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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano

È finalmente giunto il momento di raccontare della mia esperienza di visita presso i Molini Bongiovanni di Cambiano
La visita è avvenuta a luglio e già tempo fa ho pubblicato lo storify della giornata, ma da Twitter mi sono giunte richieste di raccontare qualcosina in più riguardo al corso di panificazione tenuto dal Maestro panificatore Giovanni Gandino.

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Ma il mio amore è…Fenoglio: cultura e stomaco van sempre a braccetto!

È sempre emozionante parlare di un progetto personale, è come scrivere un romanzo in prima persona. Ma è proprio in prima persona che ho organizzato con Anna e Valeria la passeggiata fenogliana di domenica 21 luglio e quindi anche a me spetta questo racconto.
Qualcuno di voi ne avrà già letto qualcosa qui e qui.
Io tenterò di spiegarvi cosa è successo.
Il ritrovo è stato a Mango, presso l’Enoteca Regionale Colline del Moscato alle ore 15. La gente continuava ad arrivare…tutta…tutti coloro che si erano prenotati telefonicamente, più due adesioni dell’ultimo minuto.
La partenza è stata mezz’ora dopo: 50 persone. Il signor Donato Bosca, esperto di Fenoglio e profondo conoscitore di Mango, ha accompagnato il gruppo al fondo del paese sulla piazzetta di Porta Avene, il primo dei luoghi visti da Beppe Fenoglio all’arrivo a Mango quando si unì ai partigiani badogliani, dopo aver lasciato i rossi…

 
Da lì è partito il percorso, la porta del paese, l’albergo Italia, la casa del medichin e tanti altri caratteristici scorci che conservano il ricordo di un tempo lontano.
Raggiunto il centro di Mango, nuovamente all’Enoteca, sono state raccontate alcune note storiche sulla fondazione di Mango e sul castello dei Marchesi di Busca. 
Poi è arrivato il momento del trasferimento a San Donato di Mango.
Alla cascina di Luigi Chiarle, una pausa dissetante ha accolto i primi arrivati, ma tutti hanno avuto la possibilità di riprendere fiato, di rinfrescarsi qualche minuto e di attardarsi a visitare il museo personale di Luigi, nostro fotografo d’eccezione per la passeggiata.
Poi la partenza lungo il versante della collina, incontrando tanti aspetti della stessa natura, dello stesso ambiente: la vigna, il recinto degli asini, i tratti di bosco, il sentiero in pietra dei partigiani, lo spiazzo della cappelletta dedicata alla Madonna, poi il tratto di bosco e di noccioleto, infine il prato dorato fino al riposo in agriturismo. 

Già in cima alla prima salita c’è stato l’incontro con Paolo Tibaldi ed Enrico Bosca, il primo attore e il secondo studioso fenogliano, che si sono presentati e ci hanno subito anticipato il contenuti dei brani scelti. Il loro lavoro è stato coscienzioso: hanno scelto i brani da interpretare guardando i luoghi da attraversare, riuscendo a dare una prima infarinatura anche a chi Fenoglio non lo conosceva affatto. Non solo i racconti di sfondo partigiano, ma anche il rapporto con la religione, con la madre, con l’ambiente naturale, tanto presente in Fenoglio da diventare personaggio dei suoi scritti.
Durante la sosta alla cappelletta, i palati di indole dolce e di indole salata sono stati brevemente stuzzicati, con il Moscato d’Asti DOCG abbinato alla torta di nocciole e ai cracker fatti in casa con la gorgonzola, prima dell’ultimo sprint.
L’ultimo tratto era il più lieve, leggera discesa e poi via tra l’erba alta. 
Siamo così giunti all’agriturismo Anrì dove ci viene svelato, attraverso la lettura dell’ultimo brano, il significato del  titolo della passeggiata “Ma il mio amore è …Fenoglio” che riecheggia il titolo di un racconto dello scrittore albese “Ma il mio amore è Paco”.
Gli stomaci scalpitano, giusto un minuto per i ringraziamenti di rito e siamo tutti in fila a riempirci i piatti delle prelibatezze preparate dall’agriturismo Anrì: antipasti piemontesi, tutti quelli che potete immaginare, accompagnati dalle friciule, così saporite e croccanti che è impossibile fermarsi alla prima. E poi naturalmente i vini dell’Enoteca Regionale Colline del Moscato e i dolci e l’allegria festante di un bel gruppo eterogeneo, dove i più anziani avevano 82 anni e la più giovane 11.
A seguire i riconoscimenti del nostro lavoro, che ci hanno riempito d’orgoglio: la famiglia genovese, le tre bloggers presenti (Margherita, Cristina e Irene), Alessandro che ha subito scritto di noi, gli anziani che hanno accolto coraggiosamente la sfida della camminata, che tanto nessuno ci correva dietro, gli attori entusiasti da tanta partecipazione, i nuovi amici di Goodmakers che si sono fermati poi a chiacchierare nella piazza di Mango, al bar, fino a tardi.
Questo evento ci ha lasciato addosso l’entusiasmo per la sfida vinta e la voglia di fare molto di più per questo territorio. Di certo si ripeterà il percorso e si cercheranno nuovi itinerari. Sarebbe bello poter coinvolgere altre amministrazioni comunali, quelle dei paesi limitrofi, e altri luoghi da includere nei percorsi. Questa è la sfida che ci proponiamo per il blog tour dell’autunno al quale parteciparanno le autrici delle più belle ricette con il Moscato d’Asti, Manuela, Cristina, Margherita e Francesca, ed altri blogger e giornalisti.
Per restare sintonizzati seguite Colline del Moscato anche su facebook.
Per tutte le foto del live twitting guardate qui.
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Langhe insolite…al di là del vino, la nocciola Tonda Gentile

Langhe.
Per i non-piemontesi si tratta di quel territorio variegato a cavallo
tra cuneese e astigiano, composto da colline e vallate poco profonde, a
tratti dolce e a tratti aspro, che dà i natali ad alcuni tra i migliori vini
italiani e che è candidato a divenire patrimonio dell’UNESCO.

Vigne
a perdita d’occhio, ma soprattutto saliscendi di colline che
incorniciano i paesaggi elogiati e decantati da Pavese e Fenoglio,
nebbia autunnale e densa calura estiva
.

<<C’era
da restare accecati a voler fissare là dove il cielo d’un azzurro di
maggio si saldava alla cresta delle colline, di tutto nude fuorchè di
neve cristallizzata
.>> 
B. Fenoglio, Golia, diciotto racconti.
 

Questo
maggio l’abbiamo saggiato sulla nostra pelle e nei nostri occhi,
compagni del tour BITEG #piemonteliguria nel gruppo “Nocciole”, quando abbiamo conosciuto
l’altro volto della Langa. Langa
che non è solo vino, ma anche noccioleti e prodotti d’eccellenza ad essi legati, è
accoglienza, ospitalità, calore, anche in una delle primavere più fredde
degli ultimi anni.
La
nocciola di cui si parla è una signora nocciola, la Tonda Gentile di
Langa
, impiantata soprattutto nelle zone dell’Alta Langa, è stata
definita come la nocciola più buona al mondo, proprio per le sue
caratteristiche di dolcezza e persistenza olfattiva. La Tonda Gentile,
che già per il suo nome dovrebbe essere amata da tutti, ha anche
caratteristiche di buona resa poichè il frutto riempie quasi tutto il guscio.

Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscerla da vicino, perchè ospiti di Ca’ San Ponzio, un delizioso b&b che è anche agriturismo e dimora di charme, che si trova vicino a Barolo  nella Frazione Vergne.

 
 

Quando un ispettore della guida Michelin ha alloggiato qui mentre provava i ristoranti della zona, i proprietari di Ca’ San Ponzio l’hanno scambiato per un rappresentante di gomme, tanto da trattarlo con il consueto garbo che riservano a tutti gli ospiti e nessun trattamento di favore. E’ stato l’ispettore infine, a consigliare loro di fare richiesta per entrare nella prestigiosa guida.
Qui non si dorme solo nelle camere, posticini accoglienti e senza tempo con un alto soffitto con travi a vista che ricordano l’ambiente di un antico fienile. 

C’è la possibilità, durante la bella stagione, di campeggiare nei terreni circostanti, all’ombra – indovinate un po’ – delle piante di nocciolo, alcune delle quali vecchie di 50-60 anni. 

Qualcuno tenta anche di far incetta dei loro frutti, ci confessa Luciano, uno dei gestori, ma sono la piccola parte, tutti gli altri si accontentano di godere della fresca ombra e dello splendido panorama.

Questo cascinale esiste da tempo, da almeno 100 anni, costruito dal padre, che lavorava in paese come mugnaio. Questo spiega anche le pietre da mulino che Luciano e suo fratello hanno pazientemente riportato a splendore.

La costruzione che possiamo ammirare oggi è dovuta alla loro grande pazienza: hanno recuperato tutti i materiali da costruzione antichi e hanno fatto mettere impianti moderni in una cornice del tutto autentica.

 

La fornitissima cantina, come in ogni luogo ospitale che si rispetti, è a disposizione del cliente, ma senza alcuna formalità. Gli ospiti possono scegliere e assaggiare, segnare su un quaderno e pagare solo alla fine del soggiorno.

Nella stessa mattinata, dopo aver visto le nocciole ancora acerbe sulla pianta, ci siamo avviati verso la casa natale dei Baci di Cherasco, la Barbero Marco, confetteria e pasticceria dal 1881, che letteralmente ci ha preso per la gola. 

Guidati dal signor Torta (un nome, un destino) ci siamo lasciati rapire dalla “fabbrica di cioccolato” e non si possono contare gli assaggi che abbiamo fatto in una sola mattinata.

Ecco… non abbiamo una gran forza di volontà, ma di certo non saremmo stati così accondiscendenti se il signor Torta non avesso speso mille e più parole di descrizione puntuale ed accattivante su ogni singolo prodotto della propria azienda. Quello che ogni volta mi colpisce è la convinzione della bontà del proprio prodotto associata a una grande modestia, a un grande senso del dovere e del sacrificio e nella continua ricerca di innovazione anche nei prodotti più tradizionali.

In questo posto sono nate le delizie che vedete nella foto qui sotto, i Baci di Cherasco, un tempo chiamati “Cioccolatini Fantasia”, nocciole frantumate grossolanamente e tenute insieme da cioccolato con massa di cacao al 60%. Una vera bomba di golosità e di “vero” cioccolato!

Ma ci sono anche tante alternative per i golosi lunatici che vogliono spesso cambiar sapore.
Le praline:

 
 

Le damine, con nocciola e meringa croccantissima:

Le lumache, simbolo di Cherasco, ma ripiene di crema gianduja e miele:
 
 

E tante altre specialità create con vero amore del gusto e con un grande riguardo per la forma.

La nostra mattinata (forse perchè non avevamo assaggiato abbastanza) si conclude a tavola, nel ristorante Osteria La Torre di Cherasco, a pochi passi dalla pasticceria.
Ci accoglie un posticino delizioso, elegante ma informale dove, nonostante il poco appetito, ci vien voglia di assaggiare tutto.
Il menù cambia sempre perchè si intona ai prodotti dell’orto e alle disponibilità del mercato.
Io ho trovato assolutamente deliziosa la crema di asparagi con capesante.
La carta dei vini è ricchissima con 250 etichette per tutti i gusti.
Il dolce che ci consiglia il gestore, un sorta di budino al caramello, è una vera esplosione di sapori. Se siete amanti dei dolci, chiedetelo! Se non siete amanti, provatelo e lo diventerete!

 

Dopo questa epica mangiata, il viaggio è andato avanti, ma io per ora mi fermo qui…

Da abbinare al racconto di questa esperienza la ricetta delle torta più buona e semplice del territorio: la torta di nocciole senza farina che anche gli intolleranti al glutine possono mangiare senza problemi e che possiamo preparare facilmente anche a casa, a patto di procurarsi le nocciole giuste, la Tonda Gentile delle Langhe dal profumo delizioso e persistente.
Gli ingredienti sono pochissimi, raccontano di tempi in cui per regalare un attimo di gioia al palato non serviva (e non c’era!) molto, e quindi devono essere di ottima qualità!!

 

 

La ricetta: Torta di nocciole
la ricetta leggermente modificata è quella de Il Dolcificio, la più deliziosa e ben riuscita che io abbia mai provato.

per una teglia da 20 cm di diametro:
2 uova a temperatura ambiente
125 g di nocciole tostate Tonda e Gentile
60 g di zucchero semolato
1 bicchierino di grappa
burro per ungere la teglia

Ho tritato le nocciole con metà dello zucchero, ma lasciando qualche pezzetto più grande che è piacevole sotto i denti.
Ho sbattuto a lungo i tuorli con lo zucchero restante fino a che non diventano chiari e spumosi.
Ho aggiunto la grappa ed incorporato la farina di nocciole delicatamente.
Per ultimi ho aggiunto gli albumi montati a neve, dall’alto in basso, senza smontare il tutto.
Ho infornato per circa 30-40 minuti a 170°.

Infine ho spolverato leggermente di zucchero a velo.

 

 

 

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Una vacanza da winelovers #InMontefalco

Il 28, 29 e 30 giugno mi sono trovata con altri tra foodblogger e twitstar, ovvero i più famosi tra le personalità che su Twitter fanno comicità e satira, a Montefalco, anzi #InMontefalco, coinvolta nel primo social hub d’Italia.

Montefalco, è detta “ringhiera dell’Umbria” per la sua felice posizione sopraelevata da cui si gode una splendida vista sui paesi circostanti. Tutt’intorno i colori e la vegetazione di un’Umbria d’estate ci hanno accolto: i campi di grano e le viti di Sagrantino, il vino tipico di questo territorio, con grappoli ancora piccoli ma promettenti.

La leggenda vuole che il paese di Coccorone offrì approdo ai falchi di Federico II, fuggiti durante una battuta di caccia dell’Imperatore appassionato di falconeria. Gli abitanti del paese li riportarono all’imperatore chiedendo di non attaccarli in cambio della cortesia; Federico fece di più e mutò anche il nome di Coccorone con quello più nobile di Montefalco.
Le mura del paese, ancora integre e visibili, racchiudono tantissima arte e storia; il palazzo Comunale risalente al XIII secolo, per cominciare, le tante chiese di fondazione medievale, gli affreschi di Benozzo Gozzoli, Ambrogio Lorenzetti e Tiberio d’Assisi, il complesso museale di San Francesco e le tante reliquie che da sole parlano un linguaggio antico.

Ma la piacevolezza di un posto, da visitare e riscoprire ogni volta, è sempre data dalle persone e il nostro viaggio #InMontefalco è stato scandito dai sorrisi sui volti che abbiamo incontrato.
Per primo Pippo, assieme ai suoi amici e padroni, proprietari e gestori dell’incantevole Hotel Villa Zuccari dove eravamo alloggiati.
La sera stessa del nostro arrivo ci siamo intrattenuti in piacevolissima conversazione con loro; Paolo Zuccari ci ha mostrato il suo albero genealogico e la sua collezione di zuppiere e ceramiche e quella di immaginette votive antiche, curata dalla moglie. La signora ha un gran gusto e una gran cura nell’arredamento e ha reso gli spazi comuni del suo hotel bellissimi angoli dall’aria british. è come veder trasportata una residenza della campagna inglese, in mezzo alle spighe di grano. 

L’abbiamo rincontrata a colazione, nell’elegante sala baciata dalla luce del mattino: tutte le torte del buffet le prepara sempre lei, tranne la crostata, perchè <<con tutte le crostate che ho fatto nella vita ora mi sono stufata>>.

A proposito di dolci, conoscete la rocciata? è una sorta di strudel umbro – concedetemi la semplificazione – con tutti i sapori che adoro, la frutta secca, le mele, il miele. Pare che questo dolce sia stato portato qui dai Longobardi…ecco spiegata la somiglianza con il nordico strudel.

Nella seconda giornata #inMontefalco le ore sono state battute dalle visite in cantina. Non una cantina all’ora, ma un bicchiere ad ogni rintocco.
Il vero protagonista delle cantine di questa zona è il Sagrantino, vino robusto e dall’altissima carica tannica. Invecchia a lungo, per disciplinare almeno 30 mesi di cui almeno 12 in botti di legno. Per saperne di più: http://www.stradadelsagrantino.it/.
Tra le cantine visitate vi consiglio di fare un salto a Rocca di Fabbri

A condurre questa azienda vinicola due sorelle, Roberta e Simona Vitali; fanno parte del circuito di Donne del Vino (vi ricordate anche delle sorelle Marenco conosciute a Strevi?) e quindi, in un mondo ancora quasi esclusivamente maschile, godono di una mia particolare ammirazione. La cantina ci ha subito dato l’idea delle dimensioni di questa azienda dove si producono 150.000 bottiglie all’anno.

L’azienda risale al 1984, quando Pietro, il padre di Roberta e Simona, volle reintrodurre in questa zona antiche pratiche di coltura della vite, utilizzate dai Benedettini nel XVI secolo e poi gradualmente soppiantate da altri metodi, fin quasi ad essere perdute.
La ricerca qui prosegue ancora oggi, quando, accanto al Sagrantino, al Montefalco Rosso e al Grechetto, sono stati destinati 5 ettari di vigna all’impianto di Petit Verdot, Arinarnoi e Nieluccio, dalle cui produzioni, sottoposte a controllo e non ancora destinate alla vendita, si stanno ottenendo importanti risultati.
Qui ci è stato svelata una verità affascinante (almeno per i foodbloggers): la porchetta in questa zona non si serve solo nuda e cruda, ma spesso accompagnata da una deliziosa salsa di acciughe.
Altra cantina ricca di fascino è l’Azienda Agraria Scacciadiavoli.
La fondazione della cantina, la più antica della zona di Montefalco, risale al 1884 quando il principe Boncompagni-Ludovisi lasciò Roma per dedicarsi alla produzione del vino. In questo suo progetto ambizioso mise tutti i progressi tecnici all’epoca più all’avanguardia. Questo ha fatto sì che la cantina, con pochi ammodernamenti sia ancora la più fresca e la meno umida tra quelle visitate. Costruita su più piani sovrapposti sfrutta la forza di gravità per poter spostare il vino senza ricorrere a pompe, ma anche i sistemi igienici e lo scolo dell’acqua fa restare a bocca aperta per la funzionalità e la modernità
Un tempo presso la tenuta del principe Boncompagni lavorava un giovanissimo contadino. Dopo molti anni e un’intera esistenza dedicata al commercio, il contadino, non più giovanissimo riuscì a comprare la tenuta ormai in decadenza. La rimise a nuovo e riprese a produrre il vino. Si trattava del bisnonno degli attuali giovani proprietari, la famiglia Pambuffetti.

Il nome Scacciadiavoli invece risale ad una leggenda più antica. Nella zona viveva un esorcista e la leggenda narra che non riuscendo a guarire un’indemoniata con le comuni pratiche religiose, provò a farle bere del vino. Fu il vino a compiere il miracolo, liberando la donna dal diavolo. Da qui il nome di Scacciadiavoli passò ad indicare la zona circostante all’abitazione dell’esorcista e successivamente la tenuta che in quella zona produceva il vino miracoloso.

Un ringraziamento particolare va alle giovani del Consorzio del Sagrantino. Molto simpatiche e competenti ci hanno fatto conoscere, seppur a parole, tanti piatti tipici che con il Sagrantino vanno a nozze. Gli gnocchi al Sagrantino, tanto per iniziare, e poi i ricchi piatti di carne che questo vino importante richiede; l’agnello è un must, così come le carni alla griglia in generale, poi la cacciagione e i volatili.

Assolutamente da provare è dentro Montefalco il nuovo ristorante di Giorgione Barchiesi, Giorgione alla via di Mezzo. Lui è irresistibile, competente in cucina, quanto simpatico e alla mano fuori. Ci ha fatto trovare la sorpresa di una ventina e più antipasti, legati al territorio e alle tradizioni; poi abbiamo potuto gustare anche i tagliolini al ragù di carni miste.

Il ristorante si trova proprio accanto all’Antico Frantoio Brizi, anche questo disponibile a condurvi in una interessantissima e suggestiva visita guidata.

Se il mio racconto vi ha un po’ incuriosito correte a Montefalco ad agosto.
Dall’1 al 19 agosto sarà il momento migliore per visitare il borgo: Montefalco sarà continuamente in festa con la rievocazione medievale e concerti, degustazioni, spettacoli, la festa di Santa Chiara da Montefalco e la corsa dei bovi: una specie di Fiesta nostrana.

Un grazie speciale ai compagni di viaggio che hanno reso l’esperienza #InMontefalco indimenticabile @GiuseppeSciara, @CucinaPrecaria, @Lagonzi, @CristinaBonett, @FedericoAureli, @RossaDiSera, @ComidaDeMama e @FarahMesiti.

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La Cena in Bianco sta per tornare…ci sarete?

Anche quest’anno torna la Cena in Bianco di Torino e non poteva che essere così, visto il successo e la bellezza di questo evento che ha visto l’anno passato la sua prima esizione italiana. Forse qualcuno di voi ricorda il post in bianco dell’anno scorso, per il lancio del flashmob anche in rete.

Il 5 luglio 2012 eravamo in 2500 in piazzetta Reale, e quando il sole è tramontato è stata una vera magia. Quest’anno il luogo scelto per l’evento sarà illuminato dalle candele, quelle che ci porteremo noi, ovviamente, secondo le regole della Cena in Bianco e all’insegna di Etica, Eleganza, Estetica ed Educazione.
Un bel luogo di Torino, ancora segreto, verrà arredato da noi, tutto all’insegna del bianco, e ripeteremo la magia dell’anno scorso.
Questa volta saremo in più di 4000, ma è ancora possibile inviare una mail a cenainbiancotorino@gmail.com
con nome, cognome e mail di contatto per aderire al flash-mob più poetico d’Italia e ricevere l’indicazione della location, che sarà segreta fino all’ultimo, ma che sarà un luogo facilmente accessibile, nel centro di Torino.
Quindi se volete fare qualcosa di davvero particolare il prossimo 22 giugno, aderite anche voi. Vi assicuro che il ricordo della serata lo porterete nel cuore per molto molto tempo. 

E se non avete idee per il dolce da portare potete copiare questi pasticcini di mandorle e meringa, una vera delizia… in bianco!!
La ricetta: Pasticcini di pasta di mandorle con amarena e meringa.
(per circa 25 pasticcini)
125 g di mandorle pelate
125 g di zucchero semolato
1 albume
acqua di fiori d’arancio
1 pizzico di sale
25 amarene sciroppate (o sotto spirito)
1 albume per la meringa
zucchero a velo (il doppio del peso dell’albume)
qualche goccia di aceto bianco
piccoli pirottini di carta del diametro di 2,5-3 cm
In un frullatore ho tritato le mandorle con metà dello zucchero, ad intermittenza per non farle scaldare. Ho mescolato la farina ottenuta con l’albume montato a neve con lo zucchero restante, aggiungendo 1 cucchiaino di acqua di fiori d’arancio e 1 pizzico di sale. Ho ottenuto un composto morbido da cui ho ricavato tante palline che ho fatto rotolare nello zucchero prima di adagiarle nei minipirottini.
Al centro della pallina di pasta di mandorle ho messo un’amarena snocciolata, fatta scolare dal suo liquido, schiacciandola un po’ in modo che sprofondasse nell’impasto. Ho infornato i dolcetti a 180° finchè non hanno iniziato a colorarsi leggermente (circa 10 minuti). Non bisogna farli cuocere troppo perchè poi torneranno in forno.
Li ho tirati fuori dal forno e li ho lasciati raffreddare.
Nel frattempo ho preparato la meringa. Ho montato a neve l’albume con quanche goccia di aceto e, quando era semimontato, ho aggiunto a pioggia lo zucchero a velo e continuato a montare finchè la meringa non è diventata lucida e soda.
Ho deposto un cucchiaino di meringa su ogni pasticcino, ormai freddo, ed ho infornato nuovamente, questa volta a 75°, finchè la meringa non è risultata asciutta.
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Moscato d’Asti, il Re Dolce, vi aspetta!

Finalmente ho l’onore e il piacere di introdurvi alla raccolta di ricette più fresca dell’estate.
Il protagonista è il Moscato d’Asti, un vino dalle mille sfaccettature, strettamente legato al territorio dei 52 comuni in cui viene prodotto.
Se vi iscrivete via mail a ilredolce@gmail.com riceverete il regolamento e potrete degustarlo di persona a casa vostra ed elaborare una ricetta dolce o salata o un cocktail estivo. 
Le ricette dei primi 25 30 iscritti verranno pubblicate sul sito web e sulla pagina Facebook dell’Enoteca Regionale del Moscato d’Asti e condivise su Twitter…e per qualcuno di voi ci sarà l’opportunità di conoscerlo ancor più da vicino…

Non vi anticipo nulla di più…il Team ReDolce (composto da me, Anna e Valeria) aspetta le vostre mail di iscrizione!!
ATTENZIONE PERò! Ci sono solo 25 30 possibilità di avere il Moscato d’Asti a casa vostra, perciò affrettatevi!! 😉

——–aggiornamento del 13/06/2013———-
C’è stata una tale accoglienza e un tale entusiasmo che proprio non ci aspettavamo…avevamo previsto di chiudere le iscrizioni il 20 giugno ed invece siamo arrivati al tetto massimo già stamattina!
Cosa vuol dire? Che le bottiglie son già pronte per partire e vi aggiorneremo prestissimo!
Grazie a tutti quelli che si sono iscritti!! Faremo tutto il possibile per rendere gli eventi dedicati al Moscato d’Asti veramente belli ed indimenticabili!!

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Luce e Gas, la cucina italiana e fusion in un posto tutto d’oro

Luce e Gas è un locale che esiste dal 2002. 

Si sono avvicendate già diverse gestioni, l’ultima delle quali è particolarmente giovane e vivace, propositiva anche nella varietà di eventi che propone in abbinamento al cibo e nelle idee atte a sfruttare i 210 coperti del ristorante.

La storia vuole che Luce e Gas sia stato fondato da un fervente buddista che aveva fatto incidere messaggi in codice sulle colonne di pietra all’interno del locale, tali che potevano essere letti solo da altri buddisti praticanti… durante i lavori di ristrutturazione, qualcuno che non sapeva decifrarli li ha levigati, asportandoli dalle colonne…ma tutto il resto è rimasto uguale – o quasi – e parla d’oriente.
Il nome del locale, tanto per cominciare, fa riferimento a Illuminazione ed Energia in termini spirituali.
La grande statua di Budda al centro del locale è di polistirolo dorato, ma tutte le altre sono originali provenienti dalla Thailandia e dai paesi limitrofi. Anche il bancone è di fattura orientale e il resto dell’arredamento è etnico. Gli arazzi sono originali provenienti dalla Birmania.

L’utilizzo del legno e dei colori caldi rende questo posto particolarmente speciale ed accogliente nella stagione fredda, ma d’estate viene allestito anche un dehors per coloro che vogliono cenare fuori o semplicemente bere qualcosa nel dopocena; infatti Luce e Gas è anche cocktail bar, con cucina aperta fino alle due nel weekend e fino all’una in settimana.

La gestione del ristorante ha scelto di utilizzare prodotti del territorio e di stagione e sono consigliatissimi tutti i piatti a base di fassone piemontese.

Per la nostra cena abbiamo accettato di farci guidare in un viaggio degustativo tra le specialità del ristorante. 

Abbiamo iniziato con una varietà di antipasti piemontesi: battuta al coltello con scagliette di parmigiano, vitello tonnato all’antica maniera e flan di verdure con fonduta di parmigiano.

Questo classico è stato seguito da uno dei nuovi piatti in menù, un cestino di melanzane fritte, ripieno di ricotta morbidissima e giusto un accenno di pancetta affumicata. Si presenta come una torretta compatta, ma ad ogni boccone l’intera composizione si scioglie letteralmente in bocca con un effetto piacevolissimo.

Viene il momento dei primi. Assaggiamo prima un risotto agli asparagi, buono, ma è con gli altri due piatti che Luce e Gas fa faville: gli gnocchi di patate al Castelmagno, piatto semplice, è accompagnato da una riduzione di moscato che stempera la caratteristica sapidità del formaggio. I ravioli ripieni di fiori di zucca, fatti in casa e altro piatto del nuovo menù, sono adagiati su una crema di seirass, profumata con mentuccia e resa ancora più saporita da fili di zucchine croccanti.

Come secondo ci viene proposto un piatto di mare, i gamberoni cotti sotto sale rosa himalayano. Rotta la crosta di sale, i gamberoni vengono alla luce uno ad uno, svelando un intenso profumo di mare. Un altro piatto semplicissimo, ma con grandissimo carattere, reso ancor più accattivante dalla scorza di agrumi che fa ogni tanto capolino tra i granelli di sale.

Accompagniamo tutti questi piatti con un vino bianco, corposo e spiccatamente acidulo, un Inzolia-Cataratto Branciforti.

Concludiamo la cena con due dolci, uno che ritengo più adatto all’inverno o ad una cena particolarmente leggera, il classico tortino tiepido di cioccolato fondente, abbinato ad un delizioso Barolo chinato; un altro invece più leggero e adatto anche alla conclusione di una cena più sostanziosa, composto da cialda croccante, con panna montata ed una cascata di frutta, ananas, fragole e mirtilli, abbinato ad un Passito di Pantelleria.

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Vaie e il suo Delizioso Canestrello

Ormai sono passate due settimane, ma mi preme raccontare della mia esperienza alla Sagra del Canestrello, perchè si tratta di parlare di un prodotto tipico legato al territorio.
Ci troviamo in Valsusa, precisamente a Vaie, e il canestrello ricorda per la forma reticolata e per la sua preparazione in piastre di ghisa quadrettate altre preparazioni delle vallate limitrofe: i gofri della Val Chisone, i canestrelli a cialda canavesi e biellesi, le tegole valdostane e via discorrendo…
L’origine è comune, questi dolci venivano cotti sulle piastre usate anche per confezionare le ostie da consacrare, nei conventi, dove, da Nord a Sud, era comune la preparazione di dolci in occasione delle festività religiose.
Il canestrello di Vaie è legato al suo patrono, S.Pancrazio, ma l’impasto differisce da altri che sono semiliquidi.
Si tratta infatti di una “pastafrolla sbagliata” come ci ha spiegato il mastro pasticcere Luca Gioberto, poichè il burro viene fuso, prima di essere mescolato a farina, zucchero ed uova. Completano un pizzico di lievito e la buccia grattugiata di limone, molto abbondante, che rappresenta l’unico aroma e il gusto predominante dopo il burro. L’impasto risulta morbido e facilmente lavorabile. Viene diviso in tante palline grosse come albicocche che vengono poi pressate nella piastra di ghisa che conferisce loro il disegno caratteristico e il nome che deriva dal dialetto canesterlè, che significa formare un reticolo.
La caratteristica
piastra di ghisa è tutt’altro che maneggevole, un tempo veniva rigirata
direttamente sul fuoco e sulla stufa sfruttandone un’estremità come
perno; sui fornelletti è tutt’altra cosa e ci siamo fatte aiutare da
Luca Gioberto, ma il risultato finale è stato anche un po’ merito
nostro.

<<Il canestrello ha una ricetta che non si può sbagliare, perchè è già sbagliata>> ci ha ripetuto Luca Gioberto, minimizzando la nostra soddisfazione; si tratta piuttosto di rigore, velocità e disciplina, perchè i canestrelli siano tutto della stessa dimensione e con lo stesso grado di cottura. Lui si regola senza orologio, preparando le palline di impasto; quando ne ha fatte un certo numero sa che la cottura delle altre è giunta al termine. Ma le varianti sono tante, anche l’altezza della fiamma e naturalmente la qualità degli ingredienti.

Grazie al lavoro rigoroso dei produttori, il Canestrello di Vaie è entrato nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino, tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionale della Regione Piemonte, ed è marchiato anche Dolce Val Susa e Prodotti della Valle di Susa, mentre alcuni produttori si fregiano del riconoscimento Eccellenza Artigiana Piemontese.
Vaie non è solo canestrello. Proprio grazie alla purezza delle sue acque il birrificio SorA’laMA’, di origine langarola ha deciso di insediarsi qui. Qui si producono una grande varietà di birre crude, non pastorizzate, dai profumi ed aromi con un forte carattere personale. 
In occasione della Sagra del Canestrello proprietario del birrificio ci ha spiegato con grande passione e competenza il procedimento di trasformazione dell’acqua in birra e poi abbiamo potuto mangiare tutti insieme, nel ristorante attiguo, deliziosi piatti in abbinamento alle diverse birre della gamma, premiate da Slowfood.
Le birre Sor’Ala’MA le potete assaggiare nei punti M**Bun ed acquistare anche sull’e-shop Sor’AlaMA’.
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A tavola con le Archeoricette, se siete a Torino, non potete mancare!

C’è un progetto in rete che non poteva non attirare la mia attenzione, si parla di storia e di cibo: andate a fare un salto su Archeoricette.com.
Il rigore e la passione di Generoso Urcioli hanno tributato un successo meritatissimo ad Archeoricette, in pochi mesi la pagina facebook ha superato i 5000 like.
Cito testualmente «Se il taglio è
divulgativo, le notizie sono ricavate da un attento vaglio delle fonti.
Archeoricette è un percorso affascinante alla scoperta degli alimenti
che hanno caratterizzato diverse civiltà del passato. Il cibo come
elemento aggregante. Il cibo e le materie prime come elementi
caratterizzanti l’economia e i commerci. Il cibo elemento di sopravvivenza ma anche di distinzione di classe sociale
«In alcuni casi sono ricette vere, tramandate dalle fonti, in altri casi sono delle ricostruzioni realizzate grazie all’analisi del contesto e gli assemblaggi proposti sono verosimili o “filologicamente” accettabili. »
Dopo i numerosi interventi di Generoso in alcuni programmi radiofonici non si poteva non auspicare che Archeoricette divenisse un’esperienza reale, tangibile e che solleticasse le papille gustative (e i neuroni!) dal vivo!!
Nasce così l’idea di A tavola con le Archeoricette, non cene a tema, ma piuttosto percorsi culturali attraverso le varie civiltà dell’antichità, con il filo conduttore del cibo, che unisce e divide, ma sempre fa parlare.
La prima cena si svolgerà il 31 maggio a Torino, al ristorante Sibiriaki di via Bellezia 8g. 
Nella sala inferiore verrà servito il cibo, accompagnato da immagini e dai racconti di Generoso.
Non ci sarà alcuna rievocazione storica, ma ci sarà il piacere di stare a tavola, conoscendo qualcosina di più sulle origini e gli sviluppi della nostra alimentazione, facendo cultura a tavola.
Se l’argomento vi stuzzica, seguite Archeoricette su Facebook e, se siete di Torino, prenotate il vostro posto A Tavola con le Archeoricette, seguendo le indicazioni nell’immagine qua sopra!
Nei prossimi giorni pubblicherò qualche immagine dei piatti che andremo a degustare… 😉
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La Cena Gnammo – Storie di Genio Italiano

Lunedì 13 maggio è andata in scena una delle cene Gnammo organizzata nell’ambito dei Digital Food Days la manifestazione dedicata al mondo digitale.
Era la mia prima
cena Gnammo, alla quale sono stata invitata nel ruolo di blogger, pronta
a documentare la serata tramite tweet e instagram ed ho soddisfatto una
curiosità che avevo da un po’.
Qui trovate lo Storify della serata.
Per queste particolari cene tematiche dedicate al mondo digitale, sono stati scelti alcuni attori della serata: io in qualità di blogger; Laura Cherchi, perfetta nel suo ruolo di padrona di casa della Fondazione Fitzcarraldo, dove la cena ha avuto luogo; Angelo D’Agostino, fotografo della Lacumbia Film che ci ha immortalato nei nostri ruoli; infine Elisa Mereatur e Luca Vaschetti di Cucina-To che hanno preparato per noi deliziosi piatti. 
Come si svolge una cena Gnammo? Sarà la curiosità di molti di voi. Trovarsi ad un aperitivo in piedi assieme a degli sconosciuti è diverso rispetto al trovarsi seduti intorno ad un tavolo.
Il tema della serata era Storie di Genio Italiano, ma la conversazione ha toccato diversi argomenti. Ci siamo raccontati ed abbiamo ascoltato senza imporre binari all’andamento della serata.
La Fondazione Fitzcarraldo è impegnata su diversi fronti, dalla formazione, alla documentazione fino alla cooperazione internazionale. Potete saperne di più visitando il loro articolatissimo sito web. Dal 2011 gestisce FitzLab uno spazio co-working per la progettazione culturale.
La cena si è svolta proprio qui, negli spazi recentemente dotati anche di cucina.

Lacumbia Film è un bel progetto giovane e innovativo di comunicazione che intende agevolare il passaggio dall’università al mondo lavorativo dei suoi ideatori. Vi invito a fare un salto sul loro sito per vedere tutti i progetti ai quali stanno lavorando.
Il menù della serata è stato deciso da Elisa che ha presentato ogni piatto, preparato con i prodotti Cucina-To, con un tocco di originalità.
Cucina-To è una realtà che esiste ufficialmente dal 2011, ma Elisa e i suoi compagni hanno una lunga esperienza di organizzazione di cene ed eventi conviviali. Ora Cucina-To si può definire una gastronomia vecchio stile, con piatti pronti confezionati con materie prime di qualità, (usano presidi Slow Food e prodotti scelti presso piccole realtà locali!), e finalmente per chi non ama (o non può…) cucinare, mangiare un piatto pronto genuino è diventato possibile.
Abbiamo iniziato la cena con una ratatouille di zucchine con olive taggiasche, accompagnata da pollo di cascina e servita con uovo al sale affumicato.
Poi è venuto il momento delle fave fresche e dei tre pecorini, romano, toscano e sardo, da gustare in accompagnamento, in attesa della crema di fave e cicorie, calda e confortante.
Abbiamo concluso con un delizioso dessert, crema cotta al limone, con fragole e pasta di meliga.
Il tutto è stato accompagnato dal Grignolino Poggeto La Casaccia.

Alla fine della cena tutti hanno avuto un regalino firmato Cucina-To, da portare a casa:

***dove non diversamente indicato, tutte le immagini sono di Angelo D’Agostino – Lacumbia Film

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