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Risotto al prosecco con burrata e acciughe

Tra i prodotti freschi che ho avuto il piacere di assaggiare c’è la burrata, un altro simbolo della cultura casearia pugliese, assieme al caciocavallo e alla mozzarella fiordilatte.
La burrata nasce come prodotto di riciclo. E anche questa volta un prodotto del riuso per non sprecare nulla diventa una vera delizia. I pezzettini di pasta filata che trovate all’interno del guscio di mozzarella, sono i residui della lavorazione della mozzarella stessa. A questi viene aggiunta della panna, dolce e cremosa, quella che sentite persitere a lungo sul palato, quando mordete la burrata. Infine all’esterno c’è un sottile guscio di mozzarella per contener il tutto.
La burrata è deliziosa da mangiare freschissima, e qui Pioggia è un campione a inviarvi ciò che ordinate in un tempo davvero record: meno di 24 ore e con la spedizione gratuita
Ma se volete un altro modo per farla entrare nei vostri piatti vi consiglio questo risotto: la burrata si scioglie, lo rende cremoso, a tratti filante e dolce, accanto al sapido delle acciughe, insomma un matrimonio tra nord e sud perfettamente riuscito.
Per questo piatto ho usato il Riso Buono La Mondina, che viene prodotto a Casalbeltrame, città slow e patria del riso, dove si trova l’azienda dei Guidobono Cavalchini, proprietari dell’azienda che produce riso dal XVIII secolo. 
Chi mi conosce capirà che per me questo riso non è solo un ottimo prodotto, non per caso scelto da molti chef di altissimo livello, ma diventa anche un’operazione romantica di recupero del passato legato a filo doppio ad un territorio tutto da scoprire.

La ricetta: Risotto al prosecco con burrata e acciughe
(per due persone)
150 g di riso carnaroli
1 scalogno medio
brodo vegetale (circa 500 ml, preparato come nella spiegazione)
1 cucchiaino di burro
olio evo
1/2 bicchiere di prosecco più due cucchiai
125 g di burrata (metà per il risotto e metà per decorare il piatto – ricordatevi di tenerla a temperatura ambiente almeno un’ora prima di cominciare)
4 filetti di acciuga ricavati da due acciughe sotto sale, sciacquate bene con acqua e aceto e liberate dalla lisca
2 filettini d’acciuga sott’olio
Ho innanzitutto preparato il brodo vegetale, con carota, porro, sedano e patata in 700 ml di acqua fredda, con l’aggiunta di olio extravergine d’oliva. Non ho aggiunto sale, preferendo regolare dopo aver insaporito con le acciughe.
Con il brodo pronto e già ridotto e tenuto in caldo a fuoco bassissimo, ho iniziato a tagliare sottilmente lo scalogno e a farlo ammorbidire in una pentola larga e dal fondo spesso con due cucchiai d’olio e 1 cucchiaino di burro. Ho stufato con un paio di cucchiai di prosecco, rigirando spesso lo scalogno in modo che non prendesse colore, ma non fosse troppo brodoso.
Quando era morbido ho aggiunto il riso, facendolo tostare in padella, rigirandolo con delicatezza.
Ho sfumato con il mezzo bicchiere di prosecco, fino a farlo evaporare a fiamma alta quasi del tutto, poi ho aggiunto i filetti di acciuga e li ho fatti sciogliere nel liquido rimasto.
A questo punto ho iniziato ad aggiungere il brodo, proseguendo la cottura del riso a fuoco moderato. Quando la cottura era a posto ho assaggiato per regolare di sale ed ho aggiunto mezza burrata tagliata a pezzettini. Ho spento il fuoco e coperto la pentola, lasciando riposare per due minuti.
Ho distribuito nei piatti, decorando con uno spicchio di burrata e un filetto di acciuga sottol’olio.

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Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise

Ed ecco finalmente anche la mia ricetta per il contest #iochef che mi ha dato la possibilità di conoscere la cucina lucana e ad alcuni dei suoi prodotti. Di Basilicata si parla davvero poco ed approfondire il discorso non fa male quando si possono incontrare in questa terra alcune vere eccellenze.

L’occasione per assegnare alla cucina lucana il giusto posto che merita, sarà il 27° congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC), organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si svolgerà a Metaponto dal 7 al 10 ottobre.

Per elaborare una ricetta avevamo a disposizione questi prodotti, arrivati via posta:  
Pane di Matera IGP
Olio evo di Oliva Majatica
Cacioricotta o ricotta lucana
Melanzana rossa di Rotonda DOP
Crema di melanzana rossa di Rotonda DOP
Fagioli di Sarconi IGP 
Ceci neri di pomarico
Pomodoro secco Cietticale di Tolve 
Ficotto di Pisticci
 
Peperone di Senise IGP.
 

La ricetta doveva contenere obbligatoriamente almeno uno di questi pesci di stagione:
Mormora
Seppia
Cefalo
Gallinella
Sauro
Pesce serra
Sciabola o bandiera
Triglia agostinella
Polpo
Pettinessa
Palamita
Rombo
Lucerna o pesce prete

Per il mio piatto ho scelto la melanzana rossa di Rotonda DOP, la mollica del pane di Matera IGP, un peperone crusco di Senise IGP sbriciolato, l’olio extravergine di Oliva Majatica e il polpo.
Quando ho condiviso l’immagine della melanzana rossa di Rotonda IGP sui social network molti sono stati ingannati dal colore e hanno creduto di avere davanti un pomodoro. Se la si osserva da vicino, la melanzana di Rotonda ha anche delle sfumature verdi, e tagliata ha una polpa soda e chiarissima, più chiara di quella delle melanzane violette, che non annerisce ed è ricca di semini. Questo ortaggio ha giustamente un’aria un po’ selvatica ed esotica, poichè è stato importato dall’Africa e reimpiantato nel Parco del Pollino, agli inizi del ‘900 da alcuni contadini lucani che avevano partecipato alle missioni coloniali. La sua coltivazione è rimasta a tal punto circoscritta da essere “riscoperta” solo nel 1992 dal CNR. Intorno a Rotonda, invece, è la melanzana per eccellenza dalla quale si ricava anche una deliziosa conserva in crema.
Il pane di Matera IGP si è guadagnato il podio tra i pani più buoni d’Italia; forse merito del lievito madre e della ritualità dell’impasto, forse merito del grano duro utilizzato. Nel 1636 Tommaso Stigliani diceva che Matera “in certi tempi dà grano a tutto il Regno”. La storia racconta di un’economia di stampo feudale dove vigeva ancora il latifondo e dove i contadini e i pastori abbandonavano i paesi per quindici giorni per lavorare nelle immense distese di campi. Ogni due settimane tornavano dalla famiglia per fare un cambio di biancheria e per il pane, che doveva poi mantenersi buono per altri quindici giorni. Per queste ragioni la cura e la ritualità nel fare il pane era ed è importantissima e quasi magica: la lievitazione avveniva nel letto matrimoniale, dal lato dell’uomo, addetto alla “crescita” della vita.
Il peperone di Senise IGP ha la particolare caratteristica di essere molto adatto all’essicazione naturale al sole, in primis perchè ha una polpa molto sottile, in secondo luogo perchè il peduncolo non si stacca neppure con l’essiccazione. Oltre che semplicemente essiccato in caratteristici grappoli a spirale, che raggiungono a volte i due metri di lunghezza, veniva conservato anche già sbriciolato; in dialetto il termine Zafaran rievoca proprio quello del prezioso zafferano. I peperoni di Senise vengono anche fritti per pochissimi secondi in olio bollente: in questo modo diventano “cruschi”, uno snack antelitteram!
L’olio extravergine di oliva Majatica rappresenta uno stretto legame con il territorio, poichè questo particolare tipo di ulivo attecchisce solo in terra lucana. Si è già provato ad impiantarlo altrove ma senza successo. Il sapore dell’olio è particolarmente delicato, secondo me adatto ad un consumo a freddo, soprattutto su piatti di pesce. Nella mia ricetta l’ho usato anche per cucinare. Da ricordare anche l’oliva nera al forno, sempre di Majatica, presidio SlowFood e prodotte fin dal XVIII secolo.
 
Per la mia ricetta sono partita dal presupposto di un incontro nord-sud in cucina.
La
pasta ripiena del nord Italia, ma con una sfoglia a base di solo grano duro
del sud si riempie e si condisce con i prodotti tipici della Basilicata e
viene impreziosita da un ragù dal sapore intenso a base di polpo. Le note croccanti sono date dalla  mollica di pane di Matera fritta e dalle briciole di peperone di Senise IGP.

La ricetta: Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise.
per il ragù di polpo:
mezzo polpo (circa 400 g)
5-6 pelati
1 spicchio d’aglio pelato
olio extravergine di oliva Majatica
vino bianco 
sale

per la sfoglia:

200 g di semola di grano duro
sale
acqua tiepida
per il ripieno: 
5 melanzanine di Rotonda
farina
due-tre cucchiai di sugo del ragù di polpo (senza polpo)
una fetta di pane di Matera spessa 2 cm
olio per friggere
sale

per la guarnizione:
1/2 fetta di pane di Matera da sbriciolare
1 peperone crusco
1 cucchiaiata di melanzane fritte in precedenza

Ragù di polpo:
il polpo era decongelato e quindi non ho avuto bisogno di batterlo. 
Ho fatto dorare uno spicchio d’aglio in due cucchiai di olio di oliva Majatica. Poi ho messo il polpo in pentola e l’ho fatto rosolare a fuoco vivace. Ho sfumato con due dita di vino bianco e poi aggiunto i pelati tagliuzzati piccoli con la loro acqua. Ho lasciato cuocere, aggiungendo un poco d’acqua quando necessario, a fuoco molto basso per un’ora e mezza. Poi ho assaggiato il sugo e regolato di sale. Ho spento il fuoco e fatto raffreddare.
Tolto il polpo dalla pentola, per eliminare la pelle più dura della testa e dei tentacoli più grossi, e l’ho tagliato a pezzettini piccoli. 
Ho aggiunto un poco d’acqua al sugo e vi ho immerso una fetta di pane di Matera per ammorbidirla e l’ho tenuta da parte.
Ho mescolato nuovamente i pezzettini di polpo al sugo e tenuto da parte fino al momento di condire i tortelli.

Ripieno:
ho tagliato le melanzane a dadini, cosparse di poco sale e lasciate riposare per 5 minuti, mentre preparavo l’impasto per la sfoglia; poi le ho passate nella farina e fritte in olio di arachidi. Ne ho tenuto una cucchiaiata da parte per la decorazione, mentre ho mescolato le altre con la mollica di pane ammollato e sbriciolato e un cucchiaio di sugo del polpo.

Sfoglia di grano duro:
ho messo la semola sulla spianatoia, con un pizzico di sale, ed ho aggiunto acqua tiepida mescolando prima con una forchetta e poi con le mani fino ad ottenere un impasto consistente, lavorabile, ma asciutto. L’ho fatto riposare mentre friggevo le melanzane e ultimavo il ripieno.
Ho steso la sfoglia sottile con la macchinetta e vi ho ricavato dei cerchi da 8 cm di diametro.
Ho formato i ravioli con questo metodo:

Finitura:
Ho rotolato in un padellino alcune briciole di mollica di pane di Matera in un cucchiaino di olio di Majatica fino a che non era croccante.
Ho cotto i tortelli in acqua bollente e salata e li ho conditi con il ragù di polpo, rotolandoli in una padella larga, con delicatezza per 1 minuto, aggiungendo un filo di olio di majatica per inumidire.
Ho completato il piatto con briciole di pane di Matera fritto in padella, le melanzanine tenute da parte e un peperone crusco sbriciolato.

Con questa ricetta, come detto sopra, partecipo al contest “Io Chef”

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Gli gnocchetti di caprino di Paola e #piemonteliguria con BITEG

Persa e sballottata tra tutti gli eventi mi sembrano passati secoli dall’ultima ricetta pubblicata. Mentre riprendo le fila del discorso e metto a posto milioni di foto scattate che forse non verranno mai pubblicate mi preparo ad un nuovo entusiasmante viaggio.
Ancora una volta (oggi!) partirò alla scoperta della mia regione con un press-trip d’eccezione, organizzato da BITEG per la stampa italiana ed estera
Vi ricordate di Nice To TwEAT You? Ecco, proprio in quell’occasione avevo vinto il biglietto dorato per la fabbrica della felicità enogastronomica: quasi 4 giorni di visite, degustazioni, laboratori culinari e cene speciali.
L’hashtag dell’evento è #piemonteliguria ed è così che potrete seguirmi su Twitter, mentre degusterò per voi, visitando posti splendidi.
Però non volevo lasciarvi senza una ricetta, e ne approfitto anche per tessere le lodi di Paola, che ogni volta mi stupisce con piatti veloci da preparare ma anche eleganti e sofisticati. È il caso degli gnocchetti di farro e caprino con scorzette d’arancia e pistacchi: ditemi voi se non riuscite già ad assaporare l’armonia di questi gusti… 
Lei li ha riproposti anche con gli scampi, io, dopo averli scoperti sul suo blog, non ho resistito al volerli provare, non solo come aperitivo, ma come primo piatto. Li ho conditi con asparagi insaporiti in padella e salame strolghino di culatello a striscioline; la seconda volta ho sostituito il salame di culatello con la coppa piacentina, in entrambi i modi il piatto è una vera delizia. Scegliete un tomino fresco di pura capra, saprà ripagarvi!! 😉

La ricetta: Gnocchetti di farro e caprino con asparagi e coppa piacentina
150 g di farina di farro
150 g di caprino fresco
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 pizzichino di sale
200 g di asparagi (crudi) 
4/5 fettine di coppa piacentina (o strolghino di culatello) tagliate a striscioline
olio
sale
1 pezzetto di cipolla tagliata a brunoise (circa un cucchiaio)

Ho pulite gli asparagi e li ho tagliati a rondelle spesse 1 cm, lasciando da parte tutte le punte.
Ho messo in una padella capiente la cipolla a dadini minuscoli e due cucchiai d’olio, l’ho fatta dorare e poi ho aggiunto gli asparagi (rondelle) facendoli insaporire. Ho bagnato con poca acqua e fatto proseguire la cottura, aggiungendo dopo 10 minuti anche le punte. Ho regolato di sale e pepe e lasciato cuocere finchè non erano morbide.
Nel frattempo ho messo a bollire l’acqua per lessare gli gnocchetti.
Ho preparato gli gnocchetti, mescolando insieme la farina di farro, il pizzico di sale, il caprino e il parmigiano grattugiato. Si forma prima un impasto sbricioloso, come una frolla, poi, pian piano, prende consistenza e diventa lavorabile. Ho preso delle porzioni d’impasto, formato dei serpentelli e poi tagliato ognuno con il coltello a pezzettini grossi quanto un’unghia.
Ho lessato gli gnocchetti in acqua salata per qualche minuto, calcolato dopo che sono saliti tutti a galla, poi li ho scolati e fatti saltare in padella insieme agli asparagi, aggiungendo alla fine anche la coppa (o il salame) tagliata a listarelle.

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Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika

Mentre il calendario dice che siamo quasi alla metà di aprile, il termometro continua a segnare tutt’al più l’inizio di marzo. La piantina di lampone è interrata e ha già due germogli. I bulbi dei gladioli non li ho ancora messi in vaso, ma lo farò nel weekend…ammesso che il tempo cambi…nel frattempo io sono stufa di guardare con apprensione le previsioni meteo e qui si continua a cucinare cibi invernali.
Ieri ho comprato dei fiori per far entrare la primavera a casa mia, oggi il sole splende!! Che sia servito? Forse questo sarà l’ultimo piatto invernale per quest’anno… 😉
La ricetta: Zuppetta di fagioli con broccoli in pastella alla paprika
300 g di fagioli cannellini già lessati

1 spicchio d’aglio

1 foglia di alloro
olio evo
sale
paprika
200 g di cimette di broccolo
70 g di farina
100 ml di acqua ghiacciata
2 cucchiai di bianco d’uovo
olio di semi per friggere
Ho sbollentato le cimette di broccolo, conservando l’acqua di cottura; poi le ho messe da parte.
Ho fatto dorare leggermente lo spicchio d’aglio intero in un pentolino con un filo d’olio, poi ho aggiunto i fagioli e li ho fatti insaporire, bagnando dopo cinque minuti con qualche mestolo dell’acqua di cottura dei broccoli. Ho regolato di sale e di paprika e ho fatto proseguire la cottura per un quarto d’ora circa, senza far asciugare troppo la zuppetta.
Ho preparato la pastella con farina, acqua e albume, senza lavorarla troppo. Nel frattempo ho fatto scaldare un padellino profondo di olio di semi e vi ho fritto i broccoli, ben tuffati nella pastella.
Ho servito la zuppetta bollente con le frittelle di broccolo e una spolverata di paprika.
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Culurgiones di baccalà con catalogna saltata in padella

Ho ricevuto un bellissimo regalo da Valeria: lei è venuta da me, si è lasciata coccolare, ha assaggiato con molta professionalità, ha fotografato e preso appunti e dopo aver curiosato nella mia piccola dimora ha scritto una bellissima recensione sulla mia cucina, toccando argomenti che non mi sarei aspettata.
Sono tanto felice che abbia notato la mia cura per la resa finale dei miei piatti, un po’ per perfezionismo innato (sono del segno della vergine) un po’ perchè letteralmente adoro vedere un sorriso sulla faccia di chi assaggia i miei piatti.
Questa è una delle ricette che ho preparato per lei. La mia pasta ripiena preferita, che avevate già visto anche qui, nella loro veste più tradizionale, per l’occasione si è riempita di baccalà e si è rotolata in un tuffo gioioso tra l’amaro della catalogna e il dolce dell’uvetta. Un piatto per me perfettamente riuscito per l’equilibrio dei sapori e delle consistenze, che mi farà davvero piacere riproporre in altre cene.

La ricetta: Culurgiones di baccalà con catalogna saltata

Per i culurgiones:
200 g di farina di semola di grano duro
acqua tiepida qb
sale

In una ciotola larga ho messo la semola con un bel pizzico di sale. Ho cominciato ad aggiungere l’acqua tiepida, prima mescolando con la forchetta, poi impastando con una mano, fino a formare un impasto compatto, morbido ma asciutto. L’ho messo a riposare per una mezz’oretta; nel frattempo ho preparato il ripieno.

Per il ripieno:
400 g di baccalà ammollato e dissalato
3/4 cucchiai di latte
aglio in polvere qb
olio extravergine di oliva

Ho messo il baccalà in acqua fredda con il latte e portato a lievissimo bollore a fuoco molto basso. L’acqua non deve mai bollire violentemente, altrimenti il pesce si indurirà. 
Quando i pezzetti di baccalà erano cotti, li vedrete sodi, li ho scolati e lasciati leggermente intiepidire.
In una ciotola dai bordi alti ho messo i pezzi di pesce e li ho pestati con il mestolo di legno fino a ridurli in poltiglia. Sempre battendoli ho aggiunto a filo l’olio extravergine fino a formare un composto morbido e ben amalgamato. Ho aggiunto l’aglio in polvere e mescolato ancora accuratamente.

Ho steso la pasta e creato dei cerchi di 8 cm di diametro. Ho formato i culurgiones deponendo su ogni cerchio una noce di ripieno. Se non vi ricordate come si fanno guardate qui il procedimento.
Per il condimento:
1 cespo di catalogna
1 grosso spicchio d’aglio (o 2 più piccoli)
1 acciuga sott’olio
1 peperoncino secco
1/2 bicchiere di vino bianco
una bella manciata di uva passa
olio
sale
4 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di pinoli

Ho lavato, tagliato a pezzi e lessato la catalogna in acqua leggermente salata. Una volta morbida l’ho immersa in acqua fredda e poi scolata e tagliata a pezzettini molto più piccoli.

In una padella capiente ho messo lo spicchio d’aglio schiacciato con 4 cucchiai d’olio, un peperoncino sbriciolato e un’acciuga sott’olio. Li ho fatti sfrigolare per qualche istante e poi ho aggiunto la catalogna. Ho sfumato con il vino e poi ho aggiunto l’uva passa ammorbidita in acqua tiepoda e fatto proseguire la cottura.

Da parte, mentre l’acqua per i culurgiones raggiungeva il bollore, ho fatto tostare i pinoli in un padellino antiaderente, aggiungendo poi il pan grattato e abbrustolendo anch’esso.

Ho lessato i culurgiones e poi li ho passati nella catalogna ad insaporire.
Ho composto i piatti ed ho decorato ciascuno con una manciata di pangrattato ai pinoli.

 

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Biscotti con farina di grano saraceno, arachidi e noci

La disputa su cantucci e biscotti di Prato è centenaria.
I primi, i cantucci, deriverebbero da un pane dolce all’anice, poi tagliato a fette e fatto tostare, per farlo conservare più a lungo. Nella forma e nell’aroma ricordano i genovesi biscotti del Lagaccio.
Quelli conosciuti come biscotti di Prato, invece, nella ricetta originale sono fatti con farina, zucchero, uova, mandorle e, talvolta, pinoli, senza alcun tipo di grassi né di lievito. Quindi sono ben croccanti e si prestano ad essere inzuppati nel vin santo, proprio perchè così asciutti ed essenziali.
La confusione legata al loro nome è però bilanciata da una storia antica e documentatissima. 
I biscotti di Prato non sono nati a Prato, è la dura verità, derivano dai bischotelli fiorentini descritti da Francesco Redi, lo scienziato che ebbe il merito di inventare una deliziosa cioccolata al gelsomino per Cosimo de’ Medici nel XVII secolo. 
Nel 1691 arriva la definizione dall’Accademia della Crusca: “biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d’uovo”, mentre la prima ricetta è effettivamnete custodita nell’archivio storico della città di Prato, risale al XVIII secolo e definisce questi biscotti come “fatti alla genovese”.
Un’altra disputa è legata all’abitudine consolidata di consumare questi biscotti in abbinamento con il vinsanto. I gourmet sostengono invece che in questo modo si danneggiano due prodotti, in primis il vinsanto che viene sporcato dalle briciole; in secondo luogo il biscotto che sembra necessitare dell’aroma del vino per poter essere gustato appieno. 
Il dessert da fine pasto composto da vinsanto e cantucci è però innegabilmente ottimo, e rappresenta una gestualità lenta e antica, che mi ricorda le lunghe permanenze attorno alla tavola, una volta finito il pasto, nei giorni di festa. 
Questi biscotti furono apprezzati da Herman Hesse, che li descrisse come gli unici tanto buoni da fargli tornare il buonumore, mentre Pellegrino Artusi racconta, ne “La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiare Bene”, del suo incontro con lo squisito e gentilissimo pasticcere Antonio Mattei, papà dei biscotti di Prato dal 1858.
La storia di questi biscotti, l’avrete capito, è talmente estesa, documentata, controversa e ricca di colpi di scena da aver ispirato un libro, quello di Marco Ferri, “La vera storia dei cantucci e dei biscotti di Prato” dell’editrice Le Lettere. 
La curiosità più simpatica sul nome di questi biscotti l’ho trovata su coquinaria.it, dove vien detto che il nome “cantuccini” deriva dal fatto che i meno abbienti, pur di gustare questa delizia, si accontentavano delle parti terminali del filone, i cantucci appunto, considerati meno pregiati delle fette centrali. In realtà i linguisti forniscono una spiegazione meno romantica: pare derivare da cantellus che in latino significa pezzo o fetta di pane. 
 
Il punto è che quella dei cantucci-biscotti di Prato è anche una tecnica, tanto geniale, quanto estendibile anche ad impasti leggermente diversi, più ricchi, e si rivela una vera alleata per preparare degli ottimi biscotti senza dedicare molto tempo al taglio della forma.
In più le possibilità di variazione nel gusto sono infinite: canditi, cioccolato a pezzettini, altra frutta secca…
Io li ho preparati con la farina di grano saraceno, ultimamente mia grande alleata in cucina, e con l’aggiunta di noci ed arachidi all’impasto. 

La ricetta: Biscotti con farina di grano saraceno, arachidi e noci
120 g di farina di grano saraceno
80 g di farina bianca tipo 0
120 g di zucchero
80 g di burro
1 uovo
1 pizzico di sale
60 g di gherigli di noci
100 g di arachidi sbucciate
la punta di un cucchiaino di lievito in polvere per dolci 
Ho lavorato il burro con lo zucchero, ho aggiunto l’uovo sbattuto con un pizzico di sale ed ho mescolato bene il tutto.
Ho aggiunto gradualmente le farine e successivamente il lievito in polvere.
Per ultime ho inserito nell’impasto la frutta secca sbriciolata grossolanamente.
Ho lasciato riposare questo impasto per circa mezz’ora al fresco.
Ho composto sulla carta da forno dei filoncini, spessi circa 5 cm, ed ho infornato a 170° per circa 15/20 minuti.
Quando i filoncini erano tiepidi li ho tagliati a fette, leggermente in diagonale, dello spessore dei 1,5 cm.
Ho nuovamente infornato le fette di biscotto finchè non erano leggermente dorate.

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Polpettine di tacchino in zuppetta di verdure e mela al curry

Questa ricetta merita davvero di essere divulgata perchè è uno dei curry migliori che io abbia mai mangiato!
La ricetta originale l’ho trovata su La Cucina Italiana di questo mese ed io ho apportato alcune leggere variazioni, ma solo marginali, mantenendo la sostanza: avevo del tacchino, al posto del pollo, ed ho usato il mio solito procedimento per le polpettine, abbondando con il pangrattato e usando il latte normale al posto di quello di cocco; ho usato il radicchio, con cui ho sostituito la verza, ottenendo anche un buon contrasto tra l’amaro dell’indivia e il dolce della mela. In ultimo il tipo di spezia indicato nella ricetta originale era garam masala in pasta, io ho usato una miscela in polvere.
Perfetto per questa stagione è un piatto pieno di calore e sostanza, pur essendo piuttosto povero di grassi, cosa che ci piace molto!!
La ricetta:  Polpettine di tacchino in zuppetta di verdure e mela al curry.
400 ml di brodo vegetale (cipola, carota, sedano e foglia di alloro)
1/2 cespo di radicchio lungo trevisano
250 g di petto di tacchino
1/2 bicchiere di latte
pangrattato
1/2 uovo sbattuto
1 cipolla
1 carota
1 gambo di sedano
1 mela (la mia era una rossa Gala)
olio evo
mild curry in polvere
Ho preparato il brodo vegetale. Nel frattempo ho tritato al coltello la carne di tacchino e l’ho mescolata in una terrina con il latte, un pizzico di sale, l’uovo e tanto pangrattato da formare un composto lavorabile.
Ho tagliato mezza cipolla a julienne e l’ho messa ad appassire in un paio di cucchiai d’olio, aggiungendo poi il radicchio tagliato a striscioline e facendolo poi stufare con un poco d’acqua.
Ho tagliato a dadini la mezza cipolla restante, la carota e il sedano e ho rosolato il tutto in una casseruola, con un giro di olio evo. Ho poi aggiunto anche la mela tagliata a dadi. Dopo qualche minuto ho aggiunto 1 cucchiaino di curry in polvere e il brodo vegetale. Ho lasciato cuocere per 10 minuti finchè non era tutto ammorbidito e il liquido si era ristretto, poi ho passato al frullatore.
Nel radicchio appassito ho aggiunto le polpettine di tacchino. Le ho formate del diametro di circa 2 cm e le ho direttamente buttate in padella.
Dopo un paio di minuti le ho immerse nella zuppetta di curry ed ho lasciato completare lì la cottura per circa 5 minuti.
Ho versato in ciotole dai bordi alti, completando con il radicchio stufato a cui avevo aggiunto una spolverata di sale.
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Cicatielli Irpini con broccoli e pancetta

Eccoci al primo post del 2013 con i buoni propositi per il nuovo anno.
Mi sono chiesta cosa vorrei continuare a scrivere in questo mio spazio e mi sono ritrovata a sfogliare le pagine che più amo con le ricette più riuscite.
Voglio continuare a sperimentare ricette che hanno una storia, cibi che parlano e che raccontano le loro origini; voglio dare nuovamente spazio alla rubrica Tea Time, con nuove idee, e a quella del Panificiocon nuovi esperimenti lievitati; voglio conoscere e condividere le ricette di altri paesi e lo farò grazie alla mia partecipazione all’Abbecedario Culinario; e vorrei imparare ancora molto da tutti voi che passate da queste parti.

Comincio l’anno con una pasta fresca speciale che di storia ne ha tanta.
E’ una pasta del sud, precisamente dell’Irpinia, che è diventata il simbolo di Montecalvo Irpino e che è tradizionalmente preparata con la farina di grano duro di quella zona.
La leggenda narra che sia stata inventata da una moglie che aveva appena scoperto il tradimento del marito. Nel formare questa pasta i pezzetti vengono fatti rotolare sulla spianatoia, comprimendoli con due o tre dita della mano, “ciecandoli” insomma con rabbia e forza. Chi ha già lavorato la pasta di grano duro sa quanta energia ci voglia!!
Pare che la moglie tradita grazie a questo piatto di pasta riuscì a riconquistare il marito infedele… Io, dopo averla assaggiata, vi dico che ne vale la pena anche senza dover sanare incomprensioni domestiche.
Anche il condimento tradizionale si rifà ad una simbologia: c’è il ragù con la braciola, detta braciola della moglie, c’è il sugo di pomodoro insaporito con la ricotta salata, e c’è la variante più adatta a questa stagione: i cicatielli co’ ruoccoli e scardella. I broccoletti, i ruoccoli, sono della varietà napoletana; la scardella è un particolare tipo di pancetta dell’Irpinia.
E se volete sapere cosa significa il detto “chi si magna lu ruoccolo s’adda
sta fermo cu lu paruoccolo
“,
andate a leggere qui.

La ricetta tradizionale prevede tutta farina di grano duro, nella variante campana saraolla, e prodotti del territorio per il condimento. Io ho rivisitato la ricetta con quello che sono riuscita a trovare qua, ottenendo ugualmente un ottimo piatto. Naturalmente, se vi trovaste in quei luoghi sarebbe un sacrilegio non provarli con i prodotti originali, tanto più che l’Irpinia è una terra di ottimi vini!!
La ricetta originale prevede che i cicatielli vengano lessati assieme ai broccoletti e poi saltati insieme in padella con la pancetta, mentre io ho fatto sbollentare i broccoli in precedenza.

La ricetta: Cicatielli con broccoletti e pancetta.
per la pasta: 
150 g di farina di semola di grano duro 
50 g di farina 00
acqua calda
sale

250 g di broccolo fresco
70 g di pancetta a dadini
1 spicchio d’aglio

Ho impastato i due tipi di farina con il sale e l’acqua calda, fino a formare un impasto sodo.
L’ho lasciato riposare per 20 minuti.
Ho preso una porzione di pasta e vi ho ricavato un serpentello lungo del diametro di 1 cm. Ho tagliato il serpentello in pezzetti di 3 cm e poi con tre dita ho schiacciato ogni pezzetto di pasta, facendolo rotolare sulla spianatoia infarinata.
Ho ripetuto fino ad esaurire la pasta.

Ho preparato il condimento, lavando e lessando i broccoli e schiacciandoli leggermente con la forchetta.
In un’ampia padella ho messo lo spicchio d’aglio in due cucchiai di olio evo. L’ho fatto leggermente rosolare ed ho aggiunto la pancetta a dadini, lasciando che si dorasse per bene. Poi ho aggiunto i broccoli e ho fatto proseguire la cottura, aggiungendo all’occorrenza un goccino d’acqua calda. 

Ho lessato i cicatielli in abbondante acqua salata e li ho fatti saltare in padella con il condimento finché erano ben insaporiti.

ai fornelli, ricette originali

# 8 – Calendario dell’avvento – Mandarino Day

Io non sono una grande estimatrice di questo frutto, ma dall’anno scorso, con la marmellata di mandarini, ho deciso che il profumo del mandarino debba essere il profumo del Natale, come una volta…
Eccoci giunti quindi alla seconda edizione del Mandarino Day!!
Questa volta ho voluto preparare una torta e partendo da una ricetta senza farina, trovata su un libricino di Anne Wilson, dove il dolce era fatto con la polpa frullata dei mandarini, ho fatto delle modifiche e delle aggiunte arrivando ad una vera e propria golosità.
Non possono mancare la farina di grano saraceno, che secondo me dà un grande carattere alle torte soffici, e le nocciole che mitigano l’asprigno dell’agrume.
Ne viene fuori  una torta gonfia e soffice, che spande il suo profumo per la casa già dalla preparazione della polpa di mandarino, fino a quando viene sfornata ormai pronta.

E’ il regalo perfetto per l’anziana signora che ancora si ricorda del Natale al profumo di mandarino e frutta secca.
La ricetta: Torta al mandarino e nocciole con farina di grano saraceno
180 g di polpa di mandarini (3 o 4 mandarini crudi)
2 uova grandi
120 g di zucchero di canna
40 g di panna liquida (o latte o yogurt bianco)
25 g di olio di semi

80 g farina 00
80 g di farina grano saraceno
50 g di nocciole sminuzzate grossolanamente

1/2 bustina di lievito per dolci
Per prima cosa bisogna preparare la polpa di mandarini. Ho messo i mandarini in una pentola, coperti di acqua fredda e ho portato a bollore. Ho fatto bollire per circa 40 minuti. Poi ho scolato i mandarini e li ho fatti intiepidire. Li ho tagliati a metà, ho eliminato i semi e poi li ho passati al frullatore, con tutta buccia. Ho raccolto la polpa ottenuta, pesandone 180g.
Ho montato le uova con lo zucchero finché sono diventate chiare e spumose; ho aggiunto la polpa di mandarino, l’olio di semi, la panna, mescolando bene ogni volta. Ho amalgamato al composto le due farine setacciate con il lievito in polvere ed infine ho aggiunto i pezzetti di nocciola.
Ho versato in una teglia da 20 cm di diametro e fatto cuocere in forno caldo a 175° per 30 minuti, controllando poi la cottura con uno stecchino.
Quando la torta era fredda l’ho spolverata con lo zucchero a velo.

Con questa torta al mandarino partecipo al contest di Morena in Cucina, Un Dolce al Mese, che per dicembre è incentrato sugli agrumi.

ai fornelli, ricette originali

Sta per arrivare il Nocciola Day…

Oggi si parla di nocciola, ma non di una nocciola qualsiasi, ma della Nocciola Italiana. In Italia esistono ben tre qualità di nocciola a marchio europeo: la Nocciola Piemonte IGP, la Nocciola di Giffoni IGP e la Nocciola Romana DOP; in realtà sul territorio italiano le qualità di nocciola sono innumerevoli e quindi rappresentano per noi un patrimonio preziosissimo da salvaguardare. Perché accontentarsi di una nocciola qualsiasi quando si possono avere le nocciole italiane?

Per questo è stato indetto il Nocciola Day!! Il 15 dicembre 2012 sarà la Giornata Nazionale della Nocciola, un evento realizzato con il patrocinio e la collaborazione del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e di Res Tipica Anci
Si può aderire alla giornata e diffondere il messaggio sottoscrivendo il Manifesto del Nocciola Day.

La nocciola non è solo un buonissimo prodotto italiano, ma è anche un frutto che fa bene, per questo il Nocciola Day è sostenuto anche dalla Food Revolution di cui avevo già parlato qui e qui.
Anch’io divento in questa occasione un’ambasciatrice della Nocciola Italiana con una ricetta salata davvero gustosa con cui partecipo al contest indetto per il Nocciola Day
Io ho usato le Nocciole Piemonte IGP. 
Non casuale è l’utilizzo del Taleggio in abbinamento; si tratta di un formaggio a marchio DOP prodotto in alcune zone della Lombardia, del Piemonte e del Veneto.
La farina di mais dà una certa ruvidità e consistenza alla sfoglia, il gusto è molto ricco, addolcito dalla presenza della zucca nel condimento. La pasta, grazie alla presenza della farina di mais è decisamente sostanziosa, una porzione normale consta di due ravioli così grandi, o tre più piccoli.

La ricetta: Raviolone di farina di mais con Taleggio e Nocciola condito con zucca croccante al rosmarino.


(dosi per circa 7/8 ravioloni  )
100 g di farina bianca
50 g di farina di mais
1 uovo 
1 tuorlo
sale
170 g di Taleggio DOP
50 g di Nocciole Piemonte IGP (tostate e liberate dalla pellicina)
olio d’oliva extravergine
250 g di zucca
1 rametto di rosmarino
3 fette di Strolghino di Culatello tagliato a listarelle

Preparare la pasta mescolando le due farine con un pizzico di sale. Aggiungere i due tuorli e gradualmente l’albume finchè viene assorbito dall’impasto (potrebbe non occorrere tutto!).
Lavorare la pasta per pochi minuti, avvolgerla con pellicola e lasciarla riposare mezz’ora.
Pulire la zucca e tagliarla a fettine sottili e di circa 2 cm di lato, eliminando tutta la buccia. 
Tritare le nocciole grossolanamente.
Stendere la pasta in sfoglie sottilissime e ricavare in ogni sfoglia dei cerchi di 10 cm di diametro. Su metà dei cerchi deporre una fettina di taleggio e qualche scaglia di nocciola (lasciandone un po’ per la rifinitura finale).
Chiudere i ravioli, inumidendo i bordi e schiacciandoli con i rebbi di una forchetta.
Portare a bollore abbondante acqua e nel frattempo preparare il condimento.
In una padella mettere un giro d’olio evo e poi lasciarvi ammorbidire la zucca, senza che cuocia completamente, deve restare un po’ croccante. Aggiungere il rametto di rosmarino e salare leggermente.
Lessare i ravioloni e poi ripassarli in padella con la zucca e l’aggiunta di una spolverata di nocciole tritate.
Decorare i piatti con qualche listarella di salame.

ai fornelli, ricette originali

Pie Autunnali per la Sfida dei Colori

Sono giunta al secondo round colorato nel Contest di Paola

Questa volta il colore che mi è toccato è questo qui: 
Sembra facile…un marroncino che vira verso il rosa…
Ho pensato di usare la farina di grano saraceno per dare al mio impasto una tonalità bella calda, ma visto che le ricette devono essere anche buone oltre che colorate ho puntato su un ripieno che sa tutto d’autunno!!
Ecco, alla fine la macchina fotografica e la luce non mi hanno agevolato nella resa del colore che è più marroncino che rosa, però le tortine sono buonissime e rustiche al punto giusto, con un impasto croccante e corposo che lascia poi il posto al ripieno morbido e dolce-piccante di zucca e broccoli.
La ricetta: Pie autunnali di farina di grano saraceno ripiene di zucca e broccoli.
per la brisé al grano saraceno:
50 g di farina 0
50 g di farina di grano saraceno
3 cucchiai d’olio extravergine di oliva
acqua ghiacciata q.b
sale
per il ripieno:
150 g di broccolo
1 acciuga
1 spicchio d’aglio
peperoncino
150 g di zucca già privata della buccia
1/2 cipolla bianca
100 g di stracchino
sale
Ho preparato la brisé, mescolando le due farine con un pizzico di sale e aggiungendo prima l’olio e poi l’acqua ghiacciata fino ad ottenere un impasto morbido e consistente che ho messo a riposare in frigo avvolto in pellicola.
Ho sbollentato broccolo e zucca, poi ho diviso le cimette e tagliato la zucca a dadi di 1,5 cm di lato.
Ho passato il broccolo in un padellino con un filo d’olio, 1 acciuga e del peperoncino, regolando poi di sale.
In un altro padellino ho fatto imbiondire la cipolla con un filo d’olio, poi l’ho scolata e messa da parte, facendola intiepidire. Nello stesso padellino ho insaporito la zucca, regolando di sale.
La cipolla intiepidita l’ho mescolata allo stracchino.
Ho ricavato dalla brisé una sfoglia sottile e vi ho ritagliato dei cerchi di 12 cm di diametro. Ho foderato degli stampini grandi da muffin con la pasta e in ognuno ho messo 1 cucchiaio di stracchino con la cipolla, la zucca e poi i broccoli, ricoprendo con le strisce restanti di pasta brisé.
Ho infornato a 180° per 20 minuti o poco più, finché la brisé non era leggermente dorata.
Ho accompagnato con topinambour sbollentati, tagliati a fettine e insaporiti con un misto di erbette provenzali, e olio evo.
Con questa ricetta partecipo al secondo round del contest di Paola del blog Nastro di Raso  “Tutti i Colori del Cibo“. A questo link potete votare la mia ricetta con un semplice click… se vi va! 😉
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