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Insalata Waldorf

Oscar Tschirky, nato nel 1866 a La-Chaux-de-Fonds in Svizzera, poi trasferitosi negli Stati Uniti, divenne il maître del ristorante Delmonico’s e, a partire dal 1893, anche dell’Hotel Waldorf-Astoria. 
 
Il Waldorf-Astoria di cui parliamo è quello che era situato nella Fifht Avenue, mentre l’attuale Waldorf=Astoria si trova oggi al numero 301 di Park Avenue ed è datato 1931.
Oscar Tschirky divenne in breve tempo un vero e proprio simbolo dell’albergo e venne soprannominato Oscar the Waldorf. Amato dai propri clienti era in grado di accontentare tutti con la propria professionalità e, anche se non era un cuoco a tutti gli effetti, si occupò fin da subito della redazione dei menù.
Si racconta che una volta un broker newyorchese di Wall Street, un tale Lemuel Benedict, si era trovato a vagare completamente ubriaco nei pressi del Waldorf. Con la speranza di debellare la sbornia mattutina prima di recarsi a lavoro ordinò un toast con uova, bacon e salsa olandese. Una colazione non propriamente leggerina!!
Ad ogni modo Oscar The Waldorf, restò colpito da quella richiesta e, dopo aver accontentato il cliente, pensò a come inserire questo curioso abbinamento nel menù. Sostituì il toast con un mezzo muffin inglese, sopra vi depose il bacon, un uovo in camicia e la salsa e lo chiamò Eggs Benedict.

A Oscar The Waldorf si deve anche l’invenzione dell’insalata Waldorf, forse l’insalata più famosa al mondo, una vera intuizione in fatto di abbinamenti di sapori, dove gli ingredienti principali sono mele, sedano rapa e maionese.
Nel 1893 la Waldorf Salad venne servita ad un ricevimento privato nell’albergo e nel 1896 apparve nel “The Cook Book by Oscar The Waldorf”. Nel “Rector Cook Book” del 1928 viene ufficialmente inserita la versione con le noci, che entrano così tra gli ingredienti canonici.
E questa insalata è davvero buona, tanto da essere citata da Cole Porter in una canzone, You’re the Top, dove tra un «you’re the Louvre Museum» e un «you’re a Shakespeare’s sonnet» ci infila anche un «you’re the Waldorf Salad, you’re the top!»
 


Io ho sostituito il sedano rapa con il sedano a cespo, dal gusto un po’ più incisivo del primo; come mele ho usato le golden, dolci e succose. La maionese l’ho diluita con yogurt bianco e condita con sale e una spolverata di pepe nero.
Provatela, è fresca, aromatica e soddisfacente.

 La ricetta: Insalata Waldorf

(per 2 persone)

Qualche foglia di lattuga ghiaccio

2 (o più) coste di sedano, tenere, vicine al cuore

1 mela golden

4 noci

2 cucchiai di maionese

1 cucchiaio di yogurt intero

1 limone

sale

pepe



Ho lavato la lattuga ghiaccio, l’ho spezzettata e messa in una ciotola.

Ho sbucciato la mela e l’ho tagliata a fettine sottili, bagnandole con succo di limone e poi disposte sopra la lattuga.

Ho aggiunto il sedano ben lavato, privato dei fili e tagliato a rondelle.

Ho sbucciato le noci e le ho spezzettate grossolanamente sopra le mele e il sedano.

Ho
mescolato la maionese con lo yogurt, condita con ancora qualche goccia
di limone, sale e pepe e versato questa salsina sull’insalata.

Mescolare e gustare, magari con il sottofondo musicale di You’re The Top.
E qui in versione pret à porter in vetro, per Friends of Glass:


Con questa ricetta partecipo al contest Insalatiamo di Puffin del blog Puffin in Cucina.
 
 

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Il mercoledì social: Emilia Mon Amour, una Torta Barozzi per gli Emiliani

Quello che sta succedendo in Emilia mi lascia ogni giorno di sasso. Ogni mattina “sfoglio” Twitter per sapere le novità e leggo con attenzione i dati di INGV, con la magnitudo e l’epicentro delle ultime scosse e mi dico: <<Mammamia, un’altra…e un’altra… e un’altra ancora.>>

Il Piemonte, da dove scrivo, non è terra sismica, e non riesco a capacitarmi di cosa significhi vivere in questo momento di precarietà, come si possa dormire la notte, come si possa fare ogni volta la conta dei danni.
L’Emilia nello stereotipo – e nella realtà – è una terra vitale, energica, propositiva e sapere che questo terremoto ha colpito una delle economie regionali più vivide e attive è una dura scossa per tutta l’Italia in questo tempo già di crisi. Ma proprio ora – fin da subito, mentre ancora le scosse si succedono, ed ogni volta ci si augura che sia l’ultima – è importante rilanciare l’economia e la vitalità di questa terra, della quale cibo e turismo sono settori molto significativi. Non si può stare immobili, bisogna ripartire da subito!

Sotto la proposta di Micol e Cecilia del blog Muffin e Dintorni, un gruppo di foodblogger, di cui anch’io faccio parte, ha deciso di dedicare un post, proprio oggi, dedicato ad un prodotto emiliano o a una ricetta di questa regione.

Parlare di cibo ci riesce bene e, anche se non siamo lì, questo è un modo per far sentire al popolo emiliano che li cingiamo di un abbraccio affettuoso e che seguiamo con partecipazione il loro dolore, ma anche che non sarà questa tragedia a spezzare questa regione.
Questo terremoto è piuttosto un triste pretesto per ripartire con più vigore ed energia e fare ancora meglio.

Eugenio Gollini
Io ho scelto di parlarvi di un dolce che è nato in Emilia, precisamente a Vignola, per iniziativa di un pasticcere, Eugenio Gollini, fondatore nel 1887 del caffè pasticceria Gollini.
Questo elegante caffè venne fondato sotto i portici di un antico palazzo, con un arredamento elegante dall’aria retrò e un’atmosfera intima e familiare.
Eugenio Gollini, da buon emiliano, amava sporcarsi le mani, entrare in laboratorio e sperimentare personalmente ricette che perfezionava, giorno dopo giorno, dopo aver sentito i pareri dei suoi clienti. Così nacque anche questa torta, prima detta Torta Nera, poi Pasta Barozzi, ed infine Torta Barozzi, nel 1907, quattrocentenario della nascita del famoso architetto vignolese Jacopo Barozzi. 
Il Vignola
Jacopo Barozzi da Vignola, conosciuto come Il Vignola, fu il più importante architetto del Manierismo, il periodo che segue il Rinascimento.
Nato a Vignola nel 1507, fu attivo per un periodo anche come pittore, studiando le architetture esistenti e disegnandole, diventando un esperto della prospettiva ed un importantissimo trattatista. Applicò la prospettiva in architetture di grande respiro e divenne anche architetto di paesaggio e di giardini, sfruttando una quinta naturale fino a farla diventare cornice per le sue architetture; molto attivo a Roma e nel Lazio, successe a Michelangelo nella direzione dei lavori di San Pietro in Vaticano. Lo si ricorda come architetto della famiglia Farnese, da Villa Giulia al Palazzo di Caprarola, all’incompiuta residenza ducale di Piacenza.
Le scale elicoidali di Barozzi, nel palazzo di Vignola.

La torta che Eugenio Gollini gli dedica è sorretta anch’essa da un’architettura imponente e robusta. La ricetta, dal lontano 1907, è assolutamente segreta. 
Michele Serra assaggiando la Barozzi della pasticceria Gollini l’ha descritta così:
«
…Si presenta come una piccola zolla di terra e come una zolla si
sbriciola… È un incantevole mistero fatto di mille aromi che
confondono il palato in una sinfonia di dolcezza… »
Molti hanno tentato di decifrarne gli ingredienti e molte sono le versioni che si rincorrono in rete e nelle famiglie vignolesi. Non per nulla questa torta, che bisogna assaggiare nella sua versione originale proprio alla pasticceria Gollini, ora gestita dalle pronipoti di Eugenio, è anche la più riprodotta tra le famiglie del circondario ed ognuno sostiene che la propria versione sia la più vicina all’originale.


Per questo mercoledì social ho voluto far parte degli imitatori per un giorno: ho consultato ricette, ho studiato la mia versione e sono giunta a proporvi questa che vedete.

Anche la mia Barozzi è intensa, scura, terrosa e come zolla si sbriciola. Perfetta già così, ho aggiunto solo una nota di colore e di dolcezza con una crema di mascarpone e marmellata di ciliegie. Se volete far di più metteteci in cima una maestosa ciliegia fresca: di Vignola, ovviamente! 🙂
Ah, dimenticavo… la torta Barozzi, quella vera, potete gustarla solo a Vignola, alla pasticceria Gollini. Il borgo di Vignola e la sua rocca non hanno subìto danni ingenti, visitatela al più presto!!!

La ricetta: Torta Barozzi
(circa 12 tortine monoporzione del diametro di 9 cm)
Ingredienti:
300g zucchero
200g arachidi tostate
100g mandorle tostate
100g cacao amaro in polvere
100g burro
6 cucchiaini di caffè macinato
4 uova
1 pizzico di sale
Ho macinato finemente nel mixer le arachidi, le mandorle, il caffè in polvere e lo zucchero. Ho aggiunto il cacao in polvere e mescolato bene fino ad ottenere una polvere omogenea.
Ho messo da parte gli albumi e aggiunto gradualmente i tuorli con il pizzico di sale alle polveri, mescolando bene ogni volta. Si formerà un impasto davvero terroso e denso, difficile da lavorare. Mi sono aiutata con le mani per renderlo omogeneo.
Ho montato a neve fermissima gli albumi; ne ho aggiunto un paio di cucchiaiate all’impasto per ammorbidirlo e poi man mano il resto degli albumi mescolando delicatamente dal basso verso l’alto.
Quando il composto era omogeneo l’ho suddiviso in pirottini da muffin, un paio di cucchiaiate per pirottino, ed infornato a 160° per circa 30 minuti.

Per la crema ho mescolato in parti uguali mascarpone e marmellata di ciliegia e ho appoggiato su ogni tortina una cucchiaiata di composto.
La ciliegia è inumidita e velocemente rotolata in zucchero semolato.

Qua di seguito la lista degli altri blog partecipanti all’iniziativa:
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Filetto di maiale con anelli di cipolla e taccole ai pinoli e basilico.

Ho appena conosciuto le taccole. Lo so che è una vergogna ma non le avevo mai assaggiate e trovandole al mercato mi son detta: proviamo!!
Le taccole, dette anche piattoni, sono una via di mezzo tra i fagiolini e i piselli. Presentano un baccello verdissimo e piatto come un fagiolino che è finito sotto un camion, ma sono in realtà una varietà di pisello, infatti sono anche dette, piselli cinesi o anche “mangiatutto”. Hanno virtù positive, ma sono delicate ed adattissime anche a chi soffre di colite, al contrario del suo parente stretto. Nelle taccole in realtà i semi restano allo stato embrionale e il baccello è particolarmente tenero e dolce. Oltre ad essere una grande fonte di fibra, la taccola è ricca di caroteni, vitamine C e B9, e di una discretà quantità di ferro. Per mantenere inalterate tutte le sue proprietà, vanno cucinate in modo semplice e sono più buone se mantenute leggermente croccanti.
Io le ho usate come contorno ad un piatto di filettino di maiale rosolato in pentola, guarnito da anelli di cipolla fritti. 
Con l’arrivo del caldo mangiare la carne mi riesce più difficile. Invece questa ricetta, con questo abbinamento di sapori, è proprio nel giusto mezzo tra il fresco che ancora ci ha accompagnato in questa primavera che non voleva decollare e il primo caldo sbocciato all’improvviso.
La carne di maiale è sapida ma magra e leggera in questo taglio, le cipolle sfiziosissime e le taccole, al profumo di basilico, dolci, fresche e primaverili.

La ricetta: Filetto di maiale al vino bianco con anelli di cipolla fritti e fresco contorno di taccole con basilico e pinoli

Ingredienti per 2-3 persone:
400 g di taccole fresche
5 foglie di basilico
1 manciata di pinoli
1 cipolla  bianca grande
1 bicchiere di latte
3 cucchiai di farina
400 g di filetto di maiale
olio evo
olio di semi di arachidi per friggere
vino bianco
sale
pepe
 
Ho lavato le taccole, le ho liberate dalle due estremità; a volte può essere necessario togliere il filo lungo tutta la loro lunghezza, ma le mie erano particolarmente tenere e non ce n’è stato bisogno. Le ho tagliate a rombi di 3 cm di lunghezza. In una padella larga ho fatto tostare i pinoli per qualche istante, poi li ho tolti e tenuti da parte. In un paio di cucchiai d’olio ho messo le taccole a pezzetti e fatto saltare in padella, aggiungendo un dito di vino bianco e all’occorrenza un po’ d’acqua. Quando erano leggermente ammorbidite, ma ancora di un bel verde vivo, ho regolato di sale e aggiunto qualche foglia di basilico tagliata a pezzetti e i pinoli tostati in precedenza e fatto insaporire ancora per qualche minuto.

Nel frattempo ho tagliato la cipolla ad anelli sottili e l’ho messa a bagno nel latte. Poi ho legato strettamente il filetto di maiale con lo spago da cucina.
In una pentola dal fondo spesso ho messo due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare a fuoco vivace il filettino di maiale da tutti i lati. Poi ho aggiunto un mezzo di bicchiere di vino bianco e l’ho fatto sfumare, infine ho proseguito la cottura a fuoco lento, aggiustando di sale e pepe e aggiungendo un poco d’acqua quando necessario. In circa 20 minuti sarà pronto, restando leggermente rosato al centro.
In un’altra padella ho messo dell’olio di semi d’arachidi e una volta caldo ho fritto le cipolle, scolate e cosparse di farina, finchè non erano dorate e croccanti.
Ho impiattato con fette spesse poco più di un cm di filetto di maiale, coperto da anelli di cipolla e affiancato dalle taccole intiepidite leggermente.

Con questa ricetta partecipo al contest Spring Food Contest di Lina del blog Spadellatissima.


 

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Fragole sotto zucchero

Questa ricetta è rubata!
Mi trovavo in libreria e per caso mi son trovata tra le mani un libro di cucina, io che non bazzico mai nel reparto cucina in libreria, mai!! E’ stato un vero caso…
…e curiosando tra le pagine di questo libro di conserve, di cui non ricordo neppure il titolo, ho scoperto che le fragole si possono conservare sotto zucchero, senza essere prima cotte, e poi gustate con calma anche quando la stagione delle fragole è finita.
Non ho dovuto neppure prendere appunti, la ricetta è semplicissima da ricordare, senza dosi, solo fragole + zucchero.
Il libro è rimasto lì! La ricetta invece è venuta con me e ho subito provato a farla, a piccole dosi, per provare, ma la rifarò prima che la stagione delle fragole finisca, con alcuni accorgimenti derivati dall’esperienza.
La ricetta: Fragole sotto zucchero
fragole mature e sode, quelle più piccole del cestino
zucchero
barattoli di vetro (io ho usato 2 vasetti a caso, ma vi consiglio di usare quelli più larghi, piuttosto che alti e sottili, è più semplice riempirli e il risultato sarà migliore.
Ho lavato le fragole e le ho private del picciolo. Le ho asciugate delicatamente con un panno e ho cominciato a riempire i vasetti, comprimendole leggermente. Ho colmato ogni vasetto con lo zucchero, facendolo scivolare tra una fragola e l’altra. Ho chiuso tutti i vasetti  e li ho messi in una pentola piena d’acqua. Ho portato il tutto ad ebollizione e fatto sobbollire per 35 minuti.
Poi ho lasciato raffreddare i vasetti nella pentola, si forma il sottovuoto!
Nel vasetto c’è ora uno strato di zucchero rassodato in fondo, le fragole sono diventate morbide e si sono compattate al centro; il loro succo è diventato sciroppo.
Le fragole così preparate, sono dolci, ma non troppo, perchè conservano il sapore del frutto molto più della marmellata. Sono consigliate per decorare il gelato, o la panna cotta o una mousse o quello che vi pare, aggiungendo anche una parte del loro sciroppo. 
Io vi consiglio anche di assaggiarle su una fetta di pane, prima spalmata con un velo di formaggio cremoso. Il contrasto tra dolce e salato è eccezionale!!! 😉
E naturalmente questa ricetta vi permette di dare nuova vita ai vostri vasetti di vetro!!! —> Friends of Glass 😉

E ne approfitto per ricordare a tutti che avete ancora 17 giorni per partecipare a Ricette a Spasso nel Tempo, il mio primo contest…

ai fornelli, storia & cultura

Eleganza a Colazione per il contest di B per Biscotto

“Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine-
le dita senza guanto-
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

Fra quegli aromi acuti,
strani commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh le signore come
ritornano bambine!

Perché non m’è concesso-
o legge inopportuna!-
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.”

Pare che Guido Gozzano (1883-1916) compose questa poesia intitolata “Le Golose” proprio nel suo caffè preferito, lo storico caffè Baratti&Milano di Torino.
Torino, elegante e altezzosa, ha sempre fatto dei caffè, uno dei simboli della città e per il contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando, incentrato sull’eleganza non potevo che lasciarmi ispirare dai caffè storici di Torino.
Ce n’è per tutti i gusti.

C’è Al Bicerin, fondato nel 1763, accanto alla chiesa della Consolata, dall’acquacedrataio e  confettiere Giuseppe Dentis che nell’Ottocento, approfittando della ristrutturazione dell’edificio, trasformò la sua modesta bottega in locale e cioccolateria. Qui nacque per l’appunto il Bicerin, che significa bicchierino, la bevanda speciale a base di caffè, cioccolata fondente e crema di latte, dove la panna fresca avvolge caffè e cioccolata roventi e nell’impedire di scottarsi la lingua, permette di assaporare tutti e tre i sapori distintamente. L’interno del locale è rimasto come una volta, intimo e d’antan, in penombra, con pochi tavolini tondi e un’aria da antica drogheria: un’eleganza modesta e discreta.

Sotto i portici di via Po si affaccia il caffè Fiorio, nato nel 1780, da sempre il caffè dei politici e degli aristocratici, era detto il caffè dei codini e dei Machiavelli. Il suo frequentatore più celebre era Camillo Benso di Cavour, mentre Carlo Alberto, si informava ogni mattina su cosa si dicesse al Fiorio, proprio perché era una sorta di fucina dell’opinione pubblica. Sebbene dal di fuori mostri ben poco, all’interno i locali sono ancora improntati all’eleganza e allo sfarzo di un tempo. E se oggi il Fiorio è ambito per i gelati, già gustati un tempo da Nietzsche, un tempo, in un’epoca in cui l’informazione su carta stampata aveva dei ragionevoli limiti di diffusione, era il caffè dove venivano portati i giornali di tutta Europa e perciò è facile capire come il Fiorio avesse tra i suoi frequentatori colti politici, aristocratici e borghesi, e un’eleganza severa e conservatrice.

Lasciamo Fiorio per raggiungere piazza Castello. Sotto i portici, dal lato di via Po, c’è il Mulassano, aperto nel 1907, dopo che il suo fondatore ebbe trasferito la propria bottega da via Nizza. È un ambiente piccino, ma perfettamente proporzionato, particolarmente sfarzoso e ricco con i suoi soffitti a cassettoni, decorazioni in cuoio, oro e marmi, frequentato in passato dai membri della Casa Reale e dagli artisti del Teatro Regio. Non fatevi ingannare da chi dice che lo frequentava anche Garibaldi, morto invece nel 1882…probabilmente lo avrebbe fatto con piacere, però!! 😉
La particolarità di questo caffè è una fontanella in stile floreale, posta sopra il bancone, da cui viene servita l’acqua da accompagnare al caffè. Qui, per i fanatici della colazione salata, nacque il primo tramezzino! Proprio qui fu inventato il mini-panino a più strati che ancora oggi è il vanto del locale, con le più curiose farciture, dall’aragosta, alla bagna caoda, al tartufo: eleganza salata.

Sulla piazza Castello, venti metri più avanti, si apre una deliziosa galleria urbana, la Galleria Subalpina, da sempre un salottino di Torino, e proprio all’imbocco della galleria troviamo il tempio del dolce: Baratti & Milano, fondato nel 1875 da Ferdinando Baratti e Eduardo Milano, era frequentato dal fior fiore dell’aristocrazia torinese, dell’esercito e della magistratura ma, come abbiamo visto all’inizio, vi passava intere mattinate anche il poeta Guido Gozzano, incantato dalle belle signore eleganti che facevano da Baratti&Milano una colazione golosa. Fin da subito Baratti&Milano si potè fregiare del titolo di Fornitore della Real Casa. Dall’esterno le vetrine sembrano quelle di una gioielleria, con le belle praline, i cioccolatini e le eleganti caramelle avvolte nella carta marchiata. Definirei l’eleganza di questo caffè-confetteria un po’ vezzosa. 

Al Baratti, oltre a far colazione, si può anche cenare, così come all’ultimo caffè che vorrei presentarvi.

Arriviamo al salotto di Torino, la bella piazza San Carlo. Qui, all’angolo con via Alfieri c’è il Caffè Torino. Nato nel 1903 ebbe tra i suoi clienti abituali Cesare Pavese, De Gasperi ed Einaudi e molti membri della famiglia reale. Tutto è improntato a raffinatezza estrema: le belle e scintillanti vetrate, lo scalone interno, il bancone originale del primo Novecento e l’altro, invitante, della pasticceria; gli ingressi più discreti delle salette riservate. I colori e le luci ci fanno subito sprofondare in un’atmosfera liberty. I cristalli, il verde pistacchio e il color crema tutto mi richiama alla mente un’eleganza indiscutibile ed impeccabile.

Finito il giro, torniamo a casa per la MIA colazione: prendo qualcosa da ciascuno di questi caffè, l’eleganza per me è un po’ tutto ciò che vi ho descritto e si nasconde anche tra le mura di casa, su una tavola con una ricca scelta e una colazione lenta e rilassante, infarcita di chiacchiere e progetti per la giornata che sta iniziando…magari una giornata di festa… 😉

Per la mia colazione ho scelto dei biscottini ripieni di uvetta, creati in onore di Garibaldi e amati da Cavour; poi gli immancabili biscotti di meliga, ovvero di farina di mais, da bagnare nel caffè; la torta di sole nocciole piemontesi, senza farina, in formato mignon, che di solito Al Bicerin viene servita con cioccolato caldo fuso; infine dei tramezzini che potrebbero essere quelli di Mulassano.

Garibaldini all’uvetta
(non metto le dosi, perché solitamente li preparo quando mi avanza della frolla da una torta)
un panettino di pasta frolla (la ricetta della frolla la trovate qui)
uva passa
grappa
marmellata di albicocche

Ho sciacquato l’uva passa in acqua tiepida, l’ho scolata e messa a mollo, in un bicchiere di grappa.
Ho steso la frolla sottile, l’ho spalmata di un sottile strato di marmellata di albicocca e su metà ho steso le uvette. Poi ho ricoperto la metà con l’uva passa della restante porzione di frolla. Ho schiacciato bene, spennellato di uovo e cosparso di granelli di zucchero di canna. Poi ho tagliato i biscotti a rettangolini, li ho distanzati e messi in forno a 180° per 10 minuti circa, fino a doratura.

Biscotti di meliga
125 g di farina bianca
125 g di farina di mais fioretto
150 g di burro
2 uova
85 g di zucchero

Ho amalgamato il burro morbido con lo zuchero fino a formare una crema.

Ho poi aggiunto le farine mischiate insieme, poi le uova intere, mescolando il tutto fino ad avere un impasto consistente. Ho fatto riposare in frigo per mezz’ora. Ho deposto delle cucchiaiate di impasto sulla teglia coperta di carta forno e infornato per 15 minuti a 180°.

Tortine di nocciole
(per 8 tortine)
130 g di nocciole tritate
65 g zucchero
2 uova
1 cucchiaino raso di lievito in polvere

Ho montato i tuorli con lo zucchero finchè non erano chiari, poi ho unito le nocciole tritate finissime e il lievito.
In un altro recipiente ho montato gli albumi e neve. Ne ho aggiunto un cucchiaio abbondante all’impasto di farina di nocciole mescolando bene per ammorbidirlo, poi ho aggiunto il restante albume montato, mecolando delicatamente dall’alto in basso.
Ho versato il composto in 8 pirottini grandi da muffin ed infornato a 170° per circa 20 minuti.

Tramezzini quasi di Mulassano

Farciti con salmone, asparagi e yogurt intero.

Con questo chilometrico post, le foto dall’aria antica, la mia idea di eleganza e la mia colazione delle feste partecipo al contest di BperBiscotto, Colazione da Zalando.
***tutte le foto sono mie, tranne quella conl’immagine esternade Al Bicerin, perchè io, di mercoledì, l’ho trovato chiuso!

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Tea Time con gli alfajores de maicena e il tè nero Darjeeling

Con il Tea Time di oggi assaggiamo profumi e sapori di due luoghi lontanissimi tra loro.
Incontriamo i celebri Alfajores de Maicena dall’Argentina e il tè Darjeeling di Coccole dall’India.

Gli Alfajores sono diffusi in tutto il sud America, non sono tipici soltanto in Argentina, anche se all’Argentina, oggi, si deve la loro maggior popolarità, grazie a marchi importanti.

Ma partiamo dalle origini: lo dice chiaramente la radice al- del nome, l’Alfajor non può che avere origini arabe – alfajor deriva da al-hasù, che significa ripieno.
Di cosa fossero ripieni i primi alfajores non si può dire con certezza, molto probabilmente una crema o una marmellata. Durante la dominazione araba della penisola iberica, gli alfajores furono importati in Spagna e ancora oggi, in Andalusia, si utilizza questo tipo di farcitura. Gli Alfajores andalusi sono tipici delle festività natalizie e vengono arricchiti con noci, mandorle e miele; in alcuni casi sono ripieni di pasta di miele.

Una volta conquistati i golosi di Spagna, questi dolcetti erano pronti a fare un altro viaggio: li ritroviamo in America Latina al seguito delle truppe dei conquistadores, precisamente in Venezuela e in Perù, menzionati nelle razioni dei soldati.
Gli Alfajores del Nuovo Mondo mutarono e ben presto ebbero assai poco a che vedere con i genitori spagnoli, diventano semplicemente due biscotti farciti, con l’immancabile ripieno al centro. Pian piano, diventando dolci prodotti sul territorio, venne mutato anche il ripieno; pare che proprio in Perù si cominciarono a farcire di manjar blanco, la versione peruviana del dulce de leche argentino.

Pare che il primo dulce de leche venne prodotto accidentalmente quando nel XIX secolo, una mulatta a servizio presso il General Rosas, militare e politico argentino, dimenticò sul fuoco la lechada, latte caldo con zucchero per aromatizzare il matè; passato il punto di cottura il latte con lo zucchero cambiò colore e consistenza, diventando cremoso.
Il dulce de leche, dalla consistenza densa e cremosa, venne subito ritenuto adattissimo per farcire gli alfajores che, proprio con il dulce de leche e una copertura di cioccolato fondente conquistarono tutto il Sud America.
Pare che soltanto in Argentina ne vengano consumati 6 milioni al giorno…un cifra straordinaria. Gli alfajores rappresentano anche il classico souvenir da portare dai luoghi di villeggiatura. I più celebri sono infatti di marca Havanna e Balcarce, nati negli anni ’50 a Mar de la Plata,  nota località marittima.

La caratteristica più sorprendente degli alfajores, è la straordinaria consistenza friabile data dalla maizena, che ben si sposa con il morbido ripieno interno.

Questi biscottini golosissimi mi sembravano abbinarsi bene con il tè nero del Darjeeling di Coccole.
Il termine Darjeeling deriva da dorjie, fulmine, e ling, luogo; significa perciò terra dei fulmini. Il suo clima la rese famosa al tempo dell’impero Britannico in India, quando gli occidentali scappavano dal clima asfissiante delle pianure per rifugiarsi in montagna.
Il Darjeeling è noto principalmente oggi per due cose, il suo straordinario tè nero, detto lo champagne dei tè, e la ferrovia himalayana del Darjeeling, patrimonio mondiale UNESCO.


In realtà la coltivazione del tè in questa zona iniziò soltanto nel 1841, quando il medico Dr. Campbell importò in questa zona semi di tè provenienti dalla Cina, con l’intento di provare a coltivarli. La produzione viene fatta tutt’oggi nei Tea Garden e lo straordinario terroir del Darjeeling contribuisce assieme al clima ventilato a rendere questo tè unico. 
La coltivazione viene svolta al 60% da donne, a livello poco più che familiare, nonostante si nutra un commercio a livello mondiale. Non per nulla questo tè è anche quello più falsificato: di 40.000 tonnellate messe in commercio, solo 10.000 tonnellate sono di “vero” darjeeling.

Con un’infusione corretta si ottiene un tè chiaro, dal gusto dolce e delicatamente tannico.
Questo tè si è sposato ottimamente con i morbidi alfajores, perché tende a temperare l’eccessiva dolcezza del dulche de leche: abbinamento bilanciatissimo e sicuramente da ripetere!

La ricetta: Alfajores de Maicena con dulce de leche
Ingredienti (per circa 20 alfajores):
50 g di zucchero
65 g di burro morbido
37 g di tuorlo (circa 2)
90 g di maizena
60 g di farina 00
1/2 cucchiaino di lievito per dolci
1 punta di cucchiaino di bicarbonato
1 pizzico di sale

Per il dulce de leche trovi la ricetta qui.

Ho montato con la frusta burro morbido e zucchero fino ad ottenere un composto molto omogeneo e spumoso.
Ho aggiunto poco per volta i tuorli con un pizzico di sale.
Ho setacciato insieme farina lievito e bicarbonato e li ho amalgamati delicatamente al composto di burro e tuorlo.
Ottenuta una palla molto morbida, l’ho avvolta in pellicola e l’ho messa a raffreddare in frigo per circa 1 ora.

Ripreso l’impasto l’ho steso in piccole quantità in una sfoglia spessa 4-5 mm. Ho ricavato dei tondi con un bicchiere del diametro di 4 cm e nella metà di questi tondi ho ricavato un buco centrale con un tappo. Ho deposto i biscotti su una teglia coperta di carta forno e infornato a 180° per 10-12 minuti, eventualmente abbassando leggermente se il vostro forno, come il mio, tende ad aumentare di temperatura, senza far prendere colore e procedendo così fino ad esaurimento dei biscotti.
Li ho lasciati raffreddare e poi accoppiati a due a due mettendo al centro del biscotto senza buco un cucchiaino di dulce de leche e coprendolo con un biscotto bucato.

Volendo si possono coprire di un sottilissimo strato di cioccolato fondente fuso, ma io li ho mangiati così!

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Maneštra Istriana – I love Istra

Ecco, in pochi giorni, l’ennesimo contest a cui partecipo, I love Istra.
Questa volta il tema è davvero bello perché comporta un’indagine attraverso le caratteristiche più salienti della gastronomia istriana ed implica il cucinare una o più delle ricette proposte da Ambra e Claudia, seguendone la falsariga e personalizzandola senza stravolgerne la natura.

L’Istria è un cuore verde in mezzo all’Europa, ricca di arte e paesaggi magnifici. L’ho visitata, anche se superficialmente, 9 anni fa; ricordo Parenzo, Rovigno, Pula, i bellissimi promontori dove sorgono le città e la costa frastagliata di insenature e l’azzurro del mare movimentatao da piccole isolette verdeggianti. In quell’occasione non ebbi modo di assaggiare molto di caratteristico, perchè ero ancora molto giovane e in un periodo che definirei di “sospettosità del gusto”.
La cucina dell’Istria si protende in due direzioni, in parte verso l’Italia e il Mediterraneo, in parte verso le cucine centroeuropee. Ne derivano connubi di sapori familiari eppure con note di gusto molto particolari e, per me, nuove.
La minestra di verdura che ho scelto di  preparare è solitamente cucinata con osso di prosciutto o pancetta, “non è minestra se non ha toccato il maiale” e normalmente viene servita con fette di pane rustico.
Io l’ho presentata a tavola con un cappello di pane, che la tiene calda e intanto si ammorbidisce, al posto del coperchio delle cocotte. Il pane l’ho preparato al mattino, così che fosse freddo e perfetto da utilizzare la sera, secondo una ricetta che prevede un impasto molto idratato e l’utilizzo dello zucchero di canna. Il pane che si ottiene si conserva morbido per molti giorni ed è perfetto tostato, perchè permette di abbrustolire solo la parte superficiale e non l’interno della fetta.
Non ho variato la ricetta originale, se non per l’utilizzo di legumi già lessati da me in precedenza, ma ho preso spunto da un’altra minestra diffusa in Istria, quella al finocchietto selvatico, per aggiungere dei semi di finocchio, come aroma. Il gusto del finocchio si sposa benissimo con i legumi, conferendo loro freschezza.
Ulteriore legame ai luoghi dell’Istria è dato dal completamento con il caratteristico pesto istriano; si tratta di un trito composto da pancetta, aglio e prezzemolo, aromaticissimo e saporito, che mi ha davvero conquistata. Questa pancetta pestata con aglio di solito si aggiunge all’inizio della cottura e rappresenta il cuore delle minestre di verdura e di molti altri piatti.. Io l’ho usata come completamento della ricetta, un gusto forte, ma intrigantissimo, molto meno aggressivo di quel che credevo, con delle punte di aromaticità perfette in contrapposizione al gusto vellutato dei legumi.
La ricetta: Maneštra – La Minestra Istriana
(per 2 persone)
Ingredienti:
Per i panini-cappellini:
200 g di farina di segale
1/2 cucchiaino di lievito liofilizzato
1/2 cucchiaino di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale
Per la maneštra:
200 g di fagioli cannellini (già lessati)
200 g di ceci (già lessati)
1 carota
1 patata
1 cipollotto fresco
40 g di pancetta affumicata
1 pizzico di semi di finocchio
olio extravergine di oliva
sale, pepe

Per il pesto:
30 g di pancetta tagliata sottile
1 spicchio piccolo d’aglio
un abbondante ciuffo di prezzemolo

Ho preparato prima i panini, deponendo in una ciotolina, su circa 40 ml d’acqua tiepida, il lievito liofilizzato. Ho atteso qualche minuto, poi ho aggiunto lo zucchero di canna, ho mescolato e lasciato riposare per 10 minuti. 
Intanto ho preparato la farina, setacciandola con il sale.
Passati i 10 minuti, ho versato nella ciotola della farina, il primo miscuglio di acqua e lievito, mescolando con un cucchiaio. Pian piano, sempre mescolando, ho aggiunto circa altri 100-120 ml d’acqua. L’impasto deve essere vischioso e non lavorabile con le mani. Ho mescolato per circa 5 minuti e poi ho suddiviso negli stampi ben oliati. Io ho usato le stesse cocotte con cui avrei portato la maneštra in tavola. L’impasto deve stare a circa 3 cm dal bordo superiore.
Ho coperto con pellicola oliata e lasciato lievitare al riparo da spifferi per circa 30-40 minuti. 
Quando l’impasto raggiungeva il bordo delle cocotte ho infornato a 200° per circa mezz’ora. I panini devono suonare vuoti sul fondo, se percossi. Se vi accorgete che scuriscono troppo in fretta in superficie abbassate il forno, ma continuate la cottura. Ho poi lasciato raffreddare su una griglia.
Per la maneštra, ho preparato le verdure e la pancetta tagliando tutto a dadini.
Ho tritato il cipollotto e l’ho messo a soffriggere in un filo d’olio in una pentola dal fondo spesso, ho aggiunto anche la carota e, in un terzo tempo, la pancetta, lasciando che il grasso si sciogliesse. A questo punto ho versato in pentola i legumi, facendoli insaporire qualche istante nel soffritto. 
Poi ho ricoperto legumi e verdure con una parte dell’acqua di cottura dei legumi e una parte di acqua. Ho fatto insaporire e cuocere per dieci minuti, poi ho aggiunto le patate tagliate a dadini piccoli e ho proseguito la cottura per circa 20 minuti. Ho regolato di sale e pepe.
Nel frattempo ho preparato il pesto istriano, tritando finissimamente aglio e pancetta assieme e aggiungendo poi il prezzemolo sminuzzato con le forbici. Ho passato tutto in un padellino e ho fatto asciugare un po’ la pancetta, poi ho tenuto al caldo.
Al momento di servire ho tagliato la calottina superiore delle pagnottine. Ho versato la minestre nelle cocottes, ho completato con un cucchiaio di pesto istriano e coperto con la calottina di pane, schiacciando un poco perchè si imbevesse di sughino.
Con questa ricetta partecipo al contest I love Istra di Ambra de Il Gattoghiotto e Claudia di Verde Cardamomo in collaborazione con Ente Turismo Istria, e aspetto con ansia le ricette blu della seconda fase per partecipare di nuovo, magari non sul filo di lana. ;-P

ai fornelli, ricette originali

Cialda con gorgonzola, cipolle caramellate e fragole al pepe nero

Un piatto bello colorato, rosso come la passione, ma dal gusto fresco, originale e innovativo.
Non so come mi sia venuta l’idea di abbinare le fragole al gorgonzola, ma da un esperimento di sapori accostati è nato questo piatto che subito mi è parso adattissimo per la sfida di maggio del contest di Cinzia e Valentina, Colors & Food…what else?, al quale non avevo ancora partecipato nei mesi passati, pur divorando con gli occhi le splendide foto di tutte le contendenti.
Questa volta partecipo anch’io, sperando che la ricetta sia abbastanza rossa, abbastanza fresca e abbastanza passionale! 
Con il formaggio la frutta si abbina divinamente e questa delle fragole con il gorgonzola è stata una piacevole scoperta; tutto il resto è venuto da sè: le cipolle con il gorgonzola, il pepe nero che mi ricordava anche i puntini delle fragole…alla fine tutto era equilibrato, anche la punta di menta che pulisce il palato, alla fine!

La ricetta: Cialda con gorgonzola, cipolle caramellate e fragole al pepe nero
(per 2 porzioni)
pasta brisè (non l’ho pesata, ma tale da ricavare 2 quadrati di 10-12 cm di lato)
70-80 g di gorgonzola
1 cipolla rossa piccola
1 cucchiaio abbondante di zucchero di canna
150 g di fragole fresche e dal colore acceso
1/2 bicchiere di vino bianco
pepe nero
1 cucchiaio di mascarpone
4-5 foglie di menta fresca
olio, sale
Per le cialde: ho ricavato un reticolo con la pasta brisè tagliata a strisce e vi ho ritagliato due cuori con una formina per biscotti piuttosto grande, come si può vedere dalle immagini.

Poi ho infornato le cialde a 180° finchè non erano dorate.
Per la cipolla caramellata: ho tagliato a dadini piccoli la cipolla, l’ho messa in un padellino antiaderente con un cucchiaino d’olio, l’ho fatta soffriggere per qualche istante, poi ho aggiunto 1 cucchiaio d’acqua e l’ho fatta stufare, infine l’ho spolverata con un cucchiaio abbondante di zucchero di canna, attendendo che lo zucchero si sciogliesse e la cipolla si ammorbidisse.
Per le fragole: in un altro padellino ho messo le fragole, già lavate e tagliate a fettine, con un filo d’olio; le ho riscaldate e rigirate per un minuto da entrambi i lati, bagnate leggermente con un goccino di vino bianco secco ed ho aggiunto una spolverata di pepe nero. Infine ho spento e messo da parte.
Per la decorazione: ho tagliato due cubetti di gorgonzola e con due cucchiaini ho formato due piccolissime quenelles di mascarpone amalgamato a menta fresca tritata finissima. (io avevo del mascarpone in casa, ma in mancanza, un formaggio cremoso può andare benissimo)
Infine ho composto il tutto: sulla cialda ancora calda ho messo un po’ di gorgonzola, lasciandolo ammorbidire; sopra ho deposto una cucchiaiata di cipolle caramellate e ancora sopra le fragole al pepe, irrorando con il sughetto che si era formato nel padellino.
Accanto, nel piattino ho deposto un cubetto di gorgonzola e una quenelle di mascarpone con menta.

Con questa ricetta partecipo alla puntata di maggio del contest Colors & Food…what else? maggio: red passion, che trovate sui blog Essenza in Cucina e My Taste for Food.

Potete trovare questa cialda inserita in un goloso menù tutto rosso. Non vi resta che provare tutte le ricette!! 😀

ai fornelli, ricette originali

Mini-quiche alta-alta con asparagi, uovo e crescenza e la Sfida di Maggio

Inizio questo post con un ringraziamento a Valentina per il bellissimo premio che mi ha assegnato qui per la ricetta Crema verdina di asparagi con palline di pasta cresciuta e frittatina alle erbette. Devo ancora scegliere cosa ordinare…ma ho già dato un’occhiata ed avvistato un paio di vestitini molto carini ed estivi – se mai arriverà l’estate quest’anno.

Ho deciso di partecipare alla sfida di maggio del contest L’idea del mese te la do io, proposta da Laura di Nella cucina di Laura, perché l’ingrediente del mese sono ancora gli asparagi che adoro e che trovo davvero versatili in cucina!! 😀
Questa volta volevo trovare una presentazione graziosa ed accattivante per un accostamento classico: asparagi, uova e formaggio.
Ne è uscito uno sfiziosissimo piatto unico, che si può preparare anche in anticipo e poi riscaldare prima di servire in tavola.

La ricetta: Mini quiche alta-alta con asparagi, uovo e crescenza
(ingredienti per 2 miniquiche, diametro 9cm)
150 g di pasta brisé (un’ottima ricetta con cui la preparo anch’io qui, da Mirty)
70 g di crescenza
½ cipolla piccola (la mia era rossa, si vede nelle foto)
250 g di asparagi verdi
2 uova
4 cucchiai di ricotta salata grattugiata
vino bianco
olio
sale, pepe

Ho messo a cuocere gli asparagi ben puliti in acqua salata, tenendo da parte le punte, che ho messo su una griglia forata sopra la pentola in cui cuocevano i gambi, per farle ammorbidire a vapore e usarle come decorazione del piatto.
Ho tagliato finemente la cipolla e l’ho fatta rosolare in un filo d’olio. Quando ha cominciato a sfrigolare l’ho bagnata di vino bianco e lasciato sfumare, poi ho proseguito la cottura a fuoco lento finché non era morbida.
Intanto ho rivestito con la pasta brisè gli stampini per le mini quiches: io ho usato due cocotte monoporzione di ceramica da forno, con le pareti piuttosto alte rispetto al diametro, così che il contenuto dei tortini non strabordasse.
Ho lasciato intiepidire la cipolla per qualche minuto e poi l’ho mischiata con la forchetta alla certosa, rendendo il tutto cremoso e regolando con un pizzico di sale. Ho aggiunto anche due cucchiai di ricotta salata grattugiata.
Intanto gli asparagi erano cotti, li ho scolati e tagliati a tocchetti.
Ho deposto l’impasto di crescenza e cipolla all’interno della brisè, poi ho aggiunto gli asparagi a tocchetti con un filo d’olio.
Ho creato con un cucchiaino una voragine al centro di ogni ripieno. Ho aperto le uova e le ho deposte delicatamente, una in ciascun ripieno.
Ho spolverato con i due cucchiai di ricotta salata restante ed ho infornato i due tortini a 180° finchè il bordo di brisè non mi è parso ben cotto (per il mio forno, 20-25 minuti).
Ho atteso almeno 5 minuti prima di sformare nel piatto, aggiunto un sottile filo d’olio, una spolverata di pepe nero ed alcune puntine degli asparagi tenute da parte.

Con questa ricetta partecipo alla sfida di maggio del blog Nella cucina di Laura.

ai fornelli

Un Mercoledì Social con Muffin e Dintorni per il Food Revolution Day

Ieri a Torino si è svolto un piccolo evento al Circolo dei Lettori, nell’ambito del progetto Food Revolution Day di cui avevo parlato anche qui.
Marcela Senise, del blog MangiaCheTiFaBeneBimbo, ci ha presentato una serie di eventi da lei coordinati, in qualità di ambasciatrice del Food Revolution Day.

In Italia si mangia bene, e la dieta mediterranea nasce qui, eppure oggi c’è un preoccupante incremento dell’obesità infantile, dovuta ad un’alimentazione non corretta;
Jamie Oliver, il promotore di Food Revolution, sta cercando di porre rimedio a questa piaga, prima in Gran Bretagna ed ora negli USA, andando nelle scuole e parlando di cibo “vero”.
Ho provato a vedere qualche minuto del programma di Jamie Oliver nelle scuole della Virginia. E’ quasi incredibile pensare che i bambini americani sappiano benissimo cosa sia il ketchup, ma non sappiano distinguere un pomodoro intero da una patata. Così è incredibile che per velocizzare la preparazione del cibo nelle scuole vengano usati dei semilavorati, come i fiocchi di patate o i chicken nuggets già preconfezionati e surgelati. Si tratta di prodotti che contengono al loro interno una quantità incredibile di conservanti e di sostanze che ne modificano la durata, ma che assunti dal nostro organismo, soprattutto in caso di abuso, possono avere effetti devastanti.
Se migliorare la qualità dell’alimentazione in America significa abbandonare i prodotti con conservanti ed additivi, per noi il senso di questa rivoluzione può assumere anche altre sfaccettature. Promuovere un consumo più ampio di frutta e di verdura, cruda e cotta, prediligere i prodotti di stagione e a km zero, evitare gli sprechi e i prodotti industriali e tornare, per quanto possibile, a preparare in casa tante cose!!

Marcela, lavorando in una scuola dell’infanzia, è molto vicina alle problematiche dei bambini che non riescono ad approcciarsi correttamente al cibo. C’è chi vorrebbe mangiare sempre gli stessi cibi, come spesso avviene a quell’età, poiché il senso del gusto non è ancora correttamente sviluppato; c’è chi rifiuta alcuni cibi, senza mai averli assaggiati. Questo approccio è sbagliato, ma spesso alcuni genitori, per mancanza di tempo e talvolta anche per mancanza di fermezza non riescono ad educare correttamente in questo campo i loro bambini.
Eppure a volte bastano poci gesti, come presentare il cibo in modo più accattivante, cambiare spesso metodi di cottura, presentare in abbinamento, quando è possibile, lo stesso ortaggio cotto e crudo, per aiutare i bimbi a conoscere cosa c’è nel piatto.
Marcela ci fa notare che anche il momento della spesa, assieme alle mamme e ai papà, è importante in questo senso.

All’evento di ieri sera ho avuto finalmente la possibilità di incontrare Cecilia di Muffin e Dintorni, conosciuta virtualmente quando il mio blog era un neonato! Questa settimana, per il loro consueto appuntamento del Mercoledì Social, Cecilia e Micol mi hanno chiesto di cucinare assieme a loro, per celebrare l’imminente FoodRevolutionDay, il 19 maggio, e il nostro incontro di ieri sera.
Abbiamo pensato all’ortaggio sano e dietetico per eccellenza, la carota e deciso di preparare un piatto salato e un dolce, rendendo la carota protagonista.
Così il Mercoledi social è diventato Food Revolution Social.
Un primo passo per cominciare una rivoluzione sana nel cibo!!

La ricetta dolce la trovate sul blog di Cecilia e Micol.

Per quanto riguarda la ricetta salata ho abbinato un muffin salato alle carote con le carote crude di contorno.

La forma del muffin è di sicuro stuzzicante, grazie al ricciolo di formaggio in cima e al piccolo cuore di spinaci, che dà un tocco di colore e introduce un altro gusto “verde” nell’alimentazione.
Il muffin contiene carboidrati (la farina bianca e integrale – fonte di fibre), proteine (il formaggio, le uova, lo yogurt), grassi “buoni” (olio extravergine d’oliva) e naturalmente le carote. 
Le carote crude, irrorate di succo di limone, conservano tutte le vitamine che le altre avevano perso in cottura.

La ricetta: Muffins integrali alle carote con cuore verde

Per 10-12 muffins

farina bianca 140g
farina integrale 60 g
parmigiano grattugiato 80 g
lievito in polvere per salati 10 g
2 uova
yogurt bianco intero 1 vasetto (125 g)
olio extravergine d’oliva 6 cucchiai
formaggio di capra a dadini 60 g
carote strizzate 200 g
sale
due manciate di spinaci (i miei surgelati) fatti stufare in padella

Ho unito tutti gli ingredienti secchi: le due farine, il lievito in polvere, il formaggio grattugiato, il sale in una ciotola.
In un altro recipiente ho messo le carote grattugiate fini e strizzate leggermente, ed ho aggiunto mescolando, lo yogurt, le uova leggermente sbattute, l’olio extravergine di oliva.
Ho unito le due miscele, mescolando bene e aggiungendo il formaggio a dadini.
Ho suddiviso il composto in pirottini da muffin (i miei di silicone) e al centro di ciascuno ho deposto un piccolo cuore di spinaci stufati in padella.
Ho infornato a 170° per circa 20 minuti.

Per il “frosting” ho usato qualche cucchiaio di formaggio cremoso, fatto colare da un piccolo cono di cartaforno, e poi spolverato di maggiorana.

Per il lettino di carote, ho semplicemente grattugiato fine fine le carote e le ho spruzzate di succo di limone per farle restare di un bell’arancione vivo.


ai fornelli, ricette tradizionali

Tre vasetti – Tre conserve

Con una piccola anteprima pubblicata su Twitter ho anticipato con una foto questo post in cui pubblico le ricette di tre conserve che ho confezionato in tre vasetti riutilizzati.
Di diritto questo post finirà tra quelli dedicati a Friends of glass,  con altre conserve e ricette che valorizzano l’uso del vetro.
In primo piano, sulla sinistra troviamo il Dulce de Leche. Il vasetto che lo ospita prima conteneva del miele e, golosone com’è, ha voluto per sè un nuovo contenuto altrettanto dolce. 
A centro troviamo, timidona, la composta di fragole. Il vasetto una volta conteneva un’altra marmellata e ha preferito restare sul classico.
Il nanetto che vedete sulla destra era un vasetto di tonno…ora è una confettura di mela e mango…Ha voluto cambiare completamente contenuto, cosa che può fare benissimo, visto che il vetro, ben lavato, non conserva né odori né sapori ed è subito pronto al nuovo utilizzo.
Per sterilizzare i vasetti si possono ben lavare e poi fare asciugare in forno a 100° per circa 30 minuti.
Poi si possono riempire con la marmellata o composta ancora calda, chiudere subito e capovolgere per fare in modo che raffreddandosi lentamente il vasetto crei da solo il sottovuoto.
Se il contenuto di zucchero è inferiore al 50% del peso della frutta, conviene conservare il vasetto in frigorifero.
Le ricette:
Dulce de Leche
Si tratta di una “confettura di latte”, tipica dell’America Latina che pare sia stata preparata la prima volta in Argentina nel 1829; è letteralmente DELIZIOSA!
Il latte viene fatto cuocere con lo zucchero e un pochino di bicarbonato di sodio, fino a perdere tutta l’acqua. Il composto si riduce e si scurisce, fino a diventare una crema morbida e golosa.
Viene usata in particolare negli Alfajores de Maicena che ho preparato per il prossimo Tea Time, ma in Argentina è a tal punto un’istituzione che si mette dappertutto… Io ho provato anche ad aggiungerne un poco nel ripieno della torta di mele e trovare delle gocce di mou in mezzo alle mele è una vera goduria. Spettacolare anche su un pane un po’ rustico o integrale.
In Brasile è conosciuto come doce de leite e in Messico come cajeta; si chiama arequipe in Colombia e Venezuela ed è così diffuso in tutta l’America del Sud. 
Per prepararlo mi sono documentata principalmente sul blog Labna e sul blog di Fiordilatte.
Io ho usato il metodo tradizionale in pentola classica a fondo spesso.
Ingredienti:
1 litro di latte
300 g di zucchero semolato
1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio

Tutti gli ingredienti vanno messi insieme nella pentola, bisogna mescolare e poi mettere su fuoco bassissimo.

In effetti occorrono, pazienza ed alcune accortezze:
– usare una pentola grande, così, anche senza mescolare di continuo, non si rischia di far strabordare il latte bollente.
– tenere a portata di mano un mestolo di legno, che in caso di necessità aiuta ad abbassare la temperatura del latte.
– il dulche de leche, stando alla mia esperienza, segue un percorso regolare. Tenuto a fuoco bassissimo e mescolato spesso, ma non di continuo, formerà parecchia schiuma solo dopo 30-40 minuti sul fuoco. Basterà tenersi pronti e a quel punto mescolare con più vigore e più frequentemente; dopo 1 ora o poco meno comincerà ad imbrunirsi e a prendere il classico color caramello; dopo 1 ora e mezza si addenserà. Naturalmente questi tempi così precisi valgono per il mio fornello e la mia pentola, ma la ricetta è davvero facile e alla portata di tutti.
– dopo un’ora sul fuoco, per evitare la cristallizzazione dello zucchero, occorrerà mescolarlo di continuo. Io ho usato una frusta di materiale plastico duro (?), ma va benissimo anche il cucchiaio di legno.
– una volta che il dulce de leche ha consistenza densa, invasare, chiudere e capovolgere.
I residui che resteranno attaccati alla pentola si induriranno con il raffreddamento, ma andranno via con un po’ d’acqua e detersivo senza problemi. Il dulce de leche nel vasetto, invece resterà di una consistenza densa ma spalmabile con un po’ di pressione, come crema di nocciole, per intenderci. 
Qui il dulce de leche dell’altro vasetto, con un alfajores già farcito
 
Composta di fragole
Semplicissima e tradizionale. Per farla gelificare in breve tempo e non far virare il bel colore rosso vivo verso un colore più spento ho aggiunto delle bucce di mela verde che, contenendo pectina aiutano il rassodamento della composta. Ho usato poco zucchero, il 30% del peso delle fragole pulite, visto che il frutto era già molto dolce:
1 kg di fragole (per 4 vasetti)
30% del peso delle fragole pulite di zucchero
buccia ben lavata di mezza mela verde
(se piace aggiungere 2 stelle di anice stellato; io ho provato la scorsa volta ed è un gusto che ben si abbina con la fragola) 
Ho pulito le fragole, pesato lo zucchero corrispondente, tagliato le fragole a pezzettini minuti e mescolato il tutto in una pentola. Ho messo sul fuoco, aggiungendo poi la buccia di mela.
Ho lasciato prendere il bollore mescolando di tanto in tanto. Una volta che la composta bolliva ho mescolato più frequentemente, a fuoco lento, finchè non ha preso un po’ di spessore. Poi invasato, chiuso e capovolto fino alla formazione del sottovuoto. 
(in arrivo la foto della composta di fragole spalmata) 

Composta di mela e mango – Mela mang-i-o!
E’ stato un esperimento… è venuta fuori una gelatina dal gusto delicato e particolare. 
Un mango al giorno toglie il fabbisogno di vitamina A di torno! Per la mela già lo sapete…
Ho combinato insieme 350 g di mango pulito e tagliato a pezzettini con 120 g di mela sbucciata e grattugiata. Ho irrorato con il succo di 1 limone piccolo e lasciato riposare una mezz’oretta. Poi ho aggiunto in pentola lo zucchero, 180 g, mescolato e messo sul fuoco, seguendo lo stesso procedimento usato per la composta di fragole.
(in arrivo la foto della composta di mango e mela spalmata) 
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