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Ravioli di primavera (…quasi!)

Questi ravioli sono saltati fuori dal frigo da soli…La sera prima come antipasto per una cena tra amici ho fatto una passatina di ceci con sopra un involtino primavera da sgranocchiare. A seguire delle lasagne integrali con erbette e formaggio di capra. Dalla preparazione degli involtini era avanzato del cavolo bianco e delle carote, dalle lasagne invece un pezzo di impasto integrale…la sera seguente ho quindi pensato di preparare questi ravioli, dall’aria un po’ cinese, ma di forma italianissima, come i culurgiones sardi.
Il risultato è stato delizioso.

La ricetta: Ravioli di primavera (quasi!)

Per il ripieno:
un pezzo di cavolo bianco (circa g)
1 carota
1 porro
2 cucchiai di salsa di soia (io uso quella dolce)
vino bianco
sale
olio
In una padella ho messo un filo d’olio e il porro tagliato a rondelle a rosolare. Ho poi aggiunto la carota grattugiata a julienne e il cavolo tagliato a striscioline finissime. Ho fatto rosolare a fuoco alto per qualche minuto, poi ho aggiunto il vino bianco. Quando era sfumato ho aggiunto la salsa di soia. Ho lasciato insaporire ed asciugare e regolato di sale, assaggiando. Il ripieno deve restare abbastanza croccante.

Per confezionare i ravioli:
200 g farina (150 bianca, 50 integrale)
acqua tiepida
altra farina per la spianatoia
sale

Ho impastato la farina setacciata con un pizzico di sale aggiungendo gradualmente dell’acqua tiepida. L’impasto era morbido ma non appiccicoso. Deve riposare una mezz’ora infarinato e avvolto in un panno.

Ho poi steso la pasta sottilissima e ho formato con un coppapasta dei cerchi di 6cm di diametro.
Per formare i ravioli ho preso un cerchio di pasta nel palmo della mano sinistra, ho deposto al centro un po’ di ripieno e con la mano destra ho fatto l’intreccio dei culurzones, piegando alternativamente un lato e poi l’altro verso l’interno e saldando la punta finale. Ho seguito le istruzioni e le immagini de La Cucina Italiana, numero di novembre 2011.

Il ripieno non è compatto come quello dei culurgiones classici, quindi bisogna prendere un po’ la mano…ma basta lanciarsi!

Ho poi lessato i ravioli in acqua salata e li ho conditi con olio evo e poche gocce di salsa di soia dolce. Volendo si può dare una leggera spolverata di zenzero in superficie: il gusto si abbina bene con quello del ripieno.


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Biscotti allo zenzero candito e scaglie di fondente e il Pu Erh maturato in scorza di mandarino

Questa volta i biscotti sono nati di pari passo con l’idea dell’abbinamento.
Zenzero da abbinare con agrumi…zenzero con cioccolato…cioccolato con un Pu Erh dal gusto deciso…Trovato!!!
Ho fatto dei biscotti con zenzero e scaglie di cioccolato fondente e li ho abbinati con uno specialissimo Pu Erh. Si tratta di tè Pu Erh maturato in scorza di mandarino. In pratica ordinando questo tè da Coccole.it ci si trova davanti un piccolo capolavoro. Un mandarino svuotato dalla polpa, essiccato e ripieno di foglioline di Pu Erh. Si scarta la pellicola e un profumo delicato di tè con note agrumate arriva al naso. È davvero una coccola bere un tè così, un momento davvero speciale.
Vorrei parlare questa volta del rito del tè cinese, ma ci sono talmente tante cose da dire che comincerò solo con qualche cenno.


In Cina il tè e il rito ad esso legato hanno un‘importanza fondamentale. Non è sempre stato così, usi e costumi sul tè si sono evoluti nei secoli insieme alla società. Ad esempio inizialmente il tè era considerato un’erba di uso quotidiano non molto distante da una qualsiasi verdura e infatti l’infuso si preparava in utensili e recipienti di uso comune che venivano usati anche per altre destinazioni. Il tè si succhiava dai cucchiai e per goderne pienamente del sapore bisognava fare rumore con la bocca mentre lo si sorbiva. Oggi questa usanza è caduta in disuso!! 😉 Alcuni, però dopo aver bevuto il tè mangiano le foglie rimaste sul fondo della tazzina.
Se i primi tè venivano preparati nelle stesse pentole che servivano per cucinare il cibo, con la nascita di una più decisa distanza tra le classi sociali, si pensò anche ad utensili appositi per prepararlo e a servizi raffinatissimi per servirlo. Una buona teiera era uno status symbol e rifletteva il gusto dell’epoca e la raffinatezza del proprietario. 
Una ragione di più per sfoggiare il servizio di tazzine veniva dal fatto che offrire il tè era il primo gesto di benvenuto e quindi da questo dipendeva come ci si presentava al proprio ospite.




La ricetta: Biscotti allo zenzero candito e scaglie di cioccolato fondente abbinati al Pu Erh maturato in scorza di mandarino


Per lo zenzero candito homemade (io lo trovo perfetto anche da aggiungere allo yogurt bianco):
radice di zenzero fresco
zucchero semolato
acqua


Ho sbucciato lo zenzero e l’ho tagliato a piccoli pezzettini sottili.
Li
ho messi in un pentolino e li ho coperti d’acqua. Poi ho acceso il
fuoco bassissimo e ho lasciato sobbollire per circa un’ora.
Ho
scolato i pezzettini, li ho fatti intiepidire e li ho pesati. Ho
versato su di loro tanto zucchero quanto era il loro peso ed ho aggiunto
circa 200 ml di acqua. Ho rimesso sul fuoco bassissimo e ho lasciato
cuocere finchè l’acqua non era completamente asciugata. Qualcuno vi dà
misure ben precise per l’acqua da aggiungere. Io ho visto che la prima
quantità d’acqua si era asciugata ma lo zenzero era ancora scuro, allora
ne ho aggiunto un po’ e ho fatto caramellare di nuovo. Bisogna
regolarsi con il buonsenso.
Poi si prelevano i pezzettini con una forchetta e si mettono ad asciugare su una griglia.
Infine si rotolano nello zucchero semolato e si conservano in un barattolo di vetro, lontano dall’umidità.


Per i biscotti:
330 g di farina 00
1 cucchiaino di lievito per dolci
230 g di zucchero
2 uova
40 g di burro
1 cucchiaio di marsala
20 g di zenzero candito
30 g di cioccolato fondente (il mio era al 70%)


Il procedimento è molto semplice.
Ho disposto la farina a fontana in una ciotola capiente. L’ho miscelata con il lievito per dolci,  lo zucchero, le uova e il marsala. Ho cominciato ad impastare con un cucchiaio.
Ho aggiunto anche il burro fuso e intiepidito.
Quando l’impasto ha raggiunto una certa consistenza l’ho rovesciato sulla spianatoia e l’ho impastato a mano.
L’ho appiattito  e vi ho versato lo zenzero candito, impastando per distribuirlo
Per ultime si aggiungono le scaglie di cioccolato fondente, tenute in frigo fino all’ultimo.
Si formano dei rotoli di impasto, larghi circa 5 cm.
Si infornano su carta forno per circa 20 minuti a 175°.
Poi si prelevano e si tagliano in diagonale a fette di 1,5 cm di spessore che si ri-infornano per tostare. Ci vogliono circa 10 minuti.



Lo zenzero emerge senza essere troppo forte e piccante nei biscotti, si sposa a meraviglia con il gusto caldo del fondente. L’abbinamento con il Pu Erh maturato in scorza di mandarino è forse tra i più azzeccati finora. Il mandarino nel tè è un’idea, un’aria che si percepisce per brevi istanti, a ogni sorsata, e lascia un persistente aroma di agrumi leggero leggero. La dolcezza è resa appena più pungente dal vago sentore di affumicato che caratterizza i Pu Erh.

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Per Rossella Urru #freerossellaurru

Oggi niente ricette…

Ho deciso di partecipare a questa mobilitazione dei blog per Rossella Urru, dopo aver letto alcune delle lettere lasciate sul blog aperto dai suoi familiari, dopo il sequestro. Il blog è una raccolta di lettere e testimonianze, di chi ha conosciuto personalmente Rossella, i suoi desideri e le sue aspirazioni, e di chi ne ha solo conosciuto la storia dopo il sequestro. Leggendo alcune parole in dialetto mi sono tornate alla memoria quelle che imparate da bambina quando mia mamma mi portava in vacanza in Sardegna dai nonni, proprio in provincia di Oristano, vicino ai luoghi in cui è cresciuta Rossella.
Quando si scrive di una persona che non si conosce di solito è perché la si sente vicina. E attraverso la lingua di mia madre, io mi sono sentita vicina a Rossella, quasi per un senso di appartenenza ancestrale.
Così è facile.

Poniamo invece che ci si senta vicino a persone che hanno un’altra lingua, altre usanze, altre credenze e abitudini. E ci senta così vicino a costoro da mettere in pericolo la propria vita per aiutarli.
Rossella si occupava della distribuzione dei rifornimenti alimentari che il CISP, Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli, manda alle popolazioni locali. Fino al giorno del rapimento coordinava il campo per rifugiati Saharawi, a Hassi Rabuni presso Tindouf, nel sud dell’Algeria. La sua attenzione era principalmente rivolta alle fasce deboli, le donne e i bambini. I Saharawi vivono lì da 30 anni, protetti ma in esilio, al centro di grandi interessi e lotte. E Rossella sapeva bene di essere in una zona a rischio, ciò nonostante era lì.
Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre Rossella, insieme a due colleghi, è stata rapita da un gruppo estremista, il Movimento Monoteista per il Jihad nell’Africa Occidentale. Dal video diffuso in dicembre si sa che sta bene, ma non viene liberata. In Italia non se ne parla, in tv hanno risalto notizie diverse…ai tg nazionali si parla di chi ha baciato Schettino. L’attenzione è ben diversa da quella suscitata dal caso di Simona Pari e Simona Torretta, rapite nel settembre del 2004, e mi chiedo perché.
Forse il Ministero degli Esteri sta lavorando per lei, ma al suo caso non viene dato pubblico risalto.
Rossella ha sentito la vicinanza con il popolo Saharawi perché ha riconosciuto in loro una vicinanza “umana”. Non si è trattato di andare ad aiutare connazionali o persone vicine; lei è andata ad aiutare queste persone in quanto esseri umani. Pensarlo è facile, farlo è un’altra cosa.


Ora tocca a noi aiutare Rossella.
Gli animali abbandonano i membri del branco più deboli quando vengono catturati. Ma noi siamo umani, come lo è Rossella e come lo sono le popolazioni per cui lei si è messa completamente in gioco. Non possiamo abbandonarla, e non può farlo lo Stato a cui lei dà lustro molto più dei mercenari che combattono per denaro.
Se vogliamo far emergere la nostra umanità, dobbiamo parlarne; di lei come degli altri sequestrati di cui non si parla. Ci sono altri 9 ostaggi italiani nel mondo, in balìa di gruppi terroristici o banditi:
Maria Sandra Mariani, rapita il 2 febbraio 2011 in Algeria; Franco Lamolinara, rapito il 12 maggio 2011 in Nigeria; Daniele Grasso, Agostino Musumeci, Letterio La Maestra, Valentino Longo, Carmelo Sortino, Francesco Bacchiani, rapiti nel dicembre 2012, sulla motonave assaltata da pirati somali nel Golfo dell’Oman; Giovanni Lo Porto, rapito il 19 gennaio 2012 in Pakistan;

La forza della “rete” deve farsi sentire e diventare un’unica voce forte, affinchè Rossella – e tutti gli altri – possano tornare presto a leggere tutto quello che abbiamo scritto per loro.

*le immagini di Rossella sono prelevate dal blog dei suoi familiari.
**per altre informazioni fate riferimento al blog di Sabrina Ancarola e a Donne Viola

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Torta di pesce bianco con besciamella al porro e Fiordifrutta all’uva spina

Esiste un piatto irlandese che si chiama Fish Pie ed è composto da filetti di pesce bianco insaporiti con porro e cipolla ed altri aromi e ricoperto da un soffice puré di patate che poi viene fatto dorare in forno.
Per la ricetta da dedicare al contest Rigoni di Asiago “Una torta salata ma non troppo” con Fiordifrutta ho pensato di partire da questa ricetta, rielaborandola.
Ho messo innanzitutto una base di pasta brisé che fa da controaltare alle sfoglie di patata deposte sullo strato superiore. Il ripieno è composto di merluzzo fresco, insaporito da una besciamella leggera e da porro stufato in padella con vino bianco, maggiorana e coriandolo.
Il tocco speciale è dato da alcuni cucchiaini di Fiordifrutta all’uva spina, deposti nel ripieno, prima di coprire il tutto con le patate. 
Fiordifrutta all’uva spina è dolce e delicata e si sposa perfettamente con il pesce, avvolto dalla besciamella. La torta si gusta tiepida.




La ricetta: Torta di pesce bianco con besciamella al porro e Fiordifrutta all’uvaspina.
(ingredienti per una monoporzione-piatto unico o bi-porzione da accompagnare a una bella insalata)
1 patata media (circa 150 g)
70 g di pesce bianco a filetti (io ho usato merluzzo fresco)
1/2 porro
mezzo bicchiere di vino bianco secco
sale
pepe
maggiorana
coriandolo
alloro
olio evo
4 cucchiaini di Fiordifrutta Rigoni di Asiago all’uvaspina
1 pasta brisé già pronta (non servirà tutta)





per la besciamella senza burro:
125 ml di latte
35 g di farina
1 cucchiaino abbondante d’olio
sale
pepe




Ho sbucciato la patata , l’ho tagliata in 2 e l’ho messa in acqua fredda a lessare. Non deve cuocersi completamente ma solo ammorbidirsi, (poi finirà di cuocere in forno).
In un pentolino ho lessato il merluzzo, fino a renderlo tenero. Poi l’ho scolato e sbriciolato con la forchetta e condito con un pizzico di sale e un filo d’olio.
In un padellino ho rosolato la parte tenera del porro, tagliato a rondelle, in un filo d’olio. Poi ho aggiunto il vino bianco e ho fatto stufare finchè il porro non è diventato tenero. Ho poi insaporito con sale, pepe, maggiorana, alloro sbriciolato e coriandolo schiacciato. Ho spento e messo da parte.
Ho preparato una besciamella, mischiando il latte con la farina, un pizzico di sale, un cucchiaino d’olio e una spolverata di pepe. Ho fatto raddensare sul fuoco sempre mescolando.
Una volta che la besciamella era pronta e densa vi ho aggiunto il porro e il merluzzo e ho mescolato il tutto.
Ho rivestito con la pasta brisé una pirofila quadrata di 15 cm di lato. Vi ho deposto il ripieno e livellato il tutto. Poi con un cucchiaino ho messo la Fiordifrutta all’uvaspina a intervalli regolari (io ne ho messo 4 cucchiaini).
Ho coperto lo strato di ripieno con fette sottili di patata disposte in cerchi, che ho poi spennellato di olio e spolverato con un pizzico di sale e maggiorana in abbondanza. Per ultima cosa ho rivoltato verso l’interno la pasta brisé in eccesso.
Ho cotto a 175° per circa 30 minuti.
Lasciare intiepidire e poi servire.

Come detto sopra con questa ricetta partecipo al contest Rigoni di Asiago “Una torta salata ma non troppo“.

ai fornelli

2 premi, 7 dolci e 7 cose su di me che non sapete!

Già ormai qualche settimana fa Simona mi ha assegnato un piccolo riconoscimento:

Le regole sono queste:
– ringraziate la persona che vi ha nominato e linkatela nel post.
– condividete 7 fatti che riguardano la vostra vita.
– mandate l’award ad altre 15 foodbloggers che ritenete abbiano un blog interessante e comunicate loro il premio.
Io ho conosciuto Simona e il suo splendido blog grazie al contest Cib’Arte ed è stato un vero onore essere nominata da lei!! 😀

Poi, domenica mattina, mi sono svegliata con una twittata speciale sul cellulare.

Era La Cuochina Sopraffina che mi assegnava un premio molto carino:
Inutile dire che mi ha fatto molto piacere essere tra le dieci blogger segnalate da Veru, che rappresenta una tappa quotidiana nel mio giro di blog, anche quando non lascio un commento! Quotidiana perchè ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da leggere…(ma come fai, Veru??? 😉
Eccco qui le regole del premio cake blog di qualità:
– nominare e ringraziare chi vi ha inviato il premio, linkando il suo blog
– condividere 7 ricette dolci importanti per noi
– nominare 10 blogger a cui assegnare il premio

Il giorno dopo anche Paola mi ha giratoquesti due premi!! 😀

Io ho barato un po’, perchè ho concentrato i due premi in un solo post, ma visto che queste du cosine stanno girando insistentemente tra i blog in questi giorni, le foodblogger che volevo segnalare potranno scegliere tra i due il premio che non hanno ancora ricevuto. (Potranno anche non scegliere nulla, se non hanno tempo da dedicare a questa cosa…ma a me faceva piacere segnalarvi!!)

Ecco le 7 cose su di me:

Ecco Brunella!!

1. Da quando io e il mio fidanzato siamo andati a vivere insieme, mi manca terribilmente la mia bella Brunella che è rimasta a casa con i miei.
2. Per 3 anni ho cantato in una rock band amatoriale.
3. Ho ¾ di romanzo scritto nel cassetto, che forse un giorno finirò…
4. Sono figlia unica e sogno una famiglia numerosa…per ora mi accontento di quella del mio fidanzato!
5. Mi dimentico sempre di indossare il grembiule per cucinare…arrivo a casa di corsa, mi metto ai fornelli e solo quando arriva il primo schizzo o la prima spolverata di farina, mi ricordo del grembiule…qualche volta riesco ad evitare i danni.
6. Non arrivo mai con calma agli appuntamenti…sono sempre di corsa per arrivare in orario, o per minimizzare il ritardo!
7. Ho un carattere abbastanza pacifico e accomodante, spesso lascio correre… Ma quando qualcuno mi fa arrabbiare sul serio… ecco, poi non mi rivede mai più!!

E i miei 7 dolci sono questi: 
Le pavlove con crema al mascarpone e caffè, perchè sono a metà tra una meringa dal cuore soffice e un godurioso tiramisù.
La torta di mele con crema alla cannella, perchè è così che deve essere una torta di mele!
Lo strudel di mele e pere, perchè ha il profumo dell’inverno, dei pomeriggi in cui si guarda la neve scendere silenziosa fuori dalla finestra.
La gubana, perchè era la prima volta che mi cimentavo in un dolce lievitato così eleborato e perchè il profumo (e il sapore) ha così tante sfumature da conquistare al primo assaggio.
La torta al cioccolato fondente con gelée di melograno, perchè la torta al fondente si può riciclare con qualsiasi farcitura, e al naturale è perfetta per la prima colazione.
La torta al cacao con crema ai lamponi, perchè è la torta di compleanno del mio Amore.
Il rotolo al lemon curd, questa è la mia torta di compleanno…e poi c’è il Lemon Curd, servono altre ragioni???
Adesso arriva l’elenco di blog a cui assegno i premi. 
Simona’s Kitchen (solo il cake blog di qualità!)
La Cuochina Sopraffina (solo il versatile blog award!)

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Cupolette di yogurt “Sopraffino” con crema di nocciole e mele

Lo yogurt è un alimento semplice dalla storia antichissima. In un tempo lontano lontano le popolazioni nomadi dell’Asia centrale lo scoprirono per caso. Il latte fermentato si utilizzava fin dalla preistoria; conservato in otri di pelle, il latte delle diverse bestie, dalla vacca, alla capra, alla cammella, era soggetto a trasformazioni batteriche naturali che ne prolungavano la durata nel tempo.
La leggenda narra che un pastore, dimenticato del latte in un otre per un certo tempo, lo ritrovò trasformato, più denso e saporito, e probabilmente così avvenne a causa delle fermentazioni naturali innescate da una temperatura vicina ai 40°C.
Dalle steppe armene-caucasiche lo yogurt si diffuse presto in tutto il bacino del Mediterraneo, con il nome derivato dalla parola turca che significa mescolare, yogurmak.
Lo yogurt è citato nella Bibbia e descritto da Aristotele, Senofonte, Erodoto e Plinio il Vecchio e sicuramente venne molto utilizzato in Grecia e poi nell’Impero Romano.

Riparte dal Medio Oriente per l’utilizzo in cucina. Impiegato dagli Arabi e raccontato nelle Mille e una notte, come portata di lussuosi banchetti, trova uno spazio anche nelle Cronache dei Crociati, e pare che Francesco I di Francia – questo signore dalle immense maniche qui di lato –  guarì miracolosamente dopo una cura a base di yogurt prescrittagli da un medico di Costantinopoli.
In Occidente tuttavia lo yogurt non attecchì affatto e si dovette aspettare il XIX secolo e i progressi della microbiologia per scoprire il batterio responsabile dei giovamenti che lo yogurt apporta all’intestino. Il ricercatore russo Ilya Ilyich Metchnikov giunse alla conclusione che l’invecchiamento dell’uomo avviene in maniera più rapida ed inesorabile soprattutto se questi fa abuso di carne e poca attività fisica. Colpa dei batteri che si concentrano nel colon. Ma l’invecchiamento e l’insorgere di molte gravi malattie si può rallentare con l’apporto costante di alcuni microrganismi che contribuiscono a purificare quel tratto di intestino, proprio i microrganismi presenti nello yogurt.

Questi studi gli valsero un premio Nobel e da allora si cominciò la commercializzazione dello yogurt. Il primo stabilimento commerciale aprì a Barcellona nel 1919 dall’iniziativa dell’imprenditore Isaac Carasso, un medico di origini greco-giudaiche. Egli chiamò la sua impresa “Danone” e il suo impero dura ancora oggi!

La ricetta: Cupolette di yogurt solido alla crema di nocciole e mele
(4 cupolette)

Per la copertura di mele:
1 mela golden grande
2 cucchiai di zucchero di canna
1 pezzetto di burro (circa 20 g)

Per lo yogurt solido:
2 vasetti di yogurt bianco intero (250 g)
4 cucchiaini di zucchero
2 cucchiaini colmi di crema di nocciole
12 nocciole intere + 2 cucchiai di nocciole in granella
3 fogli di gelatina

Per la base:
una fetta di torta al cioccolato fondente (in mancanza potete usare biscotti tipo Pandistelle aumentando leggermente la quantità di burro)
15 g di burro

Ho messo ad ammorbidire i fogli di gelatina in poca acqua fredda.
Ho sbucciato e tagliato la mela prima in quarti e poi a fettine lunghe e sottili.
Ho fatto sciogliere il burro e lo zucchero di canna in un padellino, poi vi ho adagiato le fettine di mela e le ho fatte ammorbidire a fuoco basso. Poi ho spento e lasciato intiepidire in un piatto.
Ho mescolato lo yogurt con i cucchiaini di zucchero e con la crema di nocciole resa fluida a bagnomaria. Il composto non deve essere perfettamente omogeneo; è meglio se presenta qualche striatura.
Ho aggiunto le nocciole qualcuna intera e qualcuna tagliata a metà.
Ho preparato gli stampi, nel mio caso semplici tazze coniche, rivestendoli di pellicola trasparente. Sul fondo di ogni stampo ho messo un cucchiaino di granella di nocciole; tutt’intorno, sulle pareti dello stampo ho adagiato le fettine di mela.
Preparati gli stampi, ho strizzato i fogli di gelatina e li ho fatti sciogliere sul fuoco, con un cucchiaio d’acqua. Poi ho aggiunto subito la gelatina fluida al composto di yogurt e crema di nocciole.
Ho fatto colare questo composto negli stampi preparati in precedenza. Ho fatto raffreddare a temperatura ambiente e poi in frigo per almeno un’ora.
Ho sbriciolato la torta al cioccolato e ho passato queste bricioline nel padellino imburrato dove avevo passato le mele. Se occorre aggiungere poco burro. Ho formato una pappetta e l’ho adagiata sui semifreddi parzialmente solidificati livellando con il dorso di un cucchiaio. Ho rimesso in frigo per circa due ore.

Al momento di servire ho sformato sul piattino, capovolgendo la tazza e togliendo successivamente la pellicola. Ho decorato con marmellata, ma se avete qualche cucchiaino di crema di nocciole per fare lo stesso disegnino sul piatto sarà ancora meglio!

Con questa ricetta partecipo al contest di La Cuochina Sopraffina in collaborazione con EasyYo e QVC, Yogurtino Sopraffino rendi speciale il tuo piattino.


ai fornelli

Un regalo da Paola

Quest’oggi pubblico un post tutto dedicato a Paola di Nastro di Raso.
Forse qualcuno si ricorderà che avevo vinto un premio speciale nel suo contest Licenza di Copia con la mia copia della sua ricetta dello Strudel di Mele.

Ecco le motivazioni dei giudici:

  • Paola: lo strudel ormai lo fanno tutti con la pasta
    sfoglia, anzi molti non sanno nemmeno che esiste una pasta apposita
    nella ricetta tradizionale. E’ bello tramandare queste ricette, anche se
    poi spesso siamo obbligati a usare delle scorciatoie nella cucina di
    tutti i giorni. L’uso di mele, pere e noci lo rende senza dubbio goloso e
    la riduzione al porto completa questo dolce in modo originale.
  • Roberto: lo strudel è tra i miei dolci preferiti, vincente la riduzione al porto.
  • Riccardo: vincente l’uso di due qualità di mele
    diverse (fuji e golden, anche se io avrei preferito la smith alla
    golden) per avere al palato nello stesso momento consistenze differenti.
    Interessante l’aggiunta della pera. Ottima la scelta della riduzione al
    Porto (da vecchio alcolista…). Le foto esaltano appieno l’”umorosità”
    (intendo il suo essere umido e non secco) del dolce. 
      “

Dunque il premio è arrivato e ce lo siamo pure pappato, nel frattempo, eccezion fatta per un piccolo pezzettino di salsiccia, che vedrà la morte entro pochi giorni, e qualche zolletta di zucchero.

Questa la foto del contenuto del super pacchetto, scattata solo quando avevamo le labbra già sporche di briciole!!! ^o^

Come si può vedere, nonostante la scarsa qualità dell’immagine… 😉 …il pacco conteneva dei sablé al pecorino e rosmarino e sablè al pepe rosa, dei biscotti alle nocciole e gocce di cioccolato dalla consistenza spettacolare, delle zollettine di zucchero aromatizzato alla cannella e una confezione della salsiccia tipica di Monte San Biagio.
Si vede anche bene che la maggior parte dei sablès erano già finiti nei nostri pancini e che una salsiccetta l’avevamo già fatta fuori a cena!!!
Purtroppo non si vede che i nastrini con cui erano legati i sacchettini riprendevano i colori del bigliettino da visita…ma questi sono dettagli!!! 😀

I sablè salati e i biscotti si sono conservati ottimamente durante il viaggio; se la preoccupazione di Paola era che arrivasse tutto sbriciolato, devo dire che stavolta le Poste hanno fatto bene il loro lavoro!!! Io ho amato in particolare i sablé al pepe rosa e i biscotti alle nocciole che, ripeto, erano perfetti, sodi ma friabili!!
Gli zuccherini non hanno preso umidità e sono buoni anche così al naturale!!
La salsiccia di Monte San Biagio è una cosa che non si può descrivere!! Il coriandolo è una spezia che conoscevo solo di nome…dà a questa salsiccia un aroma inconfondibile e particolarissimo e se vi capita di andare da quelle parti è assolutamente da provare perchè è tipicissima. A questo proposito, se volete conoscerne la storia vi consiglio di andare a leggere il post che Paola le ha dedicato tempo fa! Lo trovate qui—->.
Per tutte le altre ricette le trovate sul blog di Paola ai link che ho già indicato sopra.

Grazie ancora, Paola, per la bellissima e buonissima sorpresa!! 😀

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Cuori al tè e cuori di tè…verde

Foglie e fiori della Camelia Sinensis
Oggi voglio parlare di tè verde. Dopo secoli in cui in Occidente solo il tè nero la faceva da padrone, negli ultimi anni il consumo di tè verde si è andato sempre più diffondendo.
In realtà il tè verde deriva esattamente dalla stessa pianta, la Camelia Sinensis, ciò che cambia è la preparazione delle foglie per l’infusione. In pratica le foglie raccolte vengono subito lavate a vapore ed essiccate, non vengono fatte fermentare e in questo modo restano verdi. L’infuso che ne deriva è più delicato e fresco, non particolarmente strutturato e dal gusto tendente all’erbaceo. Il colore è più chiaro, giallino, a volte tendente al verde anche in tazza, come nel caso del matcha giapponese.
In Oriente il tè verde è il più utilizzato, in Giappone ad esempio il tè nero viene riservato agli Occidentali mentre quello verde è bevanda nazionale, più bevuto dell’acqua. E proprio da qui è partito l’input per una scoperta sorprendente.
In Giappone, paese di accanitissimi fumatori, il tumore al polmone è poco incidente. Questo fatto è stato messo in correlazione con il forte consumo di tè verde e dopo analisi e ricerche è stato effettivamente dimostrato che nella bevanda è presente un polifenolo in grado di rallentare la crescita di masse tumorali. Non è l’unica proprietà, in quanto è dimostrato anche che i flavonoidi contenuti nel tè verde proteggono dall’infarto, così come i disturbi circolatori e cardiovascolari sono meno incidenti nei forti bevitori di tè.
In ultimo questo tipo di tè contribuisce ad attivare la  flora batterica intestinale e aiuta a dimagrire, perché aumenta la velocità con cui l’organismo riesce a bruciare i grassi. Questo ultimo effetto non è dovuto alla teina, come si potrebbe pensare, che invece in questo tipo di tè è meno incidente che nel tè nero, ma alle catechine che aumentano naturalmente la termogenesi e il consumo di calorie… una ragione per concedersi un biscotto in più! 😉
Bersagliati da tutte queste informazioni salutari, l’unica cosa che resta da dire è che il tè verde è anche buono. Piace a chi ama gli infusi delicati e freschi e diventa una vera golosità se “corretto” con qualche semino di vaniglia.
L’infusione consigliata per i tè verdi è a temperatura relativamente bassa, circa 75° C, e l’acqua non va versata direttamente sulle foglie per non “bruciarle”.

La merenda del giorno di San Valentino è stata l’occasione giusta per provare i cuori di tè dell’Azienda Ferri. Vengono inviati in una scatolina nera e, dopo la prima sorpresa iniziale, scopro che si tratta semplicemente di tè pressato, senza l’aggiunta di alcun additivo. La pressatura è un metodo antico, utilizzato da sempre dai mercanti per un trasporto più comodo e per proteggere il tè dall’umidità che l’avrebbe rovinato. Oggi la pressatura si utilizza per dare una forma originale al tè e l’Azienda Ferri commercializza molte eleganti tipologie di tè confezionate in questo modo.
Per ciò che riguarda i cuori, sono disponibili sia di tè verde sia di tè nero. La presentazione è deliziosa se vengono messi sul piattino, accanto alla tazza.

Io ho messo l’acqua in una teiera e poi ho immerso il cuoricino di tè per ottenere una buona tazza di infuso giallino e profumato. 

Mi è sembrato naturale accostare a questo tè verde in tazza a una ricetta di biscotti già provati altre volte, ovvero i biscotti al tè verde, con l’aggiunta di mandorle tritate.
Il gusto erbaceo del tè verde si sposa benissimo con la delicatezza delle mandorle e fa sì che nessuno dei due gusti sia predominante sull’altro.

La ricetta: Cuori al tè verde e mandorle

Ingredienti:
50 g di farina
50 g di maizena
30 di mandorle spellate e tritate
60 g di burro
60 g di zucchero di canna
1 tuorlo
1 cucchiaino di latte
2 cuori di tè verde sbriciolati

Ho lavorato il burro con lo zucchero di canna, fino a formare una crema.
Ho aggiunto i cuoricini di tè verde sbriciolati e poi ho cominciato ad incorporare maizena e farina e man mano anche il tuorlo sbattuto con un pizzico di sale. Poi ho aggiunto le mandorle tritate finemente e per lavorare meglio l’impasto ho aggiunto anche un cucchiaino di latte.
Alla fine l’impasto era abbastanza morbido e l’ho lasciato riposare coperto per circa un’ora in frigo.
Trascorso questo tempo ho fatto scaldare il forno a 180°.
Ho steso la pasta con il mattarello dell’altezza di circa mezzo centimetro e ritagliato i biscotti usando due formine a cuore di diversa grandezza.
Ho infornato e lasciato cuocere finché i bordi non erano leggermente dorati, nel mio caso circa 10-12 minuti.

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Crema di patate e porri con champignons trifolati

Un post veloce veloce per una ricetta veramente semplice ma veramente speciale in queste sere fredde e nevose. Ho abbinato ad una crema fatta con patate e porri dei smeplicissimi champignons passati in padella con aglio e prezzemolo. Il gusto deciso dei funghi dà una nota in più alla delicatezza della crema di porri. Qualche fetta di pane integrale e la cena è risolta!!
La ricetta: Crema di patate e porri con champignons trifolati.
(per 2 persone)
250 g di champignons freschi
2 patate medio-piccole
1 porro
brodo vegetale (l’ho fatto sul momento con carota, cipolla, aglio e sedano)
vino bianco
olio
sale
pepe
Ho lessato le patate.
In una padella ho versato un filo d’olio e uno spicchio d’aglio schiacciato e una volta che era imbiondito ho aggiunto i funghi tagliati a fettine sottili e fatto sfumare due dita di vino bianco. I funghetti tireranno fuori un po’ d’acqua. Ho proseguito la cottura a fuoco vivace, girando spesso e regolando verso la fine della cottura con il sale.
Nel frattempo in un’altra padella ho messo a rosolare il porro tagliato sottile sottile; ho proseguito la cottura finchè non era morbido, aggiungendo man mano qualche cucchiaio di brodo. Poi ho aggiunto un po’ del brodo rimasto e le patate lessate in precedenza, ridotte in purea. Con il brodo bisogna regolare la consistenza della crema e infine regolare di sale, tenendo presente che i funghetti saranno più saporiti. 
questa volta ho dato una frullata ai porri, rendendo il tutto più cremoso, vista la presenza solida dei funghi; altre volte invece ho lasciato i porri a fili, senza che risultino assolutamente fastidiosi al palato.
Ho servito in piatti larghi, adagiando i funghetti da un lato, sopra la crema.

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Panini che sembrano brioches e il mio Amore a lenta lievitazione

Il mio amore non è una torta al cioccolato o un bombolone alla crema. Se devo associare un cibo all’amore, così, generico, mi vengono in mente cose dolcissime e colorate e cremose…ma se penso all’Amore, al Mio Amore, mi viene naturale pensare al pane. Pane morbido, profumato, fragrante. Pane che solo a sentirne il profumo solletica lo stomaco…non è lo stesso sintomo dell’Amore?
Non parlo spesso di me sul blog, ma di questa cosa parlo volentieri.
Incontrati di corsa, di sfuggita, sette anni prima, quando eravamo ancora un impasto non ben definito; ci siamo piaciuti ma poi abbiamo continuato a vivere le nostre vite. Sette lunghi anni di cose belle e brutte…e poi ci siamo rivisti. E non c’è voluto molto perché ci innamorassimo. Una settimana – o poco più – ed eravamo già belli cotti!
<<Io sono felice che Tu mi abbia fatto posto tra i tuoi libri ed i tuoi dischi, e che ogni giorno tre quarti del tempo che passiamo insieme sia fatto di risate. Il nostro è un Amore croccante e sempre fresco…come il pane.>>

Per inaugurare le due settimane che precedono il famoso/famigerato San Valentino ho pensato di proporre questi panini; sono panini inglesi, dall’impasto bello ricco. La loro mollica è fitta ma morbida e non collosa, e la crosticina esterna è croccante. Profumano quasi di brioches. La loro lievitazione è in due tempi (ma non troppo lenta, si fanno in una mattinata) e la cottura è rapida… come il Nostro Amore.
La ricetta originale è presa dal libro Il Pane Fatto in Casa di Christine Ingram e Jennie Shapter; io ho apportato alcune variazioni, anche nella quantità di lievito, allungando poi i tempi di lievitazione.

 

La ricetta: Panini al latte (12 panini)
450 g di farina bianca (225 g di tipo 00 e 225 g di tipo Manitoba)
2 cucchiaini di sale
1 cucchiaino colmo di zucchero
1 cucchiaino di lievito in polvere
45 g di burro morbido
250 ml di latte tiepido
1 uovo

Ho mischiato in una ciotola capiente le due farine setacciate con il sale, poi ho aggiunto lo zucchero e il lievito in polvere, mescolando bene. Ho aggiunto il burro mescolando con un cucchiaio. Ho creato una fossetta nel centro ed ho iniziato ad aggiungere il latte, sempre impastando con il cucchiaio, e successivamente parte dell’uovo sbattuto; non tutto, perché altrimenti l’impasto risulta troppo molle.
Ho trasferito sulla spianatoia infarinata ed ho impastato per una decina di minuti con energia.
Ho deposto l’impasto nella ciotola, dopo averla unta, e coperto con pellicola sempre leggermente unta d’olio. Poi ho avvolto il tutto in due canovacci ed ho messo a lievitare in una stanza calda per 2 ore abbondanti.
Ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato e poi l’ho diviso in 12 pezzi.
Ho modellato i pezzi di forma diversa, treccia, nodo, spiga…
Ho deposto i panini su carta forno, ben distanziati, coperto con la solita pellicola unta e lasciato lievitare un’ora buona.
Intanto ho scaldato il forno a 210°.
Prima di infornare ho spennellato i panini mischiando l’uovo avanzato dall’impasto con un goccino di acqua tiepida.
Ho cotto per 15 minuti, finchè non erano belli dorati.

 

Con questa ricetta partecipo al contest “Cibo & baci” di About Food in collaborazione con Smartbox, nella categoria “ricette salate”.

E partecipo anche al romatico contest “CUCINANDO CON IL CUORE – Il contest degli innamorati” del blog L’aroma del caffè di Valentina.
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Piccole Pavlove con crema al caffé

La storia della Pavlova è raccontata su quasi tutti i foodblog di coloro che si sono cimentati nel prepararla. 
Anna Pavlova fu una bella e leggiadra ballerina russa che, a inizio secolo scorso, incantò con la sua nuvola di tulle un pasticcere australiano di Perth che l’aveva vista esibirsi ne La Morte del Cigno. In suo onore il pasticcere inventò la Pavlova, un dolce di meringa che resta soffice all’interno grazie all’azione dell’aceto.
I Neozelandesi però se ne attribuiscono anche loro la paternità! E forse potrebbe essere pur vero, visto che una “Meringa ripiena alla frutta” compare in un ricettario neozelandese del 1926, lo stesso anno del tour australiano di Anna Pavlova.
Certo è che la leggiadria della ballerina colpisse davvero i suoi spettatori, fino al punto di paragonarla ad una soffice meringa. La Pavlova rivoluzionò il mondo del balletto russo. Fino ad allora le ballerine erano state molto forti fisicamente e, per questa ragione, decisamente tozze. La Pavlova era invece magra ed eterea. Da subito fu adatta ai ruoli romantici del balletto ottocentesco, ma proprio per l’eleganza delle sue caviglie dovette ricorrere ad un accorgimento: aggiunse una striscia di cuoio alla suola delle sue scarpette perchè offrissero un maggior sostegno. Si può dire che la Pavlova inventò le moderne scarpette da danza, oltre che darci la scusa di gustare un dolce scenografico e squisito.
Quanto è bello vedere persone sazie che assaggiano il dolce per cortesia anche se non ne avrebbero voglia, dopo un lauto pranzo e che poi lo mangiano con gusto, nonostante tutto, perché lo trovano irresistibile?
E’ quello che è successo con queste mini pavlove, la cui crema è davvero deliziosa. E se qualcuno ha detto: <<Vabbè, per me solo metà>>, alla fine se l’è pappata tutta!!

La pavlova, se divisa in porzioni perde un poco della magia, perché le fette vengono irregolari e si frantumano in bricioline di meringa. Ho pensato di aggirare il problema creando delle pavlove monoporzione che arrivassero belle intere e intatte a ciascun commensale.
Per il ripieno mi sono lanciata in una crema al mascarpone che ricordasse per consistenza e sapore il tiramisù. Una bomba di calorie ma che esplode dolcemente.

La ricetta: Pavlova al cacao con crema al caffè
Per le basi:
4 albumi (circa 140 g di albume)
205 g di zucchero
1 cucchiaino scarso di maizena
1 cucchiaio scarso di aceto bianco
1 cucchiaio colmo di cacao amaro

Ho scaldato il forno a 170° e ho disegnato sulla carta da forno i quadrati per le miniporzioni che volevo realizzare
Ho montato gli albumi a neve, poi ho aggiunto lo zucchero a pioggia, poi l’amido di mais e infine il cucchiaio d’aceto sempre continuando a montare; per ultima ho versato una cucchiaiata abbondante di cacao amaro.
Ho versato la meringa nella sac à poche, il composto era molto compatto. Ho  ricavato prima le basi e poi sul contorno di esse ho fatto altri giri di meringa fino a formare delle specie di coppette. (Con queste dosi ho fatto 8 coppette e tante piccole meringhette, ma si possono fare anche una decina di coppette, bisognerà però aumentare le dosi della crema!)
Ho infornato e abbassato immediatamente il forno a 140° C e lasciato cuocere per 1 ora, abbassando a 120° C verso la fine.
Poi ho lasciato raffreddare nel forno leggermente socchiuso.
Se riuscite preparatele la sera prima così avranno tutto il tempo di raffreddarsi bene!!

Per la farcitura:
200 g di mascarpone
1 albume
2-3 gocce di aceto
3 cucchiai di zucchero
uno sciroppo fatto con: 50 ml di acqua, 5 g di caffè solubile, 50 g di zucchero

Ho preparato lo sciroppo portando ad ebollizione l’acqua, il caffè solubile e lo zucchero in un pentolino e facendolo poi ridurre sempre mescolando. Verrà un bel po’ di sciroppo che dovrete poi dosare a seconda di quanto vorrete “caffettosa” la crema.
Ho fatto intiepidire lo sciroppo ed intanto ho montato a neve l’albume, quando era già bianco ho aggiunto lo zucchero e poi l’aceto.
Intanto lo sciroppo si era raffreddato e ho cominciato ad aggiungerlo al mascarpone, lavorandolo nel contempo con le fruste. Lo sciroppo non va aggiunto tutto, ma man mano fino ad ottenere la consistenza e la dolcezza giuste. Quello che avanza può essere conservato in frigo per altre preparazioni.
Una volta che il mascarpone era consistente ma più cremoso, ho miscelato l’albume montato con lo zucchero, facendo attenzione a non smontarlo.
Con questa crema ho riempito le coppette di meringa-pavlova e ho completato con granelli di caffè solubile mischiato a granelli di zucchero.
Con questa ricetta partecipo alla raccolta Piccola Pasticceria: Macarons e Meringhe di Ann del blog BperBiscotto.
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