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ai fornelli

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Niente foto ma arriveranno… ;)

Un piccolo-piccolo post per dirvi che ieri ho festeggiato anch’io Halloweeen con una piccola cena con amici.
Il menù della serata non prevedeva dita mozzate e altre cose insaguinate, né ragni né pipistrelli… Il tema era invece fortemente stagionale: legumi, zucca, funghi, melograno e mandarino.
Appena riesco posto qualche ricetta…per ora solo il menù…
– Stelline di sfoglia con lenticchie stufate e salsiccia
– Passatina di ceci al rosmarino con crostini di pane alla zucca
– Faraona ai funghi e salsa di melagrana (cucinata non da me ma dal mio fidanzato)
– Torta ai 4 albumi con curd al mandarino
– per accompagnare Pane alla zucca e rosmarino
ai fornelli, ricette originali

Maiale e mele con spezie e noci in una crosta graziosa

Per questa ricetta ho preso spunto qui, sul blog AmaraDolcezza della bravissima Giulia.
L’idea del pollo in ceramica bianca successivamente ricoperto dalla sfoglia mi è subito piaciuto tantissimo. L’unico problema era la mancanza delle cocottes in ceramica…
Mi sono quindi ingegnata in altro modo…
Ho pensato di fare interi gusci di sfoglia, riempiti e successivamente ricoperti dalla sfoglia stessa, e in mio aiuto sono arrivati degli stampini in silicone per muffin di cui sono totalmente entusiasta. Li ho già utilizzati diverse volte, sia come contenitori per monoporzioni di verdure al forno, sia per i classici muffin,sia per queste tortine salate di sfoglia.

Le torte di sfoglia ripiene dei più svariati ingredienti sono una preparazione molto antica. Abbozzate, ma mai valorizzate, in epoca romana, ebbero una vera esplosione nel Medioevo e indovinate un po’ da quale paese si diffusero in tutta Europa… dall’Italia, naturalmente, che in fatto di cucina ne sapeva già un bel po’. Le torte compaiono nel menù degli eremiti di Camaldoli già dal XII secolo e nel XIV sono dentro ai ricettari più diffusi. E se inizialmente sono torte di verdura in seguito diventano anche torte di carne e di formaggio e  con la cucina rinascimentale anche l’involucro, che prima era semplicemente come un pentolino, diventa commestibile.
Anche la mia ricetta ha un qualcosina di antico, frutta e carne, come Giulia, ma cambia il tipo di carne e ci sono le spezie…

La ricetta: Pie al maiale e mele con noci e spezie
Ingredienti: (con una sfoglia vengono 3 pies, quindi anche il ripieno è calcolato per 3 porzioni)
per l’involucro:
1 pasta sfoglia pronta
semini di papavero
per il ripieno:
250 g di carne di maiale magra (ho usato della lonza)
1 mela golden grande
cipolla (tagliata a pezzettini fini fini, ne avrò usata un cucchiaio circa)
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di zenzero in polvere
1 spruzzata di pepe
i gherigli di tre noci a pezzettini non troppo piccoli
vino bianco
sale
olio

Ho tagliato la carne di maiale a cubetti di 1,5cm di lato (più o meno) e l’ho bagnata con mezzo bicchiere di vino bianco.
Ho sbucciato la mela e tagliato a cubetti anche questa.
In una padella ho versato due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare la cipolla e la mela per qualche minuto. Poi ho aggiunto il maiale, scolato, e dopo qualche minuto il suo vino bianco. Ho proseguito la cottura, facendo asciugare un pochino e nel frattempo ho aggiustato di sale, pepe e spezie e aggiunto le noci spezzettate. Tagliato a cubetti così piccoli, il maiale cuoce in un attimo.
Poi ho spento e lasciato in caldo, mentre preparavo i gusci di sfoglia.
Ho acceso il forno a 180°.

Nella sfoglia già distesa ho ritagliato tre cerchi del diametro di 12 cm. Poi con i ritagli, rimpastati e ridistesi ho preparato i coperchi.
In ogni stampino da muffin ho messo un cerchio, un terzo del maiale e mele e ricoperto con il cerchio più piccolo, saldando bene i bordi. Poi ho  bucherellato con uno stecchino da spiedini.
Quando erano pronti i tre pies, li ho infornati, giusto il tempo di far cuocere e dorare la sfoglia, circa 20 minuti.
A dieci minuti dalla fine della cottura ho aggiunto in forno anche una teglietta di cuoricini, tagliati con uno stampino da biscotti e decorati con i semini di papavero. (Ma andrebbe bene anche della paprika dolce o qualcos’altro che faccia colore).

Una volta sfornati, ho messo un pie in ogni piattino, e decorato con i cuoricini! <3 <3 <3
Se trovate la cosa un po’ sdolcinata…fate delle stelline, ecco! 😀

Con questa ricetta vorrei partecipare nella categoria “salati” al contest “Capolavori da Gustare” di Fujiko del blog “La ricetta della felicità” in collaborazione con ConGusto, scuola di cucina.

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Oggi mi leggete anche qui!!!

Ieri, ore 16:16, mi arriva questo messaggio: domani sei l’Ospitino della settimana!
E’ da ieri, ore16:16, che gongolo!!!
Se vi fa piacere andate a leggere qui, sul blog di Veru, La Cuochina Sopraffina.
Ci siamo conosciute  in occasione di un giveaway da lei lanciato e poi abbiamo continuato a “seguirci” piacevolmente!!

Ringrazio Veru anche qui per le parole gentilissime che ha avuto per il mio blog. Mi hanno fatto davvero un piacere immenso e sono fonte di incoraggiamento per fare sempre meglio!!!

E chi non la conosce ancora, vada subito a fare un salto sul suo blog, dove presenta ogni giorno ricette veloci e non, ma soprattutto semplici e geniali, e spiega un sacco di cosine interessanti!!
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Mini pancakes alla salsa di mele speziata

 
Per il contest della Cuochina Sopraffina avevo cucinato dei bei pancakes salati, dove spiccava lo splendido verde di una salsa ai broccoli…peccato che al momento di postare mi sono accorta che i broccoli vanno forte tra i sostenitori della Cuochina!!!
Insomma non volevo mettere l’ennesimo broccolo nella lista…
E quindi ho rifatto i pancakes, questa volta in versione dolce, farcendoli con una salsa preparata con le mele.
 
I pancakes si preparano velocemente e la loro consistenza è a nuvoletta. Sono sostanziosi, ma mentre li si mangia sembra di gustare la cosa più leggera del mondo. Sono perfetti per la domenica, quando ci si alza tardi e non si sa se fare colazione o pranzo!!!
Per la salsa ho scelto la mela renetta, che è adattissima da cuocere. Si tratta di una mela piemontese, precisamente della provincia di Cuneo, che viene raccolta proprio intorno alla metà di ottobre. La sua caratteristica è quella di essere bassa e larga e molto rugginosa, ovvero puntinata: in piemontese è detta pum ruslen, pomo arrugginito. La buccia è spessa, proprio a causa dei puntini di ruggine e la polpa è densa e bianco-perlacea.
Ora, visto che ha tanti antiossidanti quanto il broccolo, mi è sembrata una degna sostituta; dolce-acidula al punto giusto è perfetta con questo mix di spezie, ma la sua preparazione tradizionale  sarebbe intera, con la buccia e cotta in forno.
 
La ricetta: Mini pancakes con salsa di mele speziata
Per la salsa:
due mele renette
due cucchiai di zucchero
15 g di burro
due dita di vino bianco
2 chiodi di garofano
1 cucchiaino di cannella
1/2 cucchiaino di curcuma
1 spolverata di zenzero
1 spolverata leggera di pepe bianco
 
Ho sbucciato le mele e le ho tagliate a pezzetti. Le ho messe in una casseruolina con il burro e lo zucchero e, quando hanno cominciato a sfrigolare, ho rigirato velocemente con un mestolo e poi ho fatto sfumare con il vino bianco.
Dopo cinque minuti di cottura ho aggiunto tutte le spezie. Le quantità sono indicate, ma si possono regolare a piacere. Quando ho visto le mele ammorbidirsi, le ho tolte dal fuoco, le ho fatte leggermente intiepidire e le ho frullate nel mixer, aggiungendo qualche cucchiaio di acqua tiepida per rendere il tutto più fluido. Infine ho riversato il tutto nel pentolino, in attesa di essere riscaldato al momento di servire.
 
Per i pancakes (io li ho fatti piccolini, di circa 6 cm di diametro)
100 ml di latte
1 uovo
15 g di burro
95 g di farina
un cucchiaino di lievito per dolci
un cucchiaio colmo di zucchero
 
Ho fatto sciogliere il burro nel padellino che servirà poi a cuocere i pancakes, senza farlo friggere. L’ho mischiato al latte e al tuorlo dell’uovo sbattuto velocemente, con un pizzico di sale. In un’altra ciotola ho messo la farina con il lievito e, sempre mescolando, ho versato la miscela di latte, burro e tuorlo.
Da parte ho montato a neve l’albume con lo zucchero e l’ho aggiunto all’altro impasto, quando la padellina per cuocere i pancakes era già calda.
L’impasto si depone nella padellina con un cucchiaio, (io avevo un piccolo mestolino), e si fa cuocere un minuto; poi si gira dall’altra parte e si fa cuocere un altro minuto. I pancakes vanno poi impilati, perchè non si raffreddino troppo, nell’attesa di essere tutti pronti.
Con queste quantità ne sono venuti 14, del diametro di 6cm.
 
Presentazione finale: 
Io preferisco portare in tavola i pancakes già farciti dalla salsa, che coli un po’ sui lati, e impilati.
Poi sta a ciascuno decidere se mangiarli uno ad uno, smontando la torre, o tagliarli in verticale con il coltello, svelando tutti gli strati. 
Ho riscaldato la salsa per un minuto, ne ho messo una cucchiaiata nel piattino e poi i pancakes intervallati alla salsa e in cima, per completare, qualche filo di miele di acacia e qualche semino di papavero.
 
 
Con questi pancakes e la loro salsa partecipo al contest Salsina Sopraffina, fai felice la Cuochina di Veru in collaborazione con Food&Life.
 
 
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Vellutata ai funghi con focaccine di segale alle noci

Un post veloce veloce perchè come al solito arrivo sul filo di lana.
Funghi & noci…funghi & noci… mi sono ripetuta come un mantra per alcuni giorni, alla ricerca di un’idea carina…poi mi è passato di mente e me ne sono ricordata che il contest era quasi scaduto!!!
Si tratta di Piccola Bottega di Campagna del mese di ottobre di Ambra del Gattoghiotto, in collaborazione con Malvarosa Edizioni. Ogni mese Ambra sceglie due o tre ingredienti, rigorosamente di stagione, con i quali elaborare una ricettina a piacere. Il contest si rinnova di mese in mese con ingredienti sempre nuovi. Trovate tutti i dettagli qui e qui.
Io propongo una ricetta semplice, che è adattissima ai primi freddi che stiamo sentendo in questi giorni.
E’ una vellutata di funghi a cui aggiungo del formaggio spalmabile in vaschetta, per renderla più cremosa, al posto della solita panna, che è più grassa. Di base ho usato i funghi orecchione, che con una delicata stufatura diventano morbidi e perdono la loro caratteristica consistenza coriacea. Alla vellutata ho accompagnato delle focaccine di farina di segale con le noci, velocissime da preparare e cotte rapidamente in padella come fossero piadine. La ricetta da cui ho tratto spunto, l’ho trovata qui, ma io ho ottenuto un risultato più rustico e ruvido con la farina di segale e i pezzettini di noce.
Anche stavolta un piatto unico, sostanzioso, caldo e rassicurante come una coccola…

La ricetta: Vellutata di funghi con focaccine di segale alle noci

per la vellutata, per 2 persone:
400 g di funghi orecchione (Pletorus Ostreatus)
una manciata di funghi porcini essiccati
500 ml di brodo (preparato sul momento con una coscetta di pollo, mezza carota, mezza cipolla, una patata*, alcune foglie di verza, un piccolo gambo di sedano)
un grosso spicchio d’aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
un ciuffo di prezzemolo
un cucchiaio di formaggio spalmabile (tipo philadelhia)
olio evo
sale
pepe

*mezza di questa patata servirà anche per rendere cremosa la vellutata

Ho messo ad ammorbidire in acqua tiepida i porcini secchi.
In un pentolino ho messo a preparare il brodo, con gli ingredienti indicati, un cucchiaio d’olio e un cucchiaino di sale.
In una padella larga e dai bordi alti ho fatto soffriggere in due cucchiai d’olio il grosso spicchio d’aglio, pulito e tagliato a metà, poi ho aggiunto i funghi freschi ben lavati e la manciata di funghi secchi ammollati e strizzati.
Ho aggiunto dopo poco due dita di vino bianco, ho fatto sfumare e poi ho proseguito la cottura, aggiungendo man mano mestoli di brodo bollente.
I funghi orecchione sono coriacei e quindi perchè ben si possano ridurre a vellutata bisogna stufarli a lungo. Dopo un po’ ho aggiunto anche mezza della patata che stava lessando nel brodo e l’ho fatta insaporire con i funghi.
Nel frattempo ho preparato l’impasto per le foccacine.
Poi ho ripreso i funghi, ormai pronti e li ho messi nel mixer e ridotti a crema, aggiungendo il brodo avanzato ed eventualmente dell’acqua.
Poi ho versato il tutto in un pentolino e riscaldato solo al momento di servire, regolando di sale e di consistenza (eventualmente con ancora un pochino di acqua tiepida) ed aggiungendo un cucchiaio di formaggio spalmabile.

per le focaccine, ingredienti per 8-10 pezzi, diametro 6 cm:
125 g di farina per pane di segale
50 g di formaggio spalmabile (tipo philadelhia)
1 cucchiaio d’olio
circa 50 g di acqua
mezzo cucchiaino di sale
i gherigli di 4 o 5 noci

Ho impastato tutti gli ingredienti e formato una palla lavorabile a cui ho aggiunto le noci spezzettate grossolanamente.
Ho lasciato riposare per un quarto d’ora mentre frullavo la vellutata.
Passato questo tempo si divide l’impasto in palline, si stendono con il mattarello, infarinandole, e poi si cuociono in una padella, su cui avevo passato un tovagliolino imbevuto leggermente d’olio. Devono cuocere poco più di un minuto per lato e dorarsi leggermente.
Ho presentato il tutto in ciotoline, accompagnato dalle focaccine con una spolverata di pepe nero e un po’ di prezzemolo fresco tagliuzzato fine.


Concludo con la formula di rito: con questa ricetta partecipo alla Piccola Bottega di Campagna di ottobre di Ambra del blog Gattoghiotto, in collaborazione con Malvarosa Edizioni.
  
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La treccia di pane e il 6° World Bread Day

E’ il sesto anno che si festeggia questa ricorrenza, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Il pane è uno degli elementi che ogni giorno si trova sulle nostre tavole, il pane è antico, ancestrale, ma spesso lo diamo per scontato, quando invece per molti abitanti di questo pianeta, anzi per la maggior parte, è fondamento dell’alimentazione e spesso è insufficiente.
Cuocendo un pane non si risolve il problema della fame del mondo, ma è come porgere virtualmente una pagnotta a chi non ce l’ha.
Non ero preparata, me ne sono accorta oggi girando un po’ tra i blog. La ricetta che propongo per questa giornata è un pane che faccio spesso, non è a lievitazione lunga, ma viene ugualmente croccante fuori e morbido morbido all’interno, con la mollica soffice ma compatta. La sua pecca è la conservazione in quanto tende a perdere croccantezza. D’altra parte, facendone piccole quantità per volta, raramente si è presentato il problema della conservazione!
Le foto sono bruttine perchè le ho fatte con il telefono qualche pane fa… quello in foto, comunque è fatto con farina bianca tipo 0.
Giovedì scorso, invece, ho fatto questo stesso pane a treccia usando della farina di segale. Il risultato è stato un pane scuro e più saporito di quello bianco.
La ricetta: Pane a treccia
250 g di farina (bianca o di segale o metà e metà, a seconda del risultato che si vuole ottenere)
170 g di acqua a temperatura ambiente
10 g di lievito di birra
1/2 cucchiaino di miele
1 cucchiaino di sale
Ho sciolto il lievito nell’acqua tiepida con mezzo cucchiaino di miele.
Ho aggiunto l’acqua alla farina impastando con una forchetta.
Quando l’impasto si era rappreso fino a diventate una palla unica, l’ho rovesciato sulla spianatoia infarinata e d ho cominciato ad impastare a mano.
Dopo dieci minuti di impastatura, durante i quali forse (dipende dall’umidità dell’aria) occorre aggiungere ancora qualche cucchiaio di farina, ho messo il sale sulla spianatoia e l’ho incorporato alla pasta, sempre impastando, continuando per almeno 5 minuti.
A questo punto ho messo la pagnottella infarinata in una ciotola capiente, ho coperto con pellicola per alimenti e con una coperta e ho messo il tutto a lievitare in un posto tiepido.
Dopo 4 ore ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato sulla spianatoia, lavorando per un minuto ed ho formato un rotolo lungo, ma non sottile. Con un coltello si taglia il rotolo, nel senso della lunghezza in tre capi, lasciandoli attaccati per un’estremità. Questi tre capi si devono intrecciare , sovrapponendoli leggermente l’uno all’altro, senza tirare, perchè poi l’ulteriore lievitazione renderà tutto più fitto.
Intrecciato tutto il pane, ho saldato con un goccio d’acqua la seconda estremità e ho deposto delicatamente il tutto sulla carta da forno. Ho infarinato e ricoperto con un panno da cucina pulito e un panno di lana. La forma di pane deve lievitare ancora per mezz’ora almeno.
In questo tempo ho acceso il forno a 220° e l’ho fatto scaldare bene.
Passata la mezz’ora ho messo il pane in forno, abbassando a 200° e lasciando cuocere circa 40°minuti. Se si colora eccessivamente, si può abbassare il forno verso la fine della cottura.

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Cuori di raviolo alle melanzane

La melanzana non è nata ieri.
Conosciuta da 2500 anni, pare originaria della regione di Assame in Birmania,
ma rimane sconosciuta o ignorata in area greca e romana. Il suo nome
presso di noi, infatti, deriva da parole arabe e non ha un nome in
latino o in greco. In sanscrito era detta vatingana, per i Persiani era batingan, vicino comunque alla nostra melanzana.
In Europa giunse portata dai
nordafricani durante l’invasione della Spagna; comparve in Andalusia
all’inizio del Medioevo e presto venne adottata dai popoli mediterranei,
mentre gli inglesi continuarono per secoli a coltivarne una qualità dal
frutto molto grosso, come pianta ornamentale.
Gli arabi la chiamavano badnjan e da melo-badnjan deriva melanzana; in altre regioni il prefisso fu petro- da cui petronciano e petonciano, come viene ancora chiamata in alcune regioni d’Italia. 
Nella tradizione mediorientale le
melanzane sono legate a qualche idea di decadenza tropicale. Un
piatto turco di melanzane viene chiamato  Imam Bayeldi, che significa
“l’Imam trapassato”. L’Imam in questione fu così sopraffatto dal
sapore glorioso di questo piatto servitogli dalle concubine, che morì
sul colpo.
Per alcuni botanici era anche soprannominata Mela di Sodoma e sospettata di provocare l’epilessia: “Solanum insanum”, cioé malsana, cattiva e letteralmente dal gusto che rende folli.
In effetti il frutto acerbo contiene solanina, un veleno, come altre
piante appartenenti alla famiglia delle solanacee, come anche la
patata. 

 Melanzana – “mela insana” o “pomo sdegnoso” si trova anche nell’opera di Scappi.

Per  Mattioli era una <<pianta
volgare>> e il suo utilizzo era legato ad una cucina popolare:
<<mangiansi volgarmente fritte nell’olio con sale e pepe, come i
fonghi.>>
Nel XVII secolo Frugoli scriverà che
<<non devono essere mangiate se non da gente bassa o da
ebrei>>, una credenza che durò negli anni fino all’Ottocento.
Con Linneo preferì darle un nome più gentile: “Solanum melongena”, cioé mela sempre cattiva, ma rassicurante.
Pellegrino Artusi per primo rovesciò finalmente il senso di tante ingiuste credenze, notando che se i petonciani
<<erano tenuti a vile come cibo per gli ebrei>> ciò
confermerebbe che <<in questo, come in altre cose di maggior
rilievo, esso hanno sempre avuto buon naso, più de’ cristiani.>>

[fonti: wiki
http://www.ilgiornaledelcibo.it/tra-frigo-e-dispensa/prodotto.asp?scheda=Melanzana&id=27
http://www.nelgiardino.it/archivio/melanzana.html
M. Montanari, La cucina italiana, Laterza, Bari 2005.]

Volevo fare dei ravioli per inaugurare il mio nuovo mattarello!!! Finalmente ne ho uno e non dovrò più prenderlo in prestito dalla mamma o usare una bottiglia per stendere la pasta.
I ravioli di inaugurazione dovevano essere particolari, però, e quindi li ho fatti a forma di cuore. Nel ripieno melanzane a cubetti, semplicissime e saporite, e per condire un sugo di datterini freschi e basilico, delicato al punto giusto da valorizzare e non coprire il ripieno.

La ricetta: Ravioli di melanzane al sugo di datterini (per due persone)
per la sfoglia ho usato:
200 g di farina 00
2 uova circa (un po’ meno perchè la pasta deve essere molto asciutta per una migliore resa)
sale
per il ripieno ho usato:
1 grossa melanzana
50 g di feta greca
olio
sale
per il condimento ho usato:
circa 15 pomodori datterini
olio
1 spicchio d’aglio
sale
Preparazione:
Per prima cosa ho sbucciato e tagliato a cubetti la melanzana e l’ho cosparsa di sale, lasciandola scolare nel colapasta per circa un’ora.
Nel frattempo ho messo la farina in un grosso recipiente; ho sbattuto due uova con un bel pizzico di sale e le ho versate quasi completamente al centro della farina. Bisogna aggiungerle alla farina man mano ed intanto impastare, facendo sì che il composto non diventi troppo morbido: sarebbe più facile da lavorare, ma terrebbe meno la cottura.
Una volta che la farina era tutta impastata, ho lavorato l’impasto per dieci minuti sul tavolo, molto energicamente; poi ho messo la pasta a riposare, avvolta nella pellicola per almeno mezz’ora.
Poi ho ripreso le melanzane a cubetti e le ho fatte rosolare in una padella antiaderente ben calda, senza aggiungere olio. Solo quando erano ammorbidite ho aggiunto due cucchiai d’olio e un grosso spicchio d’aglio e le ho fatte rosolare per qualche minuto.Poi ho spento e lasciato intiepidire. 
Ho steso la pasta con il mattarello finchè non era sottilissima, ci vorrà un po’ e anche un po’ di pazienza. Se avete la macchinetta farete molto più in fretta.
Poi ho tagliato tanti cuori con una formina per biscotti e su metà di questi cuori ho deposto un cucchiaino di ripieno di melanzana, dopo avervi aggiunto la feta sbriciolata grossolanamente.

Ho ricoperto il ripieno con un altro cuore di pasta, dopo aver inumidito i bordi di quello inferiore con un goccio d’acqua. 

Messa l’acqua per cuocere i ravioli a bollire, ho fatto rosolare uno spicchio d’aglio nell’olio in una padella larga. Poi ho tuffato in padella i pomodorini lavati e tagliati a metà o in quarti e ho proseguito la cottura del sughetto, aggiustando di sale e aggiungendo il basilico,  finchè non erano cotti anche i ravioli.
Infine, dopo un veloce passaggio in padella, ho impiattato.

Con questa ricetta partecipo al contest “La pasta fatta in casa” di Natalia del blog Fusilli al Tegamino.

ai fornelli, ricette tradizionali

Lisbona e il Caldo Verde


Immaginate una coppia che parte per un viaggio – il primo viaggio che fanno solo in due –  i primi giorni di gennaio alla ricerca di un posto caldo, culturalmente stimolante, dove si mangia bene e non troppo affollato di turisti chiassosi.
il famoso electrico 28

La nostra scelta cade su Lisbona, la temperatura a gennaio oscilla fra i 10 e i 15 gradi, di norma piove, ma il vento del vicino oceano spazza in fretta le nubi e noi amiamo il vento e quel clima variabile e imprevedibile. 

Arriviamo la sera con il buio e la pioggia, un acquazzone incredibile che ci accoglie e ci infradicia e ci fa comprare un ombrellino che ci verrà in soccorso nei quattro giorni seguenti.
Largo di Carmo, Chiado
Lisbona con la pioggia assomiglia alla nostra Torino, dove ci siamo conosciuti e innamorati; è lucida e silenziosa, mentre le sagome scure dei passanti frettolosi compaiono sotto i lampioni e scompaiono subito dopo.
Gironzoliamo per il Barrio Alto, senza una vera meta, godendoci quel luccicare discreto e un’incantevole vista notturna della città dal miradouro de Sao Pedro de Alcantara.
la bianca Torre di Belem in stile manuelino

Il mattino seguente Lisbona brilla, il sole splende incredibilmente, tanto da farci girare con il cappotto aperto, e brilla anche la Torre di Belem, bianchissima e cesellata come se fosse di porcellana finissima.
Dopo un pranzo divino a base di açorda de marisco, una zuppa di pane e pesce, affondiamo i denti nei famosi Pasteis de Belem, tartellette di sfoglia ripiene di crema al latte caramellata, acquistate proprio dove si dice che siano nate, all’Antica Confitaria de Belem e ce le pappiamo ancora tiepide e spolverate di cannella.

il ponte 25 de abril e il Tago

Torniamo verso il centro, al Terreiro do Paço, anche detto
Praça do Comercio, sulle rive del Tago, un superbo ed enorme
quadrilatero che si svela in tutta la sua bellezza e che così si svelava
ai mercanti che approdavano dal Tago. 

L’enorme spianata di Praça do Comercio – Terreiro di Paço

io nella Rua Augusta
Lisbona qui mostra il suo lato regale, ai lati della Rua Augusta, che da qui comincia, si vede la collina di Castelo, con in cima il Castelo de Sao Jorge, dall’altro lato la collina de Sao Pedro de Alcantara e al centro si apre la Baixa, reticolo di strade dritte e ortogonali, fatto costruire in tutta fretta dal marchese di Pombal, ministro del re Joao I, dopo il devastante terremoto del 1755 che aveva lasciato in piedi solo il quartiere arabo dell’Alfama. 
Gli elevadores ci portano nei punti più panoramici di Lisbona, ma ce n’è uno particolare, quello de Santa Justa, che fu progettato da un allievo di Gustave Eiffel (quello della torre). Dalla cima di questa struttura neogotica in metallo che ci porta fin dentro il Chiado, vediamo la Baixa illuminata e tutta la Lisbona vecchia fino al Tago. 
L’elevador de Santa Justa
Affacciati sui tetti dell’Alfama

Il giorno dopo saliamo alla Feira de Ladra, il caratteristico mercato delle pulci del sabato, dove si dice che si possa trovare di tutto e dove bisogna stare attenti ai borseggiatori. L’Alfama invece svela a noi il suo lato più gentile, non sembra affatto rischiosa e il tram 28, un’istituzione per i turisti e i lisboneti, ci porta fino in cima e poi ci lascia al Miradouro di Santa Luzia dove c’è una delle più pittoresche viste dei tetti della Lisbona vecchia. 

l’Alfama dal Miradouro di Santa Luzia

Anche qui un acquazzone memorabile ci coglie di sorpresa e noi ci rifugiamo in un ristorantino dall’aria datata, con gli azulejos alle pareti, le caratteristiche piastrelle che rendono ogni locale vagamente anni ’50. Mangiamo strabene anche qui e, con la pancia piena, ritroviamo una città di nuovo illuminata dal sole. 

Estaçao do Rossio

Ripercorriamo la via Augusta fino alle piazze Dom Pedro IV e Restauradores e scopriamo la splendida Stazione del Rossio, un vero miracolo di arte liberty.
Da qui partiamo il mattino seguente per una gita all’incantevole cittadina di Sintra, che fu una delle residenze estive dei sovrani del Portogallo. Ci rimane impresso nel cuore il suo verde e l’arditezza di certe costruzioni, a volte fin troppo marcate e pesanti, ma che portano agli occhi e all’anima il senso di un popolo così antico e variegato. Influenze arabe e moresche, religiosità cristiana portata all’eccesso e mille altri particolari che sembrano essere un libro di decorativismo medievale a cielo aperto. Visitiamo il Castello dos Mouros e il Palacio de Pena costruito nel 1840, denso di tutti gli stili, dal gotico al manuelino, passando per il rinascimentale e il barocco.

Palacio de Pena
A Brasileira

La sera ci immergiamo nelle suggestioni di una Lisbona malinconica. Il solitario Pessoa di bronzo che, seduto su una panchina davanti al caffé A Brasileira, ci invita per una foto, la magia del fado, una cenetta romantica in un posticino delizioso.
Mangiamo il famoso Caldo Verde, una zuppa semplice e deliziosa, del chourizo affumicato, un saporitissimo formaggetto di capra e annaffiamo il tutto con buon vino e un bicchierino di Porto.

l’ultima sera a Lisbona

L’ultimo giorno vediamo Lisbona dal punto più alto del Parque Eduardo VII.

Parque Eduardo VII

L’urbanistica della città ci è ancora più chiara da quassù. Un ultimo veloce saluto alla Praça de Touros e poi via, con un ricordo di viaggio che ci porteremo dentro per sempre.



La ricetta: Il Caldo Verde di Lisbona 
E’ una zuppa semplicissima, ma veramente saporita. Avevo provato a cucinarla prima di partire, senza aver ben chiaro quale potesse essere il risultato finale… Una volta gustata sul posto, ho provato a rifarla ed è venuta quasi uguale all’originale assaggiato a Lisbona.


Io ho usato per due persone:
250 g di patate già sbucciate
7/8 foglie esterne di una verza
mezza cipolla
uno spicchio d’aglio
olio evo


Ho messo in un pentolino, abbondante acqua per lessare le patate, già sbucciate e tagliate a pezzetti. Ho salato l’acqua e vi ho aggiunto tre cucchiai d’olio, la cipolla e lo spicchio d’aglio spezzato.
Mentre le patate cuocevano ho lavato la verza, l’ho arrotolata su se stessa come un sigaro e l’ho tagliata finemente: deve assomigliare ad erba.
Quando le patate erano morbide, le ho tirate fuori dal brodo e le ho schiacciate ben bene con la forchetta, fino a ridurle in purea. Poi ho versato questa purea di nuovo nel brodo, aggiustando di sale. 
Quando la zuppa riprende bollore, si aggiunge la verza a striscioline. Deve cuocere per circa 10 minuti. L’ho lasciata ammorbidire, ma bisogna stare attenti che tutto il Caldo Verde resti verde e non viri verso il giallo, con una cottura eccessiva.
Questa zuppa si serve aggiungendo un filo d’olio nella scodella e fette di pane di miglio (o integrale, come ho fatto io) e talvolta anche olive nere.
Il fiore all’occhiello sono fettine di chourizo affumicato, circa tre per ogni commensale, aggiunte all’ultimo!

ai fornelli, ricette originali

Rombi al thè verde e vaniglia

Questi sono biscotti che prima o poi fanno tutti…ciò che attira è il fatto di mescolare all’impasto le foglioline di thé, che attribuiscono un grazioso colore verdolino ai dolcini.
Io ho confrontato una buona serie di ricette presenti in rete e ne ho ricavato una mia, decidendo poi di usare un thé verde alla vaniglia che ha riempito la casa di un profumo inebriante.
La ricetta: Rombi al thè verde e vaniglia
Ingredienti:
50 g di farina
50 g di maizena
60 g di burro
60 g di zucchero di canna (il mio non era molto scuro, ma con quello scurissimo e sottile credo che si ottenga un risultato ancor migliore e più rustico!)
1 tuorlo (di un uovo grande)
1 cucchiaino di latte
1 bustina e 1/2 di thè verde aromatizzato alla vaniglia
Preparazione:
Ho tagliato il burro a pezzettini e poi l’ho lavorato a lungo con lo zucchero e il thé verde, fino a ridurlo a crema.
Ho aggiunto maizena e farina, man mano mescolando. Poi ho aggiunto il tuorlo sbattuto con un pizzizco di sale e un cucchiaino di latte.
Ho lasciato riposare l’impasto per un’ora in frigo.
Trascorso questo tempo ho acceso il forno, facendolo scaldare a 170°.
Ho steso la pasta con il mattarello, ritagliando i biscotti con il coltello, nella semplice forma di rombo.
Ho infornato finchè i bordi non si doravano, nel mio caso circa 12-14 minuti.
Con questa ricetta partecipo alla raccolta “Piccola pasticceria: i biscotti“di Ann del blog B per Biscotto. La raccolta scade il 31 ottobre, ho tempo per pubblicare anche qualche altra ricettina per la raccolta!!! 😀
ai fornelli

Cavatiell’ ai broccoletti e olive con Cacio Antico

I cavatelli, o cavatiell’ in dialetto molisano, sono un formato di pasta di grano duro che nasce in Molise ma che viene successivamente adottata in tutto il sud Italia: in Puglia, Calabria, Basilicata, Campania e Sicilia. Il nome si riferisce alla forma che viene data al pezzo di pasta scavandolo o “cavandolo” con la punta del pollice.
Talvolta all’impasto vengono aggiunte anche patate.
I sughi tradizionali per condire i cavatelli sono quasi tutti a base di pomodoro; a seconda delle zone vengono conditi con ragù di carne di maiale, con sugo e salsiccia, con sugo aglio e finocchio, con il cacioricotta o ancora con broccoli o cardoncelli.

I cavatelli che ho usato per questo piatto erano freschi e provenivano da Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, gentilmente offerti da Antonella e Beppe; per il condimento ho usato broccoletti freschissimi e un cacio sbricioloso di pecora che ho comprato ieri alla fiera della Coldiretti a Torino in piazza Vittorio dall’ azienda Gennargentu di Bruno Pitzalis. La denominazione di questo formaggio è “Cacio Antico” e questo nome agisce come vera e propria suggestione per preparare il palato ad un’esplosione di gusto!

La ricetta: Cavatiell’ ai broccoletti e olive con Cacio Antico
Ingredienti per 2 persone:
250 g di cavatelli freschi
250 g di broccoli (da cui ricavare solo le cimette verdi)
una decina di olive verdi
una grattugiata abbondante di cacio antico di pecora
olio
1 peperoncino secco
tre filetti di alici
sale

Ho pulito i broccoli, tenendo solo le cimette verdi. Li ho sbollentati in acqua bollente, senza  aggiungere sale, per qualche minuto. Al momento di scolarli ho tenuto l’acqua di cottura, aggiungendone un po’ per lessare successivamente la pasta.
In una grande padella ho messo tre cucchiai d’olio, il peperoncino sminuzzato e un grande spicchio d’aglio a soffriggere; poi ho tolto la padella dal fuoco e ho aggiunto i filetti di alice, facendoli sciogliere.
Ho rimesso la padella sul fuoco e vi ho aggiunto i broccoletti spezzettati grossolanamente.
Intanto ho messo a bollire l’acqua per la pasta.
Quando ho visto che i broccoli si erano ammorbiditi (non devono spappolarsi troppo) ho aggiunto le olive sminuzzate e ho regolato di sale.
Intanto ho fatto cuocere i cavatelli (per i miei bastavano 5 minuti).
Ho scolato la pasta e l’ho fatta saltare in padella con il condimento, aggiungendo un filo d’olio a crudo e il cacio antico grattugiato direttamente nel piatto.


ai fornelli, ricette originali

Torta di savoiardi alla ricotta e pesche al Porto con crema diplomatica e lamponi

C’è da dire che è più lungo leggere il titolo che divorarne una fetta!!! 😀
Si tratta di una torta che ho preparato qualche tempo fa, all’inizio dell’estate e che volevo pubblicare prima della fine della stagione delle pesche!!
Non ho voluto chiamarla Charlotte, anche se alla fine la forma è quella lì, perchè non ho preparato io il biscotto Charlotte che dovrebbe dare il nome alla torta, ma ho usato dei savoiardi già pronti.
Per il ripieno mi sono inventata qualcosa…la volevo bella alta, che ne valesse la pena, insomma!!!
E allora ho fatto uno strato alla ricotta e zucchero, aggiungendo semplicemente delle pesche tagliate a dadini e passate velocemente in uno sciroppo di zucchero e Porto.
Il secondo strato è invece composto da una classica crema diplomatica, poco dolce, sovrastata infine da un cuscino di lamponi freschi.

La ricetta: Torta di savoiardi alla ricotta e pesche al Porto con crema diplomatica e lamponi
1° step: la crema diplomatica
questa crema è composta da crema pasticcera e crema chantilly mischiate insieme in dosi di circa 2 parti di pasticcera e 1 parte di chantilly
Per la crema pasticcera ho usato:
3 tuorli
250ml di latte
1 baccello di vaniglia
25 g di farina
85 g di zucchero
Per la crema chantilly ho usato:
125 ml di panna da montare (ben fredda di frigo)
2 cucchiai di zucchero semolato (ripassato nel frullatore per renderlo più fine) assaggiando, a seconda di quanto volete dolce il risulato finale.
Ho messo a scaldare il latte in un pentolino con il baccello di vaniglia, senza farlo bollire.
Intanto ho montato i tuorli con lo zucchero, formando una massa spumosa. Poi ho aggiunto circa 1/3 del latte intiepidito, a filo, continuando a montare. Ho poi aggiunto la farina con un setaccio, a poco a poco, continuando a miscolare con le fruste.
Ho travasato il tutto nel pentolino e l’ho messo sul fuoco, fino a farlo sobbollire, sempre mescolando. a un certo punto la crema comincerà a raddensarsi, a quel punto ho mescolato ancora per poco e poi ho tolto dal fuoco e messo a raffreddare in un piatto largo.
A parte ho preparato la chantilly, montando la panna, circa circa 125 ml con lo zucchero, finchè non era ben soda, poi l’ho messa in frigo.
2° step: crema alla ricotta con pesche + bagna
250 g di ricotta
2 cucchiai di zucchero e 2 cucchiai di miele
1 cucchiaio di maizena
3 pesche sode lavate, sbucciate e tagliate a pezzettini di 1 cm di lato.
1 bicchierino di vino Porto
1 cucchiaio di zucchero per le pesche.
Ho messo le pesche a pezzettini in un padellino con lo zucchero; quando lo zucchero era caramellato ho aggiunto il Porto, lasciando sfumare.
Da parte ho lavorato la ricotta con zucchero, miele e maizena, finchè non è diventata ben liscia.
Poi ho aggiunto le pesche, dopo averle fatte intiepidire, avendo cura di conservare il sughetto di cottura.
Con il sughetto delle pesche ho preparato la bagna per ammorbidire i savoiardi. ho aggiunto qualche cucchiaio d’acqua e ancora un po’ di Porto e ho bne mischiato il tutto.
3°step: montaggio della torta (servono circa 200 g di savoiardi)
Ho utilizzato un ciotolone quadrato di vetro.
Ho tagliato una punta ai savoiardi in modo che sporgessero poco dal bordo della ciotola. 
Ho steso sul fondo uno strato di savoiardi e li ho ben spruzzati con la bagna al Porto.
Ho poi disposto sul bordo i savoiardi in piedi senza alcuna bagna, perchè restassero bene sodi.
Completato il perimetro del contenitore ho versato la prima crema, quella alla ricotta in uno strato ben uniforme.
Ho fatto un altro strato di savoiardi  imbevuti di bagna, riciclando anche le punte precedentemente tagliate.
Ho mischiato delicatamente la crema pasticcera con la chantilly e ho messo all’interno della corona di savoiardi questa seconda farcitura. In cima l’ho decorata incidendo delle righe con una forchetta.
Ho messo il tutto in freezer, per una notte.
Il mattino seguente ho preso la torta dal freezer, ho aggiunto una corona di panna montata sul bordo, e una vaschetta di lamponi, lavati delicatamente ed asciugati, nel centro.
Ho messo in frigo fino al momento di servire, spolverando poi con un tocco di zucchero a velo.

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