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English Veg Breakfast con il Tondo Liscio di Pachino IGP

Torno con un’altra ricetta ispirata dai pomodori di Pachino IGP.
Questa volta il protagonista è un’altra varietà del pomodoro di Pachino,
meno conosciuta rispetto al famosissimo ciliegino, ma davvero
particolare e saporita: si tratta del Tondo Liscio di Pachino IGP.
La bacca è un po’ più grande del ciliegino, verde e profumatissima,
dalla consistenza soda e croccante. Ha un gusto delizioso, intenso,
vitaminico, quasi piccante.
Il suo migliore utilizzo, finché è verde,
è in insalata. Se non li divorate subito, quando diventano più maturi e
più morbidi possono essere utilizzati anche cotti.
Per la mia ricetta ho preso ispirazione dalla classica colazione anglosassone, normalmente composta da salsicce e bacon accompagnata da frittelle di patate e pomodori grigliati.
Ho scelto di isolare solo la parte vegetariana dell’english breakfast
per creare un contorno coloratissimo: asparagi sbollentati e conditi
con olio extravergine e aceto balsamico, pomodori Tondo Liscio di
Pachino IGP tagliati a fette e grigliati ed infine le potato hash, saporitissime frittelle di patate grattugiate, fuori croccanti e dentro morbide, che più semplici e golose non si può!
Con un contorno così si colora anche la più banale fettina in padella!
La ricetta: Contorno “English Veg Breakfast”: pomodori grigliati, asparagi e potato hash
orientativamente:
4 pomodorini Tondo Liscio di Pachino IGP a persona
5 asparagi a persona
1 patata a persona
Sbollentare in acqua salata gli asparagi. Poi metterli da parte.
Nel frattempo pelare e grattugiare 1 patata a persona, strizzare tra le
mani la polpa ottenuta e formare tante piccole polpette schiacciate.
Tagliare in 3 o 4 fettine i pomodori e lasciarli scolare per una decina
di minuti. Poi passarli sulla griglia bollente o su una padella
antiaderente, unta con un foglio di carta assorbente leggermente
imbevuta d’olio.
Friggere le frittelle di patate in olio di arachidi bollente.
Per comporre il piatto, mettere alcuni
asparagi, alcune fette di pomodoro e le potato hash. Condire con olio e
aceto gli asparagi e con un pizzico di sale i pomodori grigliati e le
frittelle di patata.

Se cerchi altre ricette con il pomodoro di Pachino IGP:

Tomino piemontese con confettura di pomodoro Ciliegino di Pachino IGP agli agrumi e cardamomo

Focaccia multicereali al nero di seppia con ciliegini e origano

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Hot Cross Buns Dalla tradizione inglese i famosi panini soffici con la croce

hot-cross-buns

Parliamo di Hot Cross Buns, che facevano già parte delle ricette che avrei voluto provare per la Pasqua di quest’anno. Si tratta di un lievitato, e già questo è un incentivo che da solo basterebbe, ma la spinta che mi dà proprio lo slancio è la ricchissima storia che questi piccoli panini semidolci si portano dietro.

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Il tartufo bianco d’Alba e i Tajarin Piemontesi per Ville in Italia

Ville in Italia è una società di tour operator nata a Firenze nel 1996 che si occupa di locazioni di breve periodo in residenze di pregio e in villa, su tutto il territorio italiano. Si rivolge ad un pubblico internazionale interessato a soggiornare nel nostro paese in un contesto davvero magico.
Basta sfogliare le proposte per iniziare a sognare fin da subito.
Da qualche tempo a questa parte Ville in Italia è anche un blog che racconta il vivere italiano e le curiosità artistiche, culturali ed enogastronomiche del nostro paese.
Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa su uno dei prodotti piemontesi più conosciuti al mondo: il tartufo. 
O si odia o si ama: vi devo dire da che parte sto?
Ecco che, pur fuori stagione, il mio flusso di pensiero mi ha portato ai ricordi della Fiera Internazionale del Tartufo di Alba e a uno dei miei piatti preferiti: i tajarin.
Qui trovate il post in inglese, mentre qua sotto potete leggerlo in italiano.
E al fondo c’è anche la ricetta dei miei tajarin, naturalmente!
Il tartufo è
un tubero che nasce vicino alle radici degli alberi, sviluppandosi come
parassita della pianta stessa. A seconda dell’albero accanto al quale si forma,
cambieranno il colore e gli aromi del tartufo stesso.
Conosciuto
fin dall’antichità, era presente nelle cucine dei sumeri che lo utilizzavano
combinato ad orzo e legumi e, successivamente, dei greci, latini e arabi.
Plinio il
Vecchio ne diede una definizione naturalista: “fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare” e
proprio questa caratteristica di casualità determinò la fortuna e il mistero
legato allo strano e imprevedibile tubero
.

cercatore medievale

La sua storia
è segnata da periodi bui – si fu in dubbio, addirittura, se fosse di natura
vegetale o animale – e nel Medioevo, considerato un’escrescenza del terreno
dotata di vita propria, era ritenuto cibo adatto solo alle streghe e ai
diavoli
.

Un tempo era
più facile da trovare, vista la maggior diffusione di boschi e foreste e per il
suo aroma, intenso ma adatto ai palati fini, venne soprannominato “aglio del
ricco
”.

In Piemonte
l’utilizzo diventò particolarmente importante a partire dal XVII secolo, ad
imitazione della cucina francese. Il tartufo nero, più diffuso, veniva usato
nelle farciture, mentre quello bianco più pregiato era usato a profusione nelle
salse e nei condimenti.
Nel ‘700,
ormai vero e proprio prodotto di lusso, veniva cercato dai nobili per
divertimento, in vere e proprie “battute di cerca”
.
Ad opera del
Re Carlo Emanuele di Savoia nel 1751 ci fu anche un tentativo di influenzare il
gusto britannico, diffondendo anche lì il piacere della battuta di cerca e
della grattata di tartufo sulle pietanze ed effettivamente qualche piccolo
tartufo venne trovato anche in terra inglese. 
Apprezzato da
eccellenti personalità, tra cui Lord Byron che lo teneva sulla scrivania al
fine di stimolargli la creatività e Alexandre Dumas
che lo definì il Sancta Sanctorum della tavola, il tartufo
d’Alba come è conosciuto oggi ottiene la sua fortuna in tempi recenti con l’albergatore
e ristoratore albese Giacomo Morra.
Giacomo Morra [immagine da gazzettadalba.it]

Nel 1949
l’intuizione: per risollevare l’economia dopo il secondo conflitto mondiale Giacomo
Morra puntò sul tartufo per farlo diventare un prodotto riconosciuto e il simbolo
di una manifestazione che attirasse l’attenzione di tutto il mondo sulle Langhe
.
Regalò il miglior esemplare raccolto quell’anno all’attrice più amata del
tempo, Rita Hayworth. Da lì ogni anno i tartufi migliori vennero donati a
personalità di rilievo tra cui Churchill, Marilyn Monroe, Sofia Loren,
Hitckcok, Pavarotti e molti altri…ed ebbero il merito di diffondere il mito
di Alba e del suo tartufo bianco nel mondo.

Anche per me
il tartufo è sinonimo di Alba, anche se lo stesso prezioso tubero è raccolto in
diverse zone del Piemonte. È il pretesto che ci spinge ogni anno a compiere
quell’ora di viaggio da Torino per la Fiera Internazionale del Tartufo, per annusare
l’aria profumata, per gustare gli ottimi vini del territorio che con questo
prodotto si sposano ottimamente, e per assaggiare piatti prelibati della
tradizione, insaporiti con il preziosissimo tubero.
Tra questi piatti
spiccano i tajarin, i tradizionali
tagliolini piemontesi, pasta all’uovo già diffusa nel XV secolo. Sottilissima è la sfoglia ed altrettanto sottili vengono “affettati”,
circa 2-3 millimetri.  Vengono conditi per tradizione con il “comodino”, un sughetto
preparato con i fegatini e altre frattaglie di pollo, oppure
semplicemente con burro fuso e profumatissimo tartufo: sono i miei preferiti.

Ecco la
ricetta per farli in casa: Tajarin
(per 4-6
porzioni)
400 g di
farina di grano tenero
3 uova intere
2 tuorli
1 pizzico di
sale
100 g di burro
1 mestolino
di brodo di carne
1 piccolo
tartufo
Disporre la
farina sulla spianatoia creando una fossetta centrale.
Versarvi le
uova intere e i tuorli, con il pizzico di sale, e cominciare ad impastare,
prima con la forchetta e poi con le mani inglobando man mano tutta la farina.
L’impasto deve risultare liscio e sodo, quindi in caso di necessità
aggiungere ancora un poco di farina oppure al contrario lavorarlo con le mani leggermente umide.
Lavorare
l’impasto sulla spianatoia per almeno dieci minuti, finché non è perfettamente liscio ed elastico.
Coprirlo con
un panno pulito inumidito e lasciarlo riposare per un’ora o due.
Riprendere
l’impasto e stenderlo sottilissimo con il mattarello o la macchina per la
pasta.

Cospargere la
sfoglia ottenuta di semola o di farina di mais ed arrotolarla su se stessa. Con
un coltello affilato tagliare i tajarin molto sottili, in fettine di 2-3 mm di larghezza, srotolarli man mano e
disporli in mucchietti.

Quando sono
tutti pronti, lessarli in abbondante acqua salata per 5 minuti.
Pulire il
tartufo con delicatezza, con l’aiuto di uno spazzolino dalle setole morbide e
di un panno.
Nel frattempo
far sciogliere il burro in una padella capiente, stemperandolo con un po’ di
brodo.
Scolare i
tajarin e metterli nella padella, facendoli insaporire con il burro fuso.
Impiattare e
grattugiarvi sopra il tartufo bianco.
…e se non è stagione di tartufi…sono buoni già così! 😉

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Semolini dolci fritti: semplici golosità

Una ricetta della tradizione, immancabile nel fritto misto alla piemontese, ma che scopro essere diffusa in altre parti d’Italia. D’altronde gli ingredienti sono di una semplicità assoluta, il semolino, il latte, lo zucchero, la buccia del limone.
 
Ecco la ricetta dell’Artusi che val la pena leggere già solo per il suo lessico affascinante:
170. Fritto di Semolino
Semolino di grana fine, grammi 70 a 80.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. l.
Zucchero, tre cucchiaini.
Burro, quanto una noce.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Ponete
il latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire
versate il semolino a poco a poco, girando in pari tempo il mestolo.
Salatelo e scocciategli dentro l’uovo; mescolate e quando l’uovo si è
incorporato levate il semolino dal fuoco e distendetelo sopra a un
vassoio unto col burro o sulla spianatoia infarinata, all’altezza di un
dito. Tagliatelo a mandorle e mettetelo prima nell’uovo sbattuto poi nel
pangrattato fine e friggetelo. Spolverizzatelo di zucchero a velo, se
lo desiderate più dolce, e servitelo solo o, meglio, per contorno a un
fritto di carne.

 
Io normalmente non metto l’uovo all’interno, e faccio riposare in infusione le bucce di un limone bio nel latte caldo. 
Appena fatti sono croccantissimi, con quel dolce che appena si sente. Una coccola che sa di antico.
 
La ricetta: Semolini dolci fritti
250 ml di latte intero
50 g di semolino
25 g di zucchero
la buccia di un limone
1 uovo
pangrattato q.b.
sale
olio per friggere q.b.
zucchero semolato per guarnire q.b.
 
Per prima cosa prelevare la buccia del limone con un pelapatate. Metterla nel latte e farlo scaldare. Lasciar riposare il latte così per mezz’ora.
Riaccendere il fuoco e, quando il latte è caldo, aggiungere lo zucchero e farlo sciogliere. Quando il latte bolle, togliere le bucce di limone e versare a pioggia il semolino; mescolando, far cuocere e addensare per cinque minuti. Aggiungere 1/2 uovo sbattuto amalgamando all’impasto.
Versare il semolino così ottenuto in un piatto o una teglia rettangolare unta d’olio, dell’altezza di 1,5-2 cm e pareggiarlo con il dorso di un cucchiaio bagnato in acqua fredda.
Lasciar raffreddare e rassodare, anche tutta la notte. 
Tagliare il semolino a losanghe, passarle nell’uovo e poi nel pangrattato e friggere finchè non sono dorate.
Cospargere di zucchero semolato.
 

 

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Ābolu pankūka per l’Abbecedario Culinario

La ricerca di una ricetta per l’Abbecedario Culinario che questo mese fa tappa in Lettonia, ospite del blog di Brii, non è stata semplice.
La cucina lettone è contaminata da quella dei paesi limitrofi,e non è semplice capire se una ricetta sul web proviene davvero dalle tradizioni di questa terra o è frutto di contaminazioni recenti. In compenso, una certezza: ho letto ovunque che in Lettonia si mangia benissimo e che i suoi abitanti sono dei veri buongustai, ragione di più per me, che sono attratta dai paesi del Nord Europa, di visitarla presto.
Le ricette veramente tradizionali in cui sono incappata erano quasi tutte
a base di patate e con i giorni di primavera che questo marzo
ci ha già regalato avevo voglia di qualcosa di più fresco.
Alla fine, come spesso accade la ricetta l’ho scelta per golosità: mele, cannella e cardamomo… ed ero già conquistata! 
Il blog da cui ho preso la ricetta è questo e, viaggiatori dell’Abbecedario Culinario, vi consiglio di dargli un’occhiata perchè la sua autrice ha cucinato e condiviso 195 ricette da 195 paesi diversi in 195 settimane e la sua bimba ha assaggiato i 195 piatti in questione, prima di compiere 5 anni. Non proprio tutti i piatti sono stati di suo gradimento: guardate il video! 😀 
Ma l’iniziativa è nata per offrire un messaggio di pace globale al mondo: Hungry for Peace. Eat Global, Shop Local. 
In Lettonia ci sono molti dolci tradizionali a base di mele. Queste frittelle sono una via di mezzo tra i pancakes anglosassoni, le crêpe francesi e i blinis russi.
Le mele che le completano sono ovviamente speziate, con la cannella e con un tocco di cardamomo, molto utilizzato a queste latitudini.
L’autrice del blog ci dice che i lettoni mangiano spesso questo piatto a colazione, servito caldo e accompagnato da yogurt e miele o confettura.
La ricetta: Ābolu pankūka


1 mela croccante (o anche 1 e mezza)
poche gocce di succo di limone
1/2 cucchiaino di cannella
1/2 cucchiaino di cardamomo
25 g di zucchero
3 uova
28 g di burro
da 120 a 240 ml di latte (da aggiungere gradualmente)
125 g di farina
1 pizzico di sale
burro per cuocere
Pelare e affettare finemente la mela con la mandolina. Spruzzarla con qualche goccia di succo di limone perchè non annerisca e cospargerla di spezie e di zucchero.
Sbattere le uova con la farina e il pizzico di sale formando una pastella liscia. Aggiungere il burro sciolto e gradualmente il latte a filo fino a raggiungere una consistenza più liquida dei pancakes e più densa delle crêpe.
Aggiungere le mele e cuocere da entrambi i lati in una padella unta di burro finchè non sono dorate.
Qualche consiglio:
– io ho dimezzato le dosi, ma la mela l’ho messa tutta, perchè si sentisse un po’ di più sotto i denti; 
– se non trovate il cardamomo in polvere o se non riuscite a tritarlo, scaldate il latte con i semini, e poi filtratelo;
– io ho allargato queste frittelle su tutta la superficie del padellino ma vi consiglio di farle più piccole e magari più spesse;
– ho completato con yogurt bianco e miele; ci sta bene anche qualche semino (di lino o di girasole).

Questa ricetta va dritta dritta ad arricchire la raccolta dell’Abbecedario Culinario per la Lettonia.

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Per la Giornata Internazionale della Donna, una donna straordinaria e le ruote della bicicletta. Annie Londonderry , la bicicletta, i bagels.

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, e perchè le donne in gamba non si festeggino solo un giorno all’anno, ho deciso di condividere qui l’iniziativa di Momondo.it, motore di ricerca comparativo per voli low cost e hotel. 

 
Momondo ha elaborato questa infografica in cui vengono presentate 10 donne avventurose che con i loro viaggi hanno rivoluzionato la storia femminile e il modo di scoprire il mondo.
 
Non potevo fermarmi a condividere solo l’immagine: ho scelto una di queste personalità, quella che più mi ha colpito, e sono andata a cercare qualche informazione in più sulla sua storia.
 

Le donne avventurose della storia

 
Prima di scoprire di chi si tratta (…più sotto…) date un’occhiata all’infografica di Momondo e, se vi va, condividete le vostre avventure di viaggiatrici su Twitter con l’hashtag #momondoexplorers.
 
 
 

Annie Londonderry

La mia scelta è caduta su Annie Cohen Kopchovsky, soprannominata, in seguito alle sue avventure, Annie Londonderry.

 
 
Annie Cohen era di famiglia ebraica. Nata a Riga, in Lettonia, nel 1870, emigrò negli Stati Uniti a soli 5 anni. Nel 1888 era già sposata con Max Kopchovsky e nei quattro anni seguenti ebbe da lui 3 figli.
 
Fin qui tutto in linea con la società vittoriana in cui era stata educata; poi la svolta che iniziò con una scommessa.
Impazzava la moda dei “giri del mondo” e al club di Boston due ricchi signori ipotizzarono che nessuna donna sarebbe stata in grado di emulare il giro del mondo in bicicletta compiuto alcuni anni prima da Thomas Stevens. Annie accettò la sfida e la società delle Acque Minerali Londonderry le offrì 100$ e una bicicletta per mettere un loro cartello pubblicitario sulla bici e portarlo in giro per il mondo. Ma la scommessa non prevedeva solo il viaggio da compiere in 15 mesi, ma anche guadagnare in rotta 5000$: una donna in balia di sé stessa che doveva ribaltare completamente il modo di pensare dell’epoca e che avrebbe suscitato anche un certo scandalo.
 

Il viaggio

Il 25 giugno 1894 Annie, davanti alla Massachusetts State House di Boston salutò una piccola folla di amici, parenti, sufraggette e curiosi e si allontanò su Beacon Street traballante in sella alla sua bici “42 pound Columbia”, sulla quale aveva imparato ad andare da pochi giorni: il suo bagaglio era un ricambio di abiti, una pistola dall’impugnatura di madreperla e un gruzzoletto di 5cent al giorno per il cibo.
 
Annie abbandonò presto gli abiti femminili (avete presente i rigidi busti
vittoriani?) per una tuta da lavoro da uomo e fece rotta su New York.
 
Giunta a Chicago si accorse che percorrere il viaggio intorno al globo da quel lato sarebbe stata una sfida contro il freddo e quindi tornò a New York e si diresse verso l’Europa. Approdò a Le Havre e percorse la Francia fino a Marsiglia. Poi toccò l’Egitto e poi Gerusalemme e lo Yemen (in molti paesi del Medio Oriente la bici è negata alle donne ancora oggi); poi fece rotta per Singapore, Hong Kong, Shangai, Nagasaki, Kobe, Yokohama prima di imbarcarsi attraverso il Pacifico per tornare in America. A ogni tappa si fece fare una firma dal console degli Stati Uniti, per dimostrare di aver compiuto tutto il viaggio.
 
 
Non le mancò l’iniziativa e la faccia tosta e per guadagnare i 5000$ fece un’abile e sfacciata promozione di se stessa: si fece fotografare a pagamento accanto o in sella alla sua bici, assieme al cartello Londonderry, diventando per tutti “Annie Londonderry” e raccontò da attrice consumata le mirabili avventure successe durante il suo viaggio.
 
Dopo aver toccato Los Angeles, El Paso e Denver, il 24 settembre 1895 era nuovamente a Boston. Nonostante alcune critiche mosse dall’opinione pubblica, per aver usato più di una bicicletta per il suo viaggio, il 20 ottobre 1895, il New York World – il giornale dell’editore Joseph Pulitzer – definì la sua impresa come “the most extraordinary journey ever undertaken by a woman”, il più straordinario viaggio mai compiuto da una donna.
 

Dopo il viaggio Annie si trasferì a New York con tutta la sua famiglia: scrisse per diversi mesi sul New York World nella rubrica New Woman, cominciando a raccontare il suo viaggio attorno al mondo.  

«Sono una giornalista e una donna nuova» scrisse, «e questo termine significa che credo di poter fare qualsiasi cosa che ogni uomo può fare.»
 
La sua fama passò presto ma, riscoperta negli anni ’90, divenne un’icona per le comunità lesbiche americane. 
 
E invece la signora Annie Londonderry è un’icona per tutte le donne.
 
[fonti e credits immagini: http://en.wikipedia.org,  http://annielondonderry.com]
 

I bagels per Annie

Annie era di origine ebraica, per lei ho preparato i bagel, i panini askenaziti con il buco al centro, gonfi e tondi come le ruote di una bicicletta.
 
 
 La ricetta è qui: —-> bagels

 

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Para frittus, le frittelle a forma di frate Golose ciambelle fritte della tradizione sarda

Non potevo far passare il Carnevale di quest’anno senza regalarvi i parafrittus.
 
Erano un paio d’anni che mia madre esprimeva il desiderio di prepararli, prima di farsi prendere da altri propositi più salutisti e ripiegare su dolci al forno.

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Le bugie che uniscono l’Italia… Il dolce di Carnevale più amato e conosciuto

bugie-chiacchiere-cenci
Forse e senza forse, le bugie sono il dolce carnevalesco più conosciuto e diffuso, tanto che tutte le regioni d’Italia ne hanno la propria versione e danno loro un nome tipico, caratteristico ed evocativo.
 

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Panini americani da hot-dog Soffici e gustosi perfetti per gli hot-dog fatti in casa

Come promesso ieri, ecco che dopo il ketchup, arriva la ricetta dei panini da hot-dog.
Sono molto sostanziosi, contengono latte, burro e uova. 
Perchè farli, dunque? Perchè vale il principio del “va bene una volta ogni tanto” e perchè quelli acquistati non sono buoni: sono normalmente intrisi di alcool etilico per conservarli, come gli altri pani in busta, anche quelli affettati, e contengono altri additivi.

 

Quindi per regalarsi ogni tanto una american style dinner fra amici, meglio prepararli in casa, con un procedimento semplicissimo!
Con questa ricetta si possono fare anche i buns da hamburger; la forma in quel caso sarà tonda!

Panini da hotdog

per circa 7-8 panini per hot dog (la ricetta originale con queste dosi consiglia 6 pezzi, ma guardate le foto e considerate se per voi la grandezza dei panini è soddisfacente):
340 g di farina 0
1 cucchiaino di lievito di birra liofilizzato (3,5 g)
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino di sale fino
25 g di burro
75 g di acqua
100 ml di latte
2 tuorli d’uovo

In una ciotola capiente, o in quella dell’impastatrice, mettere tutti gli ingredienti secchi: farina, sale, zucchero e lievito e mescolare.
In un pentolino scaldare la’cqua con il burro, fino a farlo sciogliere completamente, poi aggiungere il latte e controllare che la temperatura sia intorno ai 50°C.
A questo punto aggiungere il mix liquido a quello secco, impastando prima con una forchetta e poi con le mani, o lasciando andare l’impastatrice per 10 minuti.
Quando l’impasto si forma aggiungere il primo tuorlo e poi a seguire il secondo quando il primo è ben assorbito.
Raggiunti i 20 minuti di impasto, mettere a lievitare in uan ciotola leggermente unta, in luogo tiepido.
Quando l’impasto è raddoppiato, prenderlo e sgonfiarlo,
Ricavarne porzioni da 60 g l’una. Riprendere ogni porzione e arrotolare la pasta su se stessa, per darle forza, poi formare dei rotolini lunghi circa 12-14 cm.
Così come in foto sono venuti belli cicciotti, se li preferite più sottili e lunghi, tirateli di più alle estremità, sempre con molta delicatezza.
Deporre tutti i panini su una teglia ricoperta di carta forno infarinata ed attendere il raddoppio (circa un’ora).
Scaldare il forno a 210°C, spennellare i panini con un po’ di latte ed infornarli per 10-15 minuti, controllando la doratura.

 

 

 

Per farcirli ho usato dei wurstel bolliti, il mio ketchup fatto in casa, un poco di senape e i crauti marinati di Giulia. Secondo me sono ottimi se accompagnati dalle chips di Marina.
I crauti devono essere marinati in anticipo; prima di portarli in tavola io li passo in pentola, aggiungendo cipolla e qualche cucchiaio d’olio e irrorandoli durante la cottura con la marinatura. Per farli diventare morbidi occorrono circa 40 minuti, ma potete anche decidere di lasciarli più croccanti.
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Trdlo per l’Abbecedario Culinario d’Europa: siamo in Repubblica Ceca

Per l’Abbecedario Culinario d’Europa è giunto finalmente il mio turno: fino al 2 marzo ospiterò la Repubblica Ceca e la sua cucina.
Se volete volare direttamente alla ricetta, scorrete fino in fondo ma, se come me amate approfondire, vi dico che per raccontare la storia della Repubblica Ceca, bisogna per forza dire qualcosa della Cecoslovacchia (dalla quale, nel 1993, dopo la caduta del muro di Berlino e i fatti
conseguenti alla disgregazione dell’impero sovietico, si formarono la
Repubblica Ceca e la Slovacchia in modo pacifico e naturale).
La Repubblica Ceca, situata al centro dell’Europa continentale
La Cecoslovacchia si costituì ufficialmente nel 1918, da quel che restava delle ceneri del cadente impero austroungarico.
Si parla di regioni ma anche di identità culturale; Boemia e Moravia erano le regioni più industrializzate dell’Austria,
mentre la Slovacchia era la regione più industrializzata dell’Ungheria
. Boemi e Slovacchi avevano una lingua ed un’identità nazionale molto vicina che permise la formazione del nuovo stato.
Nel 1918 e negli anni a seguire la Cecoslovacchia si configurò come una delle dieci nazioni più industrializzate ed avanzate al mondo. Per questa ed altre ragioni entrò ben presto nel mirino di Hitler e venne smembrata dal 1938 fino al 1944, quando le toccò entrare sotto la sfera di influenza sovietica. Il predominio comunista si compì nel 1948.
Per circa 20 anni non si mosse foglia…almeno non ufficialmente, fino alla leggendaria Primavera di Praga, dal 5 gennaio 1968 quando ci fu un tentativo di instaurare un “socialismo dal volto umano, rapidamente stroncato il 20 agosto dello stesso anno dai sovietici, con migliaia di soldati e carri armati che invasero tutto il paese. Numerose furono le forme di protesta non violente, e soprattutto fortissima l’ondata di emigrazione verso l’ovest europeo, mentre coloro che si erano compromessi con il “socialismo dal volto umano” furono allontanati da qualsiasi carica pubblica.
Passarono altri lunghi venti anni; nel 1988 a Bratislava, oggi capitale della Slovacchia, ci fu una delle prime manifestazioni anticomuniste, seguita da altre a Praga e in altre città ceche. Nel 1989 cominciò la vera e propria rivoluzione, sempre a Bratislava, con manifestazioni di studenti, culminando tra il 17 novembre e il 29 dicembre con la Rivoluzione di Velluto che portò al rovesciamento del regime comunista.
Da allora, con un processo pacifico, si arrivò alla definizione dei due stati nel 1993.
Dal 2004 la Repubblica Ceca fa parte dell’Unione Europea e fa parte dello spazio Schengen dal 2007.
La capitale della Repubblica Ceca è Praga.
Secondo la leggenda la città venne fondata nel 730 d.C. dalla principessa veggente Libuše. Essa vaticinò, sul letto di morte, l’arrivo di un popolo straniero a chiedere asilo ai Boemi sui quali regnava. Si può far risalire a quel tempo la multietnicità di Praga nei secoli. La città fu un importantissimo snodo mercantile ed attirò moltissimi mercanti ebrei che qui costituirono un’enorme comunità.
In realtà il luogo dove la città venne fondata era sede di accampamenti fin dal Paleolitico, vantando quindi millenni di storia.
Dal 1085 Vyšehrad, il castello alto, divenne residenza ufficiale dei re di Boemia; in seguito venne costruito un altro castello sulla riva opposta del fiume: Pražský Hrad, il castello di Praga.
Vyšehrad
Pražský Hrad
Dal 1526 al 1918 Praga fu sotto il dominio dell’Impero Asburgico. Da questo momento storico, non ci sono molti fatti significativi che emergono dalle cronache. I governatori Asburgici trattavano le zone di Boemia, Moravia e Slovacchia come province dell’impero, senza mai applicare il principio del cuius regio eius religio: non venne mai imposta una religione di stato, e questo garantì la libera circolazione di idee sul territorio e probabilmente l’apertura laica odierna fa capo a queste antiche radici.
C’è da dire che quando qualche emissario dell’imperatore contrariava i praghesi, essi adottavano un metodo molto semplice per disfarsi dell’indesiderato: lo lanciavano dalla finestra. Nel vero senso della parola. Una prima defenestrazione avvenne nel 1419, quando Praga si ribellò al comando del prete Želivský e i tre consiglieri vennero scaraventati dalla finestra del Consiglio della Città Nuova. Una seconda si verificò nel 1483. La terza, e più conosciuta, Defenestrazione di Praga diede inizio alla Guerra dei Trent’anni che dilaniò tutta l’Europa dal 1618 al 1648.
Dopo il 1918, con la fine del governo asburgico, la storia di Praga si fonde con quella della Cecoslovacchia ed oggi con la storia della Repubblica Ceca.
A Praga, altre attrazioni da vedere, oltre ai due già citati castelli sono:
-l’antichissimo Ponte Carlo, fondato da Carlo IV nel 1357, e più antico ponte in pietra di Praga.
-la torre Petřín, costruita nel 1891 a somiglianza della Torre Eiffel, dopo che il suo progettista l’aveva vista all’Esposizione Universale di Parigi del 1889, ma alta “solo” 60 m.
-lo Staroměstská radnice, ovvero il Municipio della città vecchia, con il famoso Orloj, l’orologio astronomico, forse una delle attrazioni più fotografate di Praga.
Josefov, ossia il quartiere ebraico di Praga che deve il proprio nome all’imperatore Giuseppe II che abolì il ghetto nel 1781, rendendo la circolazione libera. Bellissime le sinagoghe e suggestivo il cimitero ebraico.
Prašná brána, la Torre delle Polveri, un’antica torre medievale, per un periodo destinata a deposito per la polvere da sparo, poi restaurata nel XIX secolo.
La porta nel 1865 e dopo il restauro del XIX secolo
-la cattedrale gotica di Týn.

Chrám sv. Mikuláše e Kostel Panny Marie Vítězn, le barocche chiese di S. Nicola e della Vergine Maria della Vittoria.
Per gli appassionati di architettura contemporanea, l’incantevole Casa Danzante di Vlado Milunić e Frank Gehry, che si dice essere ispirata a Fred Astaire e Ginger Rogers.
Fuori dalla capitale, da non perdere un giro nel Parco Nazionale della Selva Boema, per trovarsi per un giorno in un paesaggio da fiaba dei fratelli Grimm.
Le personalità artistiche legate a Praga e alla Repubblica Ceca sono molte. Tra i tanti vi ricordo il pittore Alfons Mucha, esponente dell’Art Nouveau, il poeta Rainer Maria Rilke, lo scrittore Franz Kafka, i compositori Bedřich Smetana e Antonín Dvorak, lo scrittore Milan Kundera, il regista Miloš Forman.
Anche Mozart vi soggiornò in uno dei periodi in cui Praga era una vera e propria culla della cultura europea, e qui, nel 1787 compose una delle sue opere più celebri, il Don Giovanni. E ancora il pittore milanese Giuseppe Arcimboldo, al servizio di Rodolfo II, dal 1576 al 1587.
Veniamo alla cucina. Considerata la storia della Repubblica Ceca, la sua cucina non può che essere contaminata da quelle dei paesi limitrofi. Per questa ragione non ci sono piatti tipici, ma piuttosto alcuni modi di cucinare “tipicamente” ricette diffuse anche in Germania, Austria, Slovacchia, Polonia ed Ungheria.
Fra questi il Trdlo o meglio Trdelník, (tecnicamente il trdlo è il rullo su cui viene cotto, ma indica anche il dolce in sé) che scende in campo alla lettera T dell’Abbecedario Culinario.
La leggenda narra che sia stato inventato da un cuoco del conte Jozsef Gvada’nyi, a Stalika, in Slovacchia tra il 1783 e il 1801.
La prima menzione scritta si ha in un’opera del poeta e scrittore ungherese Gyula
Juha’sz (1883-1937), che per un tempo era stato professore presso il liceo di Stalika. Che ne abbia scritto un poeta ungherese non significa che il dolce sia ungherese come alcuni sostengono.
Effettivamente il dolce nasce in Slovacchia, abbiamo già visto come le due nazioni erano unite, e in un periodo relativamente recente, ma negli ultimi anni ha preso piede e, complici la semplicità delle materie prime e il modo pittoresco con cui vien cotto, è diventato impossibile visitare Praga senza incappare nei venditori di strada muniti di fornelletto a gas che avvolgono il soffice e croccante Trdelník sui loro rulli.
L’impasto lievitato viene lavorato a mano e poi avvolto sui rulli e passato nello zucchero o nella frutta secca tritata. Viene cotto sulle braci, mentre il rullo non smette di girare, fino a che il trdlo non diventa dorato e croccante in superficie. A quel punto viene sfilato dai rulli e venduto a pezzi, per essere mangiato caldo, al naturale o spalmato all’interno di cioccolata.
Per riprodurre la ricetta a casa mi sono dovuta ingegnare. Sul web sono molti quelli che hanno preparato dei cilindri di stagnola su un mattarello ed hanno poi fatto cuocere i pezzi di Trdelnik, sfilandoli assieme all’anima di stagnola e posizionandoli in piedi. Io ho preferito rivestire il mattarello con la stagnola e metterlo poi in equilibrio su una placca da forno in modo che il dolce non risultasse appoggiato da nessuna parte. In questo modo è dorato uniformemente!
La ricetta: Trdlo o Trdelnik
(per circa 8 pezzi)

260 g di farina
110 ml di latte
1 uovo intero
30 g di burro
1 cucchiaio di zucchero
10 g di lievito di birra
la buccia di un limone

per guarnire:
albume
zucchero di canna
cannella 

Ho sciolto il lievito in un poco di latte. 
Ho versato in una ciotola la farina e lo zucchero ed ho iniziato ad impastare con il latte. Ho unito poi l’uovo, leggermente sbattuto , la scorza di limone grattugiata ed infine, quando si era già formato un bell’impatsoliscio, il burro a pezzetti, facendo assorbire ogni pezzetto di burro prima di aggiungere il successivo. Ho lavorato l’impasto così per dieci minuti. Poi l’ho messo in una ciotola unta, coperto con pellicola e messo a lievitare nel forno spento.
Mentre l’impasto lievitava ho rivestito un mattarello di stagnola ed ho mescolato in un piatto qualche cucchiaio di zucchero di canna con un po’ di cannella in polvere.
Al raddoppio dell’impasto, dopo circa 1 ora e mezza, l’ho ripreso e sgonfiato leggermente, poi steso in una sfoglia spessa mezzo centimetro, ricavando poi delle lunghe strisce larghe 2-3 cm.
Ho iniziato ad avvolgere le strisce sul mattarello coperto di stagnola, e quando una si esauriva ne attaccavo un’altra sovrapponendo leggermente le estremità. Ho così formato due trdelnik sul mattarello.
Ho spennellato ognuno con l’albume e l’ho delicatamente rotolato sullo zucchero e cannella.
Ho infornato per circa 12-15 minuti in forno già caldo a 180°C, deponendo il mattarello su una teglia da forno in modo che solo le estremità poggiassero sul bordo della teglia stessa.
Dopo qualche minuto fuori dal forno, ho sfilato i due trdlo e ho proseguito con la cottura dei successivi. A questo proposito può essere comodo avere due diversi mattarelli in modo da preparare il secondo, mentre il primo è in cottura.


E adesso tocca a voi sbizzarrirvi nella česká kuchyně, la cucina ceca. Fa ancora freddino quindi non troveranno difficoltà a comparire sulle vostre tavole ricchi piatti di maiale e di agnello con gli gnocchi di pane e i puré di patate. Anche il “contorno” di pasta non manca: ci sono i fleky. Le insalate sono spesso di patate, a volte rinforzate con maionese. Tra i dolci ci si rifà a tutta la tradizione centro europea, con l’utilizzo dei semini di papavero e la confettura di prugne… Aspetto le vostre ricette!

***tutte le foto di Praga sono tratte da Wikipedia e Wikimedia Commons

Le mie ricette:
Trdlo o Trdelnik, rotolo dolce di Praga 
Svíčková na smetaně s Knedlìky, controfiletto in salsa di panna acida con gnocco di pane



Le vostre ricette in ordine d’arrivo: 
Bramboráky, frittelle di patate con aglio e cumino, dal blog Cindystar
Kulajda, zuppa di patate e funghi, dal blog Un’Arbanella di Basilico
Česnečka, zuppa ceca all’aglio, dal blog Briggishome  
Španělský ptáček, “uccello spagnolo”, dal blog Trattoria MuVarA 
Staročeské Kuře na Kysaném Zelí, pollo vecchia Boemia con crauti, dal blog Armonia Paleo
Stinco di maiale alla birra, dal blog Zibaldone Culinario
Bramborovápolévka o Bramboračka, zuppa di patate, dal blog Sciroppo di mirtilli e piccoli equilibri
Lomnické suchary, gallette di Lomnice, dal blog Cindystar 
Bramborový salát, insalata di patate, dal blog Mangiare è un po’ come viaggiare
Canederli di patate farciti, dal blog Un’Arbanella di Basilico
Bramborová-polévka, zuppa di patate, dal blog Torta di Rose
Zuppa di trippa, dal blog Un’Arbanella di Basilico 
Medovník, torta al caramello, dal blog Le Tenere Dolcezze di Resy
Punč, punch all’arancia, dal blog Cindystar
Fagottini di sfoglia al cioccolato, dal blog A Tutta Cucina  
Bàbovka, torta con uvetta sultanina, dal blog Zibaldone Culinario 
Koblihy do trouby, bomboloni al forno, dal blog Crumpets and co. 
Šlejšky, gnocchetti cechi, dal blog Torte e dintorni 
Štramberské uši, cialde di Štramberk, dal blog Le Tenere Dolcezze di Resy
Bramborovà polévka, zuppa boema di patate, dal blog Un pezzo della mia Maremma
Vánočka, treccia natalizia, dal blog Cindystar
Rohlìki, panini cechi arrotolati, dal blog Briciole 
Vanilkové rohlíčky, biscotti natalizi, dal blog La cucina di Anisja 
Bramborák, frittelle di patate, dal blog Pinkopanino 
Jidáše, panini dolci pasquali, dal blog Un Uomo dal Bagno alla Cucina

rohlíky

rohlíky
rohlíky

ai fornelli, ricette tradizionali

Brasato di maiale della Stiria

Questo mese, per l’Abbecedario Culinario dell’Unione Europea, ospitato da Torte e Dintorni, abbiamo fatto un viaggio in Austria
Ne approfitto per ricordarvi che da lunedì 10 tocca a me ospitare l’Abbecedario Culinario, con un dolce che non è stato semplicissimo riprodurre in casa…quindi fate un salto da queste parti!
 
Per l’Austria mi sono ingegnata a cercare una ricetta che non fosse il solito strudel (che peraltro adoro!), sono incappata in dolci deliziosi, come la Linzer Torte o quel pasticcio di bontà che deve essere la Kaiserschmarren…ma di non soli dolci vive l’uomo (e la donna), e visto che per S.Valentino e poi Carnevale ho in programma di pubblicare sul blog diversi dolcini deliziosi, ho pensato di optare per un piatto salato. Ho scovato questa ricetta proprio sul sito turistico dell’Austria
La ricetta proviena dalla regione della Stiria, il cuore verde della nazione, una regione montuosa e ricca di boschi situata nella parte sud orientale del paese, al confine con la Slovenia ed un tempo unita ad essa. Il suo capoluogo, Graz, è la seconda città più popolata dell’Austria, con una storia antichissima che risale al Medioevo, ma con una fondazione addirittura romana. Spesso bersaglio di invasioni per la sua posizione strategica nelle rotte commerciali, ha una collina sopraelevata dove si situa il suo castello, lo Schlossber, con la torre dell’orologio e una visuale privilegiata su tutta la città. Graz è dal 1999 Patrimonio dell’Umanità dell’ Unesco e dopo Vienna, sicuramente un luogo da visitare.
La ricetta che ho scelto è tradotta in inglese e francese, rispettivamente, Styrian Pot Roast o Porc Braisé; esaminando però il procedimento la carne sembra più bollita che brasata.
Ho quindi apportato delle modifiche al procedimento rispettando tutti gli ingredienti. Ultima curiosità: vedete le mele nella ricetta? La Stiria è la regione che produce più mele in tutta l’Austria, esistono addirittura una “Strada delle Mele” che si snoda tra coltivatori e produttori di eccellenza e molti Apfelmänner, ossia esperti di mele che, in abito tradizionale e seguendo un rituale rigorosissimo, producono l’Abacus, famoso distillato stiriano a base di mela.

La ricetta: Brasato della Stiria (ricetta tradotta e modificata a partire da Johann Lafer – Meine Leibspeisen aus Österreich)

ingredienti per 4 persone:
500 g di carne magra di maiale (filetto o schiena)
3 carote
2 coste di sedano
100 g di sedano rapa
1 porro
3-4 bacche di ginepro 
1 peperoncino essiccato
3 spicchi grossi d’aglio
3 rametti di timo
1 rametto di prezzemolo
500 g di patate
sale pepe zucchero
25 g di rafano
1 mela
il succo di 1/2 limone
olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di burro
cumino q.b.
1 cucchiaio di farina
Preparare un brodo con 1,5 l di acqua, 2 carote, le coste di sedano e un pezzo di porro, un cucchiaio d’olio e 1 cucchiaino di sale.
Da parte tagliare a pezzettini il restante porro, il sedano rapa, la carota; sciacquare la carne.
In una casseruola dal fondo spesso mettere un giro d’olio e far rosolare per quache istante  l’aglio, il porro con il peperoncino e lebacche di ginepro schiacciate. Aggiungere la carne a pezzo intero o in due pezzi e far sigillare da tutti i lati. Coprire con il brodo e lasciar cuocere a seconda della dimensione della carne (a me è bastata un’ora). A dieci minuti dalla fine della cottura aggiungere alla carne il sedano rapa e la carota, prelevando anche quella bollita. Tenere la carne e le verdure sempre coperte di brodo.
Mentre la carne cuoce preparare le patate: pelarle, tagliarle in quarti e deporle nel brodo che sobbolle per 20 minuti, poi scolarle e tenerle da parte.
Preparare la mela con il rafano, tagliando entrambi a striscioline minute e condendoli con succo di limone, sale, pepe e un cucchiaino di zucchero di canna.
Quando la carne è pronta, prelevarla dal brodo di cottura e tagliarla a fette sottili. Filtrare il brodo rimasto e farlo raddensare con poca farina o maizena.
Ultimare la preparazione delle patate, passandole in padella con il burro e i semi di cumino e facendole rosolare qualche minuto.
Impiattare la carne con le verdure, aggiungendo le patate al cumino e nappando con il fondo di cottura raddensato e bollente. In cima aggiungere le striscioline di mela e rafano condite.

Con questo brasato partecipo alla puntata di Abbecedario Culinario dedicato all’Austria.

http://abcincucina.blogspot.com.es/2012/12/benvenuti-in-europa.html

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