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Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate

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Carnevale si avvicina e anche qui è scattata l’operazione frittella.
E visto che ci piace vincere facile, cominciamo dalle basi con le frittelle di mele, friceuj ‘d pom in piemontese!
 
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Piccole Pavlove con crema al caffé

La storia della Pavlova è raccontata su quasi tutti i foodblog di coloro che si sono cimentati nel prepararla. 
Anna Pavlova fu una bella e leggiadra ballerina russa che, a inizio secolo scorso, incantò con la sua nuvola di tulle un pasticcere australiano di Perth che l’aveva vista esibirsi ne La Morte del Cigno. In suo onore il pasticcere inventò la Pavlova, un dolce di meringa che resta soffice all’interno grazie all’azione dell’aceto.
I Neozelandesi però se ne attribuiscono anche loro la paternità! E forse potrebbe essere pur vero, visto che una “Meringa ripiena alla frutta” compare in un ricettario neozelandese del 1926, lo stesso anno del tour australiano di Anna Pavlova.
Certo è che la leggiadria della ballerina colpisse davvero i suoi spettatori, fino al punto di paragonarla ad una soffice meringa. La Pavlova rivoluzionò il mondo del balletto russo. Fino ad allora le ballerine erano state molto forti fisicamente e, per questa ragione, decisamente tozze. La Pavlova era invece magra ed eterea. Da subito fu adatta ai ruoli romantici del balletto ottocentesco, ma proprio per l’eleganza delle sue caviglie dovette ricorrere ad un accorgimento: aggiunse una striscia di cuoio alla suola delle sue scarpette perchè offrissero un maggior sostegno. Si può dire che la Pavlova inventò le moderne scarpette da danza, oltre che darci la scusa di gustare un dolce scenografico e squisito.
Quanto è bello vedere persone sazie che assaggiano il dolce per cortesia anche se non ne avrebbero voglia, dopo un lauto pranzo e che poi lo mangiano con gusto, nonostante tutto, perché lo trovano irresistibile?
E’ quello che è successo con queste mini pavlove, la cui crema è davvero deliziosa. E se qualcuno ha detto: <<Vabbè, per me solo metà>>, alla fine se l’è pappata tutta!!

La pavlova, se divisa in porzioni perde un poco della magia, perché le fette vengono irregolari e si frantumano in bricioline di meringa. Ho pensato di aggirare il problema creando delle pavlove monoporzione che arrivassero belle intere e intatte a ciascun commensale.
Per il ripieno mi sono lanciata in una crema al mascarpone che ricordasse per consistenza e sapore il tiramisù. Una bomba di calorie ma che esplode dolcemente.

La ricetta: Pavlova al cacao con crema al caffè
Per le basi:
4 albumi (circa 140 g di albume)
205 g di zucchero
1 cucchiaino scarso di maizena
1 cucchiaio scarso di aceto bianco
1 cucchiaio colmo di cacao amaro

Ho scaldato il forno a 170° e ho disegnato sulla carta da forno i quadrati per le miniporzioni che volevo realizzare
Ho montato gli albumi a neve, poi ho aggiunto lo zucchero a pioggia, poi l’amido di mais e infine il cucchiaio d’aceto sempre continuando a montare; per ultima ho versato una cucchiaiata abbondante di cacao amaro.
Ho versato la meringa nella sac à poche, il composto era molto compatto. Ho  ricavato prima le basi e poi sul contorno di esse ho fatto altri giri di meringa fino a formare delle specie di coppette. (Con queste dosi ho fatto 8 coppette e tante piccole meringhette, ma si possono fare anche una decina di coppette, bisognerà però aumentare le dosi della crema!)
Ho infornato e abbassato immediatamente il forno a 140° C e lasciato cuocere per 1 ora, abbassando a 120° C verso la fine.
Poi ho lasciato raffreddare nel forno leggermente socchiuso.
Se riuscite preparatele la sera prima così avranno tutto il tempo di raffreddarsi bene!!

Per la farcitura:
200 g di mascarpone
1 albume
2-3 gocce di aceto
3 cucchiai di zucchero
uno sciroppo fatto con: 50 ml di acqua, 5 g di caffè solubile, 50 g di zucchero

Ho preparato lo sciroppo portando ad ebollizione l’acqua, il caffè solubile e lo zucchero in un pentolino e facendolo poi ridurre sempre mescolando. Verrà un bel po’ di sciroppo che dovrete poi dosare a seconda di quanto vorrete “caffettosa” la crema.
Ho fatto intiepidire lo sciroppo ed intanto ho montato a neve l’albume, quando era già bianco ho aggiunto lo zucchero e poi l’aceto.
Intanto lo sciroppo si era raffreddato e ho cominciato ad aggiungerlo al mascarpone, lavorandolo nel contempo con le fruste. Lo sciroppo non va aggiunto tutto, ma man mano fino ad ottenere la consistenza e la dolcezza giuste. Quello che avanza può essere conservato in frigo per altre preparazioni.
Una volta che il mascarpone era consistente ma più cremoso, ho miscelato l’albume montato con lo zucchero, facendo attenzione a non smontarlo.
Con questa crema ho riempito le coppette di meringa-pavlova e ho completato con granelli di caffè solubile mischiato a granelli di zucchero.
Con questa ricetta partecipo alla raccolta Piccola Pasticceria: Macarons e Meringhe di Ann del blog BperBiscotto.
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Pasta fagioli e castagne

 

Gennaio,
come novembre, è il mese delle zuppe e delle paste brodose. Dopo
Natale, e prima del Carnevale, ci si dà dentro con piatti caldi,
sani e verdurosi… e la lista dei post “zupposi” da pubblicare
si allunga.

L’idea
della pasta e fagioli con le castagne mi è venuta dal classico
piatto napoletano che pare sia diffuso in tutta l’Italia meridionale. In Sicilia si chiama pasta con fasuoli e cruzzitieddi  e si prepara con i borlotti e le castagne secche.
Nel Cilento fin dall’antichità si prepara una zuppa sempre con le castagne secche, rinvenute in acqua per una notte, ma
in abbinamento ai fagioli di quella zona, di preferenza i
bianchi di Controne, coltivati verso l’interno, nelle zone più ricche
d’acqua.

Io
ho usato delle castagne fresche semplicemente lessate e aggiunte alla
pasta alla fine. L’accostamento del sapore sapido del fagiolo con la
dolcezza vellutata della castagna è veramente qualcosa da provare, la
prossima volta senza l’aggiunta della pasta, semplicemente come calda e 
profumata zuppa.

La ricetta: Pasta fagioli e castagne
(per 2 persone)
250 g di fagioli lessati
6-8 castagne (le mie fresche)
1 bicchiere di brodo di verdure (preparato con acqua, olio, patata, cipolla, aglio, sedano, carota)
1 scalogno piccolo
3 pomodori secchi
1 spolverata di foglioline di timo
1 peperoncino spezzettato
sale 
pasta (5 cucchiai di maltagliati)

Ho
lavato le castagne e le ho incise con la punta di un coltello sul lato
piatto e poi private della buccia marrone. Le ho messe a cuocere in un pentolino d’acqua per circa un’ora con un pizzico di sale, una foglia di lauro e un cucchiaino di semini di finocchio.
Le ho fatte raffreddare nella loro acqua e poi sbucciate dalla pellicina più sottile.
In una casseruola ho fatto soffriggere uno scalogno tagliato fine in due cucchiai d’olio. Ho aggiunto il peperoncino, i fagioli e i pomodori secchi, facendoli rosolare. Poi ho aggiunto il timo per profumare e un bicchiere di brodo filtrato e due bicchieri colmi d’acqua ed ho portato ad ebollizione. Poi ho aggiunto a cuocere la pasta, nel mio caso 5 cucchiai di maltagliati.
Ho sbriciolato grossolanamente le castagne e ne ho tenute da parte due intere.
Quando la pasta era cotta ho regolato di sale e suddiviso nelle scodelle ed ho aggiunto le castagne sbriciolate e quella intera per decorare.

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Macarons al cacao per Ann

Questi macarons erano lì che aspettavano di essere ripescati. Li ho fatti il luglio scorso e volevo pubblicarli insieme ad altri macarons di un qualche gusto diverso, ma quando ho replicato la ricetta sono venuti un pochino rampanti e sono stati rapidamente spazzolati per non lasciare prove!!! E dunque? Queste foto restavano lì…
Le tiro fuori solo ora per la raccolta di Ann di Bperbiscotto che ha avuto la bellissima idea di raccogliere in un unico pdf tutti i dolci a base di meringa! Scopro solo ora che razza di meraviglie esistono in giro…non solo macarons e pavlove, ma anche cosine molto più complicate tipo il baked alaska!!! Tutti dolci dall’apparenza evanescente di nuvola, che poi si rivelano croccantosi e golosi. E di certo i macarons non saranno l’unica ricetta che le invierò!!!
Per questi macarons ho seguito i consigli di Ann mixandoli con la ricetta di Spigoloso
Sono stati perfetti alla prima prova, mentre la seconda volta qualche sbaglio in termini di temperatura del forno li ha fatti leggermente inclinare verso un lato!!!
La farcitura è stata una semplicissima ganache al cioccolato fondente.

La ricetta: Macarons al cacao, con farcitura al cioccolato fondente
per 25 macarons (circa 50 meringhe):
90 g di albumi (3-4 giorni prima li ho separati dai tuorli e li ho messi in frigo in un contenitore ermetico)
110 g di farina di mandorle
220 g di zucchero a velo
30 g di zucchero semolato
una puntina di sale
2-3 gocce di limone
per spolverare: cacao in polvere

Per la farcitura:
100 g di cioccolato fondente

100 g di panna fresca

La sera prima ho tirato fuori dal frigo il barattolo con gli albumi e l’ho lasciato a temperatura ambiente.
Ho passato per 10 minuti a 140° la farina di mandorle in forno. Una volta fredda l’ho miscelata allo zucchero a velo e l’ho messa in un posto ben asciutto.

Il giorno dei macarons:
Ho cominciato a montare gli albumi con il sale e il limone a velocità bassa, aggiungendo in 3 dosi lo zucchero semolato. Pian piano ho aumentato la velocità, finchè non erano perfettamente a neve.
Ho aggiunto la farina di mandorle ed ho mescolato con una spatola, l’impasto deve ricadere giù facendo una sorta di nastro e in francesce questo si dice proprio macaronner
Con la sac à poche ho formato dei dischetti di 2,5 cm di diametro, in cottura tendono ad allargarsi leggermente.
Ho sbattuto delicatamente la teglia sul tavolo per eliminare le puntine ed ho lasciato i macarons a riposare all’aria perché formassero la crosticina, devono stare almeno un’ora.

Nel frattempo ho preparato la crema per la farcitura:
Avevo già grattugiato grossolanamente il cioccolato.
Ho fatto scaldare la panna in un pentolino e poi in un altro pentolino l’ho versata sopra il cioccolato grattugiato, mescolando a fuoco bassissimo fino a completo scioglimento.
Ho lasciato raffreddare.

Ho scaldato il forno a 140° C (visto che il mio forno è piccolo, tende a scaldarsi di più, quindi non ho impostato i canonici 150°).

Prima di infornare ho spolverato delicatamente i macarons con un cucchiaio di cacao in polvere. Poche lentiggini per i miei macarons!!!
Ho infornato i macarons mettendo un cucchiaio di traverso tra lo sportello del forno e il forno stesso, perché restasse una fessura aperta.
Ho fatto cuocere per circa 13 minuti, bisogna trovare il tempo esatto calibrandolo sul proprio forno. Una volta sfornati li ho tolti dalla teglia e li ho spostati con tutta la carta forno sul tavolo freddo (se avete una superficie in marmo è ancora meglio!!!) Lo shock termico è fondamentale perché si stacchino bene dalla carta.
Lasciar raffreddare e poi farcire con la crema ben fredda. 


Con questa ricetta partecipo alla raccolta Piccola pasticceria: Macarons & Meringhe di Ann di BperBiscotto.

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La Fetta di Polenta e la Polenta alla Piemontese

Ci sono giornate in cui sembra tutto vicino. Le montagne ad ovest, luccicanti di neve e svettanti sull’orizzonte come una corona, ancor di più la collina, verso est: case fitte fitte di Borgo Po, tutte affacciate sulla città, con la Villa della Regina che fa l’occhiolino, a due passi da piazza Vittorio, Superga vicinissima che quasi la si può toccare e il Monte dei Cappuccini che si specchia nel Po.
E’ merito della luce particolare – nessuna nube è rimasta, tutte spazzate dal vento tiepido che qui chiamano phön – e di un clima fresco ma temperato che fa sentire vicina la primavera.
Di solito queste giornate si manifestano a marzo, quando è tutto un turbinio di foglie secche ancora per le strade da novembre e risparmiate dalle piogge dell’inverno…Quest’anno il clima è invece particolarmente mite, lo è stato a dicembre ed è ancora così in questi primi giorni di gennaio.
E’ ora di pranzo, il sole è alto, il cielo è azzurro e limpido ed io faccio una passeggiata senza guanti e con il naso in su, guardando i bei palazzi di una Torino di altri tempi, una Torino signorile e discreta, forse silenziosa come questa mattina, quando corso San Maurizio era sgombro di macchine e i semafori sembravano funzionare inutilmente.

Se devo raccontare di un’opera che rappresenti la mia città penso subito ad un’architettura di Alessandro Antonelli.
La Mole Antonelliana? No, quella è davvero troppo conosciuta ed è il simbolo di Torino…io penso ad una casa che alcuni torinesi non conoscono affatto, ma che si trova a pochi passi dalla Mole, in borgo Vanchiglia: la Fetta di Polenta.

Una porzione del centro di Torino, si vede quanto siano vicine la Mole e la Fetta di Polenta

A guardarne la forma la ragione di questo soprannome è ben evidente. Le pareti sono dipinte di giallo vivace e la pianta di questo edificio è trapezoidale, con una facciata stretta ed un altro lato addirittura strettissimo!!!
Tutte le visuali della Casa Scaccabarozzi, detta Fetta di Polenta

Nacque per una scommessa con la Società Costruttori di Borgo Vanchiglia, e Antonelli dovette insistere a lungo prima di poter acquistare questa porzioncina di terreno d’angolo, intestato poi alla moglie Francesca Scaccabarozzi. Ma l’architetto era troppo eccentrico per farsi sfuggire la possibilità di costruire in condizioni “estreme”. Progettò quindi una casa per abitazione, con l’intenzione di destinarla all’affitto, con la scala a chiocciola e la canna fumaria incastrate nell’angolo più angusto.
I primi tre piani vennero completati nel 1840 e già nel 1851 dovettero resistere allo scoppio del Polverificio di Borgo Dora. Superarono la prova forse grazie alla fondamenta profonde due piani interrati, mentre altri edifici, in apparenza più solidi, vennero lesionati.
Non contento Antonelli innalzò la sua creatura sempre di più, fino a raggiungere l’ultimo piano, il sesto fuori terra, nel 1881. L’altezza complessiva è di 27 metri, così come la profondità sul lato lungo. La facciata che si affaccia su corso San Maurizio è lunga 5 metri, mentre lo spigolo più stretto di soli 70 centimetri.
La facciata su corso San Maurizio, larga 5 metri
Lo spigolo più stretto, di 70 centimetri di larghezza, dove sono incastrate le scale a chiocciola

Inizialmente molti si rifiutarono di andarci ad abitare, per paura di un crollo, ma la casa resistette nel 1887 quando un terremoto rase al suolo molti degli edifici del Borgo Vanchiglia. Anche i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale risparmiarono la casa Scaccabarozzi, e la diffidenza fu definitivamente vinta. La casa fu abitata per molti anni e solo ultimamente, dopo un periodo di decadenza, è stata trasformata nella Galleria d’Arte Franco Noero dove, per un certo periodo, sono state esposte sulle pareti interne, dipinte di bianco, le foto di tutti gli edifici più bizzarri del mondo.
Il lato verso via Giulia di Barolo. I mobili vennero portati in casa dalle finestre, poichè la scala era troppo angusta

Tornare alla Fetta di Polenta mi fa tornare indietro al tempo in cui passeggiavo più spesso con il naso in su, entusiasmandomi alla scoperta dei tanti palazzi che giocano a mimetizzarsi in questa città che a detta di alcuni può sembrare monotona. Non è così, dietro alla ricerca di un’uniformità di facciata, alla pretesa di disegnare tutte le strade con incroci ad angolo retto, ci sono tante storie, piccoli particolari sui frontoni delle finestre o sotto i balconi che differenziano ogni pezzo del puzzle della mia bella ed elegante città.
Antonelli poteva guardare la punta della sua Mole dalla finestra di casa, mentre si gustava la sua polenta alla piemontese

La ricetta che mi è parso più naturale abbinare a questa architettura è la Polenta alla Piemontese. 

Non ho cotto la polenta per ore, ho usato quella già precotta a vapore, che cuoce velocemente. Rispetto alla ricetta più tradizionale che vuole solo il soffritto di verdure ho aggiunto solo dei funghi, che si sposano a meraviglia con gli altri sapori.

La ricetta: Polenta alla Piemontese (per 2 persone)

125 g di polenta istantanea
25 g di semolino
50 g di fontina
2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
25 g di burro
½ l di brodo vegetale (preparato con cipolla, sedano, patata, carota e aglio) 
½  bicchiere di latte
3 cucchiai di olio d’oliva extra-vergine
1 cipolla
1 porro
2 spicchi di aglio
1 costa di sedano 
250 g di funghi orecchioni e chiodini
alloro
salvia
vino bianco
sale
pepe
 
Per prima cosa ho preparato il brodo vegetale con verdure a piacere: io ho messo patata, carota, sedano, cipolla e uno spicchio d’aglio, con un filo d’olio e un po’ di sale. 
In una padella larga ho preparato il soffritto mettendo in una padella i tre cucchiai di olio extravergine e facendovi rosolare la cipolla, il porro, gli spicchi d’aglio, il sedano e l’alloro e la salvia. Quando le verdure hanno cominciato a sfrigolare ho aggiunto i funghi tagliati a pezzetti e sfumato con un goccino di vino bianco e ho proseguito la cottura finchè tutte le verdure erano morbide e ben rosolate. Ho eliminato l’aglio.
Ho tagliato a dadini la fontina, grattugiato il parmigiano e pesato il burro in modo da averlo a portata di mano.
Ho mescolato le due farine.
Ho portato ad ebollizione il brodo preparato in precedenza con il mezzo bicchiere di latte.
Ho versato la farina a pioggia e ho iniziato a mescolare. Quando la polenta ha cominciato a raddensarsi ho aggiunto il burro, la fontina, il parmigiano ed infine il soffritto, mescolando bene.
Noi l’abbiamo fatta rassodare un po’ e l’abbiamo accompagnata da una parte del soffritto di verdure caldo.
Con questa ricetta, il consiglio di andare a vedere la Fetta di Polenta e queste tante foto, partecipo al contest Cib’Arte di Simona del blog Simona’s Kitchen in collaborazione con l’editore d’arte Claudio Martini.
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La mia Gubana (…o Putizza?)

La Gubana è il tipico dolce delle feste in Friuli. Mi sono ampiamente documentata sul blog di Rossella, Machetisei mangiato?. Nasce come dolce pasquale, ma la tradizione vuole che si faccia anche a Natale e in occasione di molte feste tra cui i matrimoni e il completamento del tetto di casa. La Gubana ha origine nelle valli del Natisone, mentre la sua gemella Putizza è diffusa nel Goriziano e a Trieste. La Gubana è più stretta e chiusa, la Putizza più aperta e presenta il cioccolato tra gli ingredienti del ripieno.
Il nome Gubana deriva dallo sloveno, dove la parola giba vuol dire ruga o piega. Infatti la Gubana è ripiegata su se stessa, attorcigliata e poi acchiocciolata a spirale. Questa spirale si rifà alla simbologia del ciclo della vita, la morte e la rinascita e per questo legata alla ricorrenza pasquale, ma anche a quella del Natale, se pensiamo che il 22 dicembre, per le antiche religioni precristiane rinasce il Sole e le giornate ricominciano ad allungarsi. 
Il ripieno è fortemente evocativo dei sapori arabi, con la frutta secca, e se la prima Gubana di cui si abbia attestazione storica è del 1409 al banchetto per il Papa Gregorio XII a Cividale, esiste anche un dolce quasi identico a Palma de Maiorca, proprio di origine araba, che si chiama einsemada. Alcuni ipotizzano anche un’origine romana, in quanto anche loro avevano un dolce di frutta secca fra due strati di sfoglia. Ad ogni modo, tramite vari flussi migratori la Gubana è giunta fin nelle valli del Natisone e qui è stata”reinventata” con i frutti del luogo. D’altronde anche i paese dell’est e del nord Europa sono ricchi di dolci attorcigliati.

La preparazione necessita di diversi passaggi in modo da permettere una lievitazione naturale con l’utilizzo di pochissimo lievito; avrei voluto sperimentare il mio giovane lievito madre, ma è ancora un po’ presto per utilizzarlo in questo genere di preparati, quindi mi sono accontentata di lievito di birra.
Il dolce si mantiene fresco a lungo, sempre che ne centellinate le fette, anzi il riposo è importante per una certa maturazione, per lo scambio che avviene fra il ripieno e la pasta lievitata.


La ricetta che ho usato è tratta da Profumo di Lievito. Guardando alla pagina originale potete vedere come si sviluppa in verticale usando uno stampo di carta forno più stretto di quello che ho usato io. Io ho anche dimezzato le dosi, perchè era la prima volta che mi cimentavo. In effetti, sotto Natale si può fare tranquillamente la dose intera e ricavare due gubane, invece di una. Per quanto la preparazione sembri laboriosa in realtà occupa una sola mezza giornata, perché gli altri giorni si fanno solo dei passaggi rapidissimi, quindi siete in tempo per farla per Natale al posto del solito panettone!!! 😀

La ricetta: La mia Gubana

per l’impasto:
300 g di farina Manitoba
100 g di latte intero
55 g d’acqua
90 g di zucchero
80 g di burro
½ uovo + 1 tuorlo
7,5 g di lievito di birra fresco
1 pizico di sale
½  cucchiaino di miele
buccia grattugiata di ½  arancia ed ½  limone
½  baccello di vaniglia.

per il ripieno:
110 g di uva sultanina
45 g di Porto (ci andrebbe il Picolit)
40 g di mandorle spellate e tostate
40 g di gherigli di noce
25 g di nocciole tostate
15 g di pinoli
50 gr di zucchero di canna
buccia grattugiata di ½ arancia ed ½ limone
½  uovo
20 g di burro
½ cucchiaio di miele
60 g di biscotti secchi
25 g cioccolato fondente tritato
25 g amaretti secchi tritati

Venerdì 2: ho messo l’uvetta a bagno nel passito per 24 ore

Sabato 3 mattino: Ho preparato una biga con 75g di farina, 35g d’acqua e 1g (un pizzichino) di lievito. Dopo un’impastatura veloce ho coperto con pellicola e messo a lievitare a temperatura ambiente (18°) per 24 ore.

Ho poi preparato il ripieno mescolando la frutta secca ridotta in granella, l’uva passa con il Porto in cui era a bagno, i biscotti secchi e gli amaretti sbriciolati, il burro sciolto e il miele. Ho coperto e messo in frigo.

Sabato 3 sera:
Ho preparato un poolish con 100g di latte tiepido, 50g di farina, zeste grattugiate di ½ limone, 3g lievito. Ho coperto e messo in frigo a 5°.

Domenica 4:
Ho preso il poolish dal frigo e mescolato. Ho sciolto gli ultimi 3,5 g di lievito ed il miele in 20gr di acqua impastando con 20g di farina e lasciato gonfiare. Poi ho unito i 2 preimpasti.
Ho pesato 105 g di farina, e l’ho aggiunta quasi tutta ai preimpasti, cominciando a mescolare per farla assorbire. Si formerà quasi subito un impasto sodo. Ho aggiunto la biga a pezzi e poi successivamente, sempre mescolando energicamente, ½  tuorlo, 40g di zucchero, la farina rimanente ed incordiamo, girando con il cucchiaio (sarà difficoltoso, perché l’impasto diventerà sodo e appiccicoso). Ho poi inserito 30g di burro morbido, lasciato a temperatura ambiente per un’ora, con i semini della bacca di vaniglia. Ho cominciato ad impastare all’interno della ciotola con una mano, sollevando l’impasto e tirando verso l’alto. Ho lavorato per un po’ in questo modo, fino ad ottenere un impasto elastico e ben legato. Poi ho coperto con pellicola e trasferito a 28° fino a che non ha triplicato (io ho messo in forno tiepido, spento) ci vorrà poco più di un’ora.

Dovrebbero essere rimasti ½ albume, 1 tuorlo, 1 pizzico di sale,50 g di zucchero e 50 g di farina.
Ho ripreso l’impasto, sgonfiandolo, poi ho aggiunto, mescolando nuovamente con il cucchiaio, ½ albume seguito da circa metà della farina rimanente; ad assorbimento ho unito ½  tuorlo con metà dello zucchero; poi ancora farina, l’altro ½ tuorlo, con zucchero e sale. Ho incordato il tutto, poi aggiunto il burro morbido con la buccia d’arancia, come fatto prima, impastando con la mano verso l’alto, ribaltando diverse volte l’impasto. Ho coperto e trasferito di nuovo in forno tiepido per circa 45 minuti (28°).
Passato questo tempo ho rovesciato l’impasto sulla spianatoia e fatto un giro di pieghe del tipo 2; questo tipo di pieghe che fanno acquistare sviluppo verticale all’impasto si fanno portando i lembi esterni dell’impasto verso il centro, tutto intorno. Poi ho raccolto il tutto in un contenitore coperto e messo in frigo a 5° fino al giorno successivo.

Lunedì 5:
Ho tirato fuori dal frigo il contenitore e lasciato a riscaldare per un’oretta.
Ho preparato uno stampo di carta forno per la gubana, del diametro di 18 cm. Se lo fate bene, con queste indicazioni, non si dovrebbe aprire come è successo a me…
Passata l’ora ho steso con il mattarello un ovale di pasta spesso circa 5 mm.
Ho aggiunto l’uovo al ripieno, mescolando bene e poi l’ho steso sull’ovale di pasta lasciando due cm di bordo esterno, spennellato con albume. Ho arrotolato in diagonale, stringendo e allungando l’impasto simultaneamente. Poi ho attorcigliato il tutto come fosse una chiocciola, mettendo il capo terminale sotto al tutto e depositando la gubana nello stampo di carta forno.
Ho fatto lievitare in forno a 28° fino al raddoppio (circa 1 ora e mezza). Poi ho riscaldato il forno a 180° e intanto spennellato la gubana con l’ultimo albume restante e poi cospargendo di zucchero semolato.
Ho infornato per 45 minuti, coprendo nell’ultima decina di minuti con un foglio di alluminio.

Una volta sfornata si lascia raffreddare la gubana avvolta da un panno e poggiata su una gratella.
E’ meglio aspettare qualche giorno prima di gustare…io non ce l’ho fatta!!!

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Lagane e ceci tra Puglia e Cilento

Le lagane sono delle strisce di pasta larghe circa 4 cm e dalla sfoglia piuttosto spessa, fatte con farina e acqua, senza uova. L’origine etimologica della parola si perde nel greco antico: indicava un disco di pasta fatta con acqua e farina, già arrostito su una pietra rovente e successivamente tagliato a strisce; queste venivano unite a legumi o granaglie e di solito consumate a zuppa.
Più larghe delle tagliatelle ma più strette delle lasagne, passarono dalla Magna Grecia fino alla Roma Imperiale: anche il poeta Orazio nelle sue Satire metteva in versi la sua cena a base di lagani, ceci e porri. 
Il celebre gastronomo Apicio, nel suo “De re coquinaria” designa con il nome di lagani delle sfoglie di pasta, condite con il garum* o con la carne, e sovrapposte a strati, una versione antenata delle nostre lasagne.
In Campania e in particolare nel Cilento, le lagane sopravvivono ancora oggi e vengono cotte direttamente nelle zuppe di legumi. Danno vita a piatti come “lagani e ciciari” o “lagani e fasuoli“, detti anche, in dialetto, lamp’ e tuon’. Di solito le minestre di legumi campane contengono anche del pomodoro, passato o a pezzetti, che colora il piatto.
In Puglia, precisamente in Salento, le stesse strisce di pasta di grano duro vengono prima lessate e poi aggiunte alle minestre, e talvolta accompagnate da altre strisce dello stesso impasto, fritte in olio bollente fino a diventare gonfie e croccanti.

 
Io ho voluto mediare tra le due tradizioni, creando un terzo piatto, semplice e dal sapore speciale, adattissimo per il clima invernale.

La ricetta: Lagane e ceci

(Ingredienti per 2/3 persone)

Per le lagane:
75 g di farina 00
75 g di semola di grano duro
acqua tiepida per impastare
olio di semi per friggere alcuni lagani

Per i ceci:
250 di ceci già lessati (conservando la loro acqua)
olio extravergine d’oliva
uno spicchio d’aglio
2 foglie di lauro
1 peperoncino secco
1 acciughina
mezzo bicchiere di vino bianco


Per preparare le lagane occorre impastare le due farine e un pizzico di sale con acqua sufficiente ad ottenere un impasto elastico ed asciutto. Ho fatto riposare l’impasto avvolto in pellicola per mezz’ora e poi l’ho steso con il matterello. Occorre ottenere una sfoglia spessa circa 3 mm. Poi si arrotola su se stessa, come per fare le tagliatelle e da questi rotoli vengono ritagliate delle semplici strisce di pasta. Una metà andrà lessata nei ceci, le altre strisce si friggeranno velocemente nell’olio di semi e faranno da croccante accompagnamento.

Avevo già dei ceci pronti da insaporire, che avevo precedentemente lessato in pentola a pressione.
In un pentolino ho messo 3 cucchiai d’olio evo, lo spicchio d’aglio, un peperoncino secco spezzato e l’acciughina. Ho fatto soffriggere leggermente l’aglio e poi ho aggiunto i ceci. Ho fatto insaporire per bene, bagnando con il succo di cottura dei ceci e due dita di vino bianco e aggiungendo le foglie di lauro spezzate in due.
Quando i ceci erano insaporiti ne ho prelevato due cucchiai che ho passato al frullatore. Dal resto ho tolto l’aglio, aggiungendo acqua sufficiente a cuocere i lagani e portato a bollore. Occorre regolare di sale, poi si versano le strisce di pasta per farle lessare, avendo cura di coprire così che la minestra non si asciughi troppo.
Nel frattempo ho fritto in una padella le strisce che avevo tenuto da parte: si gonfiano e diventano in fretta belle dorate.
Quando le lagane saranno cotte – e bisogna assaggiarle, perché lo spessore e il grano duro fanno sì che tengano molto bene la cottura – ho aggiunto la purea di ceci e ho dato una rimescolata prima di spegnere.
Servire caldo e fumante, con le lagane fritte e un filo d’olio crudo per accompagnamento.

*garum: Apicio nel De re coquinaria condisce con il garum almeno 20 piatti diversi. Questo condimento
era così comune che Apicio dà per scontata la ricetta e nel suo libro
non ce l’ha tramandata; accenna soltanto che è un prodotto della
fermentazione delle interiora di pesce e pesce al sole, senza neanche
dire che erano preventivamente salate. Dice che dalla fermentazione di
queste interiora, si separa un solido e un liquido che chiama liquamen.
Marziale ne dà una ricetta più dettagliata citando, tra gli ingredienti
della salamoia, aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe,
zafferano, origano. [da wikipedia]

[le informazioni sulla storia delle Lagane, sono prese in parte dal testo di Raffaele Riccio – La Cucina del Cilento]

pasta fresca, primi piatti, ricette tradizionali, storia & cultura

I tortelli di zucca alla mantovana

tortelli-di-zucca-mantovani 
Gonzaga ed Este. Anche senza essere storici è impossibile non conoscere questi due grandi nomi di famiglie rinascimentali. Famiglie che hanno segnato la storia di due grandi città, Mantova e Ferrara, condizionandone le vicende politiche e finanziando grandi opere d’arte e d’ingegno.
Tra queste vogliamo mettere anche il tortello di zucca?
Sì, perché il tortello – o raviolo – ripieno di zucca si sviluppa e si diffonde in alta Italia, su due direttrici che passano proprio per Ferrara e Mantova, per approdare fino a Crema, da un lato, e fino a Parma, Piacenza e Pavia dall’altro.La prima citazione scritta si ha nel 1544 da parte di Cristoforo Messisbugo, cuoco ferrarese che restò per 25 anni a servizio dai Gonzaga a Mantova. Li cita nel suo ricettario con il nome di “turtell” o “riturtell”.

Gianbattista Rossetti, cuoco del duca Alfonso II d’Este, mette per iscritto i “cappellacci” o “ritortelli” ferraresi nel ricettario pubblico dello Scalco nel 1584.

Dalla corte dei Gonzaga e degli Este, con le migrazioni del caso, i tortelli di zucca viaggiano di città in città, soprattutto al seguito degli eccellenti cuochi ebrei, cacciati con gli editti del 1629-30. Durante il viaggio culinario anche gli ingredienti subiscono delle modifiche e dall’originale mantovano e ferrarese si giunge fino a Crema (turtei cremasch) dove è addirittura la zucca a scomparire, mentre restano gli altri componenti del ripieno. Andando verso Piadena (turtel e salsa) e successivamente  verso Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Pavia si comincia ad usare il sugo di pomodoro, anche molto abbondante, preparato con cipolla dolce e arricchito da abbondante grana grattugiato.
Altrove si alternano i condimenti – burro fuso e grana, o pomodoro – con la variante di pomodoro e funghi di Parma e Piacenza.
La forma varia da città a città, ma talvolta anche da famiglia a famiglia, da tortello a cappellaccio, da quadrato a rotondo a mezzaluna, con una sfoglia sempre sottile e all’uovo.

Tradizionalmente è il piatto della vigilia di Natale e dei giorni di festa e del giorno di Sant’Antonio.

Per imparare a farli ho guardato la signora Rosa che li prepara per Santa Lucia ed io ho seguito più o meno le sue indicazioni! In realtà una volta li ho fatti anche senza grana grattugiato e sono venuti buoni ugualmente.
tortelli mantovani (01) piccola
 
La ricetta: Tortelli di zucca alla mantovana
 
ingredienti (per 20/22 tortelli – due persone)
per il ripieno:
500 g di zucca da pulire
6/7 amaretti ridotti in polvere
1 cucchiaio di mostarda di mele
2 cucchiai di grana padano grattugiato
pangrattato (se serve per asciugare un po’ il ripieno) 
noce moscata (a piacere)
sale
 
Ho fatto cuocere la zucca in forno, poi l’ho liberata dalla scorza e l’ho frullata. Nella poltiglia di zucca ho aggiunto gli altri ingredienti, mescolando, e assaggiando…finchè il gusto non mi ha convinto. Il pangrattato potrebbe non essere indispensabile, se la vostra zucca è bella asciutta. Il ripieno va preparato la sera prima, così ha il tempo di amalgamarsi per bene in frigo. Il sapore della mostarda diverrà più evidente il giorno dopo, ad esempio. Così vi potrete regolare ed eventualmente correggere il tiro! 😉
 
per la pasta:
200 g di farina 00
2 tuorli 
1 paio di cucchiai di albume
sale
 
Ho sbattuto leggermente i tuorli con un pizzico di sale. Ho messo la farina a fontana sul tavolo e ho versato i tuorli nel centro, cominciando ad impastare. Molto probabilmente, se non avete tuorli di gallina gigante, vi servirà dell’albume per amalgamare tutta la farina… Ad ogni modo l’impasto deve essere piuttosto asciutto.
Fatto un panetto, si lascia riposare avvolto in un panno per mezz’ora. Poi ci si rimbocca le maniche e si comincia a stendere la sfoglia. (Se avete la macchinetta, buon per voi, io ho fatto con il mattarello!!!)
 
Dalla sfoglia che deve essere sottilissima, ho ricavato dei quadrati di 8 cm di lato con un coppapasta. Poi ho deposto su un angolo una pallina di ripieno e ho arrotolato il tortello da un vertice all’altro, avvolgendo la pallina, schiacciando le estremità e congiungendole a tortello…così:
 
 
Quando tutti i tortelli erano pronti, la fatica sta solo nello stendere la sfoglia, li ho fatti riposare in frigo per un po’ ed infine lessati in acqua bollente salata.
 
Il condimento tradizionale è burro fuso e grana grattugiato, ma la zucca si presta anche ad altri abbinamenti.
Io li ho conditi con 25 cm di salsiccia sbriciolata, fatta insaporire in olio evo e vino bianco, e una manciata di pinoli…erano sublimi!!!
 
tortelli-mantovani-con-zucca-e-amaretti
 
Questa volta abbiamo voluto esagerare e ci abbiamo anche abbinato un vino…le nostre ricerche ci indirizzano su un Lambrusco…noi invece ce li siamo pappati con una Bonarda vivace dell’Oltrepò pavese.

 

ai fornelli, ricette originali, ricette tradizionali

Pancakes salati in verde e Magno Gaudio!!! :D

Prima della ricetta devo fare un GRANDE annuncio!!!
Mercoledì sono stati proclamati i vincitori del contest della Cuochina Sopraffina …ed io sono arrivata terza con la mia ricetta dei pancakes alla salsa di mele speziata!!!
Sono stata felicissima di questo piccolo traguardo ed ho pure vinto un bel premio, ovvero 3 Ultrasalse al cubo a mia scelta. 
Ho già fatto l’ordine e ho scelto: 
– ultrapesto con foglie di basilico e castagne
– ultrasalsa con funghi porcini, uvetta e rosmarino
– ultracrema con peperoncino e noci
ma non è stato facile perchè sono tutte stuzzicanti e particolari.
Ora non mi resta che attendere e poi utilizzarle per qualche mia ricetta!:D

A questo punto passiamo invece ai pancakes salati, la cui ricetta incuriosiva molti!!! 

Mi sono documentata un po’… negli Stati Uniti i pancakes sono detti anche hotcakes, griddlecakes o flapjacks, e nascono come dolce tradizionale carnevalesco. 
In Gran Bretagna sono chiamati Scottish Pancakes e di diametro sono un po’ più piccini, tipo quelli che ho fatto io alla salsa di mele.
Tradizionalmente è conosciuta la versione dolce, e la farcitura più comune è quella con sciroppo d’acero. 
In Australia e Nuova Zelanda vengono detti pikelets e serviti con semplice burro fuso o burro e marmellata.

L’idea
dei pancakes salati si è diffusa invece a partire dalle crepes, che
assomigliano solo apparentemente ai pancakes e che in tutta Europa si
farciscono sia “in dolce” che “in salato”.

Prima di cimentarmi nella preparazione ho spulciato diverse ricettine e dosi sul web e ho creato una mia ricetta personale.

Di massima le dosi sono simili a quelli dolci, ma ho sostituito lo zucchero con due cucchiai di Asiago grattugiato.
L’albume montato a neve conferisce la solita altezza e sofficità al pancakes, però questi salati sono un po’ meno leggeri e “nuvolettosi” di quelli dolci…insomma è un vero pasto in piena regola.

Ora largo alla semplicissima ricetta: Pancakes Salati alla Salsa di Broccoli
200 ml di latte
1/2 cucchiaino di lievito per impasti salati
25 g di burro
2 cucchiai colmi di Asiago Pressato grattugiato non troppo fine
125 g di farina
2 uova
250g di broccolo
1 cucchiaio di philadelphia
1 acciughina
1 spicchio d’aglio
1 peperoncino secco piccolino
olio
sale
Per la salsa:
Ho sbollentato rapidamente i broccoli, per velocizzare la cottura.
In una padella, ho fatto dorare leggermente l’aglio nell’olio con l’acciughina e il peperoncino schiacciato, poi ho versato in padella i broccoli e li ho fatti rigirare per un po’…ci vorranno tra i 5 e i 10 minuti…perchè si insaporiscano bene e si ammorbidiscano ulteriormente.
Poi ho tolto l’aglio e ho versato tutto nel frullatore, aggiungendo qualche cucchiaio di acqua calda, per ottenere una consistenza liscia. 
Per i pancakes:
Ho mescolato latte, burro fuso, asiago e tuorli molto rapidamente.
In un’altra ciotola ho mescolato farina, lievito e un pizzico di sale.
Ho miscelato gradualmente i due impasti, i liquidi nei solidi, sempre mescolando.
Separatamente ho montato a neve gli albumi e li ho aggiunti all’impasto mescolando dall’alto in basso.
Poi ho cotto i pancakes a cucchiaiate in un padellino caldo, spennellato leggermente di olio, sempre circa un minuto per lato.
La salsa di broccoli, prima ottenuta, va travasata in un pentolino, in cui, a pancakes
pronti, si farà sciogliere il cucchiaio di philadelphia, riscaldando
prima di versare sui pancakes. 
Ho completato con una grattugiata a julienne di Asiago.
Poi si serve subitissimo! (salvo se dovete fare le foto!!! :D)

primi piatti, ricette tradizionali, storia & cultura, zuppe e vellutate

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