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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 2 Caseari

E la prima puntata del nostro glorioso contest #Sedici è andata.

Pensavamo fosse più semplice, soprattutto ci aspettavamo che con poche ricette fosse più facile decretare i due vincitori. Invece la qualità dei vostri 26 contributi e la vostra voglia di sperimentare ci hanno stupite e pure stese.

Abbiamo deciso di votare separatamente con punteggio numerico ogni ricetta pervenuta. Alla fine abbiamo conteggiato i punteggi di ciascuna ricetta e discusso insieme i parimerito.

Vince l’asso pigliatutto Elisa de Il Fiordicappero con le madeleines limone e cioccolato e su questo devo dire che il mio viaggio a Parigi non ancora concluso può avere condizionato il giudizio mio e delle mie compagne, che ci siamo trovate d’accordo nell’immergerci in memorie proustoviane e pucciare queste meraviglie nella nostra tazza di infuso di tiglio.

Assieme a lei vince Valentina di An Experimental Cook con i suoi tagliolini soba con pollo all’arancia e zenzero e broccoli, direttamente da Tokio…e poi provate ad immaginare quanta voglia abbiamo di viaggiare e di provare gusti nuovi! Qui particolarmente interessante è la marinatura del pollo in succo d’arancia e zenzero.

Per questa volta ci possiamo ritenere più che soddisfatte, perchè abbiamo visto tanta voglia di provare a sperimentare e ci auguriamo che anche gli abbinamenti a prima vista più inconsueti vi stimolino a provare durante i prossimi appuntamenti. Certo è che sfogliando l’album delle vostre foto, vediamo tante ricette che ci hanno colpito per fantasia e colore…e speriamo che la prossima puntata, sebbene meno colorata, ci e vi regali la stessa soddisfazione!

Pronti, partenza, via!

Abbandonati gli agrumati, ci lanciamo di slancio nella famiglia di
questo mese: questa volta parliamo di caseari e di quanta differenza ci
possa essere tra una tipologia di formaggio e un’altra.
Nel
regolamento che trovate qui, abbiamo specificato che si partecipa con
una sola ricetta e che va chiaramente indicato l’abbinamento scelto.
Questa volta, che non c’è di mezzo febbraio- febbraietto corto corto e
maledetto
, si gioca fino al 12 13 aprile alle 23,59.

La tipologia di formaggio da me scelta è quella dei formaggi a crosta lavata.

 

Fin dal Medioevo alcuni formaggi venivano spazzolati sulla crosta esterna con acqua e sale, o con birra o brandy, per rimuovere alcune muffe indesiderate e permettere la formazione di batteri utili che andavano poi ad incidere sul colore (rossiccio-marrone) e sul sapore finale. Il risultato è la formazione di un sottocrosta particolarmente cremoso e un’aromaticità intensissima. Se lasciati fuori frigo prima del consumo, perdono la forma, rendendo difficile il taglio ed accentuano la loro cremosità. Nicky Segnit si muove su un territorio decisamente internazionale,
mentre io comincio col dirvi che il formaggio più celebre in Italia per
questa tipologia è il Taleggio, segue il Puzzone di Moena,
e va da sé, se conoscete uno o entrambi, che potete immaginare quale genere di aroma si è diffuso nel mio frigorifero.
Sono formaggi per gli amanti dei formaggi, per chi non si lascia spaventare.

Io ho scelto un formaggio francese della regione del Midi Pyrénées, il Saint Albray, dalla caratteristica forma a corona. Qui la crosta è mista, bianca e arancio, per la commistione di batteri di fermentazione rossa e di penicillum. La spazzolatura delle forme avviene manualmente, proprio per “mischiare” questi due tipi di batteri ed ottenere una colorazione melange uniforme.
L’interno è dolce e aromatico, mentre l’esterno prensenta un caratteristico gusto amarognolo.

Qui di seguito gli abbinamenti proposti da Nicky Segnit per i formaggi a crosta lavata (tutti, non solo il Saint Albray):

formaggio a crosta lavata & aglio
formaggio a crosta lavata & anice (o finocchio)
formaggio a crosta lavata & bacon
formaggio a crosta lavata & cumino
formaggio a crosta lavata & mela
formaggio a crosta lavata & noce
formaggio a crosta lavata & patata
formaggio a crosta lavata & pera

La Segnit spiega che con queste tipologie di formaggi dal gusto deciso
l’abbinamento talvolta è difficile ma i gusti decisamente dolci o particolarmente decisi come aglio oppure bacon, accettano la sfida. Un’altro modo di abbinare è quello di assecondare la sferzata del formaggio, ad esempio con patata oppure noce.
Io ho scelto di sperimentare con l’anice che, con la sua dolcezza, stempera le note amarognole del Saint Albray.

Le altre ricette da scoprire le trovate sui blog delle mie compagne:
per il formaggio fresco:
Alessandra –
Crepe agli asparagi con formaggio fresco e tartufo
e
Betulla – 
Pitta con Labna Noci e miele
per il formaggio erborinato:
Irene – Paccheri ripieni di gorgonzola su crema di broccoli e mandorle tostate
per il formaggio stagionato
Marzia – Tarte tatin di patate con caciocavallo ragusano
per il formaggio di capra
Velia – Tortelloni di noci su fondutina di toma di capra

Ed ecco il mio abbinamento:

La ricetta: Sandwich di pane alle patate e all’anice 
con formaggio a crosta lavata e finocchio marinato
per il pane alle patate e anice:
200 g di farina di grano tenero semintegrale macinata a pietra
50 g di farina di farro
125 g di patate lessate, scolate e schiacciate
120 g di acqua
1 cucchiaino colmo di lievito di birra disidratato
1 cucchiaino di miele
5 g di sale
1 cucchiaio di semi di anice (o finocchio)
1 cucchiaio colmo di olio di oliva extravergine
curcuma qb

per i finocchi marinati:
1 finocchio tenero (maschio) privato della foglia esterna più dura
olio evo (una qualità non troppo piccante)
sale
pepe nero macinato al momento

per ogni sandwich, 3 fettine di formaggio Sant’Albray

Sciogliere il lievito di birra nell’acqua tiepida con il miele. Mescolare le farine con le patate schiacciate, aggiungere l’acqua con il lievito e cominciare ad impastare. A impasto formato aggiungere il sale, poi l’olio e i semini di anice e continuare a lavorare finchè non si forma un  impasto liscio. Mettere a lievitare in una ciotola leggermente unta, in un luogo tiepido.
Quando l’impasto sarà raddoppiato, sgonfiarlo e lavorarlo arrotolandolo su se stesso. Formare un torchon o una treccia e deporlo in uno stampo da plumcake di circa 20×10 cm. Spolverare di curcuma. Aspettare che il pane raggiunga il bordo della teglia, poi infornare a 200° per circa 25 minuti. Battere il pane sul fondo per controllare la cottura prima di sfornare definitivamente.

Preparare i finocchi marinati mezz’ora o un’ora prima di servire: lavarli e tagliarli sottilissimi con la mandolina. Condire con olio, sale e pepe.

Su ogni fetta di pane all’anice deporre un po’ di insalatina di finocchio con il suo sughetto, compleare con le fette di Sant’Albray e mettere in forno tiepido per 5 minuti, in modo che il formaggio si sciolga.

 

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Winter Citrus Upside Down Cake per Re-Cake 2.0 di marzo Una torta rovesciata agli agrumi, profumata di spezie

 Eccomi qui, direttamente all’ombra della Tour Eiffel!
Il blog non si ferma ed io vi posto la mia versione della torta di questo mese per Re-Cake 2.0! Non ho cambiato quasi nulla, ho solo dimezzato le dosi proposte, ricavandone una torta rettangolare di circa 20 x 25 cm.
 

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Winter Citrus Upside Down Cake per Re-Cake 2.0 di marzo Una torta rovesciata agli agrumi, profumata di spezie" class="facebook-share"> Winter Citrus Upside Down Cake per Re-Cake 2.0 di marzo Una torta rovesciata agli agrumi, profumata di spezie" class="twitter-share"> Winter Citrus Upside Down Cake per Re-Cake 2.0 di marzo Una torta rovesciata agli agrumi, profumata di spezie" class="googleplus-share"> Winter Citrus Upside Down Cake per Re-Cake 2.0 di marzo Una torta rovesciata agli agrumi, profumata di spezie" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2015/03/winter-citrus-cake_1_ev.jpg" class="pinterest-share">
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“Agnolotti” ricotta e spinaci, il perfetto comfort food.

Chiedere a un goloso di raccontarti il suo comfort food preferito, può essere una pessima idea, perchè potresti trovarti con un elenco infinito di piatti diversi.
Chiederlo a una foodblogger è diverso! Nella cucina di una foodblogger, lo stesso piatto compare non più di una volta all’anno, anche quando è messo in programma, viene scalzato dall’ultima ricetta scoperta su un libro o sul blog di un’amica, o peggio ancora dal raro ingrediente che ha la stagionalità di soli cinque giorni all’anno! Le persone che quotidianamente si nutrono alla sua tavola già lo sanno e se ne sono fatti una ragione perchè, d’altronde, diciamolo, la foodblogger asseconda i gusti del suo blog, ma si prende anche cura dei palati degli assaggiatori…e quindi non è mai un sacrificio.

Ma…c’è un ma…un piatto – tavolta due – ma mai più di tre, che tornano con più frequenza…e che probabilmente non sono mai stati fotografati. Sono i piatti che preparava la mamma, non sono piatti d’alta cucina e spesso non ricalcano neppure una tradizione specifica, se non quella di casa. Non sono l’asso nella manica per gli ospiti che si vuole stupire, sono la coccola speciale per le persone di casa. E sono il comfort food speciale pure per se stessi!

Nel mio caso sono gli agnolotti. Li chiamo così, pur non avendo ripieno di carne, perchè a casa mia si sono sempre chiamati in questo modo. Sono giganti, come morbidi cuscini su cui posare il capo…la spiegazione è che mia nonna prima, e mia mamma poi, non avevano il tempo e la voglia di farli piccini: soprattutto mia nonna, sempre intenta a cucire, a vedere i minuscoli plin piemontesi, le sarebbe preso un infarto.
Avete presente quando ritrovate un oggetto, magari un giocattolo, che non vedevate da moltissimi anni: lo ricordavate gigante e lo ritrovate piccolino, non perchè abbiate mangiato i funghetti di Alice, ma perchè siete cresciute voi.
Ecco, una cosa non è cambiata: se mia mamma prepara questi “agnolotti”, sono ancora grandi come quando ero piccina…e ancora oggi li devo tagliare in 4 con la forchetta per poterli mangiare! Saranno cresciuti con me? 😀

Il ripieno è di ricotta e spinaci, a volte di sola ricotta, ma con gli spinaci è quello che mangiavo a cucchiaiate mentre mia mamma li preparava, da quando arrivavo appena al tavolo della cucina e sulla sedia mi ci sedevo in ginocchio, a quando l’aiutavo a girare la manovella della macchina per stendere la pasta.
Il sugo è di pomodoro…qualche volta è ragù di carne, ma quello che preferisco è quello di solo pomodoro al basilico, con le foglie spezzettate dentro, che tiravamo fuori dalle bottiglie, quando ancora facevamo la conserva in casa.

Tutti questi profumi e aromi li ho portati ora nella mia, di casa, e devo dire che, quando li preparo, gli agnolotti giganti (che ora sono diventati i miei) hanno ancora la stessa magia.

Per il contest promosso da Elisa de Il Fior Di Cappero
e Enrica di Coccola Time sul comfort food e ispirato a
Pippi Calzelunghe e alla sua cucina, sono davvero il primo piatto che mi è venuto in
mente.
Quando preparo questa pasta per il mio fidanzato, poi gli chiedo “ti piace?”-“ti piace?” con più insistenza delle altre volte, perchè facendogli assaggiare questi sapori lo porto in quella parte della mia vita in cui lui non era ancora accanto a me.
Mi è sembrato il più giocoso dei miei piatti, vicino alla figura di Pippi che io ricordo molto più nel telefilm che nel libro, con il suo faccino simpatico e i suoi capelli arancioni.

Eccolo, allora, il comfort food del mio cuore: e, credetemi, se vi passo la ricetta è perchè vi voglio proprio bene! 😀

La ricetta: Agnolotti giganti con ricotta e spinaci
-per la pasta:
200g di semola di grano duro
circa 100 g di acqua tiepida
un pizzico di sale
-per il ripieno:
250 g di spinaci freschi
200 g di ricotta ben scolata
1 tuorlo
40 g di pecorino grattugiato
sale
-per il sugo:
300 g di passata di pomodoro
1 spicchio d’aglio
olio evo
foglie di basilico
formaggio grattugiato (pecorino o parmigiano)

Lavare e cuocere gli spinaci senza acqua, coperti, con un pizzico di sale finchè non sono morbidi. Lasciarli raffreddare.
Intanto impastare insieme farina con il pizzico di sale e acqua, fino ad ottenere un panetto asciutto e liscio. Lavorare a mano la pasta per almeno dieci minuti. Coprirla con una ciotola sul piano di lavoro e lasciarla riposare mezz’ora.
Nel frattempo, tritare gli spinaci, aggiungervi la ricotta scolata, il pecorino e il tuorlo. Mescolare bene per ottenere un composto omogeneo e aggiustare di sale, se occorre.
Far dorare in due cucchiai d’olio lo spicchio d’aglio senza l’anima, aggiungere poi la passata e far cuocere, regolando di sale, fino ad ottenere la giusta consistenza (circa mezz’ora). Aggiungere un goccino d’acqua quando occorre, per prolungare la cottura, senza farlo inspessire eccessivamente.
Completare alla fine con qualche foglia di basilico.
Per la pasta, stendere la sfoglia con il mattarello o con la macchinetta in lunghe strisce. Deporre al centro della sfoglia delle palline di ripieno grosse come noci. Ripiegare una metà sull’altra per il lungo, schiacciando prima ai lati di ogni pallina di ripieno per far uscire tutta l’aria e poi salsando bene il bordo lungo. Ritagliare poi i ravioli con la rotellina dentata, uno ad uno; verranno un po’ storti e disuguali, ma è quello il bello.
Ripetere con ogni porzione di pasta.
Portare ad ebollizione una pentola d’acqua, salare e cuocervi i ravioli. Scolarli delicatamente in un piatto, perchè non si rompano e lascino andare un poco dell’acqua che hanno accumulato. Poi servirli nei piatti, intervallando con formaggio grattugiato e il sugo di pomodoro preparato in precedenza.
(E se ve ne avanzano, conditeli già e conservateli, il giorno dopo, riscaldati, saranno ancora buonissimi.)

Con questa ricetta partecipo al contest di Elisa ed Enrica “Benvenuti a Villa Villacolle”.

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Sedici: l’alchimia dei sapori – il contest – ep. 1 Agrumati

 
«Imparare a capire come si accostano i sapori, come enfatizzarli a
vicenda, è simile ad apprendere una lingua: vi permette di esprimervi
liberamente, di improvvisare, di trovare i sostituti più azzeccati per un
ingrediente, di cucinare un piatto nel modo in cui volete cucinarlo.
»
Niki Segnit
 
 

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Torta soffice di mele, nocciole e avena per Re-Cake 2.0 Un impasto incredibilmente soffice con tutto il gusto di nocciole e mele!

Re-cake è re-iniziato e stavolta siamo alla versione 2.0.
Sei foodbloggers intraprendenti lo guideranno: Sara, Giulia, Silvia, Claudia, Ileana e Carla per la versione gluten free! Ci saranno torte dolci e salate, ma io spero che saranno molte di più le torte rustiche come questa: Read more

Torta soffice di mele, nocciole e avena per Re-Cake 2.0 Un impasto incredibilmente soffice con tutto il gusto di nocciole e mele!" class="facebook-share"> Torta soffice di mele, nocciole e avena per Re-Cake 2.0 Un impasto incredibilmente soffice con tutto il gusto di nocciole e mele!" class="twitter-share"> Torta soffice di mele, nocciole e avena per Re-Cake 2.0 Un impasto incredibilmente soffice con tutto il gusto di nocciole e mele!" class="googleplus-share"> Torta soffice di mele, nocciole e avena per Re-Cake 2.0 Un impasto incredibilmente soffice con tutto il gusto di nocciole e mele!" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2015/02/torta-mele-nocciole-avena_2.jpg" class="pinterest-share">
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Treccia di brioche… in attesa di Re-Cake2

La puntavo da tempo e non potevo proprio mancare all’appuntamento. Questa re-cake ha tutte le caratteristiche che amo in un dolce. 

È un lievitato ed è soffice soffice, con pieghe dolci di marmellata e burro. La forma è quella del kringle estone, anche se lasciata a treccia e non ripiegata ad anello. Le dosi sono abbondanti e trovatami a gestire una grande quantità d’impasto ho finito per ripiegare la treccia su se stessa.

 
 

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Le mie Tiriccas, con ripieno di ficotto e mandorle e farine Qb Kronos e Kamut

Arriva una ricetta antica; antica perchè si tratta di un dolce tradizionale, ma anche perchè ha davvero un gusto d’antan, poco dolce, anzi con una punta di amaro, e senza un solo granellino di zucchero.
Più che una ricetta ecco la cronaca di una ricerca, ricerca che è partita pensando a cosa elaborare per il contest di Valentina e del Molino Grassi, con le sue farine biologiche della linea Qb, quelle di grano duro, Kronos e Kamut da grano Khorasan Kamut.
Il pensiero è andato quasi subito alle tiriccas sarde, dolcini tipici del periodo pasquale o, secondo alcune tradizioni, che variano di zona in zona, del periodo di
Sant’Antonio Abate, a gennaio, e regalati ritualmente anche alle famiglie in
lutto.
A seconda della zona in cui si preparano sono detti pani e saba, ovvero dolci di mosto, oppure caschettas nella zona di Alghero o ancora tiriccas o tilliccas, pizzicando la t nella pronuncia, ma anche cocciuleddi in Gallura. Il
significato del nome per me è ancora un mistero: non sono riuscita a
trovare una spiegazione esauriente, anzi l’unica presente online è che
pare che derivi da alcuni riti quaresimali del culto greco (sic!)
Oggi, abbandonata la ritualità religiosa, si trovano in vendita tutto l’anno, in diverse zone della Sardegna, ed attirano l’occhio per la caratteristica forma a spirale o quella più simile a un ferro di cavallo chiuso ad entambe le estremità; sono preparati con un involucro di pasta molto sottile, bianchissima e finemente cesellata, e farciti solitamente di sapa, mosto cotto, oppure di miele e mandorle o di marmellata molto densa.
Alcune ricette fanno riferimento per il guscio di pasta ad una farina di tipo granito, ovvero finissima di grano tenero, ma visto che nella mia famiglia le ho sempre viste fare di grano duro, molto più usato in tutta la cucina sarda, ho usato la farina Molino Grassi Qb Kamut da grano Khorasan, ricca di proteine nobili, acidi grassi insaturi, sali minerali e oligominerali.
Per il ripieno invece si usa una semola grossa, che permette di far inspessire il mosto d’uva; si è rivelato perfetto l’utilizzo della farina Qb Kronos, dalla grana ricca e rustica. Si tratta di un grano duro che venne selezionato a partire dagli anni ’80 nel deserto dell’Arizona; oggi è prodotto e lavorato integralmente in Italia.
Approfondendo la ricerca per essere ancora più certa che il grano duro fosse la scelta corretta, ho scoperto che il nome dell’impasto per il guscio sottile di questi dolci è pasta violata, o violada in lingua sarda. Per alcuni significa “violentata”, e il violentatore sarebbe lo strutto che va a modificarne la fibra, rendola bianchissima e molto più plastica. Ora, siccome lo strutto ha un cuore tenero, non potevo credere che arrivasse a violentare alcunché, e quindi ho cercato ancora l’origine di questa parola:

violà re, vrb: fiolare
ammodhigare, nà ¢du de sa pasta pro fagher pane; fagher carchi cosa
chentza fagher contu de sas lezes, diferente e in contrà riu de su ’e sa
leze s’atelat sa cariadura de sa sà *mula annanghendhe ozu porchinu in cantidade pro chi ndh’inciumat fintz’a violare.


Fiolare
o violare significa quindi ammodhigare, cioè ammorbidire; in questo caso si ammorbidisce con lo strutto: dopo aver ottenuto un impasto molto asciutto con farina di grano duro, macinata finissima, e acqua, si ammorbidisce pian piano l’impasto, aggiungendo gradualmente piccole dosi di strutto.
Come dicevo più sopra, il ripieno dei dolci è tradizionalmente a base di mosto d’uva cotto e semola grossa. Talvolta la saba utilizzata, soprattutto nella zona di Oristano, è quella di fico d’India, saba de figu morisca. Così, per la mia abitudine di voler unificare l’Italia e di fare intersezioni tra le cucine delle diverse regioni, ho pensato di utilizzare nella mia ricetta il ficotto, mosto cotto ottenuto dal fico rosa di Pisticci, paese lucano in provincia di Matera.
[fonti:
-http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/08/18/STEPO_STE04.html
-http://it.wikipedia.org/wiki/Saba_%28gastronomia%29 
http://www.coquinaria.it/forum-tavola-rotonda/]
La ricetta: Tiriccas, dolci sardi ripieni di saba, rivisitati con il Ficotto.
per il guscio:
250 g di farina Kamut Qb Molino Grassi
60 g di strutto
per il ripieno:
70 g di farina Kronos Qb Molino Grassi
40 g di mandorle spellate e tritate
250 ml di ficotto di Pisticci
2 cucchiai di miele di corbezzolo
la buccia grattugiata di un’arancia
Preparare il ripieno: in un pentolino mettere il ficotto, sciogliervi il miele e poi versarvi le mandorle tritate finemente. Scaldare fin quasi ad ebollizione. Versare a pioggia la farina di semola e mescolare ininterrottamenre finché il composto non si addensa. Deve diventare pastoso e lavorabile. Lasciar raffreddare.
Preparare l’impasto del guscio: mettere in una ciotola la farina Kamut, aggiungervi poca acqua tiepida fino ad ottenere un composto farinoso. Aggiungere lo strutto freddo, poco alla volta, facendolo assorbire all’impasto. La lavorazione prosegue per una decina di minuti, aggiungendo poco strutto alla volta, fino ad ottenere una pasta molto liscia e morbidissima.

Stendere una porzione di pasta con la macchinetta (spessore alla tacca più sottile) o con il mattarello. Ritagliare dei rettangoli di impasto con l’apposita rotella, di lunghezze diverse e della larghezza di circa 4 cm.

Ricavare dal ripieno tanti rotolini del diametro di 1 cm. Ogni rotolino va messo al centro del rettangolo di sfoglia che va poi ripiegato verso l’alto e poi arrotolato a spirale o fermato a ferro di cavallo.

Procedere con tutta la pasta e il ripieno. Far asciugare, senza far colorire, in forno già caldo ventilato a 120-130°C per 20-25 minuti ed infine far raffreddare completamente prima di assaggiare.
Con questa prima ricetta partecipo al contest Blogger Love Qb di Impastando S’Impara con Molino Grassi.
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Due ricette per Natale con la Vernaccia di San Gimignano DOCG

« Questi, e mostrò col dito, è Bonagiunta. Bonagiunta da Lucca: e
quella faccia di Ià da lui più che l’altra trapunta ebbe la Santa
Chiesa e le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di
Bolsena e la Vernaccia »
[Dante Alighieri, Divina commedia, Purg. XXIV,19-24]
E se già Dante nel Purgatorio citava la Vernaccia con tanta disinvoltura, facendo riferimento a Papa Martino IV, goloso di questo vino, vuol dire che all’epoca era già celebre in diverse parti d’Italia.
Pare che il nome faccia riferimento a Vernazza nelle Cinque Terre, dove si imbarcava per mare una produzione di questo vino; altre ipotesi fanno riferimento alla parola vernaculum che significa “originaria del posto” oppure si legano a Verno, gelido.
La sua produzione pare aver inizio nel 1200 ad opera di un certo Vieri de’ Bardi, che finì nel dimenticatoio al contario del suo prodigioso vino. Nel 1276 la Vernaccia era già celeberrima e pregiata, tanto da obbligare la creazione di una gabella di 3 soldi per ogni soma di vino esportata fuori da San Gimignano.
A seguire questo vino ebbe molti estimatori, da Cecco Angiolieri a Boccaccio, da Lorenzo il Magnifico a Geoffrey Chaucer, solo per citarne alcuni.
Giorgio Vasari immortala nell’allegoria di San Gimignano e di Colle Val d’Elsa, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a
Firenze, «un
satiro giovane che beve la Vernaccia di quel luogo».

Nel 1610 San Gimignano e il suo vino finiscono addirittura in una guida turistica ante litteram per i primi viaggiatori ad intraprendere il Gran Tour in Italia:

 «cittadina
particolare, perché produce vina vernatica finissimi e si decora bene di
Templi splendidi»

Con il Settecento comincia un lento declino che arriva al culmine nell’Otticento con il diffondersi di varie patologie della vite, che provocano un radicale cambiamneto nella produzione vitivinicola italiana. La rinascita è lenta ma nel 1966 è il primo vino ad ottenere la DOC in Italia. Nel 1993 arriva anche la DOCG.
Ad oggi è un vino prodotto da almeno l’85% di uve Vernaccia di San Gimignano, con un massimo del 15% di altri vitigni a bacca bianca di zona toscana, non aromatici. Il suo profumo è floreale fruttato in gioventù e diventa minerale con l’invecchiamento a cui si presta benissimo, soprattutto nelle varietà riserva.
Invitata dal Consorzio della Denominazione di San Gimignano a partecipare al contest sul menù di Natale, ho ricevuto la Vernaccia di San Gimignano DOCG Vigna in Fiore 2013 di Ca’ del Vispo di Massimo Daldin, da 100% uve Vernaccia.
Ho pensato, per un ipotetico menù delle feste, di abbinarla a due piatti di pesce, un antipasto e un primo; l’antipasto, il filetto di sogliola, è reso più importante dalla presenza di erbette provenzali, che ben si sposano con i caratteri floreali del vino. La zuppetta di seppie, invece, è impreziosita dalla presenza dello zafferano, che rappresenta un abbinamento abbastanza classico per questo vino e dona un piacevole colore dorato alla tavola delle feste.

Le ricette:
Filetti di sogliola alle erbe provenzali su crema rustica di ceci

(per 4 persone)
300 g di ceci già lessati
1 cipolla
400 ml di brodo vegetale
1/2 bicchiere di Vernaccia di San Gimignano
olio extravergine d’oliva
sale
pepe bianco
1 rametto di rosmarino
4 filetti di sogliola
misto di erbette provenzali (origano, rosmarino, timo, finocchietto, lavanda, basilico, anice)
Tagliare finemente la cipolla; rosolarla per qualche minuto in due cucchiai d’olio a fuoco vivace ed aggiungere i ceci già lessati. Sfumare poi con il vino bianco e lasciar consumare. Aggiungere il brodo e il rametto di rosmarino e far insaporire i ceci per dieci minuti. Regolare di sale e pepe. Frullare il tutto fino ad ottenere una crema dalla consistenza non perfettamente liscia.
Spennellare i filetti di sogliola con poco olio extravergine, salarli e passarli nel misto di erbette. Arrotolarli su se stessi e legarli con un filo di spago per alimenti.
Infornarli a 180° per 10 minuti.
Riscaldare la crema di ceci, stenderla a specchio sul piatto e adagiarvi il filetto di sogliola, liberato dallo spago e irrorato con un filo d’olio a crudo.
Piccoli canederli integrali in brodo di seppioline allo zafferano
(per 4 persone)
160 g di pane raffermo ai cinque cereali, privato della crosta
50 g di latte
40 g circa di farina integrale
2 uova bio piccole
12 seppioline pulite
1 spicchio d’aglio
200 ml di fumetto di pesce
1 bustina di zafferano
olio extravergine d’oliva
sale
prezzemolo tritato
per il brodo:
rosolare lo spicchio d’aglio leggermente schiacciato in tre cucchiai d’olio. Aggiungere le seppioline tagliate a listarelle, assieme ai tentacoli e far insaporire. Coprire con il fumetto di pesce e far cuocere  a pentola coperta finchè le seppioline non sono tenere, per circa 15-20 minuti. Sciogliere lo zafferano in poca acqua ed aggiungerlo al brodo, con l’aggiunta di un’altra tazza d’acqua calda. Regolare di sale. 
per i canederli:
tagliare il pane a cubetti; irrorarli di latte ed unirvi le uova sbattute con un pizzico di sale e la farina. Lavorare il composto e formare, con le mani leggermente inumidite, delle palline della grandezza di una noce. 
Riportare a bollore il brodo di seppie e lessarvi i canederli per 5 minuti. Servire con il brodo, spolverando di prezzemolo fresco tritato.

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Focaccia con fichi e noci, ripiena di Gruyère DOP per #noiCHEESEamo

Ecco la seconda ricetta per il contest #noiCHEESEamo promosso da Formaggi Svizzeri e Peperoni e Patate

Questa volta la ricetta del cuore non poteva che essere una focaccia, con una percentuale di farro nell’impasto ed arricchita di noci e fichi secchi che si sposano ottimamente con il Gruvière.
Per chi ancora fa confusione, il Gruvière non ha i buchi! Ha invece una pasta compatta e saporita, tutto merito della spazzolatura della crosta con acqua e sale. Per ogni forma da 35 chili vengono utilizzati oltre 400 litri di latte crudo.
Tutte le altre differenza tra Emmentaler e Gruyère le trovate qui nel post della prima ricetta, assieme a delle golose ciambelle salate.
Il sapore del Gruyère è intenso e gustoso, quello dei formaggi d’alpeggio, e sposarlo con la dolcezza dei fichi secchi è stato assolutamente naturale. L’impasto della focaccia è anche reso prezioso dall’uso della farina di farro e dalle noci.
 

La ricetta: Focaccia con fichi e noci, ripiena di Gruyère
100 g di farina
100 g di farina di farro
50 g di noci pesate già sgusciate
80 g di fichi secchi, ammorbiditi 5 minuti in acqua
6 g di lievito di birra fresco
1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva
1 cucchiaino raso di sale
120 g di Gruyère tagliato a fettine di circa 0,8 cm di spessore

Sgusciare le noci, pesarne 50 g e sminuzzarle al coltello. Tagliare a cubetti di un cm i fichi secchi e ammorbidirli per 5 minuti in acqua tiepida.
Mescolare le due farine con le noci sminuzzate; sciogliere il lievito di birra in 110 g di acqua.
Cominciare ad impastare, poi aggiungere l’olio e il sale. Infine i fichi, distribuendoli bene nell’impasto. Formare una panetto tondeggiante e metterlo a lievitare in una ciotola leggermente unta, al tiepido.

Quando il panetto è raddoppiato di volume  dividerlo in due pezzi uguali. Stendere il primo pezzo in una teglia rettagolare antiaderente, unta di olio, cm gdhja x jsakgsd, aiutandosi con le dita unte d’olio. Sulla superficie disporre regolarmente il Gruyère a pezzetti e coprire il tutto con il secondo pezzo di focaccia, stendendolo sulla prima e schiacciandolo bene, sigillando i bordi.
Lasciar lievitare per mezz’ora. Poi scaldare il forno a 200°.
Quando il forno è già caldo, formare in superficie delle fossette con le dita; spennellare la focaccia con poco olio d’oliva, spingendolo anche nelle fossette. Poi versare sul fondo della teglia mezzo bicchiere d’acqua, facendo in modo che un poco d’acqua resti anche nelle fossettine, per tenerle umide. Infornare per 20 minuti, sfornare e tagliare a pezzi. Servire subito, quando il formaggio è ancora filante.

 
 

 

Con questa ricetta partecipo al contest #noiCHEESEamo di Formaggi Svizzeri con Peperoni e Patate:

ai fornelli, buffet salato, contest, lievitati, pane&co, ricette tradizionali

Parathas per la B di Balarampur, India

Ancora un pane per Cindy e per l’India prima che la carovana dell’Abbecedario Culinario riparta per una nuova destinazione.
Questa volta si tratta delle parathas, un pane senza lievito, condito e cotto su una piastra rovente invece che in forno. L’impasto è quello dei chapatis, la differenza sta nella piegatura e nella forma caratteristica.
Esiste anche un tipo di parathas ripieno, soprattutto ne ho trovate farcite con un impasto di patate e spezie e confezionate tonde senza piegature, dall’aspetto decisamente più simile ai chapatis: questa tipologia ripiena si mangia tradizionalmente a colazione.
Correttamente si dovrebbe utilizzare il ghee, ma si può sostituire con burro fuso, per velocizzare il tutto, o con olio d’oliva se lottate contro il colesterolo: vi assicuro che sono buonissime anche così!
La ricetta: Parathas (ricetta tratta dal libro Il Pane fatto in Casa)
115 g di farina bianca
115 g di farina integrale
1 cucchiaino scarso di sale
15 ml di olio vegetale
135 ml di acqua 
120 ml di burro fuso (o se preferite ghee o olio extravergine di oliva)

Setacciate le farine con il sale. Impastate con acqua e olio e formate un’impasto mordido, aggiungendo una spolverata di farina se risultasse appiccicoso. Formare un panetto e farlo riposare per mezz’ora.
Formare 9-10 parti uguali e ricavarne delle palline che verranno tenute al riparo dall’aria.
Prendere una pallina, stenderla con il mattarello e l’aiuto di poca farina fino a formare un disco di 15 cm di diametro. Spennellare con il burro fuso e piegare a metà. Rispennellare e piaegare ancora a metà. Riporre questo triangolo sotto una pellicola e procedere con le altre palline, fino ad esaurire l’impasto.

Scaldare una padella piatta oppure una piastra per crepes sul fornello.
Nel frattempo riprendere il primo triangolo e schiacciarlo ancora con il mattarello, fino ad ottenere un triangolo sottile con il lato di 15-18 cm. Spennellarne un lato e metterlo sulla piastra ben calda. Far cuocere per un minuto, finche non si formano delle piccole macchioline marroncine, poi spennellare il lato in alto e rigirare la parathas, facendo cuocere per un altro minuto.
Procedere con tutte le parathas, tenendo in caldo quelle già cotte. Si possono eventualmente riscaldare ancora un attimo sulla piastra appena prima di servire, per farle tornare croccanti.

Questa ricetta partecipa all’Abbecedario Culinario Mondiale per la B di Balarampur, India, ospitato dal blog di Cindy.

Ci vediamo dal 18 in Australia… 😉

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