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La via Francigena in Piemonte: itinerari di storia e di gusto

Abbiamo imparato sui libri di scuola quanto gli antichi romani fossero bravi a costruire le loro strade. Avevano saggiamente compreso che un impero così grande poteva essere tenuto insieme solo con ottime vie di comunicazione ed alcuni tratti delle loro vie di collegamento sopravvivono ancor oggi, seppur stratificate da secoli di rimaneggiamenti, mentre, nei sotterranei delle moderne città, si trovano ancora tratti delle antiche strade, rimaste intatte sotto gli strati succedutisi nei secoli.
Nel Medioevo le strade consolari vennero via via abbandonate dal traffico di merci e persone, sia per la mancanza di manutenzione – molti dei lastricati vennero asportati per costituire materiale da edificazione ed ormai rovinate, rupte, diedero origine alla parola che oggi indica i percorsi non precisamente definiti, le rotte, appunto – sia per preferire percorsi secondari in prossimità dell’Appennino, per mettere in collegamento il Regno longobardo di Pavia con il sud Italia, evitando i territori che erano in mano ai bizantini.
L’antica via di Monte Bardone (Mons Longobardorum), originario nome del passo appenninico della Cisa, per il quale la strada passava, divenne un reticolo fittissimo di sentieri e via sterrate, segnate dal passaggio di pellegrini che in alcuni punti si allargavano per lasciar spazio alle mansioni (centri abitati, ospedali e abbazie che offrivano ospitalità per la notte).
Quando i Longobardi vennero soppiantati dai Franchi, la denominazione cambiò e la rete di strade diventò Via Francigena, comprendendo strade in tutti i territori del regno franco, anche in Belgio e nel bacino del Reno. Il sistema viario diventò subito il punto di riferimento non solo per i pellegrini, ma anche per i mercanti e gli eserciti.

I punti focali per i pellegrinaggi dell’epoca erano Gerusalemme e la Terra Santa, Roma e Santiago di Compostela. Alcuni pellegrini percorrevano la Francigena per raggiungere Roma, altri proseguivano verso sud, per imbarcarsi in Puglia, non prima di aver fatto tappa a San Michele al Monte Gargano.

Verso nord, invece, la strada si allungava verso la Sacra di San Michele, in Val Susa, per poi proseguire attraverso terra francese, fino alla terza abbazia benedettina dedicata al culto di San Michele, Mont St. Michel in Normandia, o per proseguire ancora verso Canterbury in Gran Bretagna. Dalla strada francigena italiana si proseguiva da Luni verso i porti francesi e attraverso la via tolosana verso i luoghi di pellegrinaggio di San Giacomo di Compostela in Spagna.
Canterbury invece è legata a uno dei più illustri pellegrini ad aver fatto nell’antichità il percorso fino a Roma, per un totale di 1600 km, in 79 tappe dicirca 20 km giornalieri: l’arcivescovo Sigerico.

Un tratto importante della via francigena passa dal Piemonte e dal 2004 questo tratto è diventato “Grande Itinerario Culturale Europeo”, come il più conosciuto Cammino di Compostela. Conta circa 650 km di strade, con 107 comuni coinvolti, 5 province toccate, 4 parchi naturali attraversati. Turismo Torino e Provincia ha dedicato un sito a questo progetto, sul quale si possono visulizzare i percorsi e progettare il viaggio, anche seguendone soltanto un breve tratto. Gli itinerari sono raccolti in 4 grandi gruppi:
la via Francigena Morenico-Canavesana, incentrata sulla conca morenica attorno ad Ivrea; la via Francigena della Valle di Susa, da sempre di collegamento con i luoghi d’oltralpe grazie ai passi del Monginevro e Moncenisio, passando dalla già citata Sacra di San Michele, fin quasi alle porte di Torino; la via Francigena Torino – Vercelli, attraverso campi aperti e regolari e lo spettacolo delle risaie; la via Francigena verso la Liguria e il mare, che attraversa il Monferrato attraverso le province di Alessandria e Asti.

Vi chiederete cosa c’entra tutto ciò con Ricette di Cultura? Attraverso la promozione di questi itinerari che passano vicino a pievi e attraversano antichi borghi, non poteva mancare una nota di gusto. Gli itinerari non erano percorsi soltanto da pellegrini, ma anche da mercanti, soldati, avventurieri di ogni tipo e queste persone mangiavano e, considerati i chilometri che percorrevano ogni giorno, con grande appetito… quale migliore occasione per riscoprire qualche caratteristica dell’alimentazione del tempo?

Un lavoro magistrale è stato fatto da Barbara Ronchi della Rocca, giornalista ed esperta di gastronomia storica, che ha ricostruito un vero e proprio menù del pellegrino, con piatti semplici e saporiti, tratti dalle abitudini dei consumatori medievali, con piante spontanee ed erbe, legumi e gustodissimi pani integrali, composti da cereali antichi recuperati. 
In ogni territorio toccato dalla via francigena le locande convenzionate (ben 23 ristoranti aderenti al progetto, lungo il percorso) offrono un menù diverso in accordo con le odierne abitudini culinarie del territorio.
Un’idea di menù? C’è il piatto del pellegrino composto da due antipasti, un assaggio di primo, pane della penitenza, meravigliosamente composto da farina integrali e di cereali misti e acqua a partire da 10€.
Alla presentazione delle Via Francigena Piemontese io ho potuto assaggiare una deliziosa zuppa di ceci, uno stufato di maiale con le mele, un dolce dall’aria antica, poco dolce e con ricotta e frutta secca. Gli ingredienti dell’epoca sono rispettati, ma il gusto è tutt’altro che penitenziale: abbiamo gustato piatti saporitissimi e perfettamente equilibrati nella loro rustica semplicità.
Vi confesso che, amando camminare nella natura, mi piacerebbe poter percorrere un tratto della via francigena, scoprendo romaniche pievi di campagna…un’idea per un week end un po’ diverso…adesso è proprio il periodo giusto, prima dell’arrivo del grande caldo!! 😉

Tra le ricette assaggiate alla presentazione degli itinerari piemontesi della via Francigena, vi ripropongo il dolce di ricotta, questa volta in mono porzioni.

La ricetta: Dolcetti di ricotta al forno con miele e frutta secca

200 g di ricotta di pecora
4 cucchiai di miele millefiori
1 uovo
1 manciata di uva passa ammollata
1 pugnetto di mandorle
1 pugnetto di fiocchi di cereali (per me avena e riso soffiato)

Lavorare la ricotta in modo da renderla cremosa e omogenea. Aggiungervi il miele e poi l’uovo sbattuto leggermente. Mescolare al composto anche l’uva passa.
Suddividere questo composto in 6 stampini da muffin. Completare in superficie con fiocchi di cereali e mandorle intere non pelate.
Infornare a 180° per circa 20 minuti, o finchè i dolcetti non si saranno rappresi e dorati.

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Gli appuntamenti di Ortinfestival: ce n’è per tutti i gusti.

Come anticipato qui, volevo raccontarvi qualcosa sui tanti appuntamenti di Ortinfestival alla Venaria Reale dal 30 maggio al 2 giugno, per invogliarvi a partecipare.
 
 
 
Il Potager in cui la manifestazione/esposizione si articola è una maglia quadrata di spazi tenuti a verde e completati con una collezione frutticola, orti, cereali, prato e fioriture, divertissement d’acqua e gallerie verdi. 
Immaginate in questo spazio una composizione regolare e studiata di:
varietà antiche di alcuni ortaggi, accanto al paniere dei prodotti agricoli tipici del Piemonte;
piante aromatiche, da quelle alpine, alla macchia mediterranea e quelle più esotiche; 
fiori eduli, dall’Italia e da altre latitudini, accanto a più di 50 nuove specie vegetali dal mondo che si sono adattate con grande successo ai nostri climi;
erbe spontanee, negli ultimi anni quasi dimenticate, che oggi riaffiorano nell’uso in cucina e cosmesi.
 
Per i pollici neri, però curiosi come me, ci saranno affascinanti visite guidate attraverso gli orti per imparare a riconoscere le diverse specie vegetali.
Per i pollici verdi, invece, ci saranno veri e propri workshop di orto, per costruirlo da sé, in vaso o nei cassonetti. 
Per i pollici neri che aspirano a diventare pollici verdi ci saranno basici corsi di alfabetizzazione orticola.
 
Come in ogni manifestazione che si rispetti non mancherà l’area dedicata ai piaceri del palato: si andrà dalla cucina d’autore di chef talentuosi e stellati, al BistrOrt, con cucina semplice del mercato e di stagione, ai Pop-up Kiosk, dove verrà servito al volo street-food in chiave “orticola“.
Sarà allestita un’area pic-nic, la iPlaid zone, per i dejeuner sur l’herbe o le merende sinoire, come vogliate chiamarle…
Infine non mancheranno gli showcooking e le cooking classes, con blogger, chef e autori gastronomici.
 
Nella filosofia green, i materiali di recupero verranno utilizzati per allestire orti verticali, sui tetti, sui terrazzi o sui davanzali urbani.
 
La Blogger-area sarà allestita con le tende eco-chic di Ferrino e per alcuni vi sarà la possibilità di pernottare all’interno dei giardini della reggia.
 
Infine l’area shopping riguarderà diverse categorie, dal verde (piante, tuberi, sementi), al food, al design e arredamento, al wellness e verranno presentati diversi Gruppi di Acquisto Solidale operanti sul territorio.
 
A completare il tutto ci saranno le performance degli artisti di strada e la presenza del partner d’eccezione di quest’anno, il Peru, che presenterà il rito andino della Pachamama, la Madre Terra, un tempo venerata dagli Inca e oggi da molte popolazioni autoctone del centro e sud America.
 
Vi saluto e vi dò appuntamento ad Ortinfestival con la mia semplicissima ricetta di dolce con le fragole. Mentre scrivo penso a molte amiche blogger che sicuramente saranno attratte da questo calendario così ricco ed allettante. La manifestazione aprirà alle ore 16,00 del 30 maggio e si concluderà il 2 giugno; per altre informazioni cliccate qui!
 
 
 
La ricetta: Pudding di fragole al profumo di lime

 

150 g di fette di pane integrale (il mio ai cereali preparato con Multicereali QB Molino Grassi)
20 g di burro
200 g di fragole mature
200 ml di latte intero
2 cucchiai di miele
1 uovo grande
1 cucchiaio di zucchero di canna + un po’
la buccia di un lime
 
Tagliare il pane a fette e poi a rettangolini. Lavare le fragole e tagliarle a pezzettini.
Far sciogliere il burro e spennellarlo sulle fette di pane.
In una pirofila disporre uno strato di pane e poi uno strato di fragole e continuare fino ad esaurimento degli ingredienti.
Scaldare il latte con il miele e la buccia gratugiata di un lime. Montare l’uovo con il cucchiaio di zucchero, poi miscelare questo composto con il latte e miele intiepidito.
Versare il tutto sulle fette di pane e fragole e lasciare assorbire, per circa 10 minuti, mentre il forno si scalda.
Infornare poi a 180°C fino a doratura delle fette di pane in superficie. Consumare tipiedo o freddo.
 
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6 settembre 2017
Ho provato una nuova versione di questo pudding: ho utilizzato 7 fette di plumcake all’uva passa, tagliate ancora a metà e disposte su una teglia rotonda di 20 cm di diametro. Ho sbattuto con 50 g di zucchero 2 albumi e 1 uovo intero, con la buccia di mezzo limone bio. Alle uova ho aggiunto 300 ml di latte di soia tiepido. Poi ho irrorato il pane all’uvetta con questo composto, disposto delle fragole surgelate sul tutto e fatto riposare per 10 minuti e poi infornato a 180°C per 30 minuti.
 
Eccolo qui:
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Perugina, il Museo e la Scuola del Cioccolato

C’eravamo lasciati con uno sguardo su Perugia:

Ma ora parliamo di baci.
Come la celebre “Carezza in un pugno” di Celentano, anche i Baci Perugina nascono da… un cazzotto.

Nel 1922 la signora Luisa Spagnoli, per recuperare gli scarti della lavorazione delle nocciole, una granella troppo sottile, pensa di farne praline, impreziosite da una nocciola intera in cima e ricoperte da un delizioso fondente alla vaniglia. Per la forma irregolare li battezza “cazzotti”. Giovanni Buitoni cambia il nome in Baci, immaginando il cliente che entra in negozio: 

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«Signorina, mi dà un bacio?»

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«Certo, Signore, ecco a lei un Bacio.». E con una punta di malizia e romanticismo nasce il prodotto che più di tutti segnerà la storia di questa azienza.

Nel 1915 la Perugina aveva abbandonato il centro città per lo stabilimento di Fontivegge, nella periferia di Perugia, con macchine modernissime per l’epoca. In quel momento si configura il passaggio da bottega artigianale a moderna industria, innescando una serie di cambiamenti innovativi per l’epoca, tra i quali spicca il risalto dato alla comunicazione pubblicitaria.
La pubblicità è momento fondamentale anche per il Bacio, affidata per tutti gli anni ’30, all’inventiva di Federico Seneca, che trasforma il celebre “Bacio” del pittore romantico Francesco Hayez, nei due innamorati del Bacio Perugina.

La comunicazione pubblicitaria, qui come non mai ce ne rendiamo conto, segue il costume e il cioccolato diventa, di volta in volta, trasgressivo, passionale o ancora rassicurante e familiare e passa dal dono tra innamorati alla dimensione familiare.


Il Museo Storico Perugina, nato nel 1997, per i 90 anni dell’azienda, racconta questa storia.
Oggi è possibile compiere un viaggio nel cioccolato, attraverso la sua storia, la storia della Perugina, e la sua comunicazione.

Tra réclame pubblicitarie che ormai ci fanno sorridere, per i cambiamenti di stile che si sono compiuti, e testimonianze di personaggi celebri, il viaggio è affascinante.
Il primo testimonial celebre è Mussolini che nel 1923, durante una visita alla fabbrica, afferma: «Vi dico e vi autorizzo a ripetere che il vostro cioccolato è davvero squisito.». Le sue parole, prontamente appuntate dai testimoni, vengono altrettanto prontamente ritrattate perchè l’immagine tutta d’un pezzo del duce non poteva indulgere su consigli pubblicitari. 
Ci pensa Gabriele D’Annunzio a mettere in risalto la delicatezza delle confezioni.

Qui i versi di Totò per l’amato cioccolato.
La storia della Perugina è d’altronde legata a doppio filo alla Storia d’Italia: vediamo succedersi guerre e crisi, e periodi di ripresa e prosperità.
All’interno del museo è bellissimo perdersi tra le vecchie pubblicità e le foto d’epoca delle operaie al lavoro e fare il confronto con le moderne linee di produzione, attraverso la visita alla fabbrica in funzione.

Il periodo migliore per una visita, per vedere le macchine al lavoro, va dal mese di luglio al mese di marzo, quando la produzione dei prodotti è al massimo, mentre si fermano verso l’arrivo della stagione estiva.
Presso la Casa del Cioccolato non si trova solo il museo, ma anche la Scuola del Cioccolato. Qui si possono seguire corsi completi e diversi per durata e approfondimento per imparare tutti i segreti della lavorazione del cioccolato. Un mastro cioccolataio, nel nostro caso Massimiliano, mostra tutti i procedimenti ed ognuno li ripete nella propria postazione, portando poi a casa i cioccolatini prodotti.

Noi abbiamo imparato a fare i “Nudi”, ma le preparazioni sono diverse, per un’offerta variegata è un’esperienza sempre nuova. Preparando le specialità di casa Perugina si imparano i fondamenti della lavorazione del cioccolato, il temperaggio del cioccolato, la ganache, la pralina, applicabili poi in diversi prodotti finali:…poi serve solo un po’ di fantasia per inventarne di nuovi.

Se capitate in Umbria e a Perugia per una vacanza, cercate di mettere in programma una visita a questa strabiliante vetrina sulla storia e sul costume italiano.
Tutte le informazioni di visita e prenotazione le trovate a questi link:
Casa del Cioccolato 
Scuola del Cioccolato

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Un viaggio a Perugia

Molti di voi  hanno visto su Facebook il mio biglietto d’oro per la visita alla Fabbrica di Cioccolato. Si trattava di una visita allo stabilimento della Perugina a Perugia con visita alla Casa del Cioccolato, un vero e proprio museo sull’evoluzione della Perugina nel corso di un secolo di storia.
Ho tentennato a lungo su come impostare questo racconto e alla fine ho deciso di dividerlo in due parti dedicandone una alla città di Perugia che mi ha stupito per la sua bellezza e le sue atmosfere.
Ho conosciuto Perugia alcuni anni fa, ma distrattamente, e a dire il vero ne ricordavo soltanto il vento e il freddo.
Il vento mi ha accolto anche questa volta!
Henry James, quello di Ritratto di Signora, nel 1875 scrisse nei suoi appunti di viaggio: «Forse
farò un favore al lettore dicendogli come dovrà trascorrere una
settimana a Perugia. La sua prima cura sarà di non aver fretta, di
camminare dappertutto molto lentamente e senza meta
e di osservare tutto
quello che i suoi occhi incontreranno.»

le 5 incisioni sul Torcolo di S.Costanzo
Ed è così; è questo il miglior modo per avventurarsi nel centro storico perugino. La città si sviluppa a 450 m sul livello del mare, su due colline collegate dall’antico decumano. Da un’acropoli centrale si sviluppano 5 borghi, innestati sulle 5 porte dell’antica Perugia, quella simbologia del 5 che ancora oggi fa bella mostra di sé sul famoso Torcolo di S.Costanzo, un dolce che si prepara per la festa del patrono.
Ogni quartiere si diparte poi da una via principale su cui si affacciano i vicoli stretti e ombreggiati. Ma è sopra le teste che lo spettacolo si fa più affascinante, archi rampanti e quelli che sembrano essere antichi passaggi, dove vedrei bene avventurosi spadaccini seicenteschi impegnati in rocamboleschi duelli.

La città è di fondazione etrusca, e conosce in seguito la dominazione romana e bizantina.
Del 1308 è la fondazione dell’Università, anche se corsi in legge e medicina erano attivi già nel ‘200. Intorno alla metà del XIV secolo era già tanto affermata da essere citata come una delle tre lumina in orbe, assieme a Bologna e Parigi. Oggi è la più grande Università per Stranieri in Italia.
il Portale delle Arti del Palazzo dei Priori
il duecentesco Palazzo dei Priori
la Fontana Maggiore di Nicola Pisano: da 800 anni funziona con l’acqua del Monte Pacciano

Durante il Rinascimento Perugia conosce un grande sviluppo, grazie alla famiglia Baglioni, tra il 1438 e il XVI secolo. Diventa un importantissimo centro artistico: alcuni dei nomi più celebri, Pinturicchio, il Perugino (che però era di nascita di Città della Pieve), mentre altre importanti personalità ebbero a Perugia la loro formazione, come Raffaello Sanzio e Pietro Aretino.

Sotto la dominazione del papa Paolo III Farnese, la città perde la sua autonomia civica e vive un periodo di decadenza, ma ancora pregevolissimi edifici vengono edificati. Con la costruzione della Rocca Paolina tra il 1540 e il ’43 una guarnigione papale si innesta definitivamente nella città. La Rocca, simbolo della supremazia del papato, opera di Antonio da Sangallo, si estendeva molto più di ora, su basamenti di antichi palazzi, ed oggi, nell’attraversarla sembra di percorrere una città nella città.

Per lunghi anni Perugia visse in quel clima sonnacchioso delle terre dominate dal Papato, la stessa immobilità che il marchigiano Leopardi lamentava a Recanati (anche le Marche come l’Umbria erano sotto il dominio papale.)
Il risveglio si avrà nel Risorgimento, esattamente con le stragi di Perugia del 1859 e l’annessione, l’anno seguente al regno di Sardegna. Dopo questi anni, Perugia divenne il capoluogo di una vastissima provincia dell’Italia centrale.

Nel 1922 da Perugia partì la tristemente nota Marcia su Roma, ma con la persecuzione razziale le operazioni clandestine di soccorso agli ebrei perseguitati sono coordinate qui da un perugino doc, il parroco don Federico Vincenti, a cui venne poi conferita l’Alta Onorificenza dei Giusti tra le Nazioni.

Se cercate un posto per mangiare, magari accompagnando dell’ottimo cibo con un vino di qualità scegliete la Bottega del Vino, in via del Sole 1.

Per una notte da re, scegliete il Brufani Palace e se siete fortunati potete avere una vista come questa:

E la Perugina, vi chiederete voi?
Nasce qui il 30 novembre del 1907 dallo slancio imprenditoriale di Francesco Buitoni, Leone Ascoli, Francesco Andreani e Annibale Spagnoli, in un edificio di 4 piani con 15 dipendenti.

All’inizio è una confetteria, Società Perugina per la Produzione dei Confetti, perchè il cioccolato all’epoca era considerato un bene di lusso che poteva impegnare solo parzialmente la produzione. Il primo anno non è particolarmente promettente, tanto che Francesco Buitoni affida la conduzione dell’azienda al figlio diciannovenne Giovanni. La mossa si rivela vincente: in pochi anni Giovanni, affiancato dalla moglie di Annibale Spagnoli, Luisa, fa decollare la produzione e la reputazione nazionale della Perugina e già nel 1915 la produzione si trasferisce a Fontivegge.

E subito fuori da Perugia si trova oggi la Casa del Cioccolato, museo, laboratorio, e shop.
—-la storia continua con il prossimo post—-

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Disfida Focaccia con due miti del “cibo da strada” ligure

Vi ricordate della giornata alla focacceria Lagrange? E vi ricordate del contest e della mia focaccia genovese-piemontese?

Ecco, con quella focaccia ho catturato l’attenzione di Salvatore Lo Porto e presto (spero) la prepareremo insieme.
Nell’attesa vi racconto cosa è successo il 3 dicembre in un’altra focacceria del circuito, precisamente alla Focacceria Sant’Agostino di via San’Agostino 6 a Torino.

A darsi appuntamento qui, due dei miti liguri del cibo da strada: Biagio Palombo, il mitico Biagio della Baracchetta di Recco, e Vittorio Caviglia, in un momento di godereccia condivisione di saperi.
Biagio della Baracchetta ha portato con sé tutto il sapere maturato in anni di produzione di una delle più buone e autentiche focacce di Recco; Vittorio ha condiviso invece tutte le regole per produrre la farinata perfetta, del giusto spessore, croccante in superficie e morbida all’interno.
Questa disfida tra Farinata e Focaccia di Recco è stata giocata all’insegna della più grande umiltà, con la regola, ripetuta più volte, che alla base di un ottimo risultato c’è un duro e costante lavoro.
Abbiamo scoperto che la focaccia di Recco richiede una buona manualità, ma il segreto sta nell’elasticità dell’impasto e che la farinata vuole soprattutto un buon equilibrio tra gli ingredienti e un forno molto caldo e che sia perfettamente in bolla.
Abbiamo scoperto che le teglie tonde non sono tutte uguali e che richiedono un trattamento speciale.
abbiamo scoperto soprattutto che le cose più buone sono quelle più semplici: pochi ingredienti di qualità e la passione di una vita.

Qui sotto trovate alcune foto della serata e in fondo la mia focaccia di Recco e la mia farinata (prima della disfida focaccia…non credevate mica che vi avrei rivelato tutti i segreti di Biagio e Vittorio?!?).

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La cucina campana di Luigi Lionetti – serata al Caffè Platti

Mercoledì sera ho partecipato alla serata campana al Caffé Platti Luigi Lionetti, chef executive del ristorante Punta Tragara di Capri.
Avevo già introdotto la serata con un post, ma ora, dopo aver  degustato i piatti, voglio dedicarne uno alla cucina e ai prodotti campani utilizzati, tutti prodotti di eccellenza valorizzati al meglio.
La cucina di Luigi Lionetti è semplice; questo non vuol dire sbrigativa, è al contrario accorta e curata, ma in ogni piatto ci sono pochi ingredienti, accostati al meglio, senza la smania di strafare che spesso va di moda tra alcuni chef, che cercano accostamenti arditi con la sola voglia di stupire.
Ciò che cerca Luigi invece è l’estrema valorizzazione del gusto con prodotti di alta qualità e piatti che incarnano il sole della sua terra; nessuna ricetta particolarmente elaborata, piuttosto le ricette della tradizione, riprodotte con cura e attenzione maniacale per il risultato finale che deve essere pulito nel gusto ed impeccabile nella presentazione.
La serata campana proposta da Platti, per il suo percorso di valorizzazione e scoperta della cucina italiana, inizia nel segno dell’eleganza…

…e con profusione di limoni di Sorrento accostate ad incantevoli ceramiche di Vietri.

Il momento dell’aperitivo vede dei frittini misti, serviti in un cuoppo che rievoca quello classico di carta paglia (una volta veniva usata carta di giornale – vi ricordate delle pizzelle fritte e de L’Oro di Napoli?) del cibo da strada, accostato a mozzarelline e ad altri prodotti dell’arte casearia campana.

Lo stomaco freme e finalmente ci sediamo a tavola!

Iniziamo con una zuppetta di fagioli di Controne con scarola saltata e polpo verace alla griglia.

A fare la parte del protagonista il fagiolo di Controne, prodotto nel salernitano e tra le 100 specialità italiane da salvare per Slow Food. Si tratta di una produzione ridottissima, non fatta su larga scala e  dalle qualità eccellenti del prodotto: buccia molto sottile, ammollo breve, chicco che non si spezza in cottura, digeribilità altissima.
Ad accompagnarlo la scarola – il cuore, a dire il vero – tenerissima e con solo una punta di amarognolo, anch’essa facente parte della tradizione partenopea a tavola, e il polpo verace, semplicemente scottato sulla griglia, con tutto il suo sapore, senza inutili sbavature.

Si prosegue con il baccalà confit, adagiato su ricotta di bufala, pomodoro di Corbara e profumo di limoni di Sorrento.

Il baccalà ha consistenza e spessore perfetti. La ricotta arriva da Barlotti, un produttore eccellente, con più di 100 anni di storia; è insaporita e soprattutto profumata dalla scorza di limone di Sorrento, una varietà particolarmente nota proprio per la fragranza intensa, coltivato nell’area di Sorrento, probabilmente già in epoca romana, visto che è raffigutato fedelmente nelle pitture pompeiane. Ancora una nota sul pomodorino di Corbara, dalla caratteristica forma allungata, anche questo originario della costa sorrentina e amalfitana. Coltivato in zone collinari e con l’ausilio di pochissima o addirittura nessuna irrigazione, viene consumato fresco o conservato in grappolo per il consumo invernale.

Il piatto successivo è il risotto mantecato all’olio extravergine di Nocellara del Belice, carciofi arrostiti di Paestum e seppie.

L‘olio siciliano del Belice è anch’esso DOP, con sentori di mandorla e carciofo, quindi perfetto per mantecare il risotto ai carciofi di Paestum, varietà coltivata in zona, dopo le bonifiche operate negli anni ’20 del ‘900. I carciofi sono semplicemente arrostiti, per conservare il loro gusto, con una punta di affumicato.

L’altro primo piatto è rappresentato da I Ravioli Capresi.

Il ripieno è composto da caciotta di latte vaccino e maggiorana; la salsa è un leggero e profumatissimo sughetto di pomodoro Spugnillo del Vesuvio, una delle varietà più preziose di pomodorini a grappolo. Le bacche sono allungate e presentano il caratteristico pizzo; la polpa è soda e la buccia coriacea. Detto anche spungillo o spunzillo, nome che fa riferimento alla particolare conservazione che viene effettuata formando degli spunzilli, appunto, o piennoli, che vengono posti in luoghi ventilati e che permettono di degustare il pomodoro, che si conserva a lungo grazie anche alle alte percentuali zuccherine, fino alla primavera successiva.


Il secondo è di pesce: branzino d’amo scottato sulla pelle alle erbe aromatiche con variazione di verdure di stagione e loro clorofilla.

Un filetto carnoso e sodo, adagiato su un verdurine appena stufate, broccoletti e patate.


Finalmente il momento dell’agognato babà al rhum.

Servito su una crema chantilly e insaporito con fragoline e altri frutti di bosco. La lievitazione perfetta e la mollica alveolata lo rendono leggerissimo ed è impossibile rinunciarci, anche dopo tutte le altre portate.

La serata si conclude con la Torta Caprese, in versione mignon, accompagnata da gelato al latte di bufala.

Per chi non la conoscesse la Caprese è la torta tipica di Capri, composta in parti uguali da cioccolato fondente e farina di mandorle, e resa aerata dall’albume montato a neve. Qui le scagliette di mandorle e il goloso gelato al latte di bufala, bilanciano il caratteristico gusto amarognolo e ci fanno concludere in vera dolcezza.

Impeccabili i vini che hanno accompagnato i piatti, ed impeccabile la direzione di Andrea Sabbia che introduce il nuovo corso del Caffé Platti e presenta il giovane chef protagonista della serata.

Ci lasciano andar via con un piccolo e delizioso omaggio e con tanta curiosità per il prossimo appuntamento, verso la metà di febbraio, con la cucina lucana ed un altro appassionato chef emergente.
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Due serate per degustare (e celebrare!) l’Eccellenza Campana

Chef Luigi Lionetti

Oggi parliamo di cucina campana, e non solo di quella tradizionale, ma di una cucina innovativa, frutto delle ricerche e della sperimentazione del giovanissimo Chef Luigi Lionetti, classe 1984. Il cuoco caprese, con una veloce e folgorante carriera alle spalle è oggi Executive Chef del ristorante dell’Hotel Punta Tragara, 5 stelle lusso di Capri, a due passi (o meglio a due bracciate) dai Faraglioni. Il suo sogno è quello di proseguire nell’eccellenza e di avere un giorno un ristorante proprio, aiutato dai figli (ora due bimbi di 5 e 3 anni) e dagli altri componenti della famiglia, votati alla buona cucina e ai buoni prodotti di un territorio che ne è ricchissimo.

Questa settimana, mercoledì 22 e giovedì 23 gennaio a partire alle ore 20,00, Luigi Lionetti sarà ospite del Caffé Platti di Torino, e regista di una serata all’insegna dell’ Eccellenza Mediterranea. Fagioli di Controne, pomodori di Corbara e Spugnilli del Vesuvio, extravergine d’oliva di Nocellara del Belice, limoni di Sorrento, sono solo alcuni degli attori del menù da lui studiato per l’occasione.

Questo il menù della serata, dove tradizione e innovazione si fondono:

Aperitivo di benvenuto

Zuppetta di fagioli di Controne, scarola saltata e polpo verace alla griglia 
Baccalà confit, ricotta di bufala “Barlotti”, pomodoro di Corbara e profumo ai limoni di Sorrento
 
Risotto mantecato all’olio extravergine di oliva di Nocellara del Belice, carciofi arrostiti di Paestum e seppie 
I Ravioli Capresi, ripieni di caciotta di latte vaccino e maggiorana, salsa di pomodori “Spugnilli del Vesuvio”
 
Branzino d’amo scottato sulla pelle alle erbe aromatiche, variazione di verdure di stagione e la sua clorofilla
 
Babà al rhum, crema chantilly e fragoline di bosco 

Dall’antica tradizione: Torta di mandorle caprese con gelato al latte di bufala

I vini in abbinamento saranno: 
Fiano di Avellino “Pietra Calda” 2012 – Feudi di San Gregorio
Lacrimarosa 2012 – Mastroberardino 
Passito Eleusi – Villa Matilde
(il costo della serata è di 65€/vini inclusi)
Le due serate di mercoledì e giovedì fanno parte del programma 2014 di rinascita del Caffè Platti, uno dei più famosi caffé storici di Torino.
Il locale aprì i battenti nel 1870, come liquoreria in posizione di prestigio, in uno dei grand boulevard di Torino, quello che sarebbe di lì a poco diventato corso Vittorio Emanuele II.
Presto rilevato da Ernesto e Pietro Platti, nel 1902 fu oggetto di un restyling sull’onda della nascente corrente liberty che grazie all’Esposizione Universale si stava fortemente affermando a Torino. 
Tutto al suo interno parla ancora di quell’epoca dorata e scintillante. Bellissimi, e vere e proprie opere d’arte, sono i banconi e le boiseries, ma anche i tavolini in ghisa e marmo e quelli in marmo rosso di Verona. Nel complesso l’arredamento, tutto di celebri manifatture, ci riporta ad un’epoca compresa tra gli anni ’10 e gli anni ’20 del XX secolo. 
Il locale fu fortunatamente risparmiato dai danni del Secondo Grande Conflitto e fu per anni il ritrovo di molti torinesi celebri, tra cui Luigi Einaudi, Giovanni Agnelli, Cesare Pavese.
Questo luogo carico di ormai quasi 150 anni di storia, oggi sotto la nuova direzione di Andrea Sabbia è un locale per ogni ora del giorno, dalla colazione, al bancone o ai tavolini, all’ora di pranzo, con la formula Platti Bistrot a piccoli prezzi, fino al più tradizionale Platti Buffet nelle salette al primo piano; e poi ancora all’ora dell’aperitivo, fino alle 21, fino a diventare Gran Buffet per il brunch domenicale.
E naturalmente Platti è anche Atelier del Gusto, cornice di questo primo incontro dedicato alla Campania, con lo chef Luigi Lionetti, e gli altri che seguiranno (a febbraio sarà la volta della Basilicata), con grandi chef e prodotti di eccellenza di ogni singola regione italiana.
Io parteciperò alla serata inaugurale di domani sera, grazie al cortese invito di Antonella Bentivoglio d’Afflitto, che molti di voi conosceranno per aver organizzato le prime due edizioni della Cena in Bianco di Torino; napoletana DOC, è curatrice per Platti della comunicazione sul web e sui canali social.

Se siete curiosi di assaggiare, non vi resta che prenotare subito! 
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Mercatini Natalizi all’Enoteca Regionale del Moscato

Anche Mango con la sua Enoteca Regionale “Colline del Moscato” ha avuto i propri Mercatini Natalizi.
L’idea è nata vedendo quante iniziative analoghe si stavano svolgendo nei paesi limitrofi: anche il castello di Mango, con i suoi bei soffitti voltati e le sue mura spesse e cariche di storia, doveva per un weekend vestirsi a festa e fare spazio agli espositori.
La scelta è caduta sull’ultimo weekend prima di Natale, per concomitanze con altri eventi nel paese e nelle vicinanze. Molti erano certamente impegnati con le ultime corse ai regali e con l’inizio delle preparazioni per la vigilia di Natale, ma coloro che sono passati al castello hanno trovato tante opportunità per calarsi in un’atmosfera natalizia d’altri tempi, grazie alla musica e ai numerosi ospiti.

In particolare la giornata di domenica ha visto tra i protagonisti i trottolai di
Roccavignale, un piccolo borgo ligure, che sono arrivati con le loro affascinanti trottole a
filo, un gioco antico di almeno 6000 anni, con tutta l’attrezzatura
necessaria a costruirle sul momento. 
Se non siete muniti di un tornio, sappiate che vi serve un vecchio motore da lavatrice e decisamente tanta abilità manuale, ma potete imparare anche voi a costruire trottole di legno…forse non così minute e precise come queste di osso, che sono contenute da un guscio di nocciola vuoto: ce ne staranno almeno una trentina.
Per i bambini, oltre al lancio delle trottole, c’erano due laboratori creativi: quello di decorazione di biscotti, tenuto da Paola Solazzi e quello di pupazzetti di pasta al sale con Bruna Stupino.
 
Per chi lo desiderava c’era la possibilità di passeggiare intorno al castello a dorso d’asino, grazie alle splendide e docili bestie dell’Azienda Agricola Pavaglione, abituate al trekking con i bambini.

A fare il loro figurone alcuni membri della Confraternita della Nocciola, abbigliati con il loro scenografico mantello, con la proiezione di un filmato sulla Tonda Gentile delle Langhe.

Tanti banchetti di esposizione e vendita, con prodotti enogastronomici ed artigianato e tanta musica hanno accolto i visitatori, fino al culmine della giornata, la degustazione guidata di Moscato d’Asti DOCG come sempre condotta magistralmente da Lorenzo Tablino. Non solo degustazione, dunque, ma tante curiose note sul Moscato d’Asti e sull’Asti Piemonte, sulla loro storia e sui produttori; qualche curiosità sugli abbinamenti ed infine la presentazione ancora non ufficiale della raccolta di ricette dei foodbloggers che quest’estate si sono messi in gioco con una bottiglia di Moscato e tantissima fantasia, promossa dall’Enoteca Regionale del Moscato in collaborazione con Ricette di Cultura, Cucina Precaria e Due Cuori e una Forchetta.
Avremmo voluto avere più tempo, per dare anche noi il nostro contributo con qualche ricetta, ma il lavoro è proseguito lesto con il supporto e l’abnegazione di Renata Bonacina dell’azienda agricola Ca’ ad Balos, finanziatrice del progetto grafico e della stampa.
L’obiettivo era quello di mettere in vendita il prodotto già ai mercatini natalizi. Io e Anna ci siamo occupate della raccolta delle immagini, di far da tramite con l’agenzia che si è occupata della grafica e soprattutto di uniformare i testi.
Ecco una piccola anteprima del libricino:

I proventi della vendita verranno utilizzati innanzitutto per pagare le spese di elaborazione e di stampa. In futuro si spera che il libricino possa essere diffuso in enoteche e cantine per promuovere l’uso del Moscato d’Asti DOCG in cucina, in modo che non sia più relegato a vino da dessert ma che conosca una fortuna a tutto pasto!

La presentazione ufficiale sarà in primavera: forniremo a tutti le indicazioni per partecipare!

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Una giornata al Training Center Lavazza: un biscotto ispirato dal caffé!

Lavazza è in Italia e nel mondo sinonimo di caffè ed è una delle più grandi aziende della mia città.

Io mi ricordo delle campagne pubblicitarie con Nino Manfredi, i miei genitori ricordano certamente le lattine sottovuoto con l’apertura ad anello, e il caballero misterioso con la dolce Carmencita.
L’azienda nasce a Torino nel 1895 dallo spirito imprenditoriale di Luigi Lavazza, figlio di agricoltori ma con un’anima votata al commercio. Nel 1910, proprio dalla sua intuizione nasce il caffé in miscela, mentre i concorrenti si limitavano a commerciare le singole varietà. La miscela ha il meritato successo e la Lavazza si trasferisce nei locali più grandi di via San Tommaso.
Nel 1923 il caffè comincia ad essere venduto già confezionato, cosa che migliora la conservazione e il trasporto, e nel 1927 la Lavazza diviene Società per Azioni.
L’azienda supera le difficoltà di due guerre mondiali e del periodo di autarchia, e non smette di espandersi, fino a culminare con una vera e propria rivoluzione per l’epoca: la creazione dei sacchetti con il proprio marchio.
Nel 1950 il primo slogan pubblicitario è “caffè Lavazza, paradiso in tazza… e credo che i moderni pubblicitari prenderanno da qui ispirazione per le pubblicità televisive ambientate in paradiso.
A proposito di pubblicità, Lavazza collabora con lo studio Testa fin dal 1959.


Nel 1979 nasce il Centro Luigi Lavazza per gli Studi e le Ricerche sul Caffè, attuale Training Center, mentre nel 1982 l’azienda apre la prima filiale estera a Parigi.

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Nel 1993 la Lavazza abbraccia l’arte e nasce il primo calendario firmato da Helmut Newton.
Senza mai abbandonare la tradizione del caffè italiano con la moka, Lavazza ha percorso con entusiasmo la ricerca tecnologica per un sistema che faccia affezionare gli italiani anche all’espresso da casa.

La Lavazza Blue viene lanciata nel 2003 ed è solo il primo passo verso l’espresso da casa.
Nell’ottobre del 2007 nasce A Modo Mio: la macchina funziona con capsule predosate acquistabili al supermercato; se prima possedere una macchina da espresso era davvero uno status symbol, oggi  l’espresso da casa diventa davvero alla portata di tutti!
Ancora di più con il nuovo sistema

P { margin-bottom: 0.21cmÈspria, appena uscito sul mercato, dove il sistema  A Modo Mio è coniugato con un design davvero essenziale e misure ridottissime, che permettono di collocarla in qualsiasi cucina.

La visita al Training Center Lavazza, non è stata per me soltanto molto istruttiva, ma in un certo senso d’ispirazione. Non avete idea di quanto si possa nascondere in una tazzina di caffè! Una storia che si perde nella leggenda, dal pastorello etiope Khaldi fino ai giorni nostri; la sorpresa della tostatura, dal profumo di popcorn a quello di cioccolato; l’armonia di un flavour, sensazione simultanea di gusto, aroma e percezione tattile.

Un espresso di qualità si riconosce dalla tessitura della crema, l’aroma fruttato e tostato abbinato alla dolcezza e alla corposità e noi abbiamo provato a lasciarci condurre in un’approfondita analisi sensoriale
Siamo foodblogger, e il nostro senso principe è il gusto, quindi se all’analisi dei profumi abbiamo incontrato qualche difficoltà, gli abbinamenti di gusti ci hanno lasciate a dir poco entusiaste. 
Ogni miscela A Modo Mio è stata associata ad alcuni sapori/abbinamenti che ne valorizzano le note più aromatiche. 
Da lì all’idea di abbinarci un biscotto il passo è stato breve.
Così nasce questo biscotto divino, da abbinare all’espresso “Divinamente”, una delle selezioni particolari di A Modo Mio (in tutto troviamo ben 10 miscele, tra cui il decaffeinato e il caffé lungo).

Il gusto del dattero e quello del cioccolato fondente, risvegliano le stesse note presenti nella miscela, un espresso che viene descritto come <<vellutato, con gusto raffinato e cioccolato>>, e ricordano la medesima texture…perchè a volte solo il caffè non basta!! 😉

La ricetta: Biscotto morbido con cioccolato fondente e dattero per un espresso …divinamente A Modo Mio

ingredienti per 30-40 biscotti:

una ventina di datteri
2 cucchiai di grappa 
175g di farina 00
1/2 cucchiaino scarso di lievito in polvere 
140 g di cioccolato fondente (meglio al 70%)
 
45 g di burro
150 g di zucchero
 
2 uova grandi

Dividere i datteri a metà, togliere il nocciolo e metterli a bagno in acqua tiepida con la grappa.
Far fondere in un pentolino il burro con il cioccolato tagliato a pezzetti.
Sbattere le uova con lo zucchero con l’aiuto di una forchetta.
Quando si sarà intiepidito, aggiungere il burro e il cioccolato fuso, e mescolare bene. Poi aggiungere la farina addizionata del lievito, facendola ben assorbire all’impasto.
Riporre l’impasto in frigorifero per 1 ora e mezza.
Passato il tempo, scolare i datteri, che saranno diventati morbidissimi; inumidirsi le mani e formare una piccola biglia di impasto, del diametro di circa 2,5 cm, schiacciarla sul palmo della mano, mettere una metà dattero e ricoprire con un’altra biglia di impasto, senza schiacciare troppo, come per formare un sandwich e deporlo su una teglia foderata di carta forno.
In cottura il biscotto avvolgerà il dattero quasi completamente, lasciando intuire qualcosina del ripieno…
Ripetere l’operazione fino ad esaurire tutto l’impasto e i datteri.
Infornare ogni teglia per circa 12 minuti a 170°C.
Lasciar raffreddare completamente prima di gustare con la miscela Divinamente di Lavazza A Modo Mio.

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Ricordi e immagini dal blogtour #ReDolce

L’abbiamo raccontata in tutte le salse. Ne ho scritto pure qui!
Il #ReDolce è nato con noi e speriamo che abbia modo di crescere sano e forte.
I due giorni passati in compagnia dei blogger sono stati emozionanti e coinvolgenti e noi organizzatrici – io, Anna e Valeria – ne siamo uscite sicuramente arricchite, non soltanto dalla conoscenza di prodotti straordinari, e non solo Moscato, ma anche dai racconti di vita dei produttori, persone tutte diverse, da noi e tra loro, per scelta di vita ed alterne fortune, ma che fanno il proprio lavoro con passione e rigore.

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Il Roccolo e la carne piemontese a Busca

Il 14 settembre ho avuto la possibilità, grazie all’iniziativa di Terraviva, in occasione della Sagra del Toro allo Spiedo, di visitare Busca e le sue attrattive turistiche.

Si è parlato molto anche di carne di bovino piemontese, povera di colesterolo rispetto ad altre carni bovine, saporita e sana, per lo stile di vita con cui vengono allevati questi maestosi animali. Niente sfruttamento intensivo: il bovino piemontese ha bisogno di spazi piccoli, stalle che sono rimaste immutate dai primi anni del secolo scorso, e di ritmi scanditi in modo naturale dalle stagioni. Il risultato è una carne poco grassa, saporita e perfetta in ogni taglio. 
Avrò modo di parlarne più approfonditamente, ma non voglio perdere l’occasione di far conoscere, a coloro che ancora non ne hanno sentito parlare, un posto favoloso, ricco di fascino e magia, il Castello del Roccolo, che fu abitazione estiva di Roberto Tapparelli d’Azeglio e di Costanza Alfieri di Sostegno, nobili piemontesi di intelligenza e cultura.

Roberto, figlio dell’ambasciatore Cesare d’Azeglio e fratello maggiore del più celebre Massimo, viaggiò fuori dal Piemonte fin dalla tenera età, fin dalla permanenza a Firenze, quando aveva 10 anni, per poi vivere a Parigi, a Roma e nella parte più settentrionale della Germania, per poi tornare a Torino, nel 1813, dove conobbe e sposò Costanza, di soli tre anni più giovane, ed ugualmente colta ed illuminata, tanto da fondare nel capoluogo del Regno di Sardegna un salotto assai famoso e frequentato.

Con il ritorno in Piemonte Roberto si dedicò soprattutto ai suoi studi di storia dell’arte, ma fu coinvolto, anche se in maniera secondaria, nelle vicende politiche che animavano il Piemonte in quegli anni.

Nel 1821 i due coniugi, legati da amicizia anche al principe Carlo Alberto, parteciparono ai moti carbonari; una volta constatato il fallimento dell’insurrezione, pur non avendo responsabilità dirette, decisero di riparare all’estero soggiornando prima a Ginevra e poi a Parigi e qui fermandosi fino al 1826. Con il ritorno in patria suggerì a Carlo Alberto l’idea di creare un’esposizione peremanente dei tesori artistici collezionati nei secoli dalla Casa Reale. Il 2 ottobre 1832, grazie a quest’idea, vide la luce il nucleo originario delle raccolte della Galleria Sabauda di Palazzo Madama.

A questo seguirono importanti pubblicazioni, dove si abbandonava, accanto ai commenti di carattere artistico, a lunghissime digressioni sulla storia e le leggende legate alla Casa Savoia.
Nei cosiddetti ritagli di tempo si dedicò alla fondazione di diversi istituti volti all’aiuto delle classi meno abbienti. Durante l’epidemia di colera del 1835 accettò la direzione del lazzaretto, provvedendo personalmente alla cura di alcuni infermi; nello stesso anno fondò anche un asilo femminile in Piazza Gran Madre, seguito poi, in breve tempo, da una scuola per bambini e fanciulli, e dalla fondazione di una “Società per l’istituzione delle scuole infantili e del patrocinio degli alunni”. Il suo spirito, al contrario, ad esempio, di Giulia di Barolo, fu sempre rigorosamente laico e volto al miglioramento della società civile, riscontrabile anche nel tentativo di emancipazione delle comunità ebraiche e valdesi.
Attorno a quegli anni, precisamente nel 1831 Roberto e Costanza acquistarono alcuni ruderi del Castello del Roccolo e riedificarono quasi integralmente la costruzione secondo lo stile neogotico dell’epoca. Il termine roccolo fa riferimento alle reti utilizzate per catturare i piccoli uccelli selvatici. Ma questa abitazione estiva ha un fascino in più. Nelle sue decorazioni sono nascosti innumerevoli simbologie, e in ogni angolo c’è un richiamo più o meno velato ai luoghi dove Costanza e Roberto risiedettero durante il volontario esilio del 1821-1826.
Una porzione della facciata in stile neogotico con particolari dall’aria moresca

Visitare questo posto straordinario, grazie al recupero effettuato negli ultimi anni dall’associazione culturale Marcovaldo, è un viaggio emozionante.
Qui sotto alcune immagini, che spero vi diano un’idea di questo posto affascinante a pochissima distanza da Torino.

[fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Taparelli_d%27Azeglio 
http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-taparelli-marchese-d-azeglio_%28Dizionario-Biografico%29/]

L’ascesa al Castello
All’interno lo stemma dei Taparelli-D’Azeglio e il simbolico pavone
Uno dei trompe-l’oeil che, grazie ai giochi di luce, sembra ancora più realistico
La Cappella interna al giardino
I pavimenti, i soffitti stuccati, le pareti dipinte
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