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B.Thorvaldsen, busto di Cicerone |
Questo signore è Marco Tullio Cicerone, compagno immancabile dei nostri incubi da liceali.
Il suo nome si dice derivi da cicer, il cece, perché pare che un suo antenato avesse un’escrescenza a forma di cece vicino al naso. Insomma aveva un qualcosa che la nostra lingua “neolatina” chiama comunemente porro… trovo che sia curioso che noi definiamo volgarmente con il nome di un vegetale ciò che i latini definivano con il nome di un altro vegetale commestibile. Eppure, se vogliamo, il cosiddetto porro assomiglia molto di più a un cece che a un porro… e il porro (il vegetale intendo) non ha la sostanza del suo amico cecio.
Si dice “non valere una buccia di porro”, e la locuzione “piantar porri” significa gingillarsi…un po’ quello che viene popolarmente indicato con pettinare le bambole o far ballare la scimmia; peggio ancora “piantare un porro a qualcuno”: significa ingannarlo!!!
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la strega di Biancaneve con il suo indimenticabile porro |
Per alcune culture il porro (quello somigliante a un cece) che spunta sulle mani e sul viso è indice di malocchio e i modi per eliminarlo sono svariati ma legati a rituali che comportano l’utilizzo di altri legumi e cereali – e non di porri o di altre forme di cipolla – curiosamente.
Alcune tradizioni popolari italiane prescrivono ad esempio di passare sopra il porro dei fagioli, che poi vengono gettati in un posto dove la persona con i porri non deve passare più. Si crede che come marciscono i fagioli, così il porro si secca e cade, per il concetto omeopatico del similia similibus curantur.
Nella provincia di Avellino viene ancora praticato un rito che utilizza i nodini dei fili di paglia (i curmi in dialetto) per eliminare gli indesiderati porri (carnosi!!).
Si tocca col nodo il porro, e si pronunciano le seguenti parole:
“nfracetate curmi, come nfracetano gli puorri, ‘nfracetate puorri, come nfracetano gli curmi“
(Marcite, curmi, come marciscono i porri, marcite, porri, come marciscono i curmi)
Come avveniva con i fagioli il nodino di paglia deve poi essere gettato in un pozzo a marcire e, come marcisce la paglia, così si seccherà il porro.
Ma parliamo della pianta, che è meglio!
L’imperatore romano Nerone, che non brillava per simpatia, fu soprannominato “il porrofago” perché era ghiotto di porri: li utilizzava in gran quantità per schiarirsi la voce.
Il porro in cucina dona sapore ad ogni brodo, ma di suo non è molto saporito… possiamo farci un risotto dolciastro o renderlo compagno di qualche altro gusto forte. Bisogna però riconoscergli 5000 anni di storia – da alcuni studiosi è ipotizzata la sua origine celtica – e la virtù di aver aiutato, pur essendo di poca sostanza, a superare più di una carestia durante il Medioevo.
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cece nel suo baccello |
Il cece è altrettanto antico, ma di tutt’altra pasta. Vanta un’origine irachena risalente all’età del bronzo, ed è conosciuto dagli Egizi e nell’Antica Grecia e nominato anche nella più antica opera di letteratura della storia, la Bibbia. Utilizzato in tutti i paesi del mediterraneo e rinomato per la sua carica proteica, il latino cicer deriva dal greco kikis che significa forza e l’appellativo arietinum allude all’ariete, perché con un po’ di fantasia, si può scorgere il profilo di un ariete nella forma del cece.
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con un po’ di fantasia si può riconoscere nel cece la sagoma di una testa di ariete |
Senza fantasia alcuna, ma con i dati alla mano si può dire che si tratta del terzo legume più coltivato al mondo, dopo soia e fagiolo. In Italia è utilizzato soprattutto al sud come condimento per la pasta e in Liguria, dove i piatti più peculiari sono farinata e panissa (la ligure, da non confondere con quella vercellese che è tutta un’altra cosa e non c’entra nulla con i ceci.) Sempre originario della Liguria è lo zimino di ceci, una specie di minestra di verdura. Il nome, solo quello, arriva via mare fin nel Sassarese, ma gli ingredienti sono completamente diversi.
Dalla cucina mediorientale sono arrivati anche da noi il falafel e l’hummus ebraico e libanese; il gusto muta, a causa delle spezie, ma la corposità rimane quella.
È raro che il cece non piaccia, perché il gusto è morbido e sapido; io trovo che sia eccezionale abbinato al pesce, cibo galenicamente freddo che ne tempera il calore.
Ricordando il classico partenopeo di pasta fagioli e cozze, io, in un impeto di creatività, ho abbinato i ceci alle vongole e il risultato è stato straordinario.
La ricetta: pappardelle alle vongole su passatina di ceci (dosi da 2 a 4 persone)
400 g di ceci lessati
1 pezzo di sedano, carota, cipolla (o porro!) per fare un soffritto
peperoncino secco
1 bicchiere di vino bianco
70 g di vongole conservate in acqua (se volete prenderle fresche meglio ancora!!)
1 grosso spicchio d’aglio
1 pomodoro maturo
olio evo
sale
Preparazione:
In un pentolino ho messo 1 spicchio d’aglio, un pezzo di carota, un pezzo di sedano, 1 pezzo di cipolla, 1 peperoncino essiccato in 2 cucchiai d’olio evo e ho fatto soffriggere leggermente. Ho aggiunto i ceci, li ho rosolati e ho sfumato con mezzo bicchiere di vino bianco e poi ho lasciato insaporire aggiungendo la loro acqua di bollitura.
Ho aggiustato di sale.
Nel frattempo in una padella ho rosolato un grosso spicchio d’aglio e poi ho aggiunto le vongole, le ho fatte insaporire aggiungendo mezzo bicchiere di vino bianco e un pomodoro tagliato a dadini. Regolato di sale e aggiunto acqua per far proseguire la cottura.
Intanto ho messo a bollire l’acqua della pasta.
Mentre la pasta cuoceva ho liberato i ceci di tutte le verdure, ne ho preso metà e messo insieme alle vongole a girare sul fuoco ancora per qualche minuto, l’altra metà l’ho frullata fino a farne una crema vellutata a cui ho aggiunto un bicchiere d’acqua calda per mantenerla fluida.
Una volta che la pasta era cotta, l’ho fatta saltare velocemente in padella con vongole e ceci, senza farla asciugare. Poi ho messo nei piatti una mestolata di passata di ceci calda e sopra la pasta con il condimento di ceci e vongole e completato con una spolveratina leggera di pepe.
Abbinamento: Erbaluce di Caluso 2009, Azienda Agricola Orsolari.