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Filetto di maiale con castagne e prugne per Mariangela Prunotto

Da tempo desideravo partecipare al contest di Cucina e Cantina e mi sono ritrovata davanti all’arduo compito di scegliere una delle confetture di Mariangela Prunotto. Se fate un giro sul loro catalogo potrete ben comprendere che non è semplice scegliere solo un gusto.
Dunque perchè la mia scelta è caduta proprio sulla marmellata di prugne? 
Mia nonna, sarda, era sarta e non è un gioco di parole!  Lei, finché l’età e la salute gliel’hanno concesso, cuciva tutto il giorno; a mano o a macchina doveva sempre avere le mani impegnate in qualche lavoro di cucito. 
Non era molto brava in cucina, e faceva un solo tipo di marmellata, proprio quella di prugne, con i frutti degli alberi accanto al nostro orto in Sardegna. 
La sua  marmellata di prugne, riconosciamolo,  non era la più buona dell’universo, perchè lei si stufava di stare davanti alla pentola a mescolare, ansiosa di rimettersi a cucire, e spesso se ne dimenticava. Quando aprivamo il vasetto, la sua marmellata sprigionava un buon profumo di prugne cotte, ma spesso, frutto di salvataggi di fortuna, aveva un retrogusto di “appiccicato”. Eppure il profumo della marmellata di prugne, la madeleine di Proust più indelebilmente scolpita nella mia memoria, mi riporta ancora oggi alle colazioni estive della mia infanzia, facendomi sentire un formicolio di piacere tra il cuore e lo stomaco.
Quando ho aperto il vasetto di confettura di prugne di Mariangela Prunotto ho sentito lo stesso profumo di allora, anche se il gusto è ovviamente molto più buono!! 
Per questa ragione l’ho scelta anche questa volta, abbinandola al filetto di maiale, in una ricetta composta tassello per tassello con i gusti che amo di più.

La ricetta: Filetto di maiale farcito con castagne e prugne con salsa alla confettura di prugne e dadini di mela cotta
1 filetto di maiale (circa 400g)
10 castagne
10 prugne secche denocciolate
1 mela grande
1/2 cipolla media
1 cucchiaino di senape di Digione
olio
sale
pepe
Per prima cosa ho sbucciato le castagne con l’aiuto di un coltellino e le ho messe a lessare in abbondante acqua. Per averle ben cotte ci vuole circa mezz’ora. Le ho lasciate intiepidire nell’acqua e poi ho tolto la pellicina.
Mentre le castagne cuocevano ho sbucciato la mela e l’ho tagliata a dadini e poi l’ho fatta cuocere a vapore sopra lo stesso pentolino.
Ho tagliato le prugne secche a fettine; nel caso fossero troppo asciutte conviene ammorbidirle in acqua calda per dieci minuti prima di affettarle.
Ho tagliato il filetto trasversalmente come fosse un panino, lasciando le estremità unite, e ho disposto nella piega interna un cucchiaio colmo di confettura di prugne. Ho farcito il filetto con le prugne a fettine e le castagne sbriciolate, ce ne vorrà circa la metà. Ho richiuso il filetto e l’ho legato stretto con lo spago da cucina.
In una pentola dal fondo spesso ho fatto ammorbidire la cipolla tritata sottile in 3 cucchiai d’olio extravergine.
Ho deposto in pentola il filetto e l’ho fatto sigillare da tutti i lati, l’ho salato e pepato. Poi ho aggiunto castagne e prugne a pezzi, avanzate dalla farcitura e colmato il fondo della pentola con un dito d’acqua. Ho coperto e proseguito la cottura, a seconda dello spessore del filetto dovrebbero bastare una ventina di minuti.
Nel frattempo ho messo in una ciotolina 3 o 4 cucchiai di confettura di prugne e l’ho mescolata con la senape di Digione. Io ho assaggiato per rendermi conto della piccantezza, ovviamente la senape non deve coprire il gusto delle prugne, quindi aggiungetela man mano.
Una volta che il filetto era cotto l’ho affettato delicatamente e disposto in un piatto accostando il sughetto di cottura con le prugne e le castagne e un cucchiaio di marmellata di prugne senapata. Io ho accompagnato la carne con la mela cotta a vapore, fatta riscaldare leggermente e condita con sale e un filo d’olio.

Con questa ricetta partecipo al contest di Valentina di Cucina e Cantina in collaborazione con Mariangela Prunotto.

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Il Taste & Match di Torino e la mia dolce ricetta

Quando l’oste Fernando di Winexplorer mi ha proposto di partecipare alla seconda edizione torinese del Taste&Match ho fatto un salto di gioia. Mettersi alla prova in cucina, soprattutto misurarsi con il gusto di assaggiatori esigenti è sempre una bella sfida per me. Certo non è semplice far calzare perfettamente un piatto ad un vino, ma quando l’esperimento riesce son gioie per il palato.
Il vino che mi è stato assegnato è un passito molisano DOC, Apianae Di Majo Norante, al 100% Moscato Reale. Ancor prima di assaggiarlo mi sono un po’ documentata sulla storia di questo vino, Apianae altro non è che l’antico nome del vitigno Moscato Reale, coltivato fin dal 200 a.C. e forse ancor prima. Questo vino ha viaggiato nei secoli, passando per le corti papali fino ai giorni nostri e all’assaggio conserva tutto il gusto del sole molisano. Per questo nello studiare un dolce da abbinargli ho pensato subito a qualcosa che richiamasse la tradizione del Meridione: mandorle, miele, acqua di fiori d’arancio, in una gustosa crema di uova.
Così ho ricordato certe tortine di origine medievale, che avevano proprio il miele e l’aroma di fiori d’arancio tra gli ingredienti principali. Dall’idea alla prova pratica il passo è stato breve e sono nati questi dolcini che ho dedicato al mio personaggio medievale preferito, Federico II di Svevia, amante della poesia e delle arti, che scorrazzando per il sud Italia, forse ha anche avuto la possibilità di assaggiare questo pregiato vitigno.
E voi, non siete curiosi di assaggiare questa e le altre ricette degne di un imperatore?
Il Taste&Match si svolgerà il 10 novembre a Torino, nell’elegante cornice del Circolo dei Lettori. Ci saranno 8 vini in degustazione, abbinati ad 8 ricette cucinate da altrettante foodbloggers. La serata ha un costo di 35 € e i posti sono limitati. Acquistando i biglietti online direttamente sul sito di Winexplorer avrete uno sconto del 10%, quindi… prenotatevi subito a questo link!!! 😀

La ricetta: Alla corte di Federico II, mini quiches alle mandorle, miele e acqua di fiori d’arancio, con salsa al moscato reale e zafferano.
Per la pasta brisé:
200 g di farina 00
90 g di burro
70 ml d’acqua freddissima
1 cucchiaino di aceto
1 cucchiaio di zucchero
Per il ripieno:
1 uovo
50 g di mandorle pelate e tritate grossolanamente
50 g di miele (di tiglio oppure di fiori di agrumi)
125 ml di panna liquida
acqua di fiori d’arancio
cannella
Per la salsa:
1 uovo
2 cucchiai di miele
1 cucchiaio di maizena (o di farina 00)
150 ml di latte
1/2 bicchiere di moscato reale Apianae Di Majo Norante
zafferano
Ho preparato la brisè: ho mescolato la farina con lo zucchero e versato un cucchiaino di aceto nell’acqua fredda di frigo. Poi ho impastato la farina con il burro freddissimo a cubetti ed aggiunto gradualmente l’acqua fino a formare una palla di impasto. Poi, senza far scaldare l’impasto, l’ho riposta in frigo fino al momento di stenderla.
Ho preparato il ripieno: ho montato le uova con lo zucchero e il miele, aggiungendo l’acqua di fiori d’arancio e la panna liquida e mescolando con cura; ho cosparso il fondo delle tortine di granella di mandorle e poi ho colmato con un mestolino di crema
Ho messo a cuocere in forno caldo a 180° finché la crema non era rassodata e leggermente caramellata.
Ho preparato la salsa di accompagnamento, mescolando 1 uovo con la maizena setacciata e 100 ml di latte intiepidito. Ho aggiunto 1/2 bicchiere di vino e poi, mettendo sul fuoco a bagnomaria, ho dolcificato  con il miele. Ho lasciato rassodare mescolando in continuazione, finché non ha preso un po’ di tono, ma senza che la salsa rassodasse troppo.
Ho composto il piatto con una tortina ed una cucchiaiata di salsa, decorando con un pizzichino di zafferano in polvere.

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Il Tuffo del Pinguino – Pepino is on MyTable

Domani 11 ottobre sarò, insieme ad alcuni chef di ristoranti torinesi del circuito MyTable.it ed alcune foodblogger, Un Tocco di Zenzero, Cucina Precaria e Cucina e Cantina, in piazza Carignano a Torino a festeggiare un super gelato torinese.
Protagonista della festa sarà il Pinguino Pepino, il primo gelato da passeggio su stecco, che domani verrà proposto anche come dessert da fine pasto.
Ma per introdurre questa storia tutta torinese, occorre fare un passo indietro nel tempo, anzi un bel balzo, perché arriviamo fino al 1884, quando Domenico Pepino gelataio napoletano arrivò a Torino ed aprì una gelateria in piazza Carignano, la stessa che potete vedere ancora oggi.
Nel 1916 egli cedette per la somma di 10.000 lire la sua attività al Commendator Giuseppe Feletti, che già si occupava di cioccolato, e a suo genero Giuseppe Cavagnino. I rilevatori dell’impresa danno un nuovo impulso commerciale alla gelateria Pepino, adottando il ghiaccio secco per facilitare il trasporto dei gelati, così il gelato Pepino arrivò ovunque.
La gelateria venne insignita negli anni di numerosi riconoscimenti diventando anche fornitrice della Real Casa.
Nel 1939, dopo anni di studio e di ricerca a riguardo, venne “inventato” il gelato da passeggio su stecco: il gelato Pepino alla vaniglia venne immerso in una colata di cioccolato fuso e divenne il Pinguino, conoscendo nuova celebrità e successo.
All’epoca costava una lira e quindi con 2 lire si poteva andare al cinema e prendere un Pinguino.
Negli anni vennero messi sul mercato nuovi gusti di Pinguino, oggi sono sei: crema, gianduja, nocciola, viola, menta e caffé. Cambiò soltanto il packaging del prodotto, adeguandosi ai tempi, ma conservando sempre quell’aria d’antan, delle cose buone di un tempo.
Domani il Pinguino, dopo 73 anni di successo, diventerà anche un dessert. Noi foodblogger insieme agli chef torinesi siamo chiamati a reinterpretare il Pinguino Pepino come un dessert da fine pasto e una giuria di giornalisti assaggerà le nostre opere golose.
Per la mia rivisitazione ho cercato un prodotto che, proprio come il Pinguino, potesse raccontare una storia. 
È il caso dei Nocciolini di Chivasso.
Intorno al 1850 un pasticcere chivassese, Giovanni Podio, creò i primi Nocciolini, con albume, zucchero e Nocciole Tonde Gentili del Piemonte, li chiamò Noasèt, o Noisettes per i clienti d’oltralpe. Nel 1900 suo genero Ernesto Nazzaro portò i Noasèt all’Esposizione Universale di Parigi e nel 1911 a quella di Torino, riscuotendo un enorme successo e facendo sì che il suocero ricevesse un brevetto per questa sua creazione. Poco dopo Podio fu insignito del titolo di “fornitore della Real Casa” da Vittorio Emanuele III, per i Noasèt, proprio come era accaduto con i gelati Pepino.
Il loro nome venne italianizzato in Nocciolini durante il fascismo, e tale restò anche in seguito.
A Chivasso due pasticcerie si contendono il primato per i preziosi bottoncini alle nocciole, la Bonfante, pasticceria storica del 1922, un piccolo gioiello in stile liberty, e la pasticceria Fontana del 1965. 
Dall’incontro di questi due dolci golosi del territorio nasce un dessert davvero principesco.
Ho abbinato una crema al cioccolato fondente con il Pinguino al gianduja, l’ho completata con la croccantezza dei Nocciolini di Chivasso e con una morbida meringa svizzera con yogurt bianco. Per completare qualche scaglia di fondente e naturalmente il Pinguino al gusto gianduja!
Il Tuffo del Pinguino nel bicchiere
La ricetta: Il Tuffo del Pinguino
(per 4 coppe)
per la meringa svizzera con yogurt:
75 g di albume (circa 2 albumi)
150 g di zucchero
3 gocce di limone
100 g di yogurt bianco intero
per la crema al cioccolato:
100 g di mascarpone
50 g di cioccolato fondente
1 Pinguino Pepino al gusto gianduja
80 g di Nocciolini di Chivasso 
per decorare 4 coppe: 4 Pinguini al gianduja
Procedimento:
Preparare la meringa svizzera: mettere in una ciotola, o in un pentolino che vada a bagnomaria, gli albumi con un cucchiaio di zucchero e ¾ gocce di limone; mettere questa ciotola dentro quella piena d’acqua sul fornello acceso e cominciare a montare aumentando man mano la velocità, quando gli albumi sono bianchi aggiungere lo zucchero restante e continuare a montare finchè la meringa non diventa bella lucida. L’operazione dovrebbe essere svolta a 60°, con l’aiuto di un termometro da cucina, riducendo eventualmente il bollore dell’acqua sottostante. 
Una volta che la meringa è ben montata mettere da parte.
Preparare la crema al cioccolato fondente: sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente precedentemente sminuzzato. Farlo intiepidire e mescolarlo al mascarpone e alla crema di un Pinguino al gianduja ammorbidito a temperatura ambiente. Porre in frigo per un quarto d’ora. 
Mescolare la meringa allo yogurt bianco e comporre il dolce.
Sul fondo delle coppe mettere uno strato di crema al mascarpone e cioccolato. Sulla superficie adagiare i Nocciolini di Chivasso, sopra questi mettere una cucchiaiata di meringa svizzera con yogurt. 
Decorare con qualche scaglietta di fondente e “tuffare” un Pinguino al gianduja.
Il Tuffo del Pinguino ancora nel bicchiere
Il Tuffo del Pinguino presentato in coppetta

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Torta al cioccolato fondente con ribes rossi

È arrivato l’autunno ed insieme è giunto il periodo delle torte al cioccolato. Non avevamo mai smesso, a dire il vero ma ora è proprio il momento giusto per mettere al bando gli scrupoli e coccolarsi con i sapori caldi e corposi.
A togliere ogni eventuale residuo dubbio abbiamo avuto due cene da amici la scorsa settimana e quindi quale scusa migliore per preparare due golose torte superfondenti. 
La prima è questa con i ribes; sono andata sul sicuro con una base al cioccolato che utilizzo spesso e si presta a mille reinterpretazioni. Ho solo aggiunto dello sciroppo di ribes nell’impasto, che però non si sentiva come avrei voluto.
Sopra una semplicissima glassa, e gli splendidi e lucenti fruttini rossi che l’hanno resa davvero bella!
Cercando qualche informazione sul ribes ho scoperto che questo nome appartiene a una moltitudine di qualità diverse dello steso fruttino acidulo. Lo si può trovare rosso o nero o addirittura nella varietà gialla e in ogni caso è enormemente decorativo e, così fresco e pungente, contrasta piacevolmente con la cremosità avvolgente e calda della torta.
Questa base al cioccolato è buonissima il giorno stesso ma è ancora più buona il giorno seguente…se ci arriva!! 😉 E si può combinare con tantissimi frutti!
La ricetta: Torta al cioccolato con ribes rossi
200 g di cioccolato fondente
70 g di burro
100 g di zucchero
3 cucchiai di yogurt
2 cucchiai di sciroppo di ribes
40 g di farina 00
30 g di mandorle tritate
2 uova
1 cucchiaino di yogurt
100 g di zucchero a velo
125 g di ribes rossi
Ho fatto fondere a bagnomaria il burro con il cioccolato sminuzzato. Ho poi aggiunto lo zucchero e mescolato fino a farlo sciogliere e poi ho aggiunto anche lo sciroppo di ribes alla miscela.
Ho setacciato insieme farina 00 e farina di mandorle e poi le ho aggiunte alla miscela di cioccolato, mescolando insieme anche lo yogurt.
Ho separato i tuorli dalle uova e ho aggiunto gradualmente i tuorli al cioccolato.
Ho montato a neve gli albumi e senza smontarli li ho amalgamati all’impasto.
Ho versato il tutto in una teglia ben imburrata da 21 cm ed ho infornato a 170° per circa mezz’ora. Per un risultato più fondant bastano 20 minuti di cottura.
Quando la torta era fredda l’ho rovesciata su un piatto.
Per la glassa ho mescolato lo zucchero a velo con lo yogurt e l’ho fatta colare sulla torta, pareggiandola con una spatola. Ho lasciato asciugare la glassa e poi ho disposto sulla superficie i grappolini di ribes.
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Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

Dall’alto sembra una focaccia alta, quasi banale nella sua semplicità: olive e pomodorini. In realtà nasconde una sorpresa, un soffice ripieno di caprino fresco, con la marcia in più, saporitissima, di un’aggiunta di aglio ed erbette, che danno a questo piatto un tono così rustico, ma al tempo stesso un’aria un po’ chic alla francese…
Il segreto è stendere lo strato superiore sottilissimo, in modo che resti un po’ croccantino e leggero; più corposo e gonfio sarà lo strato inferiore, e la morbidezza nell’odoroso ripieno.

La ricetta: Pizza ripiena di caprino ed erbette all’aglio

300 g di farina
1 cucchiaino di sale
1/2 cucchiaino di miele
acqua
1 cucchiaio d’olio
1/3 di cubetto di lievito di birra
200 g di caprino fresco
maggiorana, menta, origano,dragoncello ed erba cipollina
1 spicchio di aglio
Ho preparato la pasta per la pizza, sciogliendo il lievito in circa 50 ml di acqua tiepida, aggiungendo 1/2 cucchiaino di miele e lasciando riposare per 10 minuti, fino alla formazione di una ricca schiumetta. Ho cominciato ad impastare la farina setacciata con il sale con questa mistura di acqua e lievito, aggiungendo poi altra acqua tiepida e un cucchiaio d’olio extravergine finchè non si è formata una bella palla morbida. Ho impastato per dieci minuti circa, poi ho messo l’impasto a lievitare per 2-3 ore.
Ho ripreso la pasta e l’ho divisa in 4 palline, due delle quali leggermente più piccine perchè serviranno per gli strati superiori. Ho steso le palline più grandi ed ho foderato due teglie tonde da 21 cm, lasciando riposare questo strato, spennellato leggermente di olio, per dieci minuti. Ho spalmato poi il caprino che avevo precedentemente insaporito con un pizzico di sale, le erbette tritate e lo spicchio d’aglio tritato finissimo (o, se preferite, spremuto).
Poi ho steso le altre due palline ed ho ricoperto il ripieno, sigillando bene il bordo esterno. Ho spennellato anche la superficie con un filo d’olio e vi ho deposto le olive tagliate a rondelle e i pomodorini, tagliati a metà, infine ho messo tutto in forno a 220° per circa 20 minuti (ma controllate che il fondo sia dorato, perchè il tempo di cottura varia da forno a forno!)

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Il colore viola e “Tutti i colori del cibo”

Per la sfida tra blogger “Tutti i colori del cibo” ideata da Paola mi è capitato il colore viola.
Nel mondo occidentale il viola è sempre stato, dall’avvento del cristianesimo, il colore legato alla Quaresima, periodo durante il quale venivano vietati tutti gli spettacoli, che all’epoca si svolgevano nelle piazze su palchi improvvisati all’aperto. Ciò significava per gli attori un periodo di ristrettezze economiche e di digiuno obbligato, non per fervore religioso, ma perché la saccoccia restava vuota… Da ciò deriva la credenza che il viola porti sfortuna in teatro e nel mondo dello spettacolo e perciò nessuno attore si sognerebbe di indossarlo durante una rappresentazione. 
Detto ciò sembrerebbe che questo colore fosse ormai destinato ad assumere solo connotazini negative, invece a seconda del momento storico e del quadro culturale assunse sempre diversi significati.
In epoca precristiana il viola rappresentava la carestia, ma anche il rinnovo e il cambiamento e in seguito questo colore si legò spesso allo sfoggio di prestigio e di potere. Il viola è il colore dei vescovi e dei principi e una stoffa viola foderava in passato le corone d’oro dei regnanti. Per gli orientali è il colore del settimo chakra, la realizzazione della completa beatitudine, e chi lo porta è un maestro illuminato.
Per molte culture il viola è il colore del lutto e nella cultura romantica, a partire da Goethe, evoca scenari apocalittici, sentimenti cupi, terrore… eppure tutt’altro che terrificante è il fiore che dà il nome a questo colore; per Leonardo Da Vinci viola era il colore che aumentava di dieci volte l’espressione della fantasia e stimolava la saggezza e per la Psicologia dei Colori esso rappresenta la temperanza, poiché unisce lo slancio drammatico del rosso e la tranquillità serena del blu.
Va detto che, a vantaggio della sfida, il viola è un colore davvero ricco di sfumature che vanno dai colori più vicini al blu fino alle sfumature più vicine al fucsia e al porpora.

Visto che qui badiamo alla sostanza mi sembra giusto aggiungere che i cibi viola e blu-viola sono nemici dei tumori e delle patologie cardio vascolari perché contengono antocianine. I frutti di bosco sono ottimi per me, che soffro di fragilità capillare, ma sono utili anche a prevenire le infezioni urinarie e ad aiutare l’intestino pigro. I carotenoidi contenuti in molti cibi blu-viola contrastano l’insorgere di ictus, l’aterosclerosi e l’accumulo di colesterolo cattivo, ma anche l’invecchiamento cellulare e la cataratta.
Largo quindi ai cibi che virano verso il viola, prugne, more, mirtilli e lamponi, radicchio, melanzane, ma anche i fichi. E poi ce n’è uno che è tra i miei ingredienti favoriti: la Cipolla Rossa di Tropea, che rossa non è, ma è viola!!!
Ho scelto una palette che va dal violetto melanzana all’orchidea profondo:
E poi ho cercato di unire l’Italia, dalla Calabria all’Alto Adige con due sapori, il dolce e l’affumicato, che si sposano benissimo!!!

La ricetta: Gnocchi di patate alla rucola con Cipolla Rossa di Tropea D.O.P. caramellata e Speck Alto Adige I.G.P.

ingredienti (per 2-4 porzioni a seconda che li mangiate come piattounico o come primo piatto):
per gli gnocchi:
350 g di patate a pasta gialla
4 cucchiai colmi di farina 00
1/2 uovo sbattuto
una ventina di foglie di rucola (+ qualcuna per decorare)
sale

Ho lessato le patate in acqua bollente; le ho fatte intiepidire, le ho sbucciate e poi passate ancora tiepide con lo schiacciapatate. Ho aggiustato di sale, poi ho aggiunto le foglie di rucola, ben lavate e tritate finemente. Ho aggiunto il 1/2 uovo sbattuto, facendo attenzione a non inumidire troppo l’impasto. Poi la farina, che a seconda dell’asciuttezza delle patate sarà di più o di meno. Con patate umide, aggiungere meno uovo, giusto quel che basta per far rapprendere l’impasto. Dalla palla che si è formato ho preso porzioni di impasto ed ho formato dei serpentelli e poi gli gnocchi. Se volete potete renderli più belli e cavi passandoli velocemente su un cesto ben infarinato e cavandoli con il pollice. Oppure potete lasciarli a tocchetti come ho fatto io. 
 

per il condimento:
4 cipolle di Tropea di grandezza media
vino bianco (o un rosso leggero per un colore più vivace)
1 cucchiaino di aceto balsamico
4 cucchiai di zucchero
sale
4 fette di speck (+ un paio per decorare) 

Ho sbucciato le cipolle, e le ho messe a bagno per pochi minuti in acqua fredda. Le ho tagliate a mano a striscioline sottili.
In una padella larga ho messo un filo d’olio e poi subito le cipolle finchè non hanno iniziato a rosolare. Ho aggiunto il cucchiaino di aceto balsamico e un dito di vino e ho lasciato sfumare. Poi ho versato lo zucchero e rigirato bene. Dopo aver prodotto un po’ di liquido iniziale, lo zucchero asciugherà le cipolle e quindi per proseguire la cottura finchè non sono morbide bisognerà aggiungere un poco d’acqua, facendo sempre attenzione a non annacquarle. Dopo 15 minuti saranno morbide ma ancora sode; a questo punto ho regolato di sale e fatto asciugare le cipolle senza aaggiungere più acqua: diventeranno belle lucide.

Cottura degli gnocchi:
Ho versato gli gnocchi in acqua bollente (con un cucchiaio d’olio per non farli attaccare) ed ho atteso che venissero a galla, ci vogliono 5 minuti. 
Ho riacceso il fuoco sotto le cipolle e ho versato in padella le fettine di speck tagliato a striscioline, che con il calore diventerà un po’ più chiaro delle cipolle. Ho aggiunto anche una mezza tazzina d’acqua in padella e poi fatto colare questo liquido insaporito di cipolla e speck in una zuppiera, dove poi ho fatto girare gli gnocchi scolati, man mano che venivano a galla. Gli gnocchi assorbiranno il liquido.
Infine ho deposto gli gnocchi nei piatti e ricoperti con il condimento di cipolla caramellata e speck e decorato il piatto con una rosellina di speck e due foglie di rucola.

Con questa ricetta viola partecipo alla sfida tra blogger “Tutti i colori del cibo
Potete vedere a questo link la ricetta viola della mia avversaria e poi votarmi, se la mia ricetta vi piace, non qui, ma sul blog di Paola—–>qui, a partire da domani 10 agosto, fino a giovedì 16 agosto, così che possa accedere alla fase successiva!!
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Una Gubana…Tropicale

Avevo già proposto la gubana nella sua versione più o meno tradizionale. Questa volta, in particolare per presentare una ricetta originale per il bellissimo contest di La Cucina di Barbara ho pensato di riutilizzare l’impasto della gubana, con tutti i suoi passaggi ed il pochissimo lievito, per un dolce da colazione soffice e profumato ispirato ai colori e ai profumi dell’estate.
Ho sostituito il classico Picolit con del Rhum e la frutta secca e candita del ripieno tradizionale con  frutta disidratata tropicale: papaya, mango, ananas e cocco, con l’aggiunta di buccia di limone, mandorle tritate grossolanamente e amaretti sbriciolati. Rispetto al procedimento originale, grazie alle alte temperature di questi giorni, sono riuscita ad accorciare i tempi, ottenendo ugualmente un impasto sofficissimo e che resta morbido, avvolto in un panno, per 4 giorni.
Vedrete che la seconda giornata è la più impegnativa, richiedendo ben 3 momenti.
Potete gustare questa Gubana Tropicale accompagnandola con una spremuta d’arancia o un frullato di pesca e albicocca o con del succo A.C.E. senza zucchero. Buona colazione!! 😀

La ricetta: Gubana Tropicale
(dosi per ottenere un dolce del diametro di 17-18 cm, del peso di circa 900g)
per l’impasto:
300 g di farina Manitoba
100 g di latte intero
55 g d’acqua
90 g di zucchero
80 g di burro
½ uovo + 1 tuorlo
7,5 g di lievito di birra fresco
1 pizzico di sale
½  cucchiaino di miele
buccia grattugiata di ½  limone
½  baccello di vaniglia.

per il ripieno:
150 g di frutta disidratata mista (papaya, mango, ananas, cocco)
45 g di Rhum
100 g di mandorle spellate e tostate
buccia grattugiata di ½ limone
½  uovo
20 g di burro
½ cucchiaio di miele
50 g amaretti secchi tritati

per la glassatura:
1 albume
zucchero di canna

Giovedì: ho messo la frutta disidrata a bagno nel rhum, dopo averla tagliata a dadini. Ho coperto e tenuto in frigo per tutta la notte.

Venerdì mattina: Ho preparato una biga con 75g di farina, 35g d’acqua e 1g (un pizzichino) di lievito. Dopo un’impastatura veloce ho coperto con pellicola e messo a lievitare a temperatura ambiente (25°) per 12 ore.

Ho poi finito di preparare il ripieno mescolando alla frutta disidratata ammollata nel rhum, anche le mandorle tritate grossolanamente , la buccia di limone e gli amaretti sbriciolati, poi il burro fuso e il miele. Ho coperto e riposto in frigo.

Venerdì pomeriggio:
Ho preparato un poolish con 100g di latte tiepido, 50g di farina, zeste grattugiate di ½ limone, 3g lievito. Ho coperto e lasciato a temperatura ambiente per 4 ore, in un luogo riparato e lontano da fonti di calore.

Venerdì sera:
Ho preso il poolish ormai gonfio e l’ho mescolato. Ho preparato una pastella con gli ultimi 3,5 g di lievito, il miele, 20gr di acqua  e 20g di farina e lasciato gonfiare. Poi ho unito a questa pastella il poolish.
Ho pesato 105 g di farina, e l’ho aggiunta quasi tutta ai preimpasti, cominciando a mescolare per farla assorbire. Si forma quasi subito un impasto consistente. Ho aggiunto la biga a pezzi e poi successivamente, sempre mescolando energicamente, ½  tuorlo, 40g di zucchero, la farina rimanente ed incordato. Ho poi inserito 30g di burro morbido, lasciato a temperatura ambiente per un’ora, con i semini della bacca di vaniglia. Con l’inserimento del burro l’impasto diventa lucido ed elastico e la consistenza migliora. Ho cominciato ad impastare all’interno della ciotola con una mano, sollevando l’impasto e tirando verso l’alto. Ho lavorato per un po’ in questo modo, fino ad ottenere un impasto elastico e ben legato. Poi ho coperto con pellicola e lasciato riposare per un’ora a circa 28°, in forno spento.
Ho ripreso l’impasto, l’ho impastato per qualche istante e poi, mescolando nuovamente con il cucchiaio, ho aggiunto gradualmente ½ albume seguito da circa metà della farina rimanente; ad assorbimento ho unito ½  tuorlo con metà dello zucchero; poi ancora farina, l’altro ½ tuorlo, con zucchero e sale. Ho impastato con cura, poi aggiunto il burro morbido con la buccia di limone grattata, come fatto prima, impastando con la mano verso l’alto, ribaltando diverse volte l’impasto. Ho coperto e trasferito di nuovo in forno tiepido per circa mezz’ora.

Passato questo tempo ho rovesciato l’impasto sulla spianatoia – sarà ancora molto morbido – ed ho fatto un giro di pieghe del tipo 2, ovvero portando porzioni di impasto verso il centro, per tutta la circonferenza della palla di impasto. A questo punto ho rimesso la palla di impasto in una ciotola infarinata, coperto con pellicola unta e posto in frigo fino al mattino.

Sabato:
Ho tirato fuori dal frigo l’impasto e lasciato riscaldare per un’oretta.
Ho preparato uno stampo di carta forno per la gubana, del diametro di 17-18 cm, pinzandolo molte volte con i punti metallici dal lato esterno.
Poi ho steso con il mattarello un ovale di pasta spesso circa 1/2 cm.
Ho aggiunto l’uovo al ripieno, mescolando bene e poi l’ho steso sull’ovale di pasta lasciando due cm di bordo esterno, spennellato con albume. Ho arrotolato in diagonale, stringendo e allungando l’impasto simultaneamente. Poi ho attorcigliato il tutto come fosse una chiocciola, mettendo il capo terminale sotto al tutto e depositando la gubana nello stampo di carta forno.
Ho fatto lievitare in forno spento fino al raddoppio (circa 1 ora- 1 ora e mezza). Poi ho riscaldato il forno a 180° e intanto spennellato la gubana con l’ultimo albume restante e poi cospargendo di zucchero di canna.
Ho infornato per 45 minuti, facendo attenzione che la superficie non si scurisse troppo.

Una volta sfornata si lascia raffreddare la gubana avvolta da un panno di cotone, su una gratella che la faccia raffreddare anche sulla superficie inferiore.

Con questo dolce partecipo al contest Get an AID in the kitchen – second edition, del blog La Cucina di Barbara.


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Peperoni verdi dolci ripieni di cous cous

Dopo i “Peperoni verdi fritti alla fermata del treno” vennero questi ripieni.
L’idea è di una sempicità disarmante, ma questi peperoni si sono rivelati perfetti sotto tanti punti di vista. 
In primo luogo sono saporitissimi, facili da fare, d’effetto e anche veloci, perchè il peperone di questa qualità, il friggitello, cuoce in pochissimo tempo. 
Come valore aggiunto questa ricetta è trasportabilissima: basta aver cura di infilare i peperoni ripieni in un barattolo di vetro, coricato, sistemandoli per bene, fitti fitti, e avvitare il coperchio; poi si possono trasportare in spiaggia – voi che ci andate – o dove volete, senza problemi di conservazione al caldo.

La ricetta: Peperoni verdi dolci ripieni di couscous
una decina di peperoni verdi friggitelli
100 g di cous cous
80 g di tonno in olio extra d’oliva
una decina di olive nere
una bella manciata di pomodorini
due acciughe sott’olio, lavate
una manciata di capperi
basilico
sale
olio
 
Ho messo a bollire in un pentolino 160 ml d’acqua con il sale e un cucchiaio d’olio. A raggiunto bollore ho versato l’acqua bollente sul cous cous, ho coperto e lasciato riposare per dieci minuti.
Ho preparato nel frattempo i peperoni facendo un taglio longidudinale e liberandoli dai semi e dai filamenti bianchi con un coltellino appuntino, senza staccare il picciolo, magari accorciandolo leggermente per farli stare un po’ più fermi sulla teglia.
Ho condito il cous cous con il tonno, le olive snocciolate e tagliate a rondelle, i capperi, un paio di acciughine spezzettate, i pomodorini lavati e tagliati in quarti e le foglie di basilico sminuzzate.
Ho riempito di cous cous i peperoni, richiudendoli bene e disponendoli affiancati sulla teglia. Ho irrorato il tutto con un filo d’olio ed ho infornato a 180° per circa 20 minuti.
Si lasciano raffreddare qualche minuto e poi sono pronti da mangiare o da portar via.

Con questa ricetta partecipo al contest “Mangiamo in spiaggia?” di Paola di Nastro di Raso in collaborazione con Zalando.

Per portarmeli in giro io ho riutilizzato un barattolone di vetro alto e stretto in perfetto stile Friends of Glass.

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Maneštra Istriana – I love Istra

Ecco, in pochi giorni, l’ennesimo contest a cui partecipo, I love Istra.
Questa volta il tema è davvero bello perché comporta un’indagine attraverso le caratteristiche più salienti della gastronomia istriana ed implica il cucinare una o più delle ricette proposte da Ambra e Claudia, seguendone la falsariga e personalizzandola senza stravolgerne la natura.

L’Istria è un cuore verde in mezzo all’Europa, ricca di arte e paesaggi magnifici. L’ho visitata, anche se superficialmente, 9 anni fa; ricordo Parenzo, Rovigno, Pula, i bellissimi promontori dove sorgono le città e la costa frastagliata di insenature e l’azzurro del mare movimentatao da piccole isolette verdeggianti. In quell’occasione non ebbi modo di assaggiare molto di caratteristico, perchè ero ancora molto giovane e in un periodo che definirei di “sospettosità del gusto”.
La cucina dell’Istria si protende in due direzioni, in parte verso l’Italia e il Mediterraneo, in parte verso le cucine centroeuropee. Ne derivano connubi di sapori familiari eppure con note di gusto molto particolari e, per me, nuove.
La minestra di verdura che ho scelto di  preparare è solitamente cucinata con osso di prosciutto o pancetta, “non è minestra se non ha toccato il maiale” e normalmente viene servita con fette di pane rustico.
Io l’ho presentata a tavola con un cappello di pane, che la tiene calda e intanto si ammorbidisce, al posto del coperchio delle cocotte. Il pane l’ho preparato al mattino, così che fosse freddo e perfetto da utilizzare la sera, secondo una ricetta che prevede un impasto molto idratato e l’utilizzo dello zucchero di canna. Il pane che si ottiene si conserva morbido per molti giorni ed è perfetto tostato, perchè permette di abbrustolire solo la parte superficiale e non l’interno della fetta.
Non ho variato la ricetta originale, se non per l’utilizzo di legumi già lessati da me in precedenza, ma ho preso spunto da un’altra minestra diffusa in Istria, quella al finocchietto selvatico, per aggiungere dei semi di finocchio, come aroma. Il gusto del finocchio si sposa benissimo con i legumi, conferendo loro freschezza.
Ulteriore legame ai luoghi dell’Istria è dato dal completamento con il caratteristico pesto istriano; si tratta di un trito composto da pancetta, aglio e prezzemolo, aromaticissimo e saporito, che mi ha davvero conquistata. Questa pancetta pestata con aglio di solito si aggiunge all’inizio della cottura e rappresenta il cuore delle minestre di verdura e di molti altri piatti.. Io l’ho usata come completamento della ricetta, un gusto forte, ma intrigantissimo, molto meno aggressivo di quel che credevo, con delle punte di aromaticità perfette in contrapposizione al gusto vellutato dei legumi.
La ricetta: Maneštra – La Minestra Istriana
(per 2 persone)
Ingredienti:
Per i panini-cappellini:
200 g di farina di segale
1/2 cucchiaino di lievito liofilizzato
1/2 cucchiaino di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale
Per la maneštra:
200 g di fagioli cannellini (già lessati)
200 g di ceci (già lessati)
1 carota
1 patata
1 cipollotto fresco
40 g di pancetta affumicata
1 pizzico di semi di finocchio
olio extravergine di oliva
sale, pepe

Per il pesto:
30 g di pancetta tagliata sottile
1 spicchio piccolo d’aglio
un abbondante ciuffo di prezzemolo

Ho preparato prima i panini, deponendo in una ciotolina, su circa 40 ml d’acqua tiepida, il lievito liofilizzato. Ho atteso qualche minuto, poi ho aggiunto lo zucchero di canna, ho mescolato e lasciato riposare per 10 minuti. 
Intanto ho preparato la farina, setacciandola con il sale.
Passati i 10 minuti, ho versato nella ciotola della farina, il primo miscuglio di acqua e lievito, mescolando con un cucchiaio. Pian piano, sempre mescolando, ho aggiunto circa altri 100-120 ml d’acqua. L’impasto deve essere vischioso e non lavorabile con le mani. Ho mescolato per circa 5 minuti e poi ho suddiviso negli stampi ben oliati. Io ho usato le stesse cocotte con cui avrei portato la maneštra in tavola. L’impasto deve stare a circa 3 cm dal bordo superiore.
Ho coperto con pellicola oliata e lasciato lievitare al riparo da spifferi per circa 30-40 minuti. 
Quando l’impasto raggiungeva il bordo delle cocotte ho infornato a 200° per circa mezz’ora. I panini devono suonare vuoti sul fondo, se percossi. Se vi accorgete che scuriscono troppo in fretta in superficie abbassate il forno, ma continuate la cottura. Ho poi lasciato raffreddare su una griglia.
Per la maneštra, ho preparato le verdure e la pancetta tagliando tutto a dadini.
Ho tritato il cipollotto e l’ho messo a soffriggere in un filo d’olio in una pentola dal fondo spesso, ho aggiunto anche la carota e, in un terzo tempo, la pancetta, lasciando che il grasso si sciogliesse. A questo punto ho versato in pentola i legumi, facendoli insaporire qualche istante nel soffritto. 
Poi ho ricoperto legumi e verdure con una parte dell’acqua di cottura dei legumi e una parte di acqua. Ho fatto insaporire e cuocere per dieci minuti, poi ho aggiunto le patate tagliate a dadini piccoli e ho proseguito la cottura per circa 20 minuti. Ho regolato di sale e pepe.
Nel frattempo ho preparato il pesto istriano, tritando finissimamente aglio e pancetta assieme e aggiungendo poi il prezzemolo sminuzzato con le forbici. Ho passato tutto in un padellino e ho fatto asciugare un po’ la pancetta, poi ho tenuto al caldo.
Al momento di servire ho tagliato la calottina superiore delle pagnottine. Ho versato la minestre nelle cocottes, ho completato con un cucchiaio di pesto istriano e coperto con la calottina di pane, schiacciando un poco perchè si imbevesse di sughino.
Con questa ricetta partecipo al contest I love Istra di Ambra de Il Gattoghiotto e Claudia di Verde Cardamomo in collaborazione con Ente Turismo Istria, e aspetto con ansia le ricette blu della seconda fase per partecipare di nuovo, magari non sul filo di lana. ;-P

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Cialda con gorgonzola, cipolle caramellate e fragole al pepe nero

Un piatto bello colorato, rosso come la passione, ma dal gusto fresco, originale e innovativo.
Non so come mi sia venuta l’idea di abbinare le fragole al gorgonzola, ma da un esperimento di sapori accostati è nato questo piatto che subito mi è parso adattissimo per la sfida di maggio del contest di Cinzia e Valentina, Colors & Food…what else?, al quale non avevo ancora partecipato nei mesi passati, pur divorando con gli occhi le splendide foto di tutte le contendenti.
Questa volta partecipo anch’io, sperando che la ricetta sia abbastanza rossa, abbastanza fresca e abbastanza passionale! 
Con il formaggio la frutta si abbina divinamente e questa delle fragole con il gorgonzola è stata una piacevole scoperta; tutto il resto è venuto da sè: le cipolle con il gorgonzola, il pepe nero che mi ricordava anche i puntini delle fragole…alla fine tutto era equilibrato, anche la punta di menta che pulisce il palato, alla fine!

La ricetta: Cialda con gorgonzola, cipolle caramellate e fragole al pepe nero
(per 2 porzioni)
pasta brisè (non l’ho pesata, ma tale da ricavare 2 quadrati di 10-12 cm di lato)
70-80 g di gorgonzola
1 cipolla rossa piccola
1 cucchiaio abbondante di zucchero di canna
150 g di fragole fresche e dal colore acceso
1/2 bicchiere di vino bianco
pepe nero
1 cucchiaio di mascarpone
4-5 foglie di menta fresca
olio, sale
Per le cialde: ho ricavato un reticolo con la pasta brisè tagliata a strisce e vi ho ritagliato due cuori con una formina per biscotti piuttosto grande, come si può vedere dalle immagini.

Poi ho infornato le cialde a 180° finchè non erano dorate.
Per la cipolla caramellata: ho tagliato a dadini piccoli la cipolla, l’ho messa in un padellino antiaderente con un cucchiaino d’olio, l’ho fatta soffriggere per qualche istante, poi ho aggiunto 1 cucchiaio d’acqua e l’ho fatta stufare, infine l’ho spolverata con un cucchiaio abbondante di zucchero di canna, attendendo che lo zucchero si sciogliesse e la cipolla si ammorbidisse.
Per le fragole: in un altro padellino ho messo le fragole, già lavate e tagliate a fettine, con un filo d’olio; le ho riscaldate e rigirate per un minuto da entrambi i lati, bagnate leggermente con un goccino di vino bianco secco ed ho aggiunto una spolverata di pepe nero. Infine ho spento e messo da parte.
Per la decorazione: ho tagliato due cubetti di gorgonzola e con due cucchiaini ho formato due piccolissime quenelles di mascarpone amalgamato a menta fresca tritata finissima. (io avevo del mascarpone in casa, ma in mancanza, un formaggio cremoso può andare benissimo)
Infine ho composto il tutto: sulla cialda ancora calda ho messo un po’ di gorgonzola, lasciandolo ammorbidire; sopra ho deposto una cucchiaiata di cipolle caramellate e ancora sopra le fragole al pepe, irrorando con il sughetto che si era formato nel padellino.
Accanto, nel piattino ho deposto un cubetto di gorgonzola e una quenelle di mascarpone con menta.

Con questa ricetta partecipo alla puntata di maggio del contest Colors & Food…what else? maggio: red passion, che trovate sui blog Essenza in Cucina e My Taste for Food.

Potete trovare questa cialda inserita in un goloso menù tutto rosso. Non vi resta che provare tutte le ricette!! 😀

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Mini-quiche alta-alta con asparagi, uovo e crescenza e la Sfida di Maggio

Inizio questo post con un ringraziamento a Valentina per il bellissimo premio che mi ha assegnato qui per la ricetta Crema verdina di asparagi con palline di pasta cresciuta e frittatina alle erbette. Devo ancora scegliere cosa ordinare…ma ho già dato un’occhiata ed avvistato un paio di vestitini molto carini ed estivi – se mai arriverà l’estate quest’anno.

Ho deciso di partecipare alla sfida di maggio del contest L’idea del mese te la do io, proposta da Laura di Nella cucina di Laura, perché l’ingrediente del mese sono ancora gli asparagi che adoro e che trovo davvero versatili in cucina!! 😀
Questa volta volevo trovare una presentazione graziosa ed accattivante per un accostamento classico: asparagi, uova e formaggio.
Ne è uscito uno sfiziosissimo piatto unico, che si può preparare anche in anticipo e poi riscaldare prima di servire in tavola.

La ricetta: Mini quiche alta-alta con asparagi, uovo e crescenza
(ingredienti per 2 miniquiche, diametro 9cm)
150 g di pasta brisé (un’ottima ricetta con cui la preparo anch’io qui, da Mirty)
70 g di crescenza
½ cipolla piccola (la mia era rossa, si vede nelle foto)
250 g di asparagi verdi
2 uova
4 cucchiai di ricotta salata grattugiata
vino bianco
olio
sale, pepe

Ho messo a cuocere gli asparagi ben puliti in acqua salata, tenendo da parte le punte, che ho messo su una griglia forata sopra la pentola in cui cuocevano i gambi, per farle ammorbidire a vapore e usarle come decorazione del piatto.
Ho tagliato finemente la cipolla e l’ho fatta rosolare in un filo d’olio. Quando ha cominciato a sfrigolare l’ho bagnata di vino bianco e lasciato sfumare, poi ho proseguito la cottura a fuoco lento finché non era morbida.
Intanto ho rivestito con la pasta brisè gli stampini per le mini quiches: io ho usato due cocotte monoporzione di ceramica da forno, con le pareti piuttosto alte rispetto al diametro, così che il contenuto dei tortini non strabordasse.
Ho lasciato intiepidire la cipolla per qualche minuto e poi l’ho mischiata con la forchetta alla certosa, rendendo il tutto cremoso e regolando con un pizzico di sale. Ho aggiunto anche due cucchiai di ricotta salata grattugiata.
Intanto gli asparagi erano cotti, li ho scolati e tagliati a tocchetti.
Ho deposto l’impasto di crescenza e cipolla all’interno della brisè, poi ho aggiunto gli asparagi a tocchetti con un filo d’olio.
Ho creato con un cucchiaino una voragine al centro di ogni ripieno. Ho aperto le uova e le ho deposte delicatamente, una in ciascun ripieno.
Ho spolverato con i due cucchiai di ricotta salata restante ed ho infornato i due tortini a 180° finchè il bordo di brisè non mi è parso ben cotto (per il mio forno, 20-25 minuti).
Ho atteso almeno 5 minuti prima di sformare nel piatto, aggiunto un sottile filo d’olio, una spolverata di pepe nero ed alcune puntine degli asparagi tenute da parte.

Con questa ricetta partecipo alla sfida di maggio del blog Nella cucina di Laura.

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