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Fagiolini Sott’Aceto al Coriandolo, Alloro e Pepe Nero

Ultimi raggi di sole caldo e l’autunno già avanza. Restano ancora pochi giorni per portare con noi nell’inverno i prodotti dell’orto, sotto forma di conserva.
Questi fagiolini sono una delle conserve che ho fatto quasi un mese fa. Mi piaceva l’idea di poter aromatizzare in questo modo fagiolini, che per me sono soprattutto protagonisti di insalate tiepide estive, e farli diventare cooprotagonisti dell’antipasto assieme a del formaggio dal gusto deciso. Ad esempio trovo che l’acidulo si sposi a meraviglia con formaggi dalla pasta grassa e con quelli di capra semistagionati.
In più c’è da dire che sono velocissimi da preparare e da tirar fuori dalla dispensa dopo qualche mese. Quindi, con gli ultimi fagiolini della stagione, preparatela e non ve ne pentirete!!

La ricetta: Fagiolini sott’aceto aromatizzati con Coriandolo, Alloro e Pepe Nero
500 g di fagiolini
1 cipolla
2 foglie di alloro essiccato e sminuzzato
1 cucchiaino di semi di coriandolo
pepe nero in grani
1 cucchiaio di zucchero di canna
1 cucchiaino di sale fino
400 ml di acqua addizionata di 1 bicchiere di aceto bianco
600 ml di aceto di vino bianco
Ho pulito i fagiolini lavandoli bene e privandoli delle due estremità. Poi li ho lessati nell’acqua e aceto, li ho scolati e lasciati asciugare.
Nel frattempo ho preparato il restante aceto portandolo ad ebollizione con l’alloro, i semi di coriandolo schiacciati e il pepe nero, il sale e lo zucchero.
Ho disposto i fagiolini in piedi nei vasi sterilizzati, sistemando anche degli anelli di cipolla cruda e qualche altra bacca di pepe. Ho colmato i vasi con l’aceto bollente, senza filtrarlo, li ho chiusi e capovolti per formare il sottovuoto.
Lasciare in dispensa al buio ad insaporire per almeno un mese.
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Nice To “TwEAT” You alla Social Media Week di Torino

Venerdi 28 settembre io e le bloggers di Due Cuori e Una Forchetta  e Cucina Precaria, siamo state invitate ad assistere all’incontro Nice To “TwEAT” You, nell’ultima giornata della Social Media Week che si è appena conclusa a Torino e in altre dodici città in tutto il mondo.
Il tema della conferenza era #turismo & #social media, ovvero come cambia il mondo del turismo e della valorizzazione del territorio con la crescita dei canali social e del web 2.0, organizzata da Sviluppo Piemonte Turismo, promotore del #BITEG, la Borsa Internazionale del Turismo EnoGastronomico. (Per seguire l’evento su Twitter gli hashtag sono #biteg e #nicetotweatyou.)

Ospiti sul palco, moderati dalla bravissima e competente Maria Elena Rossi di Sviluppo Piemonte Turismo, c’erano Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Langhe e Roero, Fabrizio Musso, General Manager del Grand Hotel Sitea di Torino, Luca Bernardini dell’ufficio stampa di Slow Food, Guido Castagna, Maestro Cioccolatiere e Maestro del Gusto Slowfood, Alessandro Morichetti di Do You Wine, enoteca on line dell’azienda vitivinicola Ceretto e Silvia Cartotto, travel blogger di The Girl With The Suitcase.

Mentre mi metto al lavoro per ricapitolare i temi affrontati, mi faccio aiutare da un pezzetto di cioccolato gianduja di Guido Castagna; nel momento in cui il cioccolato si scioglie contro il palato parto per un viaggio dei sensi e in un attimo vedo già le nocciole e le fave di cacao che sono servite per confezionare quel cioccolato perfetto ad ogni morso. Subitanea è la voglia di approfondire, di visitare i luoghi in cui si creano queste meraviglie del gusto che fanno l’eccellenza del nostro territorio. 

Quello che accade con i social è un percorso simile, anche se talvolta in senso inverso: bisogna emozionare prima ancora di far gustare, prima ancora di vendere; la comunicazione attraverso i social deve invogliare all’esperienza.

Mauro Carbone di TuLangheRoero sottolinea come sia ormai indissolubile il rapporto tra internet e turismo, ma è fondamentale un lavoro di rete tra i produttori per valorizzare un intero territorio e non solo il singolo

Guido Castagna aggiunge, nel suo intervento, quanto sia importante fornire ad un turista che viene da lontano un’ampia gamma di eventi e visite perché possa scegliere quelle a lui più congeniali; anche qui la comunicazione e lo scambio tra le varie realtà produttive e le strutture ricettive è importantissimo, ma anche l’utilizzo dei social da parte dei professionisti del settore diventa fondamentale per invogliare il viaggiatore alla visita reale.

Un discorso a parte viene fatto da Fabrizio Musso del Grand Hotel Sitea riguardo ai riscontri che arrivano dalle recensioni in rete. Non solo su TripAdvisor ma anche su Facebook le critiche vengono lette attentamente e diventano sempre nutrimento motivazionale e spunto per migliorare. Twitter e Instagram invece, nella loro immediatezza e nella loro essenza di strumenti a caldo, aiutano nella condivisione totale dell’esperienza di soggiorno: da qui si vede come le promesse vengano mantenute e questo sicuramente rappresenta un valore aggiunto.

Luca Bernardini di Slowfood afferma quanto sia leggibile, osservando Twitter, il movimento di utenti verso gli eventi del Salone del Gusto e di Terra Madre che si svolgeranno dal 25 al 29 ottobre a Torino; approdata alla rete relativamente tardi, solo da 3 anni, la macchina organizzativa di Slowfood trae dai social una miniera di informazioni utili e li ritiene essenziali nel momento di monitoraggio ed ascolto. Dove ci sono ancora problemi di accesso alla rete elettrica, come accade nelle comunità del cibo africane, la comunicazione avviene tramite tecnologie telefoniche (sms e tablet), ma non è meno efficace allo scopo.

Purtroppo la risposta dei partner sul territorio non è ancora così omogenea e Alessandro Morichetti di Do You Wine fa notare come nel settore vinicolo dove lui opera esistano ancora molti produttori che ignorano nel modo più assoluto cosa sia Twitter o Facebook e scelgano ancora canali tradizionali per il loro commercio. Do You Wine infatti si colloca come costola social di un’azienda di impianto tradizionale: lavora al fianco dell’azienda vitivinicola Ceretto, rispondendo all’esigenza di interattività e raggiungendo ancora più utenti che potranno in seguito decidere se acquistare on line o in modo tradizionale.

La travel blogger Silvia Cartotto racconta come un diario di viaggio in rete può diventare un travel blog e rispondere alle esigenze di altri viaggiatori: bisogna rispondere alle domande, conquistare il lettore con belle immagini e fornire un itinerario pensato e sperimentato, ricco di consigli utili. Silvia preferisce godersi il viaggio e fare scorta di immagini e suggestioni per poi portare sulle pagine virtuali del blog un resoconto ormai maturo e digerito.

Da Nice To TwEAT You è però emerso come l’immediatezza di Twitter sia essenziale nella valorizzazione di un’esperienza turistica: il tweet fornisce l’emozione istantanea e lo spunto per approfondire, quindi rappresenta uno strumento validissimo nella promozione e valorizzazione di un territorio ampio e variegato come quello piemontese. Allo stesso tempo le nuove tecnologie e i nuovi canali social offrono opportunità di lavoro nel mondo del turismo e nelle attività ad esso collegate.
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Il panino Granata

Questi panini al latte sono superbi: soffici soffici e profumati, adattissimi da farcire perchè sono così morbidi che ogni morso è una goduria. Per questa ragione ho subito pensato a loro per partecipare al contest di Una cucina per ChiaMa, “Un panino per ChiaMa“, che proponeva di realizzare un panino goloso e ben presentato.
Ho preparato il pane, con questa ricetta supercollaudata e veloce, realizzandolo in due diverse forme, rotondo e allungato, e poi l’ho farcito con ingredienti adatti al primo fresco di questi giorni: caprino di latte di capra, funghi trifolati e speck AltoAdige.
Benchè io non sia una patita dei 22 uomini in mutande che si contendono una palla su un prato rettangolare, mi sento coinvolta con pathos nei preparativi pre-partita, anche se questo comporta soltanto preparare una cena “asportabile” per il mio fidanzato che va allo stadio a seguire la sua squadra del cuore. Di solito i miei panini riescono a dargli la carica giusta per affrontare i 90 minuti di trepidazione e sofferenza emotiva, dunque ecco a voi il Panino Granata!!

La ricetta: Panino Granata
per 12 paninetti:
400 g di farina bianca (200 g manitoba e 200 g tipo 00)
1 cucchiaino e mezzo di sale
1 cucchiaino e mezzo di zucchero
12 g di lievito di birra fresco (1/2 cubetto)
200 ml di latte tiepido (o più a seconda dell’umidità dell’aria)
Ho mescolato insieme in una capiente ciotola farina, sale e zucchero.
Ho sciolto il lievito in 50 ml di latte ed ho cominciato ad aggiungerlo all’impasto, mescolando con una forchetta. Ho aggiunto il latte restante, sempre mescolando, aggiungendone se necessario, fino ad ottenere un impasto morbido ed elastico. Ho trasferito l’impasto sul tavolo infarinato ed ho impastato a mano per dieci minuti. Ho deposto l’impasto in una ciotola oliata e coperto con pellicola da cucina leggermente unta.
Ho fatto lievitare al caldo finchè l’impasto non raddoppia (un’ora abbondante).
Ho diviso l’impasto in 12 porzioni ed ho formato i paninetti, ricavandone 6 palline e 6 sfilatini lunghi. Sulle palline ho fatto un profondo taglio a croce con un coltello infarinato. Ho coperto i paninetti con pellicola oliata e li ho fatti crescere al caldo per circa 40 minuti. 
Sui paninetti lunghi ho ricavato dei taglietti con la punta delle forbici, poi ho spennellato tutti con latte a temperatura ambiente ed ho infornato a 200° per 15-20 minuti, fino a doratura.

per la farcitura:
caprino fresco di latte di capra (occhio che i caprini possono essere anche di latte di vacca)
speck Alto Adige affettato fine
funghi orecchione trifolati (ho tagliato i funghi orecchione a striscioline sottili, li ho passati in padella con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio e li ho fatti ammorbidire, sfumando poi con due dita di vino bianco e aggiungendo acqua se necessario. Ho poi regolato di sale e aggiunto del prezzemolo tritato, poco prima di spegnere il fuoco.)

Ho tagliato a metà i paninetti, ho spalmato uno strato sostanzioso di caprino, vi ho adagiato una cucchiaiata di funghi trifolati e sopra una fetta di speck, come una sciarpa granata.
Buon appetito!! 🙂

Con questa ricetta partecipo al contest “Un panino per ChiaMa” del blog “Una cucina per ChiaMa” di Marco e Chiara.
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Torta al cioccolato fondente con ribes rossi

È arrivato l’autunno ed insieme è giunto il periodo delle torte al cioccolato. Non avevamo mai smesso, a dire il vero ma ora è proprio il momento giusto per mettere al bando gli scrupoli e coccolarsi con i sapori caldi e corposi.
A togliere ogni eventuale residuo dubbio abbiamo avuto due cene da amici la scorsa settimana e quindi quale scusa migliore per preparare due golose torte superfondenti. 
La prima è questa con i ribes; sono andata sul sicuro con una base al cioccolato che utilizzo spesso e si presta a mille reinterpretazioni. Ho solo aggiunto dello sciroppo di ribes nell’impasto, che però non si sentiva come avrei voluto.
Sopra una semplicissima glassa, e gli splendidi e lucenti fruttini rossi che l’hanno resa davvero bella!
Cercando qualche informazione sul ribes ho scoperto che questo nome appartiene a una moltitudine di qualità diverse dello steso fruttino acidulo. Lo si può trovare rosso o nero o addirittura nella varietà gialla e in ogni caso è enormemente decorativo e, così fresco e pungente, contrasta piacevolmente con la cremosità avvolgente e calda della torta.
Questa base al cioccolato è buonissima il giorno stesso ma è ancora più buona il giorno seguente…se ci arriva!! 😉 E si può combinare con tantissimi frutti!
La ricetta: Torta al cioccolato con ribes rossi
200 g di cioccolato fondente
70 g di burro
100 g di zucchero
3 cucchiai di yogurt
2 cucchiai di sciroppo di ribes
40 g di farina 00
30 g di mandorle tritate
2 uova
1 cucchiaino di yogurt
100 g di zucchero a velo
125 g di ribes rossi
Ho fatto fondere a bagnomaria il burro con il cioccolato sminuzzato. Ho poi aggiunto lo zucchero e mescolato fino a farlo sciogliere e poi ho aggiunto anche lo sciroppo di ribes alla miscela.
Ho setacciato insieme farina 00 e farina di mandorle e poi le ho aggiunte alla miscela di cioccolato, mescolando insieme anche lo yogurt.
Ho separato i tuorli dalle uova e ho aggiunto gradualmente i tuorli al cioccolato.
Ho montato a neve gli albumi e senza smontarli li ho amalgamati all’impasto.
Ho versato il tutto in una teglia ben imburrata da 21 cm ed ho infornato a 170° per circa mezz’ora. Per un risultato più fondant bastano 20 minuti di cottura.
Quando la torta era fredda l’ho rovesciata su un piatto.
Per la glassa ho mescolato lo zucchero a velo con lo yogurt e l’ho fatta colare sulla torta, pareggiandola con una spatola. Ho lasciato asciugare la glassa e poi ho disposto sulla superficie i grappolini di ribes.
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Ravioli di formaggio di capra insaporiti con miele e more

Il miele è un alimento ricco di storia. Testimonianze sull’uso del prezioso dolcificante si trovano nella Bibbia ed era praticamente usato da tutti i popoli dell’antichità. Gli Egizi gli attribuivano anche un potere rituale, poichè accanto alle mummie venivano deposte ciotole piene di miele per corroborare i defunti durante il viaggio nell’aldilà. I Sumeri lo utilizzavano per preparare cosmetici mentre i Greci lo consideravano cibo degli dei e Hammurabi nel suo codice di leggi tutela gli apicultori dal furto del prezioso nettare. In realtà la storia del miele si perde ancora più lontano nel tempo e si hanno tracce delle prime arnie costruite dall’uomo nel VI millennio a.C.
Nel medioevo il miele veniva usato per dolcificare qualsiasi cibo, dalla carne alle torte salate ed addolciva anche le bevande, in combinazione con il vino, come accadeva per l’Hypocras e il Chiaretto o con l’acqua, quando dava vita all’Idromele.
L’avvento della canna da zucchero gli fece perdere un po’ di fama, ma ultimamente è tornato all’antico splendore, per le sue tante proprietà benefiche, come disinfettante e antibatterico, come calmante del sistema nervoso e corroborante dell’apparato circolatorio. A queste proprietà si aggiungono quelle specifiche dalla pianta da cui il nettare è estratto. 
Il miele di tiglio che ho usato per questa ricetta è tra i mieli più profumati e pare anche essere calmante e un aiuto per chi soffre di emicrania.
E’ naturale abbinarlo ad un formaggio di capra, dal tipico gusto sapido e pungente. Più particolare è condire con il miele questi saporiti ravioli, mentre le more danno colore e una punta di acidulo ad un piatto equilibratamente dolce e salato. 
La ricetta: Ravioli di formaggio di capra con miele di tiglio e more
(per 2 persone)
per la sfoglia all’uovo:
200 g di farina 00
2 uova intere
1 pizzico di sale
per il ripieno:
circa ½ caprino fresco di latte di capra Alta Langa (quello fatto a tronco di cono che trovate sfuso dal formaggiaio)
150 g di toma piemontese di pura capra (sfusa, proveniente dalla zona di Cuneo)
per il condimento:
100 g di more fresche
1 cucchiaio di miele di tiglio
40 g di burro
cannella
pepe bianco
Ho preparato la pasta per i ravioli: ho messo la farina a fontana, ho rotto le uova intere al centro, ho aggiunto un pizzico di sale ed ho cominciato a formare un impasto, prima con la forchetta poi con le mani. Ho impastato per qualche minuto, poi ho messo la pasta a riposare avvolta in un tovagliolo di cotone.
Ho preparato il ripieno semplicemente tagliando a pezzettini molto piccoli la toma di capra e amalgamandola con il caprino fresco.
Ho steso la sfoglia e ho ricavato tanti cerchi con un coppapasta del diametro di 6cm. Su metà dei cerchi ho deposto una nocciola di ripieno. Ho bagnato leggermente il bordo rimasto libero con il dito inumidito d’acqua ed ho completato i ravioli con un cerchio vuoto, facendo ben aderire i bordi.
Completati i ravioli, ho messo a bollire l’acqua per cuocerli e nel frattempo ho fatto sciogliere in un padellino il burro a fuoco bassissimo. Ho aggiunto il miele e l’ho fatto scaldare e fluidificare. Poi ho aggiunto anche il succo di qualche mora schiacciata e passata al colino. Ho spento e tenuto in caldo.
Quando l’acqua bolliva, l’ho salata e vi ho cotto i ravioli; poi li ho scolati con delicatezza e li ho deposti nei piatti.
Nel padellino del burro ho aggiunto le more restanti, ho riscaldato il tutto ed ho usato il burro e miele per irrorare i ravioli. Ho spolverato il tutto con cannella e pepe bianco e servito.
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Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

Dall’alto sembra una focaccia alta, quasi banale nella sua semplicità: olive e pomodorini. In realtà nasconde una sorpresa, un soffice ripieno di caprino fresco, con la marcia in più, saporitissima, di un’aggiunta di aglio ed erbette, che danno a questo piatto un tono così rustico, ma al tempo stesso un’aria un po’ chic alla francese…
Il segreto è stendere lo strato superiore sottilissimo, in modo che resti un po’ croccantino e leggero; più corposo e gonfio sarà lo strato inferiore, e la morbidezza nell’odoroso ripieno.

La ricetta: Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

300 g di farina
1 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di miele
acqua
1 cucchiaio d’olio
1/3 di cubetto di lievito di birra
200 g di caprino fresco
maggiorana, menta, origano,dragoncello ed erba cipollina
1 spicchio di aglio
Ho preparato la pasta per la pizza, sciogliendo il lievito in circa 50 ml di acqua tiepida, aggiungendo 1/2 cucchiaino di miele e lasciando riposare per 10 minuti, fino alla formazione di una ricca schiumetta. Ho cominciato ad impastare la farina setacciata con il sale con questa mistura di acqua e lievito, aggiungendo poi altra acqua tiepida e un cucchiaio d’olio extravergine finchè non si è formata una bella palla morbida. Ho impastato per dieci minuti circa, poi ho messo l’impasto a lievitare per 2-3 ore.
Ho ripreso la pasta e l’ho divisa in 4 palline, due delle quali leggermente più piccine perchè serviranno per gli strati superiori. Ho steso le palline più grandi ed ho foderato due teglie tonde da 21 cm, lasciando riposare questo strato, spennellato leggermente di olio, per dieci minuti. Ho spalmato poi il caprino che avevo precedentemente insaporito con un pizzico di sale, le erbette tritate e lo spicchio d’aglio tritato finissimo (o, se preferite, spremuto).
Poi ho steso le altre due palline ed ho ricoperto il ripieno, sigillando bene il bordo esterno. Ho spennellato anche la superficie con un filo d’olio e vi ho deposto le olive tagliate a rondelle e i pomodorini, tagliati a metà, infine ho messo tutto in forno a 220° per circa 20 minuti (ma controllate che il fondo sia dorato, perchè il tempo di cottura varia da forno a forno!)

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Zucchine alla scapece

Si ricomincia, dopo una pausa di quasi 15 giorni; non sono andata in vacanza quest’anno, ma ho avuto bisogno di una pausa dal blog per mettere in chiaro alcune idee e per lavorare all’indice delle ricette che aveva bisogno di un bel rinnovamento. Ora credo che tutto risulti più chiaro e di facile consultazione anche per chi capita sul blog per la prima volta.
Ora veniamo alla ricetta che ho scelto per ricominciare. E’ ancora tempo di zucchine, ancora per poco… e il clima si è fatto decisamente più gradevole per non temere il “momento frittura”; oggi vi parlo dunque delle zucchine alla scapece che sono un piatto tipico campano, ma che si ritrovano quasi identiche in Puglia, chiamate zucchine alla poverella.
Molti dicono che la parola scapece derivi da ex-Apicio, vale a dire “da Apicio”, o “alla maniera di Apicio”, assegnando al celebre gastronomo dell’Impero Romano l’invenzione di questa preparazione a base di aceto. In realtà oggi è assodato che la parola derivi invece da escabeche, che indica nel mondo spagnolo una preparazione a base di aceto, che sarebbe stata inventata, però – indovinate un po’! – dagli arabi!! Infatti la parola di origine sarebbe sikbâg, pronunciato volgarmente iskebech. Per gli arabi indicava un piatto a base di carne con aceto e altri ingredienti e con questo nome appare ne “Le mille e una notte”.

 
Da qualsiasi luogo provenga, in un mondo senza frigoriferi, l’uso di conservare cibi con l’aceto si diffuse a macchia d’olio. Troviamo piatti di questo genere in Medio Oriente, Spagna, America Latina ed Italia, naturalmente, dove il termine può indicare ricette diversissime tra loro. A Trapani di chiama scapece la parte meno pregiata del tonno, una volta che è stato conservato sotto olio; in Sardegna, invece, su scabecciu è proprio il sistema di marinatura con olio, aglio e aceto.
Nel piatto campano l’aglio la fa da padrone, insieme all’aceto, ma il gusto che rende il piatto così estivo è la menta fresca. L’unico inconveniente è che le zucchine friggendo si riducono e quindi per quante ne prepariate saranno sempre “troppo poche”.

La ricetta: Zucchine allo scapece
zucchine verdi e fresche
olio per friggere
sale
aceto bianco
qualche spicchio d’aglio
foglie di menta fresca

Il trucco consiste nel far asciugare le zucchine per far perdere loro dell’acqua: la frittura sarà più veloce e le zucchine manterranno tutto il loro sapore. Un tempo questa operazione si faceva stendendo le zucchine affettate al sole per una mattinata intera. Io ho tagliato a rondelle sottili le zucchine e poi le ho disposte su una leccarda rivestita di carta forno. Bisogna far asciugare ciascuna teglia di zucchine a 100° per almeno 10 minuti.
Poi si può procedere con la frittura che va fatta in olio bollente, facendo attenzione che le zucchine si colorino leggermente ma senza scurirsi troppo. Poi le zucchine vanno scolate dall’olio in eccesso, salate leggermente e spruzzate di aceto. Nella ciotola si aggiungono poi pezzettini d’aglio e menta fresca tritata; la tradizione vuole anche un cucchiaio dell’olio di frittura per condirle. Le zucchine vanno poi fatte riposare in modo che i sapori si amalgamino meglio.
Sono deliziose sul pane o come contorno e se l’aglio non vi spaventa mangiatele anche da sole!

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Abbiamo messo l’Estate nel barattolo!!!

Riassunto delle puntate precedenti:vi avevo annunciato della giornata “Metti l’Estate nel Barattolo” organizzata da Cucina Precaria e Tangram ed avevo preparato la mia confettura di pomodorini, perchè fosse di buon auspicio alla sfacchinata di domenica.
E poi cosa è successo…?

Sabato ho raccolto il materiale a casa, come dalle indicazioni fornite da Anna:

– barattoli rigorosamente di vetro, già usati, ma ben puliti, con tappi in ottimo stato e pronti per il nuovo utilizzo;
– grembiuli d’ordinanza e strofinacci puliti; 
– forbici, penna e giornali vecchi; 
– macchina fotografica;
– una bottiglia vuota da un litro e mezzo, per uno scopo misterioso e imprecisato e alla fine rimasta inutilizzata…
Poi ci siamo recati al supermercato per comprare i barattoloni per le pesche sciroppate, che dovevavano essere da 500 g o da 1 litro. Dopo dieci minuti davanti allo scaffale dei barattoli, oscillando indecisa tra i lunghi e i larghi ho optato per 2 lunghi e 2 larghi. Dopo esserci allontanati di 20 metri dallo scaffale, ho pensato che quelli larghi erano più belli per le mie foto e quindi sono tornata indietro per cambiarne due!
A casa dei futuri suoceri ci siamo procurati le bottiglie vuote di birra per la passata, di storico utilizzo in famiglia, la tappatrice per i tappi a corona e una grande cassetta per raccogliere tutto il nostro materiale.
Il mattino seguente, domenica 26, assonnati e confusi, ci siamo recati al luogo del misfatto, il Kitchen Club, dove abbiamo trovato i ragazzi di Tangram e altri aspiranti conservieri come noi!
Le ricette da preparare erano:
– conserva di pomodoro
– pesche sciroppate
– marmellata di peperoni
– giardiniera di verdure
Abbiamo scoperto che:
1. fare una spesa comunitaria è conveniente; avevamo verdura e frutta di ottima qualità e lo scarto è stato minimo;
la conserva di pomodoro
2. persone provenienti da luoghi e realtà diverse possono
lavorare insieme nel migliore dei modi per perseguire uno scopo comune,
soprattutto se si tratta di uno scopo goloso;
le pesche sciroppate
3. se si lavora tutti insieme, chiacchierando, ci si stanca di meno, anche se le ricette da realizzare erano ben quattro;

la marmellata di peperoni

4. le ricette e i modi per fare la salsa di pomodoro, le marmellate e le pesche sciroppate sono tanti e diversi e c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare;

la giardiniera
5. il mondo è popolato di Bloggers  di ogni tipo che si nascondono dietro le più diverse professioni;
6. il mondo è popolato di persone che amano lavorare con le proprie mani e poi gustarsi il frutto della fatica;
7. la focaccia di Silvia e il cous cous di Annalisa a metà giornata possono scaldare il cuore;
8. Anna di Cucina Precaria è la Regina del Molleux al cioccolato;
9. grazie ai nuovi amici, un compleanno – il mio – normale, può diventare speciale!!!

La giornata si è svolta secondo le migliori aspettative, l’organizzazione di Cucina Precaria e Tangram è stata davvero impeccabile: dal taglio delle verdure, a gruppi che si alternavano sulle diverse preparazioni, all’utilizzo dei fornelli, all’imbarattolatura dei prodotti, alle etichette su cui scrivere il contenuto ed infine l’equa spartizione dei vasetti.
Sicuramente, visto il successo della giornata, è un’esperienza da ripetere su altre preparazioni in cui mi piacerebbe portare anche le mie conoscenze!

AGGIORNAMENTO:

Qui trovate anche il racconto della giornata, dal punto di vista di Anna! 🙂
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Confettura di pomodorini con peperoncino e “Metti l’Estate nel Barattolo”

Fine agosto è tempo di conserve! Non solo marmellate di frutti estivi – per me è irrinunciabile quella di pesche e quella di fichi – ma anche di conserve salate, peperoni e melanzane sott’olio, che adoro, e soprattutto La Conserva per antonomasia, quella di pomodoro.
Della salsa di pomodoro si ha notizia certa fin dal 1778 nel “Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado, dove non viene ancora presentata come condimento della pasta e della pizza, come avverrà invece un anno più tardi, nel 1779, ne’ “Il Cuoco Maceratese” di Antonio Nebbia.
La versione più moderna di questo condimento verrà poi messa per iscritto da Pellegrino Artusi nel 1891, che la introduce così: «C’era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva mettere lo zampino. Era, d’atra parte, un onest’uomo e poiché dal suo zelo scaturiva del bene più che del male, lo lasciavano fare; ma il popolo arguto lo aveva battezzato Don Pomodoro, per indicare che i pomodori entrano per tutto; quindi una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.»
Da ciò si comprende come la salsa di pomodoro non potesse venir a mancare durante l’anno e quindi l’importanza dell’invenzione di conservarne la polpa già parzialmente cotta in bottiglie in modo da averla sempre a disposizione.
L’appertizzazione, ovvero la possibilità di conservare gli alimenti in contenitori ermetici, sottoponendoli a riscaldamento a temperatura molto elevata prende il nome da Nicolas Appert, che la perfezionò nel 1795.
Il sistema permise anche a Francesco Cirio di elevare la sua piccola impresa ad azienda di importanza nazionale. La storia di Francesco Cirio, è affascinante, ma la approfondirò un’altra volta. Questa volta invece volevo soprattutto introdurre la giornata di domani.
Anna di Cucina Precaria ha organizzato l’evento “Metti l’Estate nel Barattolo“. 
immagine per gentile concessione di Cucina Precaria
Domani ci troveremo a Torino in un folto gruppo di giovani entusiasti per preparare, imbottigliare ed imbarattolare conserva di pomodoro, marmellata di peperoni, giardiniera di verdure e pesche sciroppate. L’evento è stato organizzato molto bene e nei minimi dettagli, grazie ad Anna e Tangram, e sono certa che sarà una bellissima esperienza di cucina e condivisione di saperi e di esperienze.
Ci vediamo quindi qui, nei prossimi giorni per le foto e il resoconto della giornata.
Intanto, se non volete ridurre tutti i vostri pomodori in conserva, vi consiglio di fare questa marmellata eccezionale che ho già preparato l’anno scorso ed ho replicato quest’anno. Si abbina in modo eccezionale con i formaggi di media e lunga stagionatura grazie al suo sapore piccantino.
Io l’ho fatta con i pomodorini tondi, ma potete usare anche altre qualità, l’importante è che siano ben maturi. 

La ricetta: Confettura di pomodorini al peperoncino

500 g di pomodorini rossi (ancora da pulire)

230 g di zucchero
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro per ravvivare il colore (facoltativo)
mezzo limone spremuto
1/2 cucchiaino di peperoncino tritato, ma regolatevi a seconda della piccantezza che volete ottenere
Ho tolto i piccioli e ho lavato i pomodorini. Ho inciso le bucce a croce e li ho immersi per pochi minuti in acqua bollente per poter togliere la buccia agevolmente. Se avete un passapomodori che separa le bucce questo passaggio non sarà necessario; basterà sbollentare i pomodori per qualche minuto e poi passarli al passaverdure.
Io ho poi tagliato i pomodorini spellati e tolto gran parte dei semini e frullato il tutto.
Ho messo la purea di pomodori in un pentolino e l’ho pesata: era circa 400 g. Per questa quantità ho aggiunto 230 g di zucchero. Ho aggiunto il concentrato di pomodoro e mescolato con cura.
Ho messo il pentolino sul fuoco mescolato bene e atteso che prendesse il bollore. Poi ho abbassato il fuoco e fatto cuocere finchè non si è un po’ ristretta. Ho aggiunto il peperoncino in polvere, sempre mescolando bene. A questo punto è fatta, basterà aggiungere il succo di limone e attendere che si addensi un po’…Io non la faccio restringere troppo e resta abbastanza fluida.
Invasare ancora bollente in barattolini da 150 g (ne verranno due), chiudere i coperchi e lasciar raffreddare capovolti, finchè non si forma il sottovuoto.

Per confezionare questa confettura ho dato nuova vita a due barattolini di marmellata, e nella giornata di domani useremo tanti barattoli e bottiglie di vetro, sia nuove, sia riutilizzate, perchè io e Cucina Precaria siamo amiche del vetro e di Friends of Glass!

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Il Pane Marocchino che non viene dal Marocco

Il pane che vi presento questa volta è frutto di un equivoco non del tutto chiarito.
La ricetta l’ho trovata sul mio solito libro del pane e l’ho preparata assieme al pollo con i limoni confit. Mentre mi apprestavo a preparare quella ricetta tipica marocchina, mi era caduto l’occhio su questa dorata pagnotta con farina di mais e semini, ed avevo pensato di prepararla per accompagnare tajine e cous cous. Sul libro era indicato con il nome di “pane marocchino delle feste” ed era in realtà un pane piuttosto semplice, con la farina di mais e la sola aggiunta di semini in superficie o, volendo, nell’impasto.

Ripresa in mano la ricetta e le foto per la rubrica sul pane, ho fatto alcune ricerche su internet per sapere qualcosa di più su questa pagnotta e cosa vengo a scoprire? Nessuna traccia di un pane marocchino a base di farina di mais. Qualcuno sa fornirmi qualche indicazione? Esiste davvero un pane marocchino di farina di mais??
In effetti dalle mie ricerche qualcos’altro è emerso: esiste una qualità di pane tipica toscana, precisamente dalla zona di Montignoso e Massa Carrara a base di farina di mais.
Non mi sarei stupita, poiché i pani a base di mais sono molti in area mediterranea, se non fosse che la forma della pagnotta è pressocchè identica e il nome dà l’indizio cruciale: si chiama pane Marocco.

A questo punto mi è sembrato abbastanza plausibile che il pane fatto da me, seguendo la ricetta del libro fosse in realtà una versione molto semplificata del ricco pane Marocco. Quest’ultimo, stando alle indicazioni fornite in rete, è un vero trionfo di sapori, preparato con olio, olive nere, salvia, rosmarino, aglio e peperoncino tritato. Il vero pane Marocco ha una marcia in più in quanto viene cotto in forno a legna, avvolto nelle foglie di castagno.

In attesa di provare a fare qualcosa che assomigli, anche se non ho il forno a legna, al promettente Pane Marocco vi lascio il Pane Marocchino, con un trionfo di semini in superficie!


La ricetta: Pane Marocchino delle Feste

(tratta da Ingram-Shapter, Il Pane fatto in casa, cit.)
(ingredienti per una pagnotta di circa 22 cm di diametro)
275 g di farina tipo 0
50 g di farina di mais fioretto
1 cucchiaino di sale
20 g di lievito di birra fresco
120 ml di acqua tiepida
120 ml di latte tiepido
1 cucchiaio di semi di zucca
2 cucchiai di semi di girasole
1 cucchiaio di semi di sesamo

Ho mischiato insieme farine e sale in una grossa terrina.
Da parte ho sciolto il lievito con un po’ d’acqua, aggiungendo poi la restante acqua ed il latte. Ho cominciato a versare i liquidi al centro della farina e ad impastare con un cucchiaio, fino ad inglobare tutta l’acqua e latte.
Ho rovesciato sulla spianatoia ed impastato per dieci minuti.
Ho rimesso la palla d’impasto nella terrina e coperto con pellicola unta. Poi lasciato lievitare nel forno leggermente intiepidito e poi spento per 1 ora, o fino al raddoppio.
Se volete mettere dei semini anche all’interno dell’impasto potete farlo dopo la prima lievitazione, inglobandoli delicatamente. Io li ho messi solo in superficie, quindi dopola prima lievitazione ho ricavato una palla ben tonda, facendo girare l’impasto tra i palmi. L’ho deposto sulla teglia da forno ricoperta di carta da forno e ricoperto con pellicola unta e lasciato lievitare nuovamente fino al raddoppio (circa 50 minuti).
Ho riscaldato il forno a 200°, ho spennellato la superficie del pane con acqua tiepida e cosparso con i semini di zucca, girasole e sesamo. Poi ho infornato finchè non era ben dorato; ci vorrà mezz’ora.
Questo pane ha una bella crosta dorata e croccante e una mollica fitta, con i granellini di saporita farina di mais ben evidenti. 

Ecco la scheda riassuntiva del pane:
PANE MAROCCHINO DELLE FESTE 
PROVENIENZA: Toscana
RICORRENZA-STAGIONE: Tutto l’anno
TIPO DI FARINA: Farina bianca + farina di mais
TIPO DI LIEVITO: Lievito di birra fresco
TEMPO DI LIEVITAZIONE: 2 ore
ai fornelli

Natura morta e insalate estive

Mentre il caldo imperversa, pubblico un post solo da guardare…
Immagini e suggestioni a metà tra arte ed appetito!!
Se volete indicazioni più precise sulle mie insalate, chiedete pure nei commenti.
Se invece cercate altri spunti per le vostre insalate estive vi consiglio questo blog appetitosissimo: Insalatamente
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