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Fagottini di platessa al profumo di erbe fini per #MangiareMatera

I prodotti di #MangiareMatera e VeroLucano non fanno che ispirarmi ricette molto semplici, dove gli ingredienti sono pochi e dal gusto equilibrato. Dopo l’Acquasala (o acquasale) lucana, ecco che arriva questa pasta ripiena, dove la sfoglia è a base di semola di grano duro della varietà pregiata Senatore Cappelli.
Il ripieno è delicato, composto di platessa e patate schiacciate, semplicemente condite con olio extravergine, sale ed erba cipollina sminuzzata.
Il condimento, volto ad esaltare il ripieno, è burro fuso, insaporito con erbette fini, ancora erba cipollina, maggiorana e timo, e aglio in polvere. La delicatezza della salsa e del ripieno permette di gustare pienamente il sapore intenso della sfoglia di granoduro.

Anche con questa ricetta partecipo al contest MangiareMatera con Teresa de Masi di Scatti Golosi!

La ricetta: Fagottini di platessa e patate al profumo di erbe fini

Ingredienti (per 2 persone)
per la sfoglia:
150 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
circa 200 g di patate (pesate crude e con buccia)
2 filetti di platessa
1 cucchiaio di erba cipollina tritata
sale
olio extravergine d’oliva

per condire:
burro di alta qualità
erbette aromatiche miste: timo, maggiorana, erba cipollina
aglio in polvere

Preparazione:
Ho messo a lessare le patate sbucciate e i filetti di sogliola, poi ho schiacciato le patate e sminuzzato il pesce. Ho mescolato il tutto, regolando di sale ed aggiungendo l’erba cipollina e un filo d’olio.
Ho preparato la pasta, aggiungendo alla farina un pizzico di sale e acqua tiepida fino a formare un impasto morbido ma asciutto. L’ho lasciato riposare per mezz’ora coperto da una ciotola.
Ho steso la pasta ed ho creato tanti piccoli quadrati con il lato da 6 cm e su ognuno ho posto una pallina di ripieno. Per creare i fagottini è sufficiente unire tutte le punte del quadrato proprio al centro e poi sigillare i quattro lati.

Ho sciolto in padella il burro con le erbette, poi l’ho lasciato riposare ed insaporire mentre l’acqua per i fagottini prendava il bollore. Ho lessato i fagottini e poi li ho spadellati nel burro fuso e servito subito.

ai fornelli, ricette tradizionali

Acquasala lucana, il primo piatto per #MangiareMatera

A casa “Ricette” è arrivato un altro bel pacco proveniente dalla Basilicata. Questa volta era pieno di farina di grano duro, pasta e pane, tutti pronti a trasformasi in golose ricette per il contest #MangiareMatera in collaborazione con Teresa DeMasi.
http://www.scattigolosi.com/2013/10/mangiarematera-un-nuovo-concorso-tutto.html

La prima ricetta che ho elaborato ha proprio il sapore del pane di Matera tra i migliori pani d’Italia per gusto e qualità. Occorre innanzitutto dire che ha ottenuto il marchio I.G.P., e che può essere prodotto soltanto con i migliori grani duri della zona: Senatore Cappelli, Duro Lucano, Capeiti e Appulo.
Viene impastato con il lievito madre, ricavato da 1 kg di farina forte e 250 g di frutta fresca fatta macerare in acqua: una ricetta nata ben prima che Matera e la Lucania diventassero il granaio d’Italia, prima dell’unificazione, in tempi molto antichi. 
Assaggiare questo pane, riporta a tutta la magia dei Sassi. Si percepisce davvero un qualcosa di antico ed ancestrale prima nella sua crosta scura e croccante, che dopo un paio di giorni diviene coriacea, e poi nella sua mollica fitta e soffice, con i buchi irregolari e dal buon profumo di semola.
La ricetta dell’Acquasala lucana, altro non è che un modo per recuperare le fette di questo pane speciale, dopo che divenivano troppo dure per essere mangiate al naturale; al tempo stesso rendevano la zuppa povera dei contadini, un poco più sostanziosa e riempivano la pancia.
Come accade con le ricette contadine antiche non esistono dosi né ingredienti precisi. La zuppa si faceva con le verdure che erano disponibili nell’orto, e nell’acquasale, quando si poteva, si aggiungeva qualche uovo, mescolato in cottura per apportare qualche proteina.

La mia è una versione ricca: un uovo per ogni piatto, facendo rassodare il bianco nel brodo di cottura della zuppa e cercando di tenere il rosso liquido, e l’aggiunta di una fettina di porchetta per aumentare la sapidità.
Nascosto dalla verdura, ma che fa capolino nei cubetti fritti, naturalmente lui, il Pane di Matera IGP.
Se adesso avete la curiosità di assaggiarlo, potete ordinarlo a questo link!
La ricetta: Acquasala “ricca” alla lucana con il Pane di Matera IGP
(per 3 persone)
1 grossa cipolla
1 spicchio d’aglio tritato
1 peperoncino sminuzzato
300 g di cavolo verza
olio evo
sale
peperoncino
3 fette di Pane di Matera IGP alte 1,5 cm + 1 fetta un po’ più spessa
3 uova
3 fette di porchetta (o di prosciutto alle erbe) 
Ho affettato finemente la cipolla e l’ho messa in una pentola dal fondo spesso con due cucchiai d’olio, l’aglio tritato e il peperoncino. Ho fatto ammorbidire la cipolla con qualche cucchiaio d’acqua. Quando era morbida ho aggiunto la verza tagliata a striscioline e ho fatto insaporire il tutto. Dopo 5 minuti ho coperto d’acqua e fatto cuocere con il coperchio finché la verza non era morbida, regolando poi di sale.
Ho tagliato la fetta spessa di pane a cubi grandi, togliendo la crosta più dura, ricavandone circa 2-3 cubetti a testa. Ho fritto i cubi in un padellino con dell’olio e messo da parte.
Ho tagliato ogni fetta di pane a metà ed le ho messe in fondo ai piatti.
Nella zuppa, in pentola, ho versato le uova, distanziate, facendo ben rassodare il bianco. Poi le ho tirate fuori con molta delicatezza e deposte in un piatto. Ho rimestato, qualora ci fosse ancora del bianco d’uovo non cotto, e ho deposto in ogni piatto due mestolate di zuppa, sopra il pane. Ho aggiunto un uovo in ogni piatto, due cubetti di pane fritto e una fetta di porchetta, servendo subito.

 

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Risotto al prosecco con burrata e acciughe

Tra i prodotti freschi che ho avuto il piacere di assaggiare c’è la burrata, un altro simbolo della cultura casearia pugliese, assieme al caciocavallo e alla mozzarella fiordilatte.
La burrata nasce come prodotto di riciclo. E anche questa volta un prodotto del riuso per non sprecare nulla diventa una vera delizia. I pezzettini di pasta filata che trovate all’interno del guscio di mozzarella, sono i residui della lavorazione della mozzarella stessa. A questi viene aggiunta della panna, dolce e cremosa, quella che sentite persitere a lungo sul palato, quando mordete la burrata. Infine all’esterno c’è un sottile guscio di mozzarella per contener il tutto.
La burrata è deliziosa da mangiare freschissima, e qui Pioggia è un campione a inviarvi ciò che ordinate in un tempo davvero record: meno di 24 ore e con la spedizione gratuita
Ma se volete un altro modo per farla entrare nei vostri piatti vi consiglio questo risotto: la burrata si scioglie, lo rende cremoso, a tratti filante e dolce, accanto al sapido delle acciughe, insomma un matrimonio tra nord e sud perfettamente riuscito.
Per questo piatto ho usato il Riso Buono La Mondina, che viene prodotto a Casalbeltrame, città slow e patria del riso, dove si trova l’azienda dei Guidobono Cavalchini, proprietari dell’azienda che produce riso dal XVIII secolo. 
Chi mi conosce capirà che per me questo riso non è solo un ottimo prodotto, non per caso scelto da molti chef di altissimo livello, ma diventa anche un’operazione romantica di recupero del passato legato a filo doppio ad un territorio tutto da scoprire.

La ricetta: Risotto al prosecco con burrata e acciughe
(per due persone)
150 g di riso carnaroli
1 scalogno medio
brodo vegetale (circa 500 ml, preparato come nella spiegazione)
1 cucchiaino di burro
olio evo
1/2 bicchiere di prosecco più due cucchiai
125 g di burrata (metà per il risotto e metà per decorare il piatto – ricordatevi di tenerla a temperatura ambiente almeno un’ora prima di cominciare)
4 filetti di acciuga ricavati da due acciughe sotto sale, sciacquate bene con acqua e aceto e liberate dalla lisca
2 filettini d’acciuga sott’olio
Ho innanzitutto preparato il brodo vegetale, con carota, porro, sedano e patata in 700 ml di acqua fredda, con l’aggiunta di olio extravergine d’oliva. Non ho aggiunto sale, preferendo regolare dopo aver insaporito con le acciughe.
Con il brodo pronto e già ridotto e tenuto in caldo a fuoco bassissimo, ho iniziato a tagliare sottilmente lo scalogno e a farlo ammorbidire in una pentola larga e dal fondo spesso con due cucchiai d’olio e 1 cucchiaino di burro. Ho stufato con un paio di cucchiai di prosecco, rigirando spesso lo scalogno in modo che non prendesse colore, ma non fosse troppo brodoso.
Quando era morbido ho aggiunto il riso, facendolo tostare in padella, rigirandolo con delicatezza.
Ho sfumato con il mezzo bicchiere di prosecco, fino a farlo evaporare a fiamma alta quasi del tutto, poi ho aggiunto i filetti di acciuga e li ho fatti sciogliere nel liquido rimasto.
A questo punto ho iniziato ad aggiungere il brodo, proseguendo la cottura del riso a fuoco moderato. Quando la cottura era a posto ho assaggiato per regolare di sale ed ho aggiunto mezza burrata tagliata a pezzettini. Ho spento il fuoco e coperto la pentola, lasciando riposare per due minuti.
Ho distribuito nei piatti, decorando con uno spicchio di burrata e un filetto di acciuga sottol’olio.

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Sbrinz ogg’ a otto per Swiss Cheese Parade

Ecco la mia seconda ricetta per la Swiss Cheese Parade, con Formaggi Svizzeri e Teresa di Peperoni e Patate, questa volta con lo Sbrinz e uno degli ortaggi più adatti alla stagione, la dolce zucca.
Ho reinterpretato il tema delle pizzelle ogg’ a otto, di cui avevo già raccontato la storia in passato
Le pizze fritte, preparate agli angoli delle strade e vendute dopo essere state fritte in pentole di olio bollente posto sopra a dei braceri hanno per me un romanticismo speciale: ordinate alla venditrice e fritte sul momento, (erano pochi quelli che si potevano permettere un forno a legna)  perchè altrimenti rischierebbero di ammosciarsi, venivano piegate in due o in quattro alla bell’e meglio, e smozzicate camminando. 
Per comodità vennero, con il tempo, soppiantate dal calzone che meglio conteneva il suo ripieno senza sbrodolare, e da quel momento il ripieno si arricchì di prosciutto, ricotta e mozzarella.
La versione più classica di queste veloci pizze fritte resta però con salsa di pomodoro e il formaggio grattugiato in cima, perchè la mozzarella rilascerebbe acqua e farebbe perdere croccantezza.
Per il contest le ho condite con lo Sbrinz grattugiato, distribuito sulle pizze man mano che vengono scolate dall’olio bollente; ad addolcirle, ma con una punta di pepe, la zucca passata in forno, tenera e delicata.
Non vi passi per la testa di metterle nel piatto, vanno piegate in due e mangiate con le mani, man mano che escono dalla cucina, asciugate giusto un attimo su carta assorbente, quando sono ancora calde e croccanti.

La ricetta: Sbrinz… ogg’ a ott’
Per l’impasto delle pizzelle:
250 g di farina
1 pizzico di lievito di birra
1/2 cucchiaino di miele
1 cucchiaino raso di sale
125 ml circa di acqua
1 cucchiaio di olio evo
per la farcitura:
100 g di Sbrinz grattugiato
1 spicchio di zucca
sale
pepe nero
olio evo
Ho preparato l’impasto, sciogliendo il lievito nell’acqua con il miele e poi miscelandolo alla farina. Ho aggiunto quando l’impasto era già formato l’olio evo e il sale, lavorando il tutto per altri 5 minuti.
Ho fatto lievitare fino a raddoppio.
Nel frattempo ho preparato la zucca, tagliandola a fettine sottili, senza la buccia e condendola con sale e pepe macinato sul momento e olio evo. Ho infornato in forno già caldo a 180°, finchè la zucca non è diventata morbida. Poi l’ho tenuta al caldo.
Ho scaldato l’olio in una pentola a bordi alti ed ho formato le pizzelle man mano, prendendo porzioni di impasto grandi come mandarini e allargandole ben bene tra le mani.
Quando le pizzelle erano fritte uniformemente su entrambi i lati le ho scolate su carta assorbente e subito condite con lo Sbrinz grattugiato e le fettine di zucca ancora calde.

Anche con questa ricetta partecipo a Swiss Cheese Parade.
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Bustrengolo per Halloween…anzi per Ognissanti

Arriviamo ai giorni di festa per Ognissanti e gli italiani, almeno quell’alta percentuale che sono dediti ed appassionati di cucina sono ai fornelli. I piatti più noti e strettamente legati alla festività di Ognissanti sono dolci. Forse questo fatto è strettamente legato al detto “trick or treat” che i bambini anglosassoni recitano durante la loro questua di casa in casa nella notte di Halloween. In origine erano i pellegrini cristiani ad elemosinare il “dolce dell’anima” che altro non era che semplice pane. Ecco la tradizione di tutti i dolci di Ognissanti, spesso a forma di pane, infarciti di frutta secca.
 
Chi ha già sentito parlare del Bustrengolo? È un dolce che mi ha colpito per l’estrema semplicità dei suoi ingredienti. Si tratta di una specie di pasticcio di farina di mais, quasi una polentina dolce, guarnito con frutta secca, tra cui uva sultanina e pinoli e mele a fettine e, talvolta noci e nocciole, normalmente cotto al forno oppure fritto.P { margin-bottom: 0.21cm; }
L’origine e la diffusione è umbra, anche se è noto un Bustrengo marchigiano ed emiliano, che però è molto più simile ad una torta vera e propria, con uova e farina bianca oltre a quella di mais.
 
Impossibile, parlando di dolci umbri, non citare la celebre Fiera dei Morti che si svolge ogni anno a Perugia sin dall’epoca medievale. Si hanno testimonianze scritte sin dal 1260, quando era già un’usanza radicata.
Le fiere godevano di particolari esenzioni dai dazi e la possibilità di commerciare anche per coloro che avevano avuto problemi con la legge per cause civili. Era Festa, non solo per la presenza di giochi, quali la caccia al toro, la corsa dell’anello e la giostra della quintana ed altri più semplici come lotterie e tombole, ma anche perchè prevedeva un grande afflusso in città con conseguente arricchimento della popolazione. Nel periodo autunnale era per di più di grande importanza per il possibile approvvigionamento di varie cibarie prima dell’inverno.
Tutte queste ragioni decretarono la fortuna di questa Fiera che spesso cambiò nome attraverso i secoli, da Fiera di Ognissanti a Fiera dei Defunti, fino a riprendere quello attuale di Fiera dei Morti.
 
E dunque via al più particolare e tipico dolce umbro della Festa di Ognissanti. Io ho seguito la ricetta tipica trovata in rete, sostituendo i pinoli con delle noci che avevo in casa. Per venire un poco più incontro al gusto attuale ho leggermente aumentato la quantità di zucchero nell’impasto e l’ho completato con dello zucchero a velo in superficie e un bicchierino di grappa nell’impasto.
Le dosi sono sufficienti per una teglia rotonda da 24 cm di diametro.
La ricetta: Bustrengolo umbro
175 g di farina di mais
80 gr di zucchero (50 nella ricetta originale)
50 gr di noci
50 g di uva sultanina
1 bicchierino di grappa***
2 cucchiai di olio d’oliva extravergine
1 pizzico di sale
1 mela
 
zucchero a velo per la superficie
 
Ho portato ad ebollizione 600 g di acqua con la punta di un cucchiaino di sale.
Ho intanto pesato lo zucchero e messo in ammollo l’uva passa nel bicchierino di grappa, sminuzzato le noci e sbucciato e tagliato a fettine la mela, spruzzandola con qualche goccia di limone.
Quando l’acqua bolliva ho versato a pioggia la farina di mais mescolando ed aggiungendo subito due cucchiai d’olio. Ho mescolato la polenta per circa un quarto d’ora, poi ho aggiunto l’uvetta con la grappa e le noci, lo zucchero  ed infine le fettine di mela, continuando a mescolare.
Ho unto di olio una teglia e vi ho messo il composto, schiacciandolo con il dorso di un cucchiaio.
Ho infornato a 180° per circa 35 minuti, poi cosparso di zucchero a velo e rimesso in forno ancora per 5 minuti.
Il bustrengolo si gusta freddo!***aggiornamento del 4 novembre: Loredana nei commenti mi suggerisce una ricetta in cui al posto della grappa ha trovato il Mistrà, liquore tipico marchigiano e laziale. Allora, siccome la zona di diffusione è esatta, ve lo segnalo perchè possiate fare un bustrengolo più vicino all’originale.

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Gruyère in carrozza di pane nero per la SwissCheeseParade

Anche quest’anno partecipo al concorso con i Formaggi Svizzeri in collaborazione con Teresa di Peperoni e Patate.
L’anno scorso si era parlato di cucina italiana, se volete dare un’occhiata qui e qui.
Quest’anno la tematica è particolarmente stimolante ed attuale: lo street food.
Con il Gruyère DOP ho rielaborato una ricetta superclassica, sebbene sia una di quelle che non è semplice trovare tra gli streetfood più diffusi per le strade, con gusti e sapori nuovi: dalla mozzarella in carrozza alla Gruyère in carrozza.
Il Gruyère è un formaggio a latte crudo non pastorizzato. Le mucche sono nutrite esclusivamente a foraggio, sia d’estate, quando sono in alpeggio, sia in inverno, perchè in Svizzera è vietato l’utilizzo di qualsiasi additivo chimico e farina animale nei mangimi.
Ogni forma ha il suo passaporto di qualità, un numero attraverso il quale è possibile l’identificazione di ciascuna forma.
Per il Gruyère DOP classico ci vogliono almeno 5 mesi di stagionatura, ma esiste anche un Resèrve che viene fatto stagionare almeno dieci mesi.
Il formaggio che si ottiene ha un gusto fortemente lattoso, consistente, nel quale è riconoscibile l’alimentazione erbacea degli animali. Un gusto ricco e dolce che si sposa con altri ingredienti dal sapore deciso. La sua scioglievolezza è rapida e assoluta e filante.
Per la carrozza su cui adagiare il Gruyère ho pensato ad un pane nero di segale, dalla mollica morbida e fina, liberato dalla sottile crosticina esterna. Per la farcitura ho accompagnato il formaggio, tagliato a fettine sottilissime, perchè si sciogliesse ancora meglio, con dello scalogno, rosolato velocemente in padella con un cucchiaio d’olio, sfumato con la birra weiss e profumato con il timo.
La frittura finale deve essere rapida, giusto per conferire un po’ di croccantezza e far sciogliere il formaggio, ma senza far scurire il pane, per non interferire con i gusti del ripieno.

La ricetta: Gruyère in carrozza di pane nero con scalogno alla birra e timo
(per 4 pezzi – 2 persone)
per il pane di segale:
260 g di miscela con farina di segale (la mia aveva anche una quantità di farina bianca e sesamo e semi di girasole)
1 pizzico di lievito di birra (circa 5 g)
1 cucchiaino raso di sale
1/2 cucchiaino di zucchero di canna
100 g di acqua
30 g di latte intero
1 cucchiaio di olio evo
per il ripieno:
60-80 g di Gruyère DOP 
1 scalogno grande
1 cucchiaio d’olio evo
1 cucchiaino di timo essiccato (o un ramettino di quello fresco)
1 tazzina da caffé di birra weiss
per l’impanatura e la frittura:
farina di segale
1 uovo sbattuto
latte intero
1 pizzico di sale
olio per friggere
Per il pane:
Ho sciolto il lievito in acqua con lo zucchero; ho disposto la farina in una ciotola larga e vi ho poi versato l’acqua con lievito e il latte, tutti insieme, cominciando ad impastare prima con una forchetta e poi con le mani. Quando l’impasto era formato ho aggiunto l’olio e l’ho fatto assorbire, ed infine il sale, lavorando poi il tutto per 10 minuti.
Ho posto l’impasto in una ciotola, ho coperto con pellicola unta d’olio e risposto al caldo fino al raddoppio.
Ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato, formato un filoncino e fatto nuovamente lievitare coperto da pellicola unta d’olio e al tiepido per un’oretta.
Ho infornato a 190° fino a cottura (circa mezz’ora).
Per la farcitura:
Ho affettato finemente lo scalogno e l’ho passato in un padellino con l’olio, senza farlo scurire. Quando ho cominciato ad essere morbido ho sfumato con la birra e l’ho fatta evaporare, poi ho aggiunto il timo e fatto insaporire per un minuto.
Ho affettato finemente il Gruyère con una mandolina.
Per la Gruyère in carrozza:
Ho tagliato dal filone di pane 8 fette spesse 1 cm (meglio lasciar passare qualche ora dalla cottura…ancor meglio se è stato cotto la sera prima). Ho liberato ciascuna fetta dalla crosticina più dura. 
Su metà delle fette ho suddiviso lo scalogno, e poi fettine sottilissime di Gruyère senza uscire dai bordi; ho coperto con un’altra fetta di pane.
Ho passato ciascun “sandwich” nella farina e poi nell’uovo sbattuto con un pizzico di sale ed allungato con qualche cucchiaio di latte; poi ancora nella farina.
Ho fritto in olio bollente e asciugato brevemente su carta assorbente.
Ovviamente gustare caldo…e all’aria aperta!

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Torta dei Tetti di Dronero

Ho lungamente cercato qualche informazione sul nome così accattivante di questo dolce, cercando una spiegazione plausibile sul perchè fosse proprio dei Tetti, quando la semplicità di interpretazione ha avuto la meglio.
Tetti è una frazione del comune di Dronero, dove questa torta semplice e rustica ha avuto i natali. Perciò si tratta delle Torta di Tetti e non dei Tetti…ma ovunque si trova indicata con la seconda grafia, suggerendo romantiche leggende.
Come se ce ne fosse bisogno poi… ci troviamo in Val Maira, una delle valli occitane, dove la scarsezza degli ingredienti ha ispirato al contrario ricette ricchissime, semplici ma saporite, con la patata di montagna, il formaggio d’alpeggio, le farine rustiche come quella di segale, adatta alla contivazione in alta quota, solo se mischiata al grano che meglio resiste al vento.

[la foto di Dronero appartiene a www.naturaoccitana.it]

Si tratta di una terra splendida, ricchissima di ispirazioni e, mentre la lista delle ricette da provare si allunga, ecco a voi questa torta campagnola e rustice, poco dolce, che un tempo veniva cotta nei forni a legna, ottenendo un aspetto molto simile al comune pane.
Per correttezza le pere da utilizzare sono le Madernassa, varietà diffusa nel cuneese, in particolare nella zona di Alba. Io ho comunque utilizzato pere piccole e a polpa dura, adatte per esser cotte e cambiando la ricetta originale solo aggiungendo un cucchiaio in più di zucchero nella pasta e riducendo leggermente la quantità di amaretti e cacao.

La ricetta: Torta dei Tetti di Dronero
250 g di farina
1 uovo
3 cucchiai di zucchero
50 g di burro fuso
alcuni cucchiai di latte intero
1 cucchiaino colmo di lievito in polvere

per il ripieno
6 piccole pere da cuocere (Madernassa o Martin Sec)
2 chiodi di garofano
1 cucchiaino colmo di cannella in polvere
vino rosso (in quantità da coprire le pere, Dolcetto o Nebbiolo o Barbera)
160 g di amaretti sbriciolati
2 cucchiai di mandorle tagliate a pezzi grossi
1 cucchiaio colmo di cacao amaro in polvere
1 bicchierino di grappa
3 cucchiai di zucchero

tuorlo d’uovo per spennellare

Sbucciare le pere, tagliarle a pezzetti e metterle in una casseruola con il vino, tanto da coprirle, lo zucchero, i chiodi di garofano e la cannella. Lasciar cuocere finchè non sono morbide, poi schiacciarle con una forchetta.
Nel frattempo preparare la pasta: mescolare gli ingredienti fino a formare un composto lavorabile, aggiungendo gradualmente il latte.
Quando le pere sono pronte mescolarle con gli amaretti, il cacao, la grappa e formare un composto omogeneo.
Dividere in due parti la pasta e ricavarne due cerchi poco più grandi della teglia in cui cuoceremo il dolce (25 cm).
Deporre sul primo cerchio il ripieno, coprirlo con il secondo cerchio di pasta e rimboccare i bordi del primo, sopra il secondo, bucandolo poi con la punta di un coltello.
Spennellare con un tuorlo d’uovo (o un po’ di latte) ed infornare a 170° per circa mezz’ora o finchè il dolce è ben dorato.

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La mozzarella autunnale

Ho avuto occasione di conoscere il Caseificio Pioggia in occasione di Cheese 2013 e ne sono rimasta conquistata. 
Essere conquistata da un prodotto caseario a Cheese è piuttosto difficile, visto il bombardamento formaggioso dell’evento che ogni due anni profuma la città di Bra. Il punto è che questi ragazzi fanno la differenza con un sito web perfettamente all’altezza dei loro prodotti.
A Cheese ho potuto assaggiare i loro formaggi stagionati, i caciocavalli tipici della tradizione dell’Italia Meridionale, in particolare proprio della Puglia, dove si trova il Caseificio Pioggia, a Martinafranca.
I prodotti sono buonissimi, frutto di una lavorazione accurata e pieni di storia e tradizione tra i loro ingredienti. Dal più giovane e dolce a quello più stagionato e piccantino; ci sono poi prodotti caratteristici come i caciocavalli della Massaia, un tempo prodotti dalle casalinghe che avevano a disposizione sono poco latte di ogni bestia e quindi fatto con latte misto di vacca, pecora e capra; c’è il caciocavallo Nobile prodotto con latte di mucche al pascolo e con caglio di capretto (e quindi solo in quantità limitata nel periodo natalizio); non può mancare il caciocavallo Ubriaco, delizioso e dal gusto deciso, affinato a giorni alterni nel vino Primitivo di Manduria, che fa sì che la pasta riprenda morbidezza e guadagni in colore e sapore. L’ultimo arrivato è il caciocavallo Reale, una forma grande stagionata 12 mesi, ma che proprio grazie alle sue dimensioni notevoli non si asciuga troppo e resta quasi dolce e lattosa al suo interno.

Il Caseificio Pioggia rifornisce molti ristoranti di livello della zona e recentemente i suoi prodotti hanno trovato un nuovo cliente, il ristorante Splendido dell’Hotel Ritz-Carlton di Osaka, punto di riferimento per molti gourmet ed estimatori del buon mangiare all’italiana.
Questo successo è dovuto sicuramente all’alta qualità dei prodotti, ma anche e soprattutto alla modernità del loro e-commerce.
Il sito del Caseificio Pioggia offre, come raramente accade nei siti di e-commerce, una vera e propria esperienza di conoscenza nel mondo dell’arte casearia pugliese. Non è un semplice e arido elenco dei prodotti disponibili: ogni formaggio è spiegato nel dettaglio, ogni storia è approfondita al fine di regalare un’esperienza degustativa davvero elevata e contribuisce a far venire l’acquolina in bocca.
Ora, a chi mi ha detto che anche qua si trovano ottime mozzarelle “piemontesi”, io rispondo: sì, ma il sapore di una mozzarella fiordilatte che arriva direttamente dalla Puglia, in meno di ventiquattr’ore?
Parliamo di Fiordilatte? Così è chiamata la mozzarella di latte vaccino, forse nata subito dopo o contemporaneamente alla sua sorella di latte di bufala;  il suo nome è spiegato dal gesto di mozzare la pasta filata (che poi è anche quella del caciocavallo). Probabilmente il latte utilizzato dipendeva dalla zona e dai bovini che vi si allevavano. Pare però che l’usanza di offrire mozzarella in segno di ospitalità risalga almeno al XII secolo quando i Benedettini di San Lorenzo in Capua, fecero del “pane e mozza” il loro segno distintivo quando accoglievano i componenti del Capitolo Metropolitano in pellegrinaggio al Santuario.
Da qui, dalla mozzarella fiordilatte, comincio il mio viaggio in cucina con i formaggi della Puglia.
Per la mozzarella fiordilatte,
regina della produzione casearia pugliese, tradizionalmente abbinata al
pomodoro nella caprese, ho pensato ad un abbinamento “autunnale” con
del radicchio e delle nocciole, a stemperarne la sublime dolcezza.
Presto, ve lo anticipo, arriverà anche un gustoso risotto!

La ricetta: Mozzarella con radicchio piccante e nocciole


(per due persone)
un cespo di radicchio
1 spicchio d’aglio
olio evo
sale
1 peperoncino

Ho scaldato l’olio, facendo appena rosolare lo spicchio d’aglio con il peperoncino spezzettato. Ho poi aggiunto il radicchio, lavato e tagliato a listarelle. l’ho fatto saltare in padella per un minuto, regolando di sale.
Nel piatto ho deposto il radicchio, con sopra la mozzella ed ho completato con le nocciole spezzettate. 
Il verde che vedete nel piatto, a lato, è il roch chives cress, una varietà di erba cipollina del sud est asiatico dal delicato ma persistente sapore d’aglio, delizioso sotto i denti.

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Tarte salata alle tre farine con cavolo cappuccio, pere e Roquefort. La storia del Roquefort, pregiato formaggio francese e una torta salata

Rocquefort
In lingua occitana è il Rocafort, ma ovunque è conosciuto come Roquefort ed è, a detta di molti, uno dei formaggi più buoni al mondo, proclamato da Diderot come       «le roi des fromages».
 

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Spaghetti alla Norma, fuori norma

Le ultime melanzane della stagione e le ultime parmigiane e paste alla Norma, che per tornare sui miei fornelli dovranno aspettare la prossima estate.
Ho preparato questo piatto innumerevoli volte con le melanzane nere, con quelle lilla (ma sono molto dolci e acquose e poco adatte alla frittura) e anche con queste deliziose melanzanine di Rotonda.
L’ho preparato con la ricotta salata, come vuole la regola, ma in mancanza anche con una spolverata di parmigiano.
Talvolta l’ho preparato anche con le melanzane cotte in forno e poi passate nel sugo.
L’adattabilità di questo piatto è altissima, si può modulare in base al tempo disponibile, ma la vera ricetta è una sola. Le melanzane vanno fritte e poi passate nel sugo di pomodoro, già insaporito con aglio e olio e fatto cuocere per un po’. Le melanzane vanno aggiunte all’ultimo, perchè devono dare sapore e non ammollarsi troppo.
Molte invece sono le leggende legate al nome di questo piatto. 

Alcuni raccontano che la ricetta vide la luce proprio al ritorno di Vincenzo a Bellini a Catania, dopo il clamoroso fiasco della prima della Norma al Teatro alla Scala di Milano. Il compositore era tornato abbattuto e sfiduciato nella sua città natale, quasi convinto di dover cambiare mestiere, quando gustò il piatto cucinato in suo onore da uno chef catanese. Ispirato, compose l’aria “Casta Diva”, la più celebre di tutta l’opera, decretandone il successo nelle rappresentazioni successive. Quest’ultimo particolare però non trova conferma nella stesura dell’opera in quanto Casta Diva faceva già parte della prima partitura.

Si racconta però che la dicitura Pasta
alla Norma facesse riferimento alla soprano Giuditta Pasta, protagonista
eccellente durante il disastro della prima alla Scala.

Un’altra storia è temporalizzata qualche anno più tardi, quando l’opera di Bellini era già conosciuta ed apprezzata. Pare che il commediografo Nino Martoglio, dopo aver assaggiato questo piatto, esclamasse “Questa è una vera Norma“, ad elogiarne la ricetta saporita ed equilibrata. 
Qualsiasi sia stata l’origine del nome, questo piatto è diventato il simbolo della città di Catania, ad eterna memoria del suo cittadino più illustre, e della Sicilia intera.
[http://it.wikipedia.org/wiki/Norma_%28opera%29
http://www.qtsicilia.it/la-satira-e-la-societa/40-societa/570-leggende-da-foyer-pasta-alla-norma.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuditta_Pasta]

Io ho realizzato la ricetta utilizzando i prodotti lucani che mi sono stati inviati per la partecipazione al concorso #IoChef, in
occasione del Convegno Nazionale dei Cuochi Lucani, quindi melanzane di Rotonda e CacioRicotta Lucano. Le melanzane di
Rotonda hanno molti semi, ma sono davvero perfette per essere fritte…se volete saperne qualcosa di più andate a leggere qui.

La ricetta: Pasta alla Norma
(per 2 persone)
1 melanzana viola con la buccia (nel mio caso 3 melanzanine rosse di Rotonda)
olio per friggere
3-4 pomodori pelati
olio
sale
basilico
spaghetti (più o meno abbondanti a vostro piacimento)
ricotta salata (nel mio caso, cacio ricotta lucano)
Ho inizialmente tagliato a dadini le melanzanine con la buccia. Ho anche fatto qualche fettina sottile per la decorazione. Le ho messe in un colapasta con un po’ di sale grosso per farle spurgare.
Ho messo tre cucchiai d’olio evo in un pentolino. Ho rosolato leggermente uno spicchio d’aglio sbucciato e poi vi ho aggiunto i pomodori, precedentemente sbollentati e pelati, schiacciati con la forchetta. Ho lasciato cuocere aggiungendo all’occorrenza un po’ d’acqua e regolando di sale. 
Ho asciugato le melanzane, le ho infarinate e fritte in olio di semi bollente, mettendole poi ad asciugare dall’olio in eccesso su alcuni fogli di carta assorbente.
Nel frattempo ho messo a bollire l’acqua per la pasta e quando era pronta l’ho salata e vi ho tuffato gli spaghetti. 
A cottura ultimata ho passato gli spaghetti nel sugo per condirli, poi ho aggiunto le melanzane fritte, tenendo da parte le fettine e qualche cucchiaio di quelle a cubetti per la decorazione.
Ho spolverato di cacio ricotta grattuggiato grosso al momento.
 

ai fornelli, ricette tradizionali

Shammali* cipriota per l’Abbecedario Culinario

Per l’Abbecedario Culinario d’Europa, fino al 6 ottobre dedicato a Cipro ed ospitato da Haalo, ho scelto di provare a cucinare un dolce tipico diffuso non solo a Cipro ma anche in Grecia e Turchia. Letta la ricetta, diffusa sul web solo in lingua inglese, ho subito amato la presenza del semolino e la semplicità degli ingredienti.  
Questo dolce, a seconda della zona viene aromatizzato con essenza di mandorle o di rose, oppure, in Grecia, con il masticha, la resina che la cucina greca utilizza in prodotti dolci e salati.
Siccome vi propongo la versione cipriota, ho scelto l’essenza di mandorle, ma credo che anche l’essenza di rosa, reperibile nelle macellerie halal, dia modo di ottenere un risultato delizioso.
Il procedimento è semplicissimo e il risultato è ottimo e molto rustico e “mediterraneo”. Assolutamente essenziale perchè il dolce si insaporisca bene, è il riposo con lo sciroppo, di almeno 5-6 ore.

*Ivy, in un commento qua sotto, mi dà altre informazioni su questo dolce:P { margin-bottom: 0.21cm; } « Shammali è il nome Greco. In Cipro è chiamato “Kalon Prama” (qualcosa
buono). Aggiungiamo anche tahini sul fondo della teglia prima di
aggiungere la miscela.

»P { margin-bottom: 0

La ricetta: Shammali (torta con semolino, yogurt e mandorle)

2 uova piccole (separati gli albumi montati a neve)
70 g di zucchero
250 g di semola
150 g di yogurt di capra intero (oppure yogurt intero)
50 g di olio di semi
2-3 gocce di essenza di mandorle
1 cucchiaino di lievito in polvere
1 manciata di mandorle sminuzzate per la guarnitura

per lo sciroppo:
100 g di zucchero
140 ml di acqua
il succo di mezzo limone
1 cucchiaino di cannella in polvere
 
[fonti: ricetta da http://androulaskitchen.wordpress.com/2012/01/08/shamili/]
Ho mescolato lo zucchero con l’olio; poi ho aggiunto i tuorli, amalgamando bene.
Ho versato a pioggia il semolino, sempre mescolando con un cucchiaio di legno.
Ho aggiunto lo yogurt, l’essenza di mandorla e il lievito per dolci passato al setaccio.
Ho montato a neve gli albumi e li ho aggiunti gradualmente all’impasto senza smontare.
Ho imburrato una tegia del diametro di 21 cm e vi ho versato il composto.
Ho infornato per 5 minuti, poi ho cosparso con le mandorle sminuzzate e rimesso in forno a 180° lasciando cuocere per altri 40 minuti, finchè il dolce è dorato.
Prima di sfornare, controllare la cottura al centro con uno stecchino.
Nel mentre ho preparato lo sciroppo, facendo sciogliere lo zucchero nell’acqua e poi ponendo sul fuoco ed aggiungendo il succo di limone e la cannella. Ho fatto cuocere, finchè lo sciroppo non si è inspessito, poi ho lasciato raffreddare.
Ho bucato con uno stecchino tutta la superficie della torta, ormai tiepida, e l’ho irrorata di sciroppo. 
Lasciar raffreddare completamente, così parte dello sciroppo verrà assorbita.
Poi tagliare a cubetti e servire accompagnando con yogurt non dolcificato. 

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