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Aperitivo all’NH Lingotto Hotel in Torino

Giovedì 28 giugno ho avuto l’occasione di partecipare ad un aperitivo splendidamente inserito nella cornice del giardino dell’NH Lingotto Hotel in Torino.

Adoro partecipare a questi incontri soprattutto per la possibilità di vedere de visu tante blogger piemontesi conosciute soltanto attraverso i loro blog. Ho potuto incontrare Silvia e Margherita, già incrociate ad Aperitò, come Francesca e Valeria (ricordatevi della sua raccolta “Io la mafia me la mangio” che scade il 7 luglio), e Anna di Cucina Precaria. Poi ho conosciuto Valentina di Cucina e Cantina (anche lei da andare a trovare sul suo blog perché ha un contest attivo su Pinterest!), Ambra, che considero una delle più dotate food-photographer tra le blogger, la “mitica” (nel senso che ne avevo tanto sentito parlare ma mai avevo avuto l’occasione di incontrarla) Francesca Martinengo di Fornelli in Rete, Giovanna Gallo, Carlo Vischi ed altri…

Protagonista dell’evento era una degustazione di birre del Birrificio Artigianale Sant’Andrea di Vercelli. Il BSA, presente a Vercelli dal 2010, produce una vasta gamma di birre con caratteristiche proprie e gradazioni diverse. L’immagine è quella di una birra giovane e facile da bere, anche grazie ai colori delle etichette e al packaging travolgente.
Io assaggio la Fog, Lost Beer di gradazione 4.4. E’ una birra bianca prodotta con malto d’orzo, frumento e fiocchi d’avena. Ci viene spiegato che è adattissima per l’aperitivo, con un gusto fresco e leggero, poco amaro. L’infusione di buccia d’arancia e coriandolo le dona una leggera acidità che la rende ottima per antipasti di pesce e formaggi delicati.
La Roarrr Beer di gradazione 5.3 è invece una bionda classica, dal gusto decisamente più amarognolo, adattissima per la pizza o i primi piatti.
Assaggio anche la Riot, la Combat Beer del BSA di gradazione 8.1. E’ una Golden Strong Ale in stile belga, una vera birra da combattimento che sostiene il gusto anche dei formaggi più stagionati o dei fritti di pesce.

Presso il Birrificio Artigianale Sant’Andrea di Vercelli si possono assaggiare tutte queste birre e le altre che fan parte della vasta gamma, e gustare taglieri e piatti veloci, nonchè acquistare tutti i formati prodotti. Noi vorremmo andarci per visitare anche tutto il ciclo di produzione della birra e speriamo di farlo presto! Vi consiglio anche di fare un giro sul loro sito internet, dallo stile molto accattivante, dove presto si potrà anche acquistare on line.

Partners della serata sono stati:
– la rigogliosa vegetazione del giardino interno dell’NH Lingotto, una sorta di oasi all’interno della città di Torino;
– i formaggi sontuosi dell’Azienda Agricola Vallenostra in Val Borbera [AL], agriturismo che è possibile visitare per degustazioni gastronomiche e visite al caseificio.
– Il Riso della Riserva San Massimo, cucinato divinamente dagli chef dell’NH Hotel Lingotto.

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Peperoni verdi dolci ripieni di cous cous

Dopo i “Peperoni verdi fritti alla fermata del treno” vennero questi ripieni.
L’idea è di una sempicità disarmante, ma questi peperoni si sono rivelati perfetti sotto tanti punti di vista. 
In primo luogo sono saporitissimi, facili da fare, d’effetto e anche veloci, perchè il peperone di questa qualità, il friggitello, cuoce in pochissimo tempo. 
Come valore aggiunto questa ricetta è trasportabilissima: basta aver cura di infilare i peperoni ripieni in un barattolo di vetro, coricato, sistemandoli per bene, fitti fitti, e avvitare il coperchio; poi si possono trasportare in spiaggia – voi che ci andate – o dove volete, senza problemi di conservazione al caldo.

La ricetta: Peperoni verdi dolci ripieni di couscous
una decina di peperoni verdi friggitelli
100 g di cous cous
80 g di tonno in olio extra d’oliva
una decina di olive nere
una bella manciata di pomodorini
due acciughe sott’olio, lavate
una manciata di capperi
basilico
sale
olio
 
Ho messo a bollire in un pentolino 160 ml d’acqua con il sale e un cucchiaio d’olio. A raggiunto bollore ho versato l’acqua bollente sul cous cous, ho coperto e lasciato riposare per dieci minuti.
Ho preparato nel frattempo i peperoni facendo un taglio longidudinale e liberandoli dai semi e dai filamenti bianchi con un coltellino appuntino, senza staccare il picciolo, magari accorciandolo leggermente per farli stare un po’ più fermi sulla teglia.
Ho condito il cous cous con il tonno, le olive snocciolate e tagliate a rondelle, i capperi, un paio di acciughine spezzettate, i pomodorini lavati e tagliati in quarti e le foglie di basilico sminuzzate.
Ho riempito di cous cous i peperoni, richiudendoli bene e disponendoli affiancati sulla teglia. Ho irrorato il tutto con un filo d’olio ed ho infornato a 180° per circa 20 minuti.
Si lasciano raffreddare qualche minuto e poi sono pronti da mangiare o da portar via.

Con questa ricetta partecipo al contest “Mangiamo in spiaggia?” di Paola di Nastro di Raso in collaborazione con Zalando.

Per portarmeli in giro io ho riutilizzato un barattolone di vetro alto e stretto in perfetto stile Friends of Glass.

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Mercoledi Social: Emilia Mon Amour, IV parte

L’Emilia Mon Amour non è stata una semplice raccolta di ricette, ma piuttosto la nascita di una storia d’amore con la cucina emiliana. Ci sono talmente tante ricette, preparazioni e prodotti particolari e succulenti che non approfondire questa la conoscenza di questa cucina sarebbe un vero e proprio sacrilegio. Per questa ragione mi riprometto, magari quando il caldo comincerà ad abbandonarci, a provare ancora altre ricette, anche quelle già sperimentate dalle mie compagne di avventura, anche il mitico borlengo, di Anna e di Sonia!!

Questa settimana mi sono dedicata a due prodotti IGP, il riso IGP del Delta del Po e l’asparago verde di Altedo IGP, per due ricette tipiche “alla parmigiana”.

Il riso è una pianta di palude, coltivata anticamente in oriente. L’introduzione in Italia pare avvenne per opera degli arabi, prima nel sud italia.
In un primo momento erano solo i pastori a piantare questa pianta nei terreni che attraversavano, per poi raccoglierne il frutto al loro ritorno.
In seguito fu chiaro come questa coltivazione fosse il primo passo per utilizzare i terreni acquitrinosi bisognosi di bonifica.
Così, intorno al 1400, il riso arrivò nell’estremo lembo est della Pianura Padana. Circa un secolo dopo, ad opera degli Este, se ne cominciò una produzione intensiva e organizzata, proprio per bonificare il territorio, prima che fosse destinato ad altre coltivazioni: quando si dice “due piccioni con una fava”!
In più l’isolamento del territorio evitava il formarsi di patologie e che avrebbero distrutto la pianta e quindi il riso prodotto divenne tanto da essere esportato.
Verso la fine del 700 alcuni patrizi veneziani iniziarono, nei territori del Delta del Po, con metodi sistematici agrari la coltura del riso nei territori appena bonificati, e la crescita continuò nell’800, sempre su più vasta scala finchè, nel 1825, il prezzo del riso superò quello del grano. Il crollo si ebbe solo a fine ‘800 con l’arrivo del riso asiatico sul mercato, che indusse un’inevitabile riduzione degli ettari destinati a coltivazione.

Il riso del Delta del Po, coltivato tra il comune di Rovigo, in Veneto, e il comune di Ferrara, in Emilia Romagna, è da poco diventato IGP. Si tratta di riso di  qualità japonica, gruppo superfino delle varietà Carnaroli, Volano, Baldo a Arborio.
L’attribuzione dell’indicazione geografica tipica tutela un prodotto che ha caratteristiche proprie godibilissime: innanzitutto il terreno fortemente salmastro fornisce una sapidità molto piacevole e particolare al chicco. Inoltre le caratteristiche del terreno fanno sì che il prodotto sia abbondante e sano e il chicco risulti particolarmente resistente in cottura.

L’Asparago verde di Altedo IGP può essere prodotto solo nell’ambito di alcuni comuni della provincia di Bologna ed altri della provincia di Ferrara. A Ferrara, in particolare, troviamo le stesse zone del Delta del Po in cui si coltiva il riso e quindi l’abbinamento era inevitabile, ma invece di proporre il risotto agli asparagi ho voluto parlare di due ricette tipiche emiliane: il sontuoso risotto alla parmigiana, che è unn caposaldo della cucina italiana, quasi una base per milioni di altri risotti, e gli asparagi alla parmigiana, semplicissimi perché già buoni da soli, insaporiti ulteriormente da una grattugiata di Parmigiano Reggiano 24 mesi.

Le ricette: Risotto alla Parmigiana e Asparagi alla Parmigiana

(dosi per 2 persone)

per il risotto:
1 cipolla piccola
30 g di burro
circa 500 ml di brodo preparato con sedano, carota, cipolla, patata, olio e sale
8 cucchiai colmi di riso Delta del Po IGP, di varietà Carnaroli (ce ne vorrebbero 3 a persona + uno per la pentola)
4 cucchiai di Parmigiano Reggiano grattugiato


per gli asparagi:
350 g di asparagi verdi IGP di Altedo
2 cucchiai di Parmigiano Reggiano grattugiato
olio
sale

Ho lavato gli asparagi e ho tolto la parte di gambo più legnosa, poi li ho messi a lessare in acqua non salata, finchè non erano morbidi. Li ho scolati e conditi con un pizzico di sale e un filo d’olio extravergine.
Nella stessa acqua, intiepidita, ho preparato il brodo, aggiungendo tutte le verdure lavate, la patata sbucciata, olio e sale.
Mentre il brodo raggiungeva l’ebollizione, ho tritato finemente la cipolla.
In una pentola dal fondo spesso ho messo il burro e la cipolla tritata, attendendo che quest’ultima sfrigolasse bene. Poi ho aggiunto il riso, tutto insieme, facendolo tostare a fuoco vivace e poi sfumando con la prima mestolata di brodo.
Ho aggiunto il brodo man mano, mescolando delicatamente, e facendolo assorbire, fino ad avvenuta cottura del chicco. Poi ho aggiunto il parmigiano grattugiato, mescolando accuratamente e successivamente spegnendo il fuoco e lasciando mantecare in pentola coperta per 5 minuti.
Mentre il riso mantecava, ho disposto sui piatti gli asparagi a raggiera, cospargendoli di parmigiano grattugiato. Infine ho impiattato il risotto con l’aiuto di un cerchio coppapasta, decorando con scaglie di parmigiano e una spolverata leggera leggera di pepe nero.

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Contest terminato: qualche giorno e saprete i vincitori!

Il contest è terminato!
Mi aspettavo poche ricette, una quindicina e invece ne ho ricevute ben 23.
Vi ringrazio tantissimo per il tempo che mi avete dedicato; so che il tempo è prezioso e so che per fare un post accurato e ricercare notizie ci vuole un po’ più di tempo che per pubblicare semplicemente una ricetta.
Proprio per questa ragione i vostri post hanno avuto un colore e una particolarità speciale. 
Per scegliere i vincitori ci metterò qualche giorno…sono già stata colpita da alcuni post in modo particolare, si tratta solo di fare il punto della situazione e, come non credevo che accadesse, sarò in grossa difficoltà nel premiare solo tre di voi, ma datemi qualche giorno e vi saprò dire! 😀
Intanto preparerò anche un pdf con tutte le storie dei personaggi e le ricette pervenute.
 
A proposito dei premi vi ricordo che non ci sarà primo, secondo e terzo premio, ma tre premi a parimerito; per il primo e secondo ne avevo già parlato qui.
Per quanto riguarda il terzo premio ho deciso di assegnare una seconda copia del libro Donne e Cucina nel Risorgimento.

A prestissimo per la proclamazione dei vincitori e l’assegnazione dei premi!!!

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Aperitò – Aperitivo a Torino con Muffin E Dintorni e Cucina Precaria

L’aperitivo ha una storia antichissima. Nasce addirittura nell’Antica Grecia come medicinale quando Ippocrate consigliò ai suoi pazienti affetti da inappetenza di bere prima del pasto un vino bianco dolce aromatizzato con erbe amare, il vinum hippocraticum. L’usanza venne ereditata dai romani che lo chiamarono vinum absinthiatum, perché dal gusto notevolmente amaro. L’erboristeria medievale dimostrò effettivamente che le sostanze amare conciliassero l’appetito e il gusto della “medicina” venne nei secoli via via migliorato con l’utilizzo di spezie sempre nuove, provenienti prima dall’Oriente e poi dai paesi delle grandi scoperte geografiche: noce moscata, chiodi di garofano, cannella, rabarbaro, china, mirra, pepe e via dicendo.

Nel 1786 a Torino Antonio Carpano inventa un vino aromatizzato con china ed oltre 30 varietà diverse di erbe e spezie che battezza vermouth, dal tedesco wermut che si traduce artemisia, la pianta da cui si ricava l’assenzio, ma anche amarezza, e ne inizia la distribuzione al pubblico in eleganti bottiglie di vetro nero. E’ l’epoca dei caffè, e il rito dell’aperitivo si stacca sempre più dalla cura contro l’inappetenza per diventare sempre più un evento mondano.
Anni dopo una cassetta di vermouth Carpano viene inviata in omaggio a Vittorio Emanuele che si appassiona a questa bevanda per il “punt e mes” di amaro in più che aveva rispetto alle bevande simili. Il Punt e Mes Carpano diventa bevanda ufficiale dell’aperitivo reale, ricevendo consensi entusiasti anche da Garibaldi e Cavour.

Si può dire che l’aperitivo moderno sia nato a Torino? E che proprio qui abbia avuto un’evoluzione in crescendo trasformandosi in ritrovo mondano, esperienza sociale, ed infine apericena?

Torino si riappropria di questa identità, e festeggia con Aperitò, una manifestazione di 4 giorni, dal 21 al 24 giugno che culminerà proprio stasera con la festa per il patrono della città, San Giovanni.
La manifestazione è ricca di incontri, laboratori e degustazioni guidate e ricca di foodblogger invitate per dire la loro sul rito dell’aperitivo e sul cibo, sfizioso, fresco e goloso che lo accompagna, ormai trasformando l’aperitivo accompagnato da sole olive & patatine in apericena, leggera e fresca, ma pur sempre una cena!
Anche noi, io di Ricette di Cultura, Cecilia di Muffin e Dintorni e Anna di Cucina Precaria ci siamo date appuntamento venerdì sera ad Aperitò, per assaggiare e curiosare nei segreti del rito dell’aperitivo. 
E’ stato un appuntamento non privo di difficoltà, concordato tramite Twitter…cose da film di spionaggio… «io appunterò un fiore fucsia sul petto» «io sarò pettinata come Olivia di Braccio di Ferro»
E ci troviamo infine!!

Se volete leggere di come abbiamo conosciuto Silvia Tacconi di  La Cucina di Nonna Papera e Margherita di A Casa Mia, di come abbiamo gustato gli stuzzichini preparati da Francesca di Spadelliamo Insieme e da Valeria di Due Cuori e Una Forchetta alle prese con l’Aperisfizio de La Bottega di Olivia&Marino…e tutto il resto, correte a leggere il seguito di questa divertentissima serata su Muffin e Dintorni e su Cucina Precaria.

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Pisarei e fasò per Emilia Mon Amour – parte III

Quando cercavo una ricetta per il mercoledì social di questa settimana ho scorso l’elenco delle ricette emiliane; servivano primi e secondi piatti ed io, tutto sommato sulle minestre vado forte.
Leggo pisarei e fasò e penso: «mmm… i piselli non mi piacciono molto…» poi però cerco questa ricetta per vederne i dettagli e scopro che i pisarei con i piselli non c’entrano per nulla!! 
La parola pisarei deriva da pigiare, in quanto i pezzetti di pasta si schiacciano sulla spianatoia, un incrocio tra tra orecchiette, cavatelli e gnocchetti sardi, con la particolarità di usare il pangrattato insieme alla farina per l’impasto!
E quindi, subitaneamente, ho deciso: che pisarei e fasò sia!!!
Non è esattamente una ricetta estiva, perché si usano i borlotti e un soffritto di lardo o pancetta, ma la soddisfazione per il palato è davvero superlativa. 
E’ una di quelle minestre quasi asciutte che adoro, che sanno di vecchia cascina, di campagna, di luce di candele e di lavoro…perché fagioli e pisarei mica si tirano su in un attimo. 
Che siano di auspicio a chi subito si rimette in gioco, ai tanti che stanno lavorando sodo per tornare alla normalità!!
E anche con questa ricetta, originaria della zona di Piacenza, lo dico e lo ribadisco: Forza Emilia!!!

La ricetta che ho utilizzato è tratta da Il Grande Manuale della Cucina Italiana a cura di Stella Donati, un libro un po’ datato e che, nel mio caso, cade a pezzi. Prima era di mia mamma, ora ce l’ho io, e anche se non so se la ricetta sia filologicamente corretta, vi assicuro che questa versione è una meraviglia.

La ricetta: Pisarei e fasò
(per 2 persone)
Per i pisarei:
150 g di farina
50 g di pangrattato
acqua

Per i fasò:
150 g di fagioli borlotti lessati
1 pezzettino di burro e 3 cucchiai d’olio (nella ricetta originale tutto burro)
30 g di lardo tagliato fine
3 foglie grosse di basilico
1 ciuffetto di prezzemolo
1 grosso spicchio d’aglio
1 carota
1 costa di sedano
½ cipolla piccola
2-3 pomodori pelati

Per prima cosa si preparano i pisarei: in una ciotola capiente ho mescolato insieme la farina e il pangrattato, aggiungendo un pizzico di sale e tanta acqua da formare un impasto lavorabile ed elastico. Ho impastato bene e ho messo a riposare nella pellicola per almeno mezz’ora.
Nel frattempo ho preparato le verdure, carota, sedano e cipolla,  tritandole a cubettini sottili.
A parte ho preparato un trito con il lardo, il basilico e il prezzemolo e l’aglio e l’ho tenuto al fresco.
Passato il tempo di riposo della pasta ho ricavato dei serpentelli di pasta, lunghi e sottili come una grossa matita. Ogni serpentello va tagliato a pezzettini, sulla spianatoia ed ogni pezzettino va schiacciato con il pollice e poi fatto rotolare come per fare un piccolo gnocchetto.

Eccoli:

Ho continuato così  fino ad esaurire tutta la pasta, poi ho cosparso di farina e ho cominciato a preparare il sugo di fagioli.
In una casseruola con il fondo spesso ho fatto sciogliere il burro e l’olio e vi ho versato il trito di lardo, facendolo rosolare per qualche istante. Poi ho aggiunto le verdure. Ho lasciato cuocere per una decina di minuti, badando che non si attaccasse nulla. Poi ho aggiunto i fagioli. Ho insaporito anche loro per qualche minuti, rigirando spesso ed infine ho aggiunto i pomodori pelati schiacciati con la forchetta. Ho lasciato cuocere, aggiungendo qualche mestolo di brodo vegetale che avevo già pronto per puro caso, ma in mancanza va benissimo anche acqua calda.
Mentre il sugo cuoceva ho messo a bollire l’acqua in una pentola capiente, ho aggiustato di sale sugo e acqua e poi ho versato i pisarei, mescolando con un mestolo per fa sì che non si attaccassero gli uni agli altri. Quando vengono a galla sono cotti. Li ho tirati su con un mestolo forato e deposti in una zuppiera e poi conditi con il sugo di fagioli.
E qui sotto cosparsi con una bella spolverata di Parmigiano!!
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In cucina con stile: Zalando e Rachel Khoo

Se amate la cucina francese, Parigi e le rivisitazioni fresche di piatti tradizionali, non potete non amare Rachel Khoo, la giovane cuoca che ha recentemente registrato una trasmissione tutta sua dedicata alla cucina francese, su un canale della BBC. Io l’ho scoperta per caso su youtube e non ne ho
più potuto fare a meno finchè non ho esaurito le puntate
disponibili in rete.

Rachel nasce a South London da padre chino-malese
e madre austriaca. Studia Arte&Design al Central Saint Martin
College e lavora nel settore della moda nell’ambito delle pubbliche
relazioni. A un certo punto la svolta: si trasferisce a Parigi dove
frequenta un corso di cucina della durata di tre mesi al prestigioso
Cordon Bleu dove si diploma in pasticceria, mentre lavora come
ragazza alla pari. Dopo il diploma comincia a lavorare in una
libreria di cucina con sala da tè e nel giro di poco pubblica due
libri in francese, Barres à céreales, muesli et granola maison e
Pâtes à tartiner, entrambi con la casa editrice Marabout.
A
questo punto viene notata dalla BBC e nasce il format della
trasmissione The Little Paris Kitchen, che trovo particolarmente
accattivante: scordatevi ampie cucine di design e strumentazioni
tecnologiche. La piccola cucina in cui lavora Rachel è piccola,
quasi quanto la mia, e sfrutta le pareti in altezza; ci sono due
fornelli, piuttosto datati, un frigo, un piccolo forno. Fuori dalla
finestra le piantine aromatiche, che lei puntualmente taglia con un
colpo di forbici. In questa piccola cucina Rachel rielabora ricette
classiche della cucina francese, ma al contrario di Julia Child ci
mette una freschezza tutta personale, influenzata dal quotidiano
meltin pot parigino, particolarmente percebile nei mercati dove va a
fare la spesa. Nella piccola sala da pranzo attigua qualcuno viene a
gustare i suoi piatti. A far da cornice a tutto questo le belle
visuali di una Parigi assolata, come non è sempre, a dire il vero…
e la sua gente, i suoi mercati, le visuale dal basso della scala che
si arrampica fino alla mansarda di Rachel.
Rachel
dice che la cucina della sua infanzia è sempre stata un compromesso
tra le abitudini culinarie del padre malese e della madre austriaca.
Nella cucina francese di Rachel scordatevi le preparazioni lunghe e
laboriose. Ci sono sempre ricette che conservano una base solida di
tradizione, ma con un occhio al vezzo, alla freschezza a un qualcosa
di goloso e capriccioso che conquista. L’ultimo suo libro, ispirato proprio dalla trasmissione televisiva arriverà in Italia in autunno, quindi preparatevi!! 😀

Per il suo approccio alla cucina mi sono ritrovata parecchio in Rachel e quando mi è stato chiesto di dedicare un post alla moda di Zalando, ho subito pensato di fare un collegamento con la cucina e lo stile di Rachel Khoo, che sfoggia anche ai fornelli un outfit comod, parigino e molto femminile.
Zalando credo lo conosciate tutti!! Si tratta di un immenso store on line, dove potete trovare grandi marchi, grandi firme ed anche etichette meno conosciute. Senza muoversi dalla propria scrivania si può fare un giro tra tutte le ultime tendenze, non solo italiane, ma anche estere e scegliere il look che ci rispecchia di più.
Se quasi tutte le ragazze che conoscosi sono perse tra la grandissima scelta di scarpe, io ho perso la testa per gli abitini estivi. Ora che è scoppiato il caldovale veramente la pena di dare un’occhiata alle loro proposte: ci sono centinaia di abiti per tutti i gusti, molti dei quali in promozione.
Che ne dite di questo?

E questo?

O questo ancora?

Io ne ho già acquistati due e vi arrivano a casa, in pochissimi giorni, con spedizione gratuita, tramite il corriere Bartolini. Se qualcosa non va potete rimandarli indietro gratuitamente e la spesa vi viene tempestivamente rimborsata sulla carta di credito.

Io
sono rimasta molto soddisfatta dalla linea e dai tessuti, puro cotone
per uno e viscosa per l’altro, quindi, perdetevi su Zalando e
sentitevi anche voi ogni tanto, come Rachel Khoo…anche in cucina!!
😉

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Nidi al pesto di zucchine gratinati con provola affumicata

E con le zucchine fresche e succose perché non farci un pesto? Che poi propriamente pesto non è… in realtà è una crema, ma richiama un pesto per la presenza, non dei pinoli ma delle mandorle. Viene fuori un ottimo condimento per una pasta estiva.
Anzi, se avete ospiti a cena, potete preparare il piatto con un po’ di anticipo, scolare la pasta bene al dente, comporre i nidi nella teglia e gratinarli in forno per pochi minuti solo poco prima di servire.




La ricetta: Nidi di tagliolini al pesto di zucchine gratinati con provola affumicata
(per 2 persone)
2 zucchine grandi + 1 per la decorazione
un cipollotto fresco
1 manciata di mandorle spellate + qualcuna per decorare
1 cucchiaio colmo di parmigiano
½ bicchiere di vino bianco
qualche foglia di menta fresca
180 g di tagliolini (o spaghetti alla chitarra)
provola affumicata
aceto balsamico
sale
olio


Ho messo a bollire l’acqua per cuocere la pasta.
Ho tagliato le zucchine a rondelle.
Ho fatto soffriggere la cipolla tagliata fine in un cucchiaio d’olio, poi ho aggiunto le zucchine, facendole insaporire con due dita di vino bianco, facendole saltare senza farle ammorbidire troppo. Ho aggiustato di sale, poi le ho fatte intiepidire e ho passato tutto al mixer, aggiungendo anche le mandorle, la menta e il parmigiano e se occorre qualche cucchiaio d’acqua per rendere il composto cremoso.
Ho fatto cuocere la pasta e l’ho scolata al dente, lasciandola umida; ho condito la pasta con metà del pesto di zucchine. Su una teglia foderata di carta da forno ho formato dei nidi con la pasta, girandoli con la forchetta. Al centro di ogni nido ho messo ancora un po’ di crema di zucchine e della provola affumicata grattugiata grossolanamente.
Ho infornato in forno caldo a 180° per una decina di minuti.
Mentre i nidi erano in forno ho ricavato dall’ultimo zucchino delle striscioline sottili e verdi. Le ho fatte ammorbidire per pochissimi istanti in padella con un filo d’olio e qualche goccia di aceto balsamico.
Prima di servire decorare i nidi con le zucchine all’aceto balsamico e qualche mandorla intera.
Con questo primo piatto partecipo allo Spring Food Contest di Spadellatissima.

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Cena in Bianco di Torino: una storia in bianco

Un post tutto bianco.

Bianco come una tela, su cui dipingere la storia che più ci piace.

E questa è la storia che ho dipinto per voi:

E poi…  è andata a finire così!!!
La Cena in Bianco nasce 24 anni fa a Parigi e quest’anno arriva anche a Torino!! Sarà un evento romantico, spettacolare e gratuito, costruito solo sul passaparola…
Se vi state chiedendo cosa significa tutto questo, fate un salto qui——> sulla pagina facebook della Cena in Bianco di Torino, e anche qui—–>sul blog di Mariachiara e Fabrizio, The Chef Is On The Table
Antonella Bentivoglio d’Afflitto, direttore creativo di The Kitchen of Fashion e promotrice della cena in bianco di Torino, e Mariachiara Montera, blogger di The Chef Is On The Table e promotrice del foodblogger-flashmob sul tema del bianco di oggi, vi sapranno spiegare meglio di me in cosa consiste tutto ciò… 😉
Fate un salto da loro e…ci vediamo alla Cena in Bianco di Torino!!

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Le Mistocchine per Emilia Mon Amour parte II

Per il mercoledì social di Muffin e Dintorni, anche questa settimana dedicato all’Emilia e agli Emiliani, come la scorsa settimana, avevo il desiderio di proporre una ricetta insolita e poco conosciuta.
Ho vagato alla ricerca di quelle ricette che non sono sulla bocca di tutti ed infine ho scelto le mistocchine o mistochine, con una sola c, che dir si voglia.
Si tratta di un dolce povero, della tradizione popolare, fatto di farina di castagne e poco altro, che in un tempo in cui c’era tanta povertà, rappresentava una vera gioia per i bimbi. Al giorno d’oggi tanto entusiasmo per queste semplici focaccine può far sorridere, ma un tempo i bambini si accalcavano attorno alle mistocchinaie ambulanti che vendevano sia le caldarroste sia le mistocchine, chiedendo se per caso qualcuna di queste ultime si fosse rotta, per farsela regalare.

La parola mistocchina sembra derivare dal verbo latino miscere, che significa mescolare e fa riferimento al gesto di mischiare insieme acqua e farina, girando con il cucchiaio fino ad ottenere un impasto lavorabile.
Delle mistocchine bolognesi si ha traccia fin dal Seicento, in numerosi bandi e pubblicazioni ufficiali conservate in archivio storico. Talvolta il commercio di queste focaccine venne addirittura proibito, per ragioni ignote, altre volte ne vengono regolamentati i prezzi, diversi dalla città alla campagna.
Le mistocchinaie erano munite di un paravento per proteggere il fuoco dal vento, e di un trespolo su cui era sospesa la piastra per la cottura. Erano vestite tutte di bianco, con un fazoletto attorno al capo e dei manicotti anch’essi bianchi.
Una delle piu’ note mistocchinaie aveva il suo laboratorio-negozio a Bologna sotto gli antichi portici di via Marsala all’angolo con via Mentana, dove vi era anche un affresco raffigurante la sua professione, ma già da molto tempo, affresco e mistocchinaia sono solo un ricordo nelle menti dei più anziani.

Carlo Goldoni ne L’impresario delle Smirne ce ne ha lasciato una fuggevole immagine in queste poche battute.
«Che vuol dir Mistocchina? Come quella giovane è bolognese, e che a Bologna chiamano mistocchine certe schiacciate fatte di farina di castagne, le hanno dato un soprannome, che conviene alla sua patria ed alla sua abilità.»

Le mistocchine sono immortalate dai versi di questa poesia, che trascrivo pari pari, se vi voleste cimentare con la comprensione del dialetto!! (C’è anche la traduzione in fondo!!)

una mistocchinaia con il tipico fazzoletto bianco in capo
Il Mistuchin

La mistuchinèra l’è tôta biènca:
biènch al fazzulèt ch’la pòrta in cò;
biènch al grimbialò-n ch’l’agh ha adòss;
biènch i calzzêt a mèza gamba;
biènchi il patèl inti pia;
biènchi parssê-n il zzid e i sóvrazzêli.
Un spirai ad ssól al filtra da ‘na sfèssa
fra i tandê-n dla fnèstra e al dvénta ènca lô
biènch par al spulvrazzê-n suspés a mèz’aria.
La zdóra l’è dria impastèr la farina castagna
ch’l’è tènt fina da ssulivèrla ssól a muvrass.
La fa un pastò-n bel ssòd,
e l’in staca di baluchê-n tôt prècis
ch’la pògia, ô.n dria ‘ch’l ètar, ssôl tuliri.
Pù, cul sgnadur pêcul, quèl da pulénta,
la i tira ssutil e tónd tôt intna manira:
il mistuchin igli è bèla chè fati!
L’ali infarina da tôti dó il band,
parchè in’s ataca brisa ala piastra ruvénta
induv ch’ali pògia, tré o quatar par vòlta.
Maninma-n ch’ali prêla, as liva un sbôf’d fôm ch’al spargôia un udór da fèr gnir mêl vôi.
Agh vòl puch, trê-quatar minôt piô ò mè.n,
parchè ch’il môcia al ssu bèl culór caramèla.
Al mucèt ssòt’al tvaiòl al crèss ala svèlta.
Tèndri, musin, prufumèdi, igli è prónti.
Igli è una luvisia.

Le Mistochine

La donna delle mistochine è tutta bianca:
bianco il fazzoletto che porta in testa;
bianco il grembiuleche indossa;
bianche le calze a mezza gamba;
bianche le ciabatte nei piedi;
bianche finanche le ciglia e le sopracciglia.
Un filo di sole penetra da una fessura
fra le tendine della finestra e diventa esso pure
bianco nel pulviscolo sospeso a mezz’aria.
La massaia sta impastando la farina castagna
tanto fine da sollevarsi solo a muoversi.
Ne fa un pastone ben compatto
e ne distacca dei pezzetti tutti uguali, che
appoggia uno accanto all’altro sul tagliere.
Poi, col matterello piccolo, quello da polenta,
li fa sottili e rotondi, tutti allo stesso modo:
le mistochine sono già confezionate!
Le infarina da ambo i lati
perché non si attacchino alla piastra rovente
sulla quale le appoggia, tre-quattro per volta.
Nel rigirarle si alza un sbuffo di vapore

che si disperde con un profumo che fa voglia.
Occorre poco, più o meno tre-quattro minuti,
perchè assumano il loro bel color caramella.
Il cumulo coperto dal tovagliolo cresce presto.
Tenere, mucine, odorose, sono pronte.
Sono una ghiottoneria.

Ormai pare che sopravvivano soltanto nelle sagre di paese, nelle province di Bologna, Modena e Ferrara; nelle città, probabilmente, solo i più anziani le ricordano.
Ed è proprio agli emiliani più anziani che voglio dedicare questo post del ricordo. Sono gli anziani coloro che più soffrono a dover lasciare, anche momentaneamente, la propria casa e le proprie abitudini di una vita intera. Tin bota!!!

Le mistocchine altro non sono che focaccine appena dolci, fatte con farina di castagne, semi di anice e, volendo, buccia di limone. In alcune versioni sono proposte con l’aggiunta di uva passa nell’impasto.
Si accompagnano bene ai passiti e ai vini da meditazione. Io, per enfatizzare il sapore di anice, le ho accompagnate ad uva passa ammollata nella sambuca. E’ un dolce semplice dal sapore veramente antico.

La ricetta: Le Mistocchine
(dosi approssimative perchè sono andata ad occhio)
1 tazza di farina di castagne
1 cucchiaio di semini di anice
buccia grattugiata di meno di mezzo limone
zucchero a velo
uva passa
liquore alla sambuca
Ho messo ad ammollare l’uva passa nella sambuca.
Ho fatto bollire un bricchetto d’acqua con un cucchiaio di semini di anice.
Ho poi filtrato e versato l’acqua calda sulla farina, poco per volta, impastando, fino ad ottenere un composto lavorabile e non troppo molle. Ho incorporato la buccia di limone.
Ho ricavato delle palline di pasta come grosse noci, le ho schiacciate fino allo spessore di mezzo cm e le ho messe a cuocere su una padellina antiaderente arroventata, nel mio caso era quella delle crepes.
Dopo pochi minuti la mistochina si può girare e cuocere dall’altro lato. 

Vanno servite calde, ed io le ho accompagnate all’uvetta che nel frattempo si era assorbita tutta la sambuca!!

ai fornelli

Millefoglie di cecina con calamaretti e verdure julienne alla cannella

Per la ricetta da proporre al contest “Se avessi un ristorante” del blog Le Pellegrine Artusi ho pensato di combinare un prodotto tradizionale del territorio aretino, la cecina, altrove conosciuta come farinata di ceci, con un compagno insolito.
In queste zone la cecina viene servita come antipasto, chiamata torta di ceci, e insaporita solo con olio, sale e rosmarino.
Per farcirla ho pensato ai calamaretti che cuociono in pochi minuti, semplicemente saltati in padella con verdure estive, carote e zucchine. Il tocco speciale lo dà una punta di cannella che ho imparato ad apprezzare nelle preparazioni salate a partire dalla Carabaccia toscana fino a provarla con la zuppa di ceci. In effetti la cannella attribuisce al tutto una dolcezza insolita e delle note vagamente mediorientali.
 

La ricetta: Millefoglie di cecina con calamaretti alle verdure julienne profumate di cannella
(per 2 porzioni)
65 g di farina di ceci
circa 180 ml di acqua
un pizzico di sale
olio
1 rametto di rosmarino

200 g di ciuffi di calamaretti (già puliti e privati del dentino)
1 carota
1 zucchina
1 cipollotto
1 costa di sedano
1 spicchio d’aglio
cannella in polvere
sale
olio
vino bianco

Ho preparato la farinata di ceci, mescolando insieme farina di ceci e acqua fino a formare una pastella omogenea e priva di grumi, aggiungendo l’acqua a poco a poco. Ho lasciato riposare questa pastella per almeno un’ora o anche di più, con il rametto di rosmarino in infusione. 
Ho poi aggiunto un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio e ho mescolato bene. 
Ho fatto scaldare molto bene un padellino da crêpes e, una volta caldo, vi ho versato un mestolo di pastella, distribuendola bene sulla superficie. Ho lasciato che si asciugasse bene, prima di girarla e farla cuocere dall’altro lato. Sarà più sottile di una comune farinata, ma dalle superficie croccante. Ho continuato fino ad esaurimento della pastella.
Con un coppapasta ho ritagliato sei quadrati dalle piccole farinate.
Ho tritato il cipollotto e preparato le verdure tagliandole a julienne. In una padella ho versato un cucchiaio d’olio e ho fatto soffriggere leggermente il cipollotto con l’aglio, poi ho aggiunto il sedano a julienne e poco dopo carote e zucchine. Ho bagnato le verdure con vino bianco e fatto sfumare e poi aggiunto i ciuffetti di calamari, rigirando il tutto velocemente. In pochi minuti sono pronti. Ho aggiustato di sale e aggiunto un’abbondante spolverata di cannella.
Ho messo da parte il sughetto tirato fuori dalle verdure e l’ho fatto raddensare sul fuoco con alcuni pizzichi di farina.
Ho composto il piatto alternando le sfoglie di cecina con i calamaretti e verdure, guarnendo con il sughetto e con un’ulteriore spolverata di cannella.
Con questa ricetta insolita partecipo al contest Se avessi un ristorante di Le Pellegrine Artusi; la inserisco tra le ricette tradizionali italiane.
 
 

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