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I Läckerli di Basilea e il Pu Erh alle spezie

Per il Tea Time di questa settimana ho scelto un tè profumatissimo. Si tratta di una miscela di Pu Erh con diverse erbe e spezie: vi troviamo finocchio, anice, semi di cardamomo, pepe nero, cannella di ceylon, zenzero a pezzi e chiodi di garofano. Già all’apertura del sacchetto il profumo delizioso riempie l’aria, quando poi si mette in infusione è davvero un concerto di profumi diversi perfettamente equilibrati. Mentre
l’acqua si colora, i profumi si evolvono sempre più e se all’inizio è
più pungente il chiodo di garofano, poi sboccia la freschezza dei semi
di finocchio e anice. All’assaggio il tè fa da direttore d’orchestra con il suo tocco che ricorda l’affumicato, rispondono tutti gli altri gusti perfettamente armonici.
Il suggerimento di Coccole è di gustarlo anche freddo e sicuramente ci proverò. Questa volta invece l’ho assaggiato caldo con un biscotto che avesse la forza di bilanciarlo.


Ho scelto i Läckerli [o Leckerli] di Basilea. Si tratta di biscotti antichissimi, tradizionali proprio della città svizzera sul Reno, che si trova quasi al confine tra Germania e Francia.
La leggenda legata alla loro nascita parla del 1431 e del Concilio di Basilea. Si dice che per ristorare i prelati dopo le giornate intense del concilio fu creato per loro questo nutriente biscotto. Altre storie narrano di una torta, fatta con questo impasto e dalla forma rotonda come il tamburo simbolo della città, già esistente a Basilea fin dall’antichità e preparato dai monaci. All’arrivo in città degli alti prelati, i monaci, detentori della ricetta, non fecero altro che aggiungere una buona quantità di spezie adatte alla classe sociale elevata dei partecipanti al Concilio.
La ricetta tradizionale prevede solo miele  e non zucchero, come veniva fatto nel 1431, e una glassa superficiale al kirsch.
La presenza di spezie e canditi rende questo biscotto molto vicino al panpepato e ad altri dolci nordici a base di spezie. La consistenza è morbida e, come mi è stato suggerito [grazie Silvia! ;)], visto che non ho mai assaggiato gli originali, è vicina al marzapane o al panforte.
Se fate un salto a Basilea, potete trovarli alla Läckerli Huus, dove vengono sfornati di continuo, e sappiate che sono davvero più buoni dopo uno o due giorni!!
Io ho variato leggermente la ricetta, mettendo buccia di limone e arancia al posto dei canditi e un goccino di grappa al posto del kirsch.
Le spezie di questi biscotti si sposano perfettamente con i profumi del tè Pu Erh alle spezie. Ci siamo avvolti, gustando questo abbinamento, in una profumata e calda nuvola di spezie!!


La ricetta: Läckerli di Basilea
Ingredienti (circa 30 pezzi):
70 g di zucchero di canna
30 g di miele
2 uova
1 pizzico di sale
125 g di nocciole e mandorle tritate (io circa 80 g di nocciole e 45 g di mandorle)
30 g di burro fuso intiepidito
scorza di mezzo limone
scorza di mezza arancia [oppure 30 g di canditi tritati]
1 cucchiaio colmo di spezie (cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano)
125 g di farina (o piccola percentuale di integrale)


In un recipiente ho mescolato insieme le uova con un pizzico di sale, lo zucchero e il miele e montato finché non sono diventi chiari.
Ho aggiunto le nocciole e le mandorle, il burro fuso e intiepidito, la scorza di limone e arancia e le spezie, mescolando bene. Chi vuole può aggiungere in questo momento i canditi.
A questo punto ho aggiunto la farina, mescolando per farla assorbire del tutto.
L’impasto risulta come quello di una torta non troppo liquida.
L’ho steso sulla teglia (22x26cm)foderata di carta da forno, livellandolo allo spessore di 1 cm o poco più.
Ho infornato a 180°, nella parte centrale del forno per circa 20 minuti.
Subito prima di sfornare, ho preparato una glassa con 75 g di zucchero a velo, due cucchiai d’acqua e 1 cucchiaino di grappa.
Ho steso la glassa con un pennello sul “läckerlone” ancora caldo avendo l’accortezza di tagliare mezzo cm di bordo esterno che risulta più cotto. In questo modo i biscotti verranno tutti uguali.
Dopo aver steso la glassa ho subito tagliato in rettangoli di 3×4 cm, e poi lasciato asciugare la glassa prima di riporli in una scatola di latta.

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Amaretti morbidi al limone e il tè nero Golden dello Yunnan

Questa settimana vorrei parlare di nuovo del tè in Cina e in particolare di alcune usanze legate a rapporti interpersonali e tè, per far comprendere quanto questa bevanda faccia parte della cultura cinese.
Troviamo il tè nel corteggiamento e nel matrimonio.
Fa parte della tradizione la proposta di matrimonio fatta con il tè. A casa della giovane viene inviato un intermediario che porti in dono alla famiglia delle foglie di tè. Se inizialmente venivano donate solo quelle, successivamente fra i doni ci furono anche abiti lussuosi, gioielli e bestiame. La famiglia della giovane prepara il tè e lo beve assieme all’ospite, ma è sulla ragazza che vengono puntati gli occhi: se lei berrà il tè accetterà il corteggiatore, se non lo berrà, il suo sarà un rifiuto.
La stessa famiglia può ricevere fino a quattro visite, ma se la ragazza non beve mai il tè , la proposta è stata rifiutata definitivamente.
Il tè torna in gioco durante la celebrazione del matrimonio nel  momento in cui marito e moglie dividono una tazza di tè che deve essere forte come il loro amore. Nella tazza vengono messi anche una noce di loto e un dattero rosso, simboli della fecondità e della felicità.
Un tempo la sposa andava a vivere, dopo il matrimonio, a casa dei suoceri ed ogni mattina le toccava servir loro il tè in segno di rispetto.

Offrire il tè indica riverenza anche in altri casi: chi reca offesa ad un anziano non ha altro modo di chiedere scusa se non offrire del tè in ginocchio; se l’anziano accetta le scuse, il tè viene bevuto insieme. Così accade per allievo e maestro in molte arti e discipline: bere il tè insieme significa accettare il nuovo discepolo.

Anche gli antenati vengono omaggiati con il dono del tè. Sul piccolo altare casalingo esso viene deposto assieme a frutta e incenso in onore dei cari defunti e degli dei.

Questa settimana ho scelto di degustare un tè nero Golden Yunnana di Coccole. Proviene dallo Yunnan, la regione cinese al confine con il Vietnam e il Laos e la Birmania. In questa regione montuosa si è cominciato a coltivare tè solo dal 1939, ma in breve tempo si è affinata la produzione e da qui oggi proviene il miglior tè della Cina.
E’ questo il tè che i cinesi accompagnano più spesso anche alle pietanze salate. In particolare è adattissimo con il pollo alle mandorle.
Io ho pensato di accompagnarlo agli amaretti morbidi, preparati con l’aggiunta di scorza di limone. La delicatezza di questo tè si sposa perfettamente con il sapore delle mandorle e il retrogusto leggero della buccia di limone. La nota tostata non è per nulla invasiva anzi si accorda perfettamente con l’evanescente retrogusto amarognolo dei biscotti.


La ricetta: Amaretti morbidi al limone

Per circa 24 amaretti:
110 g di mandorle spellate 

20 g di mandorle con la pelle (la ricetta prevedeva quella amare, ma non le ho trovate)
140 g di zucchero
buccia grattugiata di ½ limone non trattato
1 albume

Ho tritato nel mixer le mandorle, con la pelle e senza, con un paio di cucchiai di zucchero, ad intermittenza, senza far scaldare le lame.
Ho mescolato la farina di mandorle con lo zucchero restante e la buccia grattugiata del limone.
Ho montato l’albume a lungo, circa 7-8 minuti, aggiungendo poi gradualmente la farina, mescolando dall’alto in basso.
Ho coperto la scodella con pellicola e ho messo a riposare in frigo per una notte.
Il giorno seguente ho fatto delle palline e lo ho deposte distanziate sulla carta da forno. Gli amaretti in cottura raddoppiano di diametro.
Ho infornato a 160° per 15 minuti. Gli amaretti devono restare chiari per essere della giusta morbidezza, altrimenti raffreddandosi diventano croccanti.

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Estonian Kringle, la brioche che viene dal Nord

Il Kringle Estone è una brioche profumata, tradizionalmente farcita con burro, cannella e cardamomo. La cucina estone ha ereditato molto dalla Germania e dalle cucine vicine. 
La parola kringle in norvegese significa “chiocciola” ed esistono kringla (al plurale si dice così!) danesi e norvegesi che ricordano molto i pretzel tedeschi. Sul kringle estone, invece, non si trovano molte informazioni. Evidentemente la parola kringle (ma anche kringel e kringla) è usata solo per far riferimento alla forma, che anche in questo caso è intrecciata ed arrotolata, ma l’impasto è completamente diverso. 
Grazie a Edda vengo a sapere che questo dolce viene preparato per festeggiare i compleanni. La forma circolare, naturalmente, è carica di significati, penso al ciclo della vita e al rincorrersi delle stagioni…d’altronde abbiamo visto spesso la corona, la treccia, il vortice…tutte forme che ci riportano lontano nel tempo a piatti carichi di simbolismo.
Quando ho visto queste foto sul blog di Claudia me ne sono innamorata. Ho cercato diverse ricette per confrontarle e per quanto riguarda l’impasto differiscono di poco, ciò che si presta a mille rivisitazioni è proprio il contenuto.
La ricetta di impasto che ho trovato a me più congeniale è quella che trovate su questo bellissimo sito francese: ho tradotto il tutto e poi ho apportato le mie variazioni.
Per il ripieno ho deciso di restare sul classico, con la cannella, naturalmente, che con il sopraggiungere della primavera manderò in vacanza per un po’ [forse…] ma per ora è troppo presto, l’uva passa e le mele.
Con questa ricetta la pasta della brioche è sofficissima, forse merito della farina di segale che l’ha resa anche un po’ più scura di colore e dalla mollica finissima e aromatica. La crosticina esterna, grazie allo zucchero di canna, è croccante e dolce. Il tutto emana un profumo delizioso, irresistibile. In più la preparazione, pur trattandosi di un lievitato è abbastanza veloce. La riproporrò sicuramente, provando anche altre farciture, perchè la forma è davvero scenografica!
La ricetta: Estonian Kringle alla cannella, uvetta e mele
ingredienti:
100 g di farina 00
200 g di farina di segale per pane (+ altra per impastare)
120 ml di latte tiepido
4 cucchiai di miele
1 uovo intero
30 g di burro
10-12 g di lievito di birra
un pizzico di sale
per il ripieno:
50 g di uva passa
un bicchierino di grappa
1 mela verde ( non si disfa e resta a pezzettini)
zucchero di canna
30 g di burro
Ho messo l’uva passa a bagno nella grappa
Ho disposto le due farine setacciate a fontana in una ciotola grande.
Ho sciolto il lievito in qualche cucchiaio di latte e ho lasciato riposare un paio di minuti mentre scioglievo il miele nel latte restante.
Ho cominciato a impastare nella ciotola, prima con il lievito, poi con il latte e miele, mescolando bene. Poi ho aggiunto l’uovo leggermente sbattuto con un pizzico di sale.
Quando l’impasto era già ben formato ho trasferito sulla spianatoia e ho iniziato ad aggiungere il burro a pezzettini, impastando bene, con l’aggiunta di poca farina, finchè l’impasto non era più appiccicoso.
Ho trasferito in una ciotola e messo a lievitare al caldo per un’ora e mezza.
Ho tagliato la mela a cubetti di un centimetro di lato.
Ho ripreso l’impasto, l’ho schiacciato leggermente con le mani e poi steso con il mattarello fino a formare un rettangolo.
Sul rettangolo ho spalmato il burro sciolto con un pennello, poi vi ho disposto un po’ di zucchero di canna e poi l’uvetta strizzata e i pezzettini di mela.
Ho arrotolato il rettangolo dal lato lungo, fino a formare un rotolo.
Con un coltello affilato ho tagliato il rotolo in due parti uguali per il lungo e, senza farle aprire troppo, le ho attorcigliate tra loro. Non bisogna stringere troppo.
Poi ho chiuso il rotolo a forma di cerchio e l’ho messo sulla teglia da forno. (qui foto molto esaurienti per ricrearne la forma)
Ho coperto con pellicola unta e fatto rilievitare per un’ora. 
Ho spennellato con latte sbattuto con un tuorlo e ho cosparso di zucchero di canna. 
Ho infornato in forno caldo a 180° per 20 minuti. 
La mia versione del kringle è piaciuta! Se siete curiosi andate a leggere qua!

Aggiornamento del 28 ottobre 2013: questa ricetta è inserita nella raccolta Abbecedario Culinario d’Europa per l’Estonia.

biscotti, dolci, ricette originali, storia & cultura

Mary Cassat, la Nocciola al Cubo e il Pu Erh 2007

nocciola al cubo_slideshow_mini 
Ci sono pittori che fanno innamorare al primo sguardo. Così è capitato quando alla ricerca di spunti per i miei post sul tè sono incappata in questa bella immagine dipinta:
Il tè delle cinque raffigura due donne all’ora del tè; sono rappresentate con pennellate di luce, nello stile impressionista, volto a delineare i volumi senza contorni netti, accostando infinite sfumature fino a formare la tonalità voluta.
Non avevo mai visto questo bel dipinto e ho cercato dunque informazioni sull’artista, così ho conosciuto Mary Cassat. Mary Cassat è la donna giusta a cui dedicare questo 8 marzo, per il suo percorso di vita, per le sue scelte, per il suo sostegno al suffragio universale.
Mary nacque nel 1844 a Pittsburgh in una famiglia molto facoltosa; il padre Robert era agente di cambio, la madre proveniva da una famiglia di banchieri. Giovanissima ebbe la possibilità di viaggiare in Europa e, dopo essere entrata in contatto con la pittura e con gli ambienti artistici, decise che quella sarebbe diventata la sua professione. Ebbe l’occasione di visitare l’Expo Universale di Parigi del 1855 e una volta tornata in America, a Philadelphia, si iscrisse a soli 15 anni alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts. Venne osteggiata dal padre che disse che avrebbe preferito vederla morta che diventare una bohèmienne. Ciò nonostante Mary decise prima di lasciare la scuola e successivamente di continuare i suoi studi in autonomia trasferendosi a Parigi.
Mary giunse in Europa nel 1866, accompagnata dalla madre e da alcune amiche di famiglia: iniziò a visitare quotidianamente il Louvre e a prendere lezioni di pittura. Nel 1868 la giuria del Salon accettò la sua Suonatrice di mandolino.
Nel 1870 a causa della guerra franco-prussiana dovette tornare in America e lì ricominciarono i contrasti con il padre che non voleva finanziare i suoi studi artistici, fino a farle scarseggiare il materiale per dipingere. Ciò nonostante Mary perseverò nei suoi propositi ed espose alcune opere alla Galleria di New York. Nel 1871 decise di tentare la fortuna a Chicago; qui perse molte delle sue opere durante un incendio, ma ebbe modo di far conoscere alcune sue opere all’arcivescovo di Pittsburgh che le commissionò le copie di due dipinti di Correggio e la finanziò per un nuovo viaggio in Europa. Mary giunse a Parma per eseguire le copie e poi visitò la Spagna per riapprodare infine a Parigi dove aveva ormai deciso di stabilire la sua residenza assieme alla sorella Lydia.
A Parigi si scontrò con il sessismo dei colleghi maschi e le sue opere vennero costantemente rifiutate al Salon.
Nel 1877 però fece la conoscenza di Edgar Degas e divenne sua allieva e sua intima amica e per alcuni addirittura sua amante. Grazie a Degas, la Cassat entrò in contatto con i circoli impressionisti che cominciavano ad organizzare esposizioni indipendenti.
L’esposizione impressionista del 1879 ottenne un discreto successo, e aggirando una critica ostile, Degas e la Cassatt vennero definiti come “i soli artisti che si distinguono… e che offrono qualche motivo di richiamo e giustificazione in una pretenziosa esposizione di allestimenti per vetrine e scarabocchi infantili”.
Mary Cassat cercò poi di organizzare delle mostre anche negli Stati Uniti e al contempo la sua pittura cominciò a discostarsi da quella impressionista per diventare più semplice e diretta. E’ il momento, l’ultimo decennio del XIX secolo, delle raffigurazioni di tante madri con bambino o nonne con nipoti in una semplicità e tenerezza incredibili. Le tecniche che sperimentò furono le più svariate, diventando un punto di riferimento per tanti giovani artisti americani.
 
Mary fu produttiva fino all’incirca al 1910. Dopo ebbe una profonda crisi creativa, ma trovò  l’energia per sostenere la causa del diritto di voto per le donne: nel 1915 presentò, nell’ambito di un’esposizione allestita per supportare il movimento femminile, una serie di 18 opere.
Dopo il 1915 soppraggiunse la cecità, dovuta a problemi di cataratta, e dovette definitivamente abbandonare la pittura. Morì infine il 14 giugno 1926, vicino a Parigi, a Château de Beaufresne.Se volete conoscere altre sue opere potete dare un’occhiata alla raccolta completa che trovate qui: http://www.marycassatt.org/the-complete-works.html***Questa mia biografia è tratta dal bell’articolo di Michele BroccolettiIl biscotto che ho scelto per questo Tea Time è un biscotto trovato su un sito americano. Cercavo un biscotto alla nocciola per poter scovare il sentore di nocciola nel mio Pu Erh di Coccole.
Io lo rinomino Nocciola al cubo perché la nocciola è presente nell’impasto, nella crema di farcitura e nella granella esterna, e il risultato non è 3 volte nocciola, ma l’assoluto esplodere del gusto.
nocciola al cubo_2
L’abbinamento con il Pu Erh è perfettamente azzeccato. La dolcezza e cremosità del biscotto viene stemperata dal gusto deciso di questo té, e la bocca viene perfettamente ripulita dalle note affumicate, senza che resti alcuna stucchevolezza. Continuo a sostenere che con questo tè non occorra zuccherare, non c’è alcuna punta di acidità, solo una dolcezza delicata e e un profumo lieve di legna bruciata. 
nocciola al cubo_3
 
Controindicazioni: farsi prendere la mano e mangiare troppi biscotti!!!
La ricetta: Biscotti “Nocciola al cubo”
100 g di nocciole piemontesi senza pellicine
170 g di farina 00
140 g di burro
60 g di crema di formaggio
75 g di zucchero
1 uovo grande
1 pizzico di sale
1 cucchiaino raso di lievito per dolci
crema di nocciole
granella di noccioleHo tritato le nocciole con la metà della farina senza farle scaldare; bastano poche scosse di frullatore.
Con le fruste elettriche ho sbattuto burro, zucchero e crema di formaggio fino a renderli ben cremosi, poi ho aggiunto l’uovo sbattuto e ho mescolato bene con una spatola.
Ho aggiunto le nocciole tritate con la farina e la farina restante mescolata con sale e lievito.
Poi ho messo l’impasto in frigo a rassodare per 1 ora.
Ho diviso l’impasto in quattro pezzi e ho creato dei salsicciotti, rotolando i pezzi di impasto su una superficie inzuccherata.
Ho rimesso in frigo i salsicciotti per raffreddarli per bene.
Ho tagliato i salsicciotti a fette di 1,5 cm di spessore, poi ho disposto queste rotelle ben distanziate sulla teglia e ho cotto a 175° per 8-10 minuti.
Quando erano freddi li ho accoppiati a due a due , riempiendo con un cucchiaino di crema di nocciole e rotolando i bordi nella granella.
nocciola al cubo_1
 
 
 
 
 

 

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Biscotti allo zenzero candito e scaglie di fondente e il Pu Erh maturato in scorza di mandarino

Questa volta i biscotti sono nati di pari passo con l’idea dell’abbinamento.
Zenzero da abbinare con agrumi…zenzero con cioccolato…cioccolato con un Pu Erh dal gusto deciso…Trovato!!!
Ho fatto dei biscotti con zenzero e scaglie di cioccolato fondente e li ho abbinati con uno specialissimo Pu Erh. Si tratta di tè Pu Erh maturato in scorza di mandarino. In pratica ordinando questo tè da Coccole.it ci si trova davanti un piccolo capolavoro. Un mandarino svuotato dalla polpa, essiccato e ripieno di foglioline di Pu Erh. Si scarta la pellicola e un profumo delicato di tè con note agrumate arriva al naso. È davvero una coccola bere un tè così, un momento davvero speciale.
Vorrei parlare questa volta del rito del tè cinese, ma ci sono talmente tante cose da dire che comincerò solo con qualche cenno.


In Cina il tè e il rito ad esso legato hanno un‘importanza fondamentale. Non è sempre stato così, usi e costumi sul tè si sono evoluti nei secoli insieme alla società. Ad esempio inizialmente il tè era considerato un’erba di uso quotidiano non molto distante da una qualsiasi verdura e infatti l’infuso si preparava in utensili e recipienti di uso comune che venivano usati anche per altre destinazioni. Il tè si succhiava dai cucchiai e per goderne pienamente del sapore bisognava fare rumore con la bocca mentre lo si sorbiva. Oggi questa usanza è caduta in disuso!! 😉 Alcuni, però dopo aver bevuto il tè mangiano le foglie rimaste sul fondo della tazzina.
Se i primi tè venivano preparati nelle stesse pentole che servivano per cucinare il cibo, con la nascita di una più decisa distanza tra le classi sociali, si pensò anche ad utensili appositi per prepararlo e a servizi raffinatissimi per servirlo. Una buona teiera era uno status symbol e rifletteva il gusto dell’epoca e la raffinatezza del proprietario. 
Una ragione di più per sfoggiare il servizio di tazzine veniva dal fatto che offrire il tè era il primo gesto di benvenuto e quindi da questo dipendeva come ci si presentava al proprio ospite.




La ricetta: Biscotti allo zenzero candito e scaglie di cioccolato fondente abbinati al Pu Erh maturato in scorza di mandarino


Per lo zenzero candito homemade (io lo trovo perfetto anche da aggiungere allo yogurt bianco):
radice di zenzero fresco
zucchero semolato
acqua


Ho sbucciato lo zenzero e l’ho tagliato a piccoli pezzettini sottili.
Li
ho messi in un pentolino e li ho coperti d’acqua. Poi ho acceso il
fuoco bassissimo e ho lasciato sobbollire per circa un’ora.
Ho
scolato i pezzettini, li ho fatti intiepidire e li ho pesati. Ho
versato su di loro tanto zucchero quanto era il loro peso ed ho aggiunto
circa 200 ml di acqua. Ho rimesso sul fuoco bassissimo e ho lasciato
cuocere finchè l’acqua non era completamente asciugata. Qualcuno vi dà
misure ben precise per l’acqua da aggiungere. Io ho visto che la prima
quantità d’acqua si era asciugata ma lo zenzero era ancora scuro, allora
ne ho aggiunto un po’ e ho fatto caramellare di nuovo. Bisogna
regolarsi con il buonsenso.
Poi si prelevano i pezzettini con una forchetta e si mettono ad asciugare su una griglia.
Infine si rotolano nello zucchero semolato e si conservano in un barattolo di vetro, lontano dall’umidità.


Per i biscotti:
330 g di farina 00
1 cucchiaino di lievito per dolci
230 g di zucchero
2 uova
40 g di burro
1 cucchiaio di marsala
20 g di zenzero candito
30 g di cioccolato fondente (il mio era al 70%)


Il procedimento è molto semplice.
Ho disposto la farina a fontana in una ciotola capiente. L’ho miscelata con il lievito per dolci,  lo zucchero, le uova e il marsala. Ho cominciato ad impastare con un cucchiaio.
Ho aggiunto anche il burro fuso e intiepidito.
Quando l’impasto ha raggiunto una certa consistenza l’ho rovesciato sulla spianatoia e l’ho impastato a mano.
L’ho appiattito  e vi ho versato lo zenzero candito, impastando per distribuirlo
Per ultime si aggiungono le scaglie di cioccolato fondente, tenute in frigo fino all’ultimo.
Si formano dei rotoli di impasto, larghi circa 5 cm.
Si infornano su carta forno per circa 20 minuti a 175°.
Poi si prelevano e si tagliano in diagonale a fette di 1,5 cm di spessore che si ri-infornano per tostare. Ci vogliono circa 10 minuti.



Lo zenzero emerge senza essere troppo forte e piccante nei biscotti, si sposa a meraviglia con il gusto caldo del fondente. L’abbinamento con il Pu Erh maturato in scorza di mandarino è forse tra i più azzeccati finora. Il mandarino nel tè è un’idea, un’aria che si percepisce per brevi istanti, a ogni sorsata, e lascia un persistente aroma di agrumi leggero leggero. La dolcezza è resa appena più pungente dal vago sentore di affumicato che caratterizza i Pu Erh.

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Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme

 L’usanza degli inglesi di prendere il tè alle 5 pare sia nata con Anna Maria Stanhope, duchessa di Bedford, che per superare lo stacco tra pranzo e cena prese l’abitudine di consumare la bevanda con i biscotti a metà pomeriggio.

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Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="facebook-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="twitter-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" class="googleplus-share"> Il tè all’inglese e i pasticcini con curd all’arancia e cannella La tradizione del té all'inglese: esploriamola insieme" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/02/2012_02_22-biscotti-mais-curd-arancia-e-darjeeling-%281%29-564x660.jpg" class="pinterest-share">
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Carabaccia, la zuppa di cipolle alla fiorentina Da Firenze fino in Francia, le cipolle in una versione storica

Questa strana parola – carabaccia – deriva dal greco karabos che significa “barca a forma di guscio”. Da qui il termine è passato al significato di “contenitore concavo”. Nel ‘500 la carabazada era la zuppiera e per estensione indicava anche la zuppa che ci stava dentro e proprio con questo termine la nominava Cristoforo Messisbugo nel suo famoso ricettario. Read more
Carabaccia, la zuppa di cipolle alla fiorentina Da Firenze fino in Francia, le cipolle in una versione storica" class="facebook-share"> Carabaccia, la zuppa di cipolle alla fiorentina Da Firenze fino in Francia, le cipolle in una versione storica" class="twitter-share"> Carabaccia, la zuppa di cipolle alla fiorentina Da Firenze fino in Francia, le cipolle in una versione storica" class="googleplus-share"> Carabaccia, la zuppa di cipolle alla fiorentina Da Firenze fino in Francia, le cipolle in una versione storica" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/02/carabaccia_ridotta_1.jpg" class="pinterest-share">
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Cuori al tè e cuori di tè…verde

Foglie e fiori della Camelia Sinensis
Oggi voglio parlare di tè verde. Dopo secoli in cui in Occidente solo il tè nero la faceva da padrone, negli ultimi anni il consumo di tè verde si è andato sempre più diffondendo.
In realtà il tè verde deriva esattamente dalla stessa pianta, la Camelia Sinensis, ciò che cambia è la preparazione delle foglie per l’infusione. In pratica le foglie raccolte vengono subito lavate a vapore ed essiccate, non vengono fatte fermentare e in questo modo restano verdi. L’infuso che ne deriva è più delicato e fresco, non particolarmente strutturato e dal gusto tendente all’erbaceo. Il colore è più chiaro, giallino, a volte tendente al verde anche in tazza, come nel caso del matcha giapponese.
In Oriente il tè verde è il più utilizzato, in Giappone ad esempio il tè nero viene riservato agli Occidentali mentre quello verde è bevanda nazionale, più bevuto dell’acqua. E proprio da qui è partito l’input per una scoperta sorprendente.
In Giappone, paese di accanitissimi fumatori, il tumore al polmone è poco incidente. Questo fatto è stato messo in correlazione con il forte consumo di tè verde e dopo analisi e ricerche è stato effettivamente dimostrato che nella bevanda è presente un polifenolo in grado di rallentare la crescita di masse tumorali. Non è l’unica proprietà, in quanto è dimostrato anche che i flavonoidi contenuti nel tè verde proteggono dall’infarto, così come i disturbi circolatori e cardiovascolari sono meno incidenti nei forti bevitori di tè.
In ultimo questo tipo di tè contribuisce ad attivare la  flora batterica intestinale e aiuta a dimagrire, perché aumenta la velocità con cui l’organismo riesce a bruciare i grassi. Questo ultimo effetto non è dovuto alla teina, come si potrebbe pensare, che invece in questo tipo di tè è meno incidente che nel tè nero, ma alle catechine che aumentano naturalmente la termogenesi e il consumo di calorie… una ragione per concedersi un biscotto in più! 😉
Bersagliati da tutte queste informazioni salutari, l’unica cosa che resta da dire è che il tè verde è anche buono. Piace a chi ama gli infusi delicati e freschi e diventa una vera golosità se “corretto” con qualche semino di vaniglia.
L’infusione consigliata per i tè verdi è a temperatura relativamente bassa, circa 75° C, e l’acqua non va versata direttamente sulle foglie per non “bruciarle”.

La merenda del giorno di San Valentino è stata l’occasione giusta per provare i cuori di tè dell’Azienda Ferri. Vengono inviati in una scatolina nera e, dopo la prima sorpresa iniziale, scopro che si tratta semplicemente di tè pressato, senza l’aggiunta di alcun additivo. La pressatura è un metodo antico, utilizzato da sempre dai mercanti per un trasporto più comodo e per proteggere il tè dall’umidità che l’avrebbe rovinato. Oggi la pressatura si utilizza per dare una forma originale al tè e l’Azienda Ferri commercializza molte eleganti tipologie di tè confezionate in questo modo.
Per ciò che riguarda i cuori, sono disponibili sia di tè verde sia di tè nero. La presentazione è deliziosa se vengono messi sul piattino, accanto alla tazza.

Io ho messo l’acqua in una teiera e poi ho immerso il cuoricino di tè per ottenere una buona tazza di infuso giallino e profumato. 

Mi è sembrato naturale accostare a questo tè verde in tazza a una ricetta di biscotti già provati altre volte, ovvero i biscotti al tè verde, con l’aggiunta di mandorle tritate.
Il gusto erbaceo del tè verde si sposa benissimo con la delicatezza delle mandorle e fa sì che nessuno dei due gusti sia predominante sull’altro.

La ricetta: Cuori al tè verde e mandorle

Ingredienti:
50 g di farina
50 g di maizena
30 di mandorle spellate e tritate
60 g di burro
60 g di zucchero di canna
1 tuorlo
1 cucchiaino di latte
2 cuori di tè verde sbriciolati

Ho lavorato il burro con lo zucchero di canna, fino a formare una crema.
Ho aggiunto i cuoricini di tè verde sbriciolati e poi ho cominciato ad incorporare maizena e farina e man mano anche il tuorlo sbattuto con un pizzico di sale. Poi ho aggiunto le mandorle tritate finemente e per lavorare meglio l’impasto ho aggiunto anche un cucchiaino di latte.
Alla fine l’impasto era abbastanza morbido e l’ho lasciato riposare coperto per circa un’ora in frigo.
Trascorso questo tempo ho fatto scaldare il forno a 180°.
Ho steso la pasta con il mattarello dell’altezza di circa mezzo centimetro e ritagliato i biscotti usando due formine a cuore di diversa grandezza.
Ho infornato e lasciato cuocere finché i bordi non erano leggermente dorati, nel mio caso circa 10-12 minuti.

biscotti, dolci, storia & cultura

Chocolate Crinckle Cookies e Pu Erh 2007 L'appuntamento con il té delle cinque e con i biscotti più buoni del web

Già da tempo avevo voglia di instituire una rubrica, un appuntamento fisso del blog.
Occorreva ragionare su qualcosa che piace “quasi” a tutti…e che fosse una vera e propria coccola, una pausa speciale dagli impegni della giornata…ho pensato alla merenda…ai biscotti, a qualche delizia da sgranocchiare.
Lo sapete che il cervello si sazia con il rumore della croccantezza? Questo vuol dire che mangiare un biscotto croccante dà un senso di sazietà maggiore del far sciogliere un cioccolatino sulla lingua…Poi, potendo, farei entrambe le cose!! 😀
Naturalmente per non snaturare l’intento iniziale del mio blog, che spesso perdo di vista, occorreva un filo conduttore forte e ricco di spunti “culturali”. L’accostamento migliore per un buon biscotto è una calda e profumata tazza di tè, che di per sé rappresenta già da sola un tema molto complesso ed infinitamente sfaccettato.

 

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ai fornelli, ricette originali, ricette tradizionali, storia & cultura

Piccole Pavlove con crema al caffé

La storia della Pavlova è raccontata su quasi tutti i foodblog di coloro che si sono cimentati nel prepararla. 
Anna Pavlova fu una bella e leggiadra ballerina russa che, a inizio secolo scorso, incantò con la sua nuvola di tulle un pasticcere australiano di Perth che l’aveva vista esibirsi ne La Morte del Cigno. In suo onore il pasticcere inventò la Pavlova, un dolce di meringa che resta soffice all’interno grazie all’azione dell’aceto.
I Neozelandesi però se ne attribuiscono anche loro la paternità! E forse potrebbe essere pur vero, visto che una “Meringa ripiena alla frutta” compare in un ricettario neozelandese del 1926, lo stesso anno del tour australiano di Anna Pavlova.
Certo è che la leggiadria della ballerina colpisse davvero i suoi spettatori, fino al punto di paragonarla ad una soffice meringa. La Pavlova rivoluzionò il mondo del balletto russo. Fino ad allora le ballerine erano state molto forti fisicamente e, per questa ragione, decisamente tozze. La Pavlova era invece magra ed eterea. Da subito fu adatta ai ruoli romantici del balletto ottocentesco, ma proprio per l’eleganza delle sue caviglie dovette ricorrere ad un accorgimento: aggiunse una striscia di cuoio alla suola delle sue scarpette perchè offrissero un maggior sostegno. Si può dire che la Pavlova inventò le moderne scarpette da danza, oltre che darci la scusa di gustare un dolce scenografico e squisito.
Quanto è bello vedere persone sazie che assaggiano il dolce per cortesia anche se non ne avrebbero voglia, dopo un lauto pranzo e che poi lo mangiano con gusto, nonostante tutto, perché lo trovano irresistibile?
E’ quello che è successo con queste mini pavlove, la cui crema è davvero deliziosa. E se qualcuno ha detto: <<Vabbè, per me solo metà>>, alla fine se l’è pappata tutta!!

La pavlova, se divisa in porzioni perde un poco della magia, perché le fette vengono irregolari e si frantumano in bricioline di meringa. Ho pensato di aggirare il problema creando delle pavlove monoporzione che arrivassero belle intere e intatte a ciascun commensale.
Per il ripieno mi sono lanciata in una crema al mascarpone che ricordasse per consistenza e sapore il tiramisù. Una bomba di calorie ma che esplode dolcemente.

La ricetta: Pavlova al cacao con crema al caffè
Per le basi:
4 albumi (circa 140 g di albume)
205 g di zucchero
1 cucchiaino scarso di maizena
1 cucchiaio scarso di aceto bianco
1 cucchiaio colmo di cacao amaro

Ho scaldato il forno a 170° e ho disegnato sulla carta da forno i quadrati per le miniporzioni che volevo realizzare
Ho montato gli albumi a neve, poi ho aggiunto lo zucchero a pioggia, poi l’amido di mais e infine il cucchiaio d’aceto sempre continuando a montare; per ultima ho versato una cucchiaiata abbondante di cacao amaro.
Ho versato la meringa nella sac à poche, il composto era molto compatto. Ho  ricavato prima le basi e poi sul contorno di esse ho fatto altri giri di meringa fino a formare delle specie di coppette. (Con queste dosi ho fatto 8 coppette e tante piccole meringhette, ma si possono fare anche una decina di coppette, bisognerà però aumentare le dosi della crema!)
Ho infornato e abbassato immediatamente il forno a 140° C e lasciato cuocere per 1 ora, abbassando a 120° C verso la fine.
Poi ho lasciato raffreddare nel forno leggermente socchiuso.
Se riuscite preparatele la sera prima così avranno tutto il tempo di raffreddarsi bene!!

Per la farcitura:
200 g di mascarpone
1 albume
2-3 gocce di aceto
3 cucchiai di zucchero
uno sciroppo fatto con: 50 ml di acqua, 5 g di caffè solubile, 50 g di zucchero

Ho preparato lo sciroppo portando ad ebollizione l’acqua, il caffè solubile e lo zucchero in un pentolino e facendolo poi ridurre sempre mescolando. Verrà un bel po’ di sciroppo che dovrete poi dosare a seconda di quanto vorrete “caffettosa” la crema.
Ho fatto intiepidire lo sciroppo ed intanto ho montato a neve l’albume, quando era già bianco ho aggiunto lo zucchero e poi l’aceto.
Intanto lo sciroppo si era raffreddato e ho cominciato ad aggiungerlo al mascarpone, lavorandolo nel contempo con le fruste. Lo sciroppo non va aggiunto tutto, ma man mano fino ad ottenere la consistenza e la dolcezza giuste. Quello che avanza può essere conservato in frigo per altre preparazioni.
Una volta che il mascarpone era consistente ma più cremoso, ho miscelato l’albume montato con lo zucchero, facendo attenzione a non smontarlo.
Con questa crema ho riempito le coppette di meringa-pavlova e ho completato con granelli di caffè solubile mischiato a granelli di zucchero.
Con questa ricetta partecipo alla raccolta Piccola Pasticceria: Macarons e Meringhe di Ann del blog BperBiscotto.
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Pasta fagioli e castagne

 

Gennaio,
come novembre, è il mese delle zuppe e delle paste brodose. Dopo
Natale, e prima del Carnevale, ci si dà dentro con piatti caldi,
sani e verdurosi… e la lista dei post “zupposi” da pubblicare
si allunga.

L’idea
della pasta e fagioli con le castagne mi è venuta dal classico
piatto napoletano che pare sia diffuso in tutta l’Italia meridionale. In Sicilia si chiama pasta con fasuoli e cruzzitieddi  e si prepara con i borlotti e le castagne secche.
Nel Cilento fin dall’antichità si prepara una zuppa sempre con le castagne secche, rinvenute in acqua per una notte, ma
in abbinamento ai fagioli di quella zona, di preferenza i
bianchi di Controne, coltivati verso l’interno, nelle zone più ricche
d’acqua.

Io
ho usato delle castagne fresche semplicemente lessate e aggiunte alla
pasta alla fine. L’accostamento del sapore sapido del fagiolo con la
dolcezza vellutata della castagna è veramente qualcosa da provare, la
prossima volta senza l’aggiunta della pasta, semplicemente come calda e 
profumata zuppa.

La ricetta: Pasta fagioli e castagne
(per 2 persone)
250 g di fagioli lessati
6-8 castagne (le mie fresche)
1 bicchiere di brodo di verdure (preparato con acqua, olio, patata, cipolla, aglio, sedano, carota)
1 scalogno piccolo
3 pomodori secchi
1 spolverata di foglioline di timo
1 peperoncino spezzettato
sale 
pasta (5 cucchiai di maltagliati)

Ho
lavato le castagne e le ho incise con la punta di un coltello sul lato
piatto e poi private della buccia marrone. Le ho messe a cuocere in un pentolino d’acqua per circa un’ora con un pizzico di sale, una foglia di lauro e un cucchiaino di semini di finocchio.
Le ho fatte raffreddare nella loro acqua e poi sbucciate dalla pellicina più sottile.
In una casseruola ho fatto soffriggere uno scalogno tagliato fine in due cucchiai d’olio. Ho aggiunto il peperoncino, i fagioli e i pomodori secchi, facendoli rosolare. Poi ho aggiunto il timo per profumare e un bicchiere di brodo filtrato e due bicchieri colmi d’acqua ed ho portato ad ebollizione. Poi ho aggiunto a cuocere la pasta, nel mio caso 5 cucchiai di maltagliati.
Ho sbriciolato grossolanamente le castagne e ne ho tenute da parte due intere.
Quando la pasta era cotta ho regolato di sale e suddiviso nelle scodelle ed ho aggiunto le castagne sbriciolate e quella intera per decorare.

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