asparagi a persona
1 patata a persona
Sbollentare in acqua salata gli asparagi. Poi metterli da parte.
Nel frattempo pelare e grattugiare 1 patata a persona, strizzare tra le
mani la polpa ottenuta e formare tante piccole polpette schiacciate.
Tagliare in 3 o 4 fettine i pomodori e lasciarli scolare per una decina
di minuti. Poi passarli sulla griglia bollente o su una padella
antiaderente, unta con un foglio di carta assorbente leggermente
imbevuta d’olio.
Friggere le frittelle di patate in olio di arachidi bollente.
Per comporre il piatto, mettere alcuni
asparagi, alcune fette di pomodoro e le potato hash. Condire con olio e
aceto gli asparagi e con un pizzico di sale i pomodori grigliati e le
frittelle di patata.

Se cerchi altre ricette con il pomodoro di Pachino IGP:

Tomino piemontese con confettura di pomodoro Ciliegino di Pachino IGP agli agrumi e cardamomo

Focaccia multicereali al nero di seppia con ciliegini e origano

ai fornelli, ricette originali

Tomino piemontese con confettura di pomodoro Ciliegino di Pachino IGP agli agrumi e cardamomo

C’è un posto speciale nella punta più meridionale della Sicilia dove vengono coltivati pomodori così buoni da essere famosi in tutto il mondo. Ci troviamo a Pachino e nei suoi dintorni, nell zona tra Ispica, Marzanemi e Portopalo,
in un ridottissimo fazzoletto di terra calcareo-argillosa, a 65m sul
livello del mare, dove regna un clima mediterraneo, arido e ventoso,
perfetto per la coltivazione del pomodoro.
pachino_scritta
A fare la differenza con altri luoghi, però, è il sole: secondo l’ENEA è qui che le piante di pomodoro possono godere della “luce più splendente d’Italia”, che fa maturare frutti dolcissimi.
Un’altra qualità, che ha fatto il loro successo, è la resistenza di
questi pomodori, che permette loro di arrivare in uno stadio di perfetta
conservazione anche su mercati molto lontani dal luogo di coltivazione.
Quest’anno il Consorzio di Pachino IGP,
nato nell’agosto 2002 per tutelare il prodotto e vigilare sugli usi
impropri del suo nome, si fa promotore di una campagna volta a
promuovere tutta l’economia agricola del sud est siciliano. Una buona ragione per conoscere meglio il pomodoro di Pachino nelle sue diverse qualità, racchiuse sotto la stessa IGP. Oltre al più conosciuto ciliegino, troviamo il tondo liscio, il tondo liscio a grappolo e il costoluto.
Oggi approfondiamo la conoscenza del ciliegino:
piccole bacche dolcissime, disposte a grappolo a spina di pesce; si
conserva perfettamente e ha una bacca molto soda e perfettamente
attaccata al picciolo.
Naturalmente è perfetto per essere
consumato crudo, ma io ho pensato ad un’alternativa e, vista la sua
dolcezza insuperabile, ne ho fatto marmellata!
La ricetta prende ispirazione da una creazione di Nicola Michieletto, ma io ho cambiato gli aromi.
La ricetta: Tomino piemontese con confettura di pomodoro ciliegino di Pachino IGP al profumo di agrumi e cardamomo

(per 2 persone)
2 tomini piemontesi
2  cipollotti primaverili
qb. pomodorini ciliegino di Pachino IGP
qb. olive nere
olio extravergine di oliva
sale
qualche goccia di aceto balsamico
confettura di pomodori ciliegino di Pachino IGP preparata come segue:

250 g di pomodorini ciliegino di Pachino IGP
100 g di zucchero di canna
la buccia grattugiata di mezza arancia
la buccia grattugiata di mezzo limone
i semini di 7 bacche di cardamomo
1 pizzico di sale
il succo di mezzo limone

Per la confettura: sbollentare i pomodorini, dopo aver fatto un’incisione a croce, poi pelarli.
Tagliarli in 4 e metterli in un pentolino a fuoco basso assieme allo
zucchero, le bucce degli agrumi, i semini di cardamomo, il sale e il
succo di limone. Far sciogliere tutto lo zucchero e portare ad
ebollizione. Lasciar inspessire la confettura e se sono rimasti dei
pezzettini frullare il tutto con il minipimer. Si può passare al
setaccio o lasciare com’è.
Deporre nel piatto un po’ di confettura; accanto disporre i pomodorini tagliati in quarti e conditi, e le olive nere.
Far grigliare il tomino, avvolto da carta forno, finchè il centro non
risulta sciolto, e i cipollotti tagliati a metà. Deporre il tomino sulla
confettura e i cipollotti a lato e servire.
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Sono di nuovo qui…il mio ritorno online!

ETre 
…che poi oggi sarebbero stati 3 anni di ricettedicultura.com…
Immaginate di svegliarvi una mattina e di scoprire che una stanza della
vostra casa è scomparsa nel nulla. Decidete voi quale, che sia la cucina
dei vostri sogni, che sia il salotto buono, aprite la porta e lei non
c’è più. Non c’è il soffitto, non c’è il pavimento…e per quanto vi
convinciate che vi è andata bene e che almeno non è venuta giù tutta la
casa, vi sembra che non potrete più abitare lì con al stessa comodità
del giorno prima.
Beh, se avete un castello, probabilmente la vostra percezione non
cambierà di molto, ma se le stanze della vostra casa sono 2 o 3 o anche
4, ecco, la differenza sarà parecchia!
Pensate che con le pareti della stanza se ne sono andati anche i bei
quadri che avevate scelto per abbellirne le pareti, forse si è
volatilizzato il comodo divano, forse il tavolo attorno al quale vi
siete seduti, in compagnia, innumerevoli volte, forse sono tutti gli
ingredienti della vostra dispensa che hanno preso il volo…
Questa è l’immagine che ha preso forma nella mia mente quando ho tentato di metaforizzare quello che è successo esattamente una settimana fa.
Mi sono svegliata e ho visto un paio di strane mail sul
cellulare…ho acceso il computer e digitando l’indirizzo del mio blog ho
trovato questo:
Schermata 2014-04-19 a 16.30.44 
Per
la cronaca, tentando l’accesso, rimandava alla mail della quale le
password erano state modificate, insomma un cane che ci mordeva la coda.
Ho provato panico e sconforto, perchè se è
vero che almeno, grazie a un back up risalente a febbraio, sono
riuscita a recuperare tutti i miei testi, però il lavoro di tre anni che
mi aveva permesso di creare il mio Ricette di Cultura dal nulla, è
andato perso assieme al dominio. Google ormai mi conosceva e dirigeva
verso il mio salottino con cucina le persone più disparate…ora non si
sente di indirizzarvi neanche un vagabondo che si è perso.
Per chi se lo sta chiedendo, il dominio è mio: regolarmente acquistato tramite blogger/google e valido fino all’anno prossimo,
ma registrato con l’indirizzo mail che è stato hackerato e del quale
sono state cambiate la password e tutte le modalità di recupero. Sembra
impossibile che non si possa recuperare, non credete? Ho fatto denuncia
alla Polizia Postale per l’intrusione che si è verificata sul mio
account e farò tutto il possibile per riavere il mio dominio. Ma se
davvero ciò non fosse possibile, sappiate che ci vuole ben altro per
togliermi di mezzo…
Purtroppo ho perso i commenti da febbraio
ad oggi, le pagine secondarie del blog, tutte le fotografie che erano
sul backup fino a febbraio (che dovrò reinserire una alla volta)…
A voi devo chiedere, se mi avete linkata da qualche parte, di sostituire
al vecchio indirizzo del mio blog questo provvisorio, che poi verrà
reindirizzato sul dominio nuovo!
Per ora voglio ringraziare uno ad uno tutti quelli che mi hanno cercata,
incoraggiata e aiutata nella delirante giornata di martedì scorso e nei
giorni a seguire. Molti bloggers e molti amici, che su facebook hanno
seguito la mia disavventura con la mia stessa apprensione.
Comincio da Chiara di Chi ha rubato le crostate? che non conoscevo, ma che ha vissuto la mia stessa disavventura appena qualche giorno prima. Andate a leggere qui, per sapere cosa è successo al suo blog e per vedere con quanto entusiasmo si è subito ributtata in pista!
Una statua d’oro (o di cioccolato se preferisci!) a Valentina, che
ha fatto tutto questo e molto di più, (e per la disponibilità che mi
hai dato per il futuro…occhio che non ti mollo più!!! :D)
Un ringraziamento speciale per chi mi ha scritto in privato, dedicandomi del tempo: Corrado, Lorenzo, Enrica, Ida, Simona, Irene, Anca, Cristina, Marcela (telefonata fiume lunghissima!), Simona e Andrea (in serata di venerdì, grazie ancora!!), Antonella, Monica, Zenas Punto Org.
Ringrazio poi tutte le Bloggalline che sono sempre splendide, non vi cito una per una, ma vi abbraccio tutte!
Idem per le ragazze di Re-Cake, tutte deliziose ed empatiche!
E poi tutti gli amici, bloggers e non, e spero di non aver dimenticato qualcuno: Carlotta M., Ljuba, Alessandro, Diana, Federica, Farah, Valeria Angie, Monique, Veruska, Vera, Roberta, Manuela, Francesca M., Sandy, Anna, Maricler, Neo Ralf, Loredana, Cristina, Gene, Claudia, Petunia, Loredana B., Monica, Cran, Antonella, IvanSimona, Michela, Sara, Carla Emilia, Francesca F., Lory, Orazio (IgersMilano), Maria Anna Z., Ada, Margherita, Emanuele T., Maria Z., Naty, Paola, Elenuar, Elisa, Renata, Sara, Ann-Annamaria e An-Antonella, Antonella G., Serena S., Laura, Bianca, Franca P., Mariacristina, Barbara, Sandra, Teresa, Sally, Silvia L.,…
Concludo con ringraziare l’Ufficiale che
mi ha assistito nella denuncia alla Polizia Postale e che è marito di
una foodblogger e perciò mi ha fatta sentire come a casa!
Infine Giuseppe
che si è sorbito tutti i miei malumori e ha sofferto con me di questo
web-disagio, preparandomi da mangiare quando non avevo proprio voglia di
pensare alla cucina: non ti preoccupare, adesso ricomincio a cucinare io! 😀
ai fornelli

Brioche salata con asparagi, champignons e mozzarella

Nonostante la situazione di estrema emergenza (e aspettate che
arriverà presto un post che spiegherà tutto il finimondo successo
martedì scorso con la cancellazione del blog da parte di un attacco
hacker che “manco fossi la Banca d’Italia”) mi appresto, prima che sia
troppo tardi, a pubblicare la seconda e ultima ricetta per il contest Impastando s’impara – Blogger love Qb, con Valentina e le farine bio del Molino Grassi.Avete visto le focaccine nere impastate con la Multicereali,
vorrei ora spendere un paio di parole sulla Manitoba. Quando ho mandato
la candidatura al contest l’ho fatto perchè amo impastare e il pane e i
lievitati sono tra le ricette che più mi diverte fare, assieme alla
pasta fresca. Ero contenta di provare delle nuove farine ma non sapevo
cosa sarebbe arrivato… Ecco, queste farine mi hanno letteralmente conquistata. Assorbono i liquidi che è una meraviglia, sono piacevoli da lavorare…ma soprattutto sono saporite!
Anche il pane più semplice, come quello che faccio io 3 volte alla
settimana, insaporito con un solo cucchiaio d’olio e nient’altro, è
strabiliante con queste farine.
La Montana Manitoba*** Qb di Molino Grassi, è arricchita con farro e segale
bio, ed ha un sapore molto particolare e pieno, ben diverso dalla comune
Manitoba a cui ero abituata…
Sono farine buone, non solo da lavorare, ma proprio da gustare!
Proprio con questa seconda farina del Molino Grassi ho preparato una brioche salata ripiena di verdure di stagione.
La preparazione è piuttosto veloce, grazie al lievito di birra
disidratato, e con qualsiasi verdura spunti fuori dal frigo, diventa un
perfetto risolvi-cena!
***miscela di farina tipo 0 di grano tenero Manitoba biologico,
proveniente dalla regione delle Grandi Praterie Canadesi, a cui la
presenza di farina di farro spelta biologico, nato nella zona del Mar
Caspio 7.000 anni fa, e della farina di segale biologica regalano un
gusto particolare.

La ricetta: Brioche Salata con asparagi, champignons e mozzarella

per l’impasto:
225 g di farina Manitoba Qb Molino Grassi
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di zucchero
2 g di lievito di birra disidratato
20 g di burro sciolto
125 ml di latte tiepido
1 tuorlo

per il ripieno:
250 g di asparagi
150 g di champignons piccoli
125 g di mozzarella fiordilatte

In una ciotola capiente miscelare la farina con il lievito.
Aggiungere il burro fuso, intiepidito, al centro della farina e
mescolare, fino a formare un composto simile alla mollica di pane.
Aggiungere il latte tiepido, il sale, e per ultimo il tuorlo. Impastare
sulla spianatoia per almeno dieci minuti.
Riporre in una ciotola unta coprendo con pellicola e attendere il raddoppio.
Nel frattempo preparare il ripieno.
Affettare a rondelline gli asparagi, eliminando solo la parte più dura del gambo e pulire e tagliare in quarti gli champignons.
In una padella stufare le verdure con un cucchiaio d’olio, aggiungendo,
quando serve qualche goccino d’acqua, finchè non sono morbidi. Regolare
di sale e di pepe nero.
Quando l’impasto è raddoppiato, sgonfiarlo e lasciarlo riposare per
dieci minuti; poi stenderlo in una sfoglia sottile, di forma ovale.
Mettere al centro gli asparagi e champignons preparati in precedenza e
intiepiditi e la mozzarella, lasciata a temperatura ambiente e tagliata a
pezzettini.
Sui lati dell’ovale fare tanti tagli paralleli, come i denti di un
pettine e, per chiudere la brioche, intrecciare tutti i tagli,
alternandoli, partendo dall’alto.
Lasciar crescere per almeno mezz’ora.
Scaldare il forno a 200°.
Spennellare la superficie della brioche con latte tiepido.
Abbassare la temperatura del forno a 190° ed infornare subito.
Lasciar cuocere per circa 30minuti.
Attendere 5-10 minuti, prima di affettare.
La brioche si conserva benissimo fino al giorno dopo, è sufficiente riscaldarla a 100° per qualche minuto.

Con questa ricetta partecipo al contest di Molino Grassi.

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Aggiornamento del 27 aprile 2014:
Questa brioche, dalla preparazione semplicissima, che mi risolve
tanti pranzi o cene, è arrivata prima nella categoria Manitoba/Montana
al contest Blogger love Qb
.
Io sono felicissima ma soprattutto emozionata perchè andrò ad impastarla a Parma, a Cibus il 7 aprile! Ci vediamo lì! 😀

ai fornelli, lievitati, lievitati-dolci, ricette tradizionali

Hot Cross Buns Dalla tradizione inglese i famosi panini soffici con la croce

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Parliamo di Hot Cross Buns, che facevano già parte delle ricette che avrei voluto provare per la Pasqua di quest’anno. Si tratta di un lievitato, e già questo è un incentivo che da solo basterebbe, ma la spinta che mi dà proprio lo slancio è la ricchissima storia che questi piccoli panini semidolci si portano dietro.

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ai fornelli, ricette originali

Piccole meringhe con il cuore: albicocca e cioccolato fondente

Vi sono piaciuti i miei finger-panini? Non poteva non arrivare il contraltare dolce, per completare la mia partecipazione al contest “In un sol boccone” di Monique e Paola in collaborazione con Peroni.
Anche questa volta niente di complicato. Lo specifico per mettere le mani avanti, perchè ho visto, tra le ricette partecipanti, “cose che voi umani…” 
Il tema è il fingerfood, ma mani sapienti di sapienti foodbloggers hanno creato capolavori di pasticceria, declinate in versione mignon, tanto da farmi supporre che abbiano un esercito di cuochi e pasticceri lillipuziani al loro servizio.
Il mio finger dolce invece è di una semplicità imbarazzante…sì, io mi imbarazzo con facilità! 😉
Un bocconcino, giusto un assaggio di dolcezza, da prendere con le dita, naturalmente.
Una nuvoletta di meringa alla francese che nasconde un cuore di cioccolato che nasconde un cuore di albicocca: praticamente una matrioska!

Non ero sicura che la meringa riuscisse a solidificarsi nel modo migliore, visto il ripieno, invece mi sono dovuta ricredere: l’asciugatura è stata perfetta e le meringhe si sono ben conservate nel tempo (almeno 3 giorni, poi le abbiamo finite!).
Per un buffet suggerisco di farne un vassoio con gusti diversi: i fichi, i datteri, l’uva passa…ma soprattutto la frutta tropicale disidratata e le scorzette di limone candito.
Per ora godetevi questi con l’albicocca, il cui sapore dolce ma acidulo contrasta a meraviglia con la dolcezza incondizionata della meringa e il calore del cioccolato fondente.

La ricetta: Meringhetta ripiena di albicocca e cioccolato fondente
40 g di albicocche disidratate
40 g di cioccolato fondente al 55%
100 g di zucchero
60 g di albume
2 gocce di aceto bianco
Tagliare le albicocche a pezzettini: da ogni albicocca ricavare 4-6 cubetti.
Spezzettare il cioccolato e farlo sciogliere a bagnomaria. Quando non è ancora sciolto del tutto, toglierlo dal fuoco e far fondere mescolando con un cucchiaio.
Mettere i pezzettini di albicocca su un foglio di carta da forno e colarci sopra il cioccolato fuso, mescolando con un cucchiaio per ricoprire tutte le albicocche. Far raffreddare e poi separare ogni pezzettino di albiccocca, liberandola dal cioccolato in eccesso.
Pesare l’albume e cominciare a montarlo con le fruste elettriche, aggiungendo qualche goccia di aceto. Quando l’albume è già triplicato di volume, aggiungere lo zucchero a pioggia continuando a montare. La meringa deve diventare lucida e molto compatta.
Trasferirla in una sac a poche con un beccuccio stellato.
Su una placca da forno coperta di carta forno fare tanti piccoli tondi di 2-3 cm di diametro un po’ distanziati. Su ogni tondo deporre un cubetto di albicocca rivestito di cioccolato.

Completare con un altro giro di meringa, badando di imprigionare bene il cioccolato e di formare una bella puntina in cima.

Io ho infornato a 85° per circa 2 ore e mezza*, ma regolatevi con il vostro forno.
*il tempo di cottura dipende dalla grandezza delle meringhe e dal risultato che si vuole ottenere. Per meringhe molto bianche restare sotto i 90°C; altre volte ho preparato meringhe molto più dorate con una cottura più breve a 130°. Se potete, scegliete una giornata non umida, questo ridurrà il tempo di asciugatura della meringa e il risultato sarà più croccante.

Con questa ricetta partecipo al contest “In un sol boccone”, in collaborazione con Peroni.

http://peronisnc.it/index.php?fc=module&module=psblog&controller=posts&post=54
ai fornelli, lievitati, pizza e focacce

Focaccia multicereali al nero di seppia con ciliegini e origano per il contest “Blogger love Qb” Un colore sorprendente nell'impasto da accendere con gli ingredienti freschi della farcitura

Arriva oggi la mia prima ricetta per il contest Blogger love Qb promosso da Valentina del blog Non di solo pane – Impastando s’impara in collaborazione con il Molino Grassi.
Protagonista del contest e delle sperimentazioni dei tanti blogger partecipanti la linea Qb – Qualità Bio, lanciata dal Molino Grassi all’inizio del 2012.
Molino Grassi è una realtà che esiste da ben 80 anni e la linea Qb – Qualità Bio è
frutto di un cambiamento di approccio che pone sempre più in primo piano
i rapporti con la filiera produttiva e con gli agricoltori. In questa linea si trovano ben 5 diverse miscele di farine biologiche antiche e moderne, per i più svariati utilizzi.
 
La mia prima ricetta l’ho elaborata a partire dalla farina Multicereali: farina tipo 0 di grano tenero
Manitoba, unita a segale, orzo, riso e avena, tutte bio. I valori nutrizionali con tutti questi cereali sono altissimi e il prodotto è adattissimo ai lievitati.
 
Ho scelto di preparare una focaccia. La focaccia per sua natura si consuma in giornata, e quindi ho potuto utilizzare in tranquillità il lievito di birra, mantenendo però una bassissima percentuale di lievito e allungando la lievitazione.
Ho provato a surgelarne una e, scongelata e riscaldata per pochi minuti in forno caldo, ritorna fragrante e croccante come appena fatta.
 
La ricetta è rielaborata da un procedimento di Renato Bosco, che prepara un lievitino facendolo fermentare in acqua a temperatura ambiente prima di amalgamarlo all’impasto. La lievitazione totale è tra le 16 e le 18 ore e il lievito utilizzato in rapporto alla farina è inferiore all’1%.
Ho scelto di aggiungere anche una piccola quantità di farina di farro bio e per dare un tocco di originalità ho scelto di colorare le mie focaccine con il nero di seppia.
La farcitura è semplicissima per non intaccare il gusto di questa farina naturalmente ricca di sapore: i dolcissimi pomodori ciliegino di Pachino IGP, (di cui vi parlerò ancora), origano e olio extravergine di oliva di alta qualità.
La ricetta: Focaccine multicereali al nero di seppia con ciliegini e origano
(8 focaccine)
per il lievitino:
50 g di farina Multicereali linea Qb, Molino Grassi 
25 g di acqua
3 g di lievito di birra frescoper l’impasto:
250 g di farina Multicereali linea Qb, Molino Grassi25 g di farina di farro bio
175 g di acqua
4 g di nero di seppia
5 g di sale
5 g di olio extravergine d’olivaper la farcitura:
pomodorini ciliegino Pachino IGP
origano
olio extravergine d’oliva

 
Miscelare gli ingredienti per il lievitino, fino a formare una pallina compatta. Mettere la pallina in un contenitore alto e stretto (una caraffa) e coprirlo abbondantemente d’acqua a temperatura ambiente (circa 25°C). Quando il lievitino verrà a galla sarà pronto: ci vorranno circa 15-20 minuti.
 
Spezzettare il lievitino nelle farine previste per l’impasto, aggiungere l’acqua ed impastare a mano per pochi minuti.
Vestire un paio di guanti monouso per alimenti ed aggiungere il nero di seppia. Impastare con cura, finché il colore non è uniformente distribuito. Aggiungere il sale e, una volta assorbito, l’olio.
Formare un panetto rotondo, far riposare per 20 minuti a temperatura ambiente e poi mettere a lievitare in una ciotola, in frigorifero, a circa 4°C per 12 ore.
 
Riprendere l’impasto e lasciarlo tornare a temperatura ambiente.
Dividerlo in 8 porzioni uguali e per ognuna formare un bel panettino tondo, rigirando i lembi nella parte inferiore, poi schiacciarli un po’ con il palmo della mano.
Far lievitare i panettini su carta forno spolverata di poca farina per circa 3 ore.
Schiacciare con molta delicatezza con i polpastrelli unti d’olio le focaccine su due teglie anch’esse leggermente unte d’olio.
 
Far riposare mezz’ora/40 minuti mentre il forno scalda a 250°C.
Nel frattempo lavare i pomodorini, tagliarli a metà e condirli con sale, olio e origano.
Mettere su ogni focaccina alcune metà di pomodorino, con la faccia tagliata verso il basso ed aggiungere in superficie ancora un filo d’olio e una spolverata di origano e sale grosso.
 
Infornare e subito abbassare il calore a 200°C. Far cuocere per circa 10 minuti, finché le focaccine non sono croccanti.
 
 
 

Con questa ricetta partecipo al contest di Molino Grassi:

http://www.impastandosimpara.it/2014/03/blogger-love-qb-il-contest-di-molino-grassi/
 

 

 

ai fornelli, foodblogging

La mia cucina: la foodblogger cucina qui!

Quando ho letto del contest di Betulla “La food-blogger cucina qui ho subito pensato di partecipare. Per parlare un po’ di me? Per raccontare del luogo dove passo davvero tante ore al giorno?
Un po’ per questo, d’accordo…ma soprattutto per mettere sotto i riflettori lei, la mia cucina!
Se ancora non siete stati travolti dal vortice del foodblogging molto probabilmente non capirete fino in fondo tutto questo entusiasmo: siete immuni dall’attrazione per le caccavelle, dalla mania per la luce giusta, dai luoghi studiati apposta per organizzare cene e, mai dire mai, un bel corso di cucina…ma chi c’è dentro fino al collo sa che questa diventa a poco a poco una malattia!
Per lungo tempo ho portato avanti questo blog da un cucinino minuscolo di 1 metro per 1 metro e quando si è profilata all’orizzonte l’idea di cambiare casa, avevo una sola idea fissa: la MIA cucina.
Volevo luce, naturalmente, perchè ci potessi fare tutte le foto che desideravo. Volevo spazio, perchè ci stesse un bel tavolo grande, e questo tavolo doveva poter diventare ancora più grande per accogliere delle belle cene, volevo che ci fosse lo spazio per tutte le caccavelle, ma volevo anche evitare troppi pensili che restringono la percezione.
Sono stata fortunata. La casa che abbiamo scelto ha una cucina ampia, con doppia finestra, che si affaccia su un piccolo cortile che, con la bella stagione, mi ha permesso di scattare le foto anche all’aperto, mentre iniziavo a prendere confidenza con la reflex. 
La parete con gli attacchi per gli elettrodomestici mi ha permesso di sviluppare la cucina su una linea, così l’altra parete è rimasta libera per dare spazio ad una mia insana idea…
Volevo una parete colorata che parlasse di me e che fosse riconoscibile anche nelle foto.
Quella
parete da qualche mese è diventata lo sfondo per l’header del mio blog,
che ogni mese cambia e si popola dei frutti di stagione
.
Lo confesso, siamo qui da 11 mesi e ancora mancano le tende…ma ci rifaremo presto!


E ne approfitto per lanciare un appello: caro signor Ikea, se capiti qui e ti accorgi come nell’anno passato abbiamo contribuito agli utili della tua azienda e vuoi ringraziarci con un buono omaggio…ma anche se vuoi solo ringraziarci…ecco, noi siamo qui!
Con queste farneticazioni e immagini della mia cucina partecipo al contest di Betulla “La food-blogger cucina qui” in collaborazione con Ros.

ai fornelli

Galettes complètes per il mese di aprile in Bretagna.

Per il calendario culinario La France à Table oggi viaggiamo fino in Bretagna.
Anche questa volta si tratta di una regione connotata da tempo antichissimo e, in quanto tale, le informazioni su di essa, che siano storiche o leggendarie, sono infinite. 
Scelgo di toccarne un aspetto, perchè scrivere di tutto sarebbe impossibile.
Facciamo un salto di secoli e un viaggio nella fantasia per arrivare ai tempi del Mago Merlino, di Artù e della Dama del Lago.
Nel 1025, il vescovo franco Adalberone mise per iscritto per la prima volta la suddivisione della società medievale: tre ordini separati e distinti, gli oratores, coloro che pregano, i bellatores, coloro che combattono, e i laboratores, coloro che lavorano.
Secondo questa suddivisione che si ritrovava, secondo le teorie, anche nella Città Celeste, i compiti di ognuno erano ben definiti da confini invalicabili: un contadino che si mettesse a combattere, capite, era un sovvertimento dell’ordine divino.
Occorreva quindi che i bellatores si potessero identificare in una figura valorosa e onesta, dal coraggio generosamente messo a disposizione dei più deboli che per natura non potevano combattere o difendersi: nasce la figura del cavaliere che non esita a mettersi in pericolo pur di lottare per una giusta causa.
La propaganda dell’epoca era affidata ai romanzi cavallereschi, che erano recitati, anzi “cantati” nelle corti nobiliari, il riflesso “reale” di questo mondo immaginato.
Due i cicli principali, uno quello guerresco della Chanson de Roland, incentrato sulle gesta dei paladini di Carlo Magno; l’altra di carattere amoroso e più romanzata e avventurosa, celebra le gesta dei cavalieri di Re Artù ed è conosciuto come ciclo bretone, perchè ambientato in Bretagna.
Qui, l’Europa continentale non è così distante dalle isole britanniche, e pare che durante l’ultima glaciazione un cordone di ghiaccio unisse la Bretagna con le terre oltremanica.
Non tutti sanno che la parola da cui deriva il nome Lancillotto ha un preciso significato in antica lingua bretone e significa “errante”, “vagabondo”.
Accanto ai luoghi britannici, come Tintagel e Glastonbury, ci sono i luoghi mitici bretoni a fare il paio: uno su tutti, la mitica foresta di Brocéliande.
A circa 50 km da Rennes, si trova il piccolo villaggio di Paimpont. Da qui si diparte il mitico bosco, che oggi, dopo anni, è conosciuto di nuovo con il suo antico nome.
[immagine da biarritz.net.br]
[immagine da diptyquescrossing.blogspot.com]
[immagine da fotocommunity.fr]
[immagine da voxcalantisindeserto.blogspot.com]

Nel folto della foresta di Brocéliande, secondo la leggenda, si trova l’ultima dimora del Mago Merlino, dove fu ingannevolmente attirato da Morgana ed imprigionato sotto nove strati di pietra.
[immagine da mondodascoprire.myblog.it]
Tra gli alberi secolari si trova anche la mitica fontana dell’eterna giovinezza di Barenton.
[immagine da bretagne-en-3d.com]
Il viaggio prosegue verso l’abbazia di Tréhorenteuc, conosciuta come Tempio del Graal, dove si trovano tantissimi simboli riferiti alle leggende della Tavola Rotonda.
[immagine da boitagato.blogspot.com]
Si giunge al Castello di Comper, vicino al villaggio di Concoret e sede immaginaria del castello di Re Artù, tanto che all’interno delle sale in ogni dipinto è stato trovato un qualche riferimento alla saga.
[immagine da minube.it]
Infine naturalmente il lago di Paimpont sulle cui rive non è insolito trovare ancor oggi qualche moderno druido che ancora compie i propri rituali.
[immagine da tripadvisor.com]
Abbandonando i piaceri per gli occhi e passando al piacere per il palato, arriviamo alle galettes, versione salata delle crepes, con caratteristiche pregnanti in questo luogo di Francia.
La galette bretonne è di grano saraceno.
Non è insolito in questa regione imbattersi in bei campi fioriti di rosa. 
[immagine da map-france.com]
Gli stessi campi che nel XII secolo attirarono l’attenzione dei cavalieri crociati, tanto da spingerli ad importare in Francia le piante e il misterioso seme. Se inizialmente la produzione restò bassa, infine si trovò un luogo adatto a questa coltura, grazie alle frequenti ed abbondanti piogge: la Bretagna.
All’inizio del XVI secolo lo spirito d’iniziativa fu della duchessa Anna di Bretagna che, scoperta la velocità di crescita di questa pianta, solo 100 giorni dalla semina in maggio-giugno alla raccolta in settembre-ottobre, ritenne che potesse essere un ottimo aiuto nel combattere la miseria e la fame. Lo fece quindi seminare in ogni angolo del suo ducato e da quel momento il grano saraceno diventò l’ingrediente principale della galette bretonne.
Il grano saraceno ha una naturale resistenza ai parassiti e richiede solo acqua e sole. Questo fa di lui un perfetto soggetto anche per la moderna coltura biologica.
Alcune antiche ricette di galettes mischiano la farina di grano saraceno con sola acqua. Io ho usato anche le uova, ma solo uno per 125 g di farina. In questo modo la galette è più leggera e si può indulgere nella farcitura. In questo caso ho scelto quella classica, da piatto unico, con l’uovo ad occhio di bue, il prosciutto cotto e il formaggio.

La ricetta: Galette Bretonne Compléte
(per 6 galettes)
125 g di farina di grano saraceno
1 uovo
200 ml di latte
50 ml di acqua 
20 g di burro fuso
1 pizzico di sale
per il ripieno:
6 uova
6 fette di prosciutto cotto
180 g di formaggio (tipo gruyére o emmental)
Sbattere l’uovo con un pizzico di sale. Aggiungere la farina mescolando bene per non fornare grumi, aggiungendo, quando l’impasto si fa troppo consistente, qualche cucchiaio di latte.  Quando si è formata una pastella aggiungere il burro fuso e i restanti latte e acqua. Far riposare l’impasto per circa 2 ore.
In un padellino antiaderente da crepes formare le galettes, più sottili possibili. Ne verranno 6 o 7.
Per la farcitura rimettere una galette nel padellino e completarla con una fetta di prosciutto, un uovo appena fritto e il formaggio grattugiato. Far scaldare e fondere e servire subito.


ai fornelli

Non è il solito tramezzino… è un finger-panino!

Pensando a un finger food un po’ datato non vi viene in mente il mini tramezzino al salmone? Con quella faccia anni ’80 e il pallore tipico del pane bianco…
Eh, no, cari signori, qui bisognava fare qualcosa… ed approfittando del contest “In un sol boccone”, di Monique Miel & Ricotta e di Paola La Bottega delle Dolci Tradizioni, in collaborazione con Peroni, ho ridato un volto e una dignità a questo bocconcino prelibato.
Il pane è al latte, aromatizzato con aneto e cumino tritati fini fini. I panini, piccoli come i bottoni del mio cappotto, sono stati ritagliati con un tagliabiscotti del diametro di 2 cm. Sono farciti con il salmone affumicato e completati con una salsina di senape forte e yogurth bianco. Perfetto equilibrio di sapori, la giusta croccantezza nella crosta del pane e morbidezza all’interno: un finger food che scrocchia sotto i denti.

La ricetta: Finger-panino, micropanini al cumino e aneto con salmone affumicato, yogurth e senape
per il pane:
100 g d farina tipo 0
100 g di manitoba
60 g di farina multicereali
6 g di lievito di birra
100 g di latte intero
60 g di acqua
1 cucchiaio di olio
1 cucchiaino colmo di sale
1/2 cucchiaino di semini di cumino 
1/2 cucchiaino di aneto essiccato
per la farcitura:
60 g di senape forte
30 g di yogurth bianco
pepe macinato fresco
q.b. salmone affumicato  
Per il pane:
Tritare finemente cumino e aneto insieme.
Disporre le farine in una grande ciotola.
Sciogliere il lievito in poco latte: cominciare ad impastare. Mescolare il latte restante e l’acqua e continuare ad impastare fino a completo assorbimento dei liquidi. A seconda della farina che utilizzare ce ne vorrà un poco di più o un po’ meno.
Formato l’impasto far assorbire l’olio e il sale con il trito di cumino e aneto.
Mettere a lievitare coperto da pellicola e al tiepido fino al raddoppio.
Stendere la pasta a circa 1,5 cm di altezza e ritagliarla con il taglia biscotti. 
Disporre tutti i panini su una teglia foderata di carta-forno e lasciar lievitare al tiepido, coperti da pellicola.
Dopo circa mezz’ora saranno pronti da infornare.
Scaldate il forno a 190°C, infornate e lasciate cuocere finchè non saranno appena dorati in superficie.
Quando saranno freddi tagliarli a metà e farcirli.
Per la salsa: mescolare la senape con lo yogurth nel rapporto di 2:1. Regolarsi anche a seconda del gusto personale.
Farcire i micropanini con la salsa alla senape, una leggerissima spolverata di pepe nero e piccole porzioni di salmone affumicato.

Con questa ricetta partecipo al contest “In un sol boccone”, in collaborazione con Peroni.

http://peronisnc.it/index.php?fc=module&module=psblog&controller=posts&post=54

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Il tartufo bianco d’Alba e i Tajarin Piemontesi per Ville in Italia

Ville in Italia è una società di tour operator nata a Firenze nel 1996 che si occupa di locazioni di breve periodo in residenze di pregio e in villa, su tutto il territorio italiano. Si rivolge ad un pubblico internazionale interessato a soggiornare nel nostro paese in un contesto davvero magico.
Basta sfogliare le proposte per iniziare a sognare fin da subito.
Da qualche tempo a questa parte Ville in Italia è anche un blog che racconta il vivere italiano e le curiosità artistiche, culturali ed enogastronomiche del nostro paese.
Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa su uno dei prodotti piemontesi più conosciuti al mondo: il tartufo. 
O si odia o si ama: vi devo dire da che parte sto?
Ecco che, pur fuori stagione, il mio flusso di pensiero mi ha portato ai ricordi della Fiera Internazionale del Tartufo di Alba e a uno dei miei piatti preferiti: i tajarin.
Qui trovate il post in inglese, mentre qua sotto potete leggerlo in italiano.
E al fondo c’è anche la ricetta dei miei tajarin, naturalmente!
Il tartufo è
un tubero che nasce vicino alle radici degli alberi, sviluppandosi come
parassita della pianta stessa. A seconda dell’albero accanto al quale si forma,
cambieranno il colore e gli aromi del tartufo stesso.
Conosciuto
fin dall’antichità, era presente nelle cucine dei sumeri che lo utilizzavano
combinato ad orzo e legumi e, successivamente, dei greci, latini e arabi.
Plinio il
Vecchio ne diede una definizione naturalista: “fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare” e
proprio questa caratteristica di casualità determinò la fortuna e il mistero
legato allo strano e imprevedibile tubero
.

cercatore medievale

La sua storia
è segnata da periodi bui – si fu in dubbio, addirittura, se fosse di natura
vegetale o animale – e nel Medioevo, considerato un’escrescenza del terreno
dotata di vita propria, era ritenuto cibo adatto solo alle streghe e ai
diavoli
.

Un tempo era
più facile da trovare, vista la maggior diffusione di boschi e foreste e per il
suo aroma, intenso ma adatto ai palati fini, venne soprannominato “aglio del
ricco
”.

In Piemonte
l’utilizzo diventò particolarmente importante a partire dal XVII secolo, ad
imitazione della cucina francese. Il tartufo nero, più diffuso, veniva usato
nelle farciture, mentre quello bianco più pregiato era usato a profusione nelle
salse e nei condimenti.
Nel ‘700,
ormai vero e proprio prodotto di lusso, veniva cercato dai nobili per
divertimento, in vere e proprie “battute di cerca”
.
Ad opera del
Re Carlo Emanuele di Savoia nel 1751 ci fu anche un tentativo di influenzare il
gusto britannico, diffondendo anche lì il piacere della battuta di cerca e
della grattata di tartufo sulle pietanze ed effettivamente qualche piccolo
tartufo venne trovato anche in terra inglese. 
Apprezzato da
eccellenti personalità, tra cui Lord Byron che lo teneva sulla scrivania al
fine di stimolargli la creatività e Alexandre Dumas
che lo definì il Sancta Sanctorum della tavola, il tartufo
d’Alba come è conosciuto oggi ottiene la sua fortuna in tempi recenti con l’albergatore
e ristoratore albese Giacomo Morra.
Giacomo Morra [immagine da gazzettadalba.it]

Nel 1949
l’intuizione: per risollevare l’economia dopo il secondo conflitto mondiale Giacomo
Morra puntò sul tartufo per farlo diventare un prodotto riconosciuto e il simbolo
di una manifestazione che attirasse l’attenzione di tutto il mondo sulle Langhe
.
Regalò il miglior esemplare raccolto quell’anno all’attrice più amata del
tempo, Rita Hayworth. Da lì ogni anno i tartufi migliori vennero donati a
personalità di rilievo tra cui Churchill, Marilyn Monroe, Sofia Loren,
Hitckcok, Pavarotti e molti altri…ed ebbero il merito di diffondere il mito
di Alba e del suo tartufo bianco nel mondo.

Anche per me
il tartufo è sinonimo di Alba, anche se lo stesso prezioso tubero è raccolto in
diverse zone del Piemonte. È il pretesto che ci spinge ogni anno a compiere
quell’ora di viaggio da Torino per la Fiera Internazionale del Tartufo, per annusare
l’aria profumata, per gustare gli ottimi vini del territorio che con questo
prodotto si sposano ottimamente, e per assaggiare piatti prelibati della
tradizione, insaporiti con il preziosissimo tubero.
Tra questi piatti
spiccano i tajarin, i tradizionali
tagliolini piemontesi, pasta all’uovo già diffusa nel XV secolo. Sottilissima è la sfoglia ed altrettanto sottili vengono “affettati”,
circa 2-3 millimetri.  Vengono conditi per tradizione con il “comodino”, un sughetto
preparato con i fegatini e altre frattaglie di pollo, oppure
semplicemente con burro fuso e profumatissimo tartufo: sono i miei preferiti.

Ecco la
ricetta per farli in casa: Tajarin
(per 4-6
porzioni)
400 g di
farina di grano tenero
3 uova intere
2 tuorli
1 pizzico di
sale
100 g di burro
1 mestolino
di brodo di carne
1 piccolo
tartufo
Disporre la
farina sulla spianatoia creando una fossetta centrale.
Versarvi le
uova intere e i tuorli, con il pizzico di sale, e cominciare ad impastare,
prima con la forchetta e poi con le mani inglobando man mano tutta la farina.
L’impasto deve risultare liscio e sodo, quindi in caso di necessità
aggiungere ancora un poco di farina oppure al contrario lavorarlo con le mani leggermente umide.
Lavorare
l’impasto sulla spianatoia per almeno dieci minuti, finché non è perfettamente liscio ed elastico.
Coprirlo con
un panno pulito inumidito e lasciarlo riposare per un’ora o due.
Riprendere
l’impasto e stenderlo sottilissimo con il mattarello o la macchina per la
pasta.

Cospargere la
sfoglia ottenuta di semola o di farina di mais ed arrotolarla su se stessa. Con
un coltello affilato tagliare i tajarin molto sottili, in fettine di 2-3 mm di larghezza, srotolarli man mano e
disporli in mucchietti.

Quando sono
tutti pronti, lessarli in abbondante acqua salata per 5 minuti.
Pulire il
tartufo con delicatezza, con l’aiuto di uno spazzolino dalle setole morbide e
di un panno.
Nel frattempo
far sciogliere il burro in una padella capiente, stemperandolo con un po’ di
brodo.
Scolare i
tajarin e metterli nella padella, facendoli insaporire con il burro fuso.
Impiattare e
grattugiarvi sopra il tartufo bianco.
…e se non è stagione di tartufi…sono buoni già così! 😉

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