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Friends of Glass e confettura di mele allo zenzero

Da qualche giorno sul mio blog c’è un simbolino in più!
Cosa significa? Che sono diventata una Glass Ambassador, per pubblicizzare l’utilizzo del vetro, e il riciclo di questo prezioso materiale che può essere riutilizzato all’infinito.
Sul mio blog mi occupo di cucina e quindi non posso far di meglio che pubblicizzare l’utilizzo del vetro in cucina.
Ci sono mille modi: gli albumi, ad esempio, si possono montare molto meglio in una ciotola di vetro perfettamente pulita e sgrassata piuttosto che in una di plastica che più facilmente può trattenere molecole di grasso.
E le conserve? Il vetro è il contenitore ideale e in questo caso si possono riciclare i barattoli già utilizzati, ben lavati e sterilizzati per altre migliaia di volte! 
E avete mai visto i cibi che vengono serviti in barattolo? Insalate, zuppe, creme dolci… vedere il cibo attraverso la trasparenza di un barattolo di vetro lo rende accattivante ancora prima dell’assaggio e gli regala in più un gusto casalingo e al tempo stesso raffinato.
Per l’occasione ho creato una nuova pagina sulla quale raccoglierò tutti i link delle mie ricette che prevedono l’utilizzo di contenitori di vetro, di curiosità trovate in rete, con i relativi credits e infine non escludo di poter fare anche qualche piccolo lavoretto di bricolage per dare qualche idea “vetrosa” per decorare la tavola!!
Vi rimando all’interessantissimo sito Friends of Glass per tante altre informazioni utili sul vetro e sul suo utilizzo e riciclo .
Per ora vi regalo una ricetta che ho confezionato in vetro, riutilizzando vecchi vasetti di miele, e preparando al vasetto un semplice cappellino di carta da pacchi e un’etichetta dello stesso materiale. Basta togliere le vecchie etichette con acqua bollente e creare un cappellino per camuffare il coperchio e i vasetti, che hanno già avuto molteplici vite, rinascono per diventare doni davvero graziosi.
La ricetta: Confettura di mele verdi e zenzero.
1,5 kg di mele verdi
zucchero
il succo di mezzo limone
radice di zenzero fresco grattugiata ( a piacere)
Ho sbucciato le mele, lasciando poi la buccia di mezza mela tagliata a pezzettini sottili.
Ho pesato la frutta e ho aggiunto la metà del peso in zucchero. (per 1 kg di mele, 500g di zucchero)
Ho aggiunto il succo di mezzo limone e la radice di zenzero grattugiata.
Ho lasciato macerare per un’oretta, poi ho messo sul fuoco, ho aggiunto mezzo bicchiere d’acqua e ho portato ad ebollizione mescolando ogni tanto. Poi mescolando in continuazione ho lasciato cuocere e asciugare per circa 15 minuti.
Le mele verdi sono piuttosto asciutte e quindi di solito non si disfano, ma rimandìgono a cubetti definiti, quasi caramellati.
Ho subito invasato nei vasetti sterilizzati e ben asciutti. Ho versato un goccino di grappa sulla sommità della marmellata e chiuso ermeticamente.

Questa confettura si abbina bene ai formaggi, ma è anche ottima da sola.

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La mia pastiera napoletana e la sua storia

La pastiera è il dolce campano della Pasqua per eccellenza. In questi giorni tutte le signore campane più tradizionaliste hanno già fatto la pastiera. Di solito viene preparata il giovedì o il venerdì santo.
La storia della pastiera è davvero antica e meravigliose sono le leggende ad essa legate. Per questa ragione, pur trovando questo dolce un po’ troppo corposo per i miei gusti, ho voluto provare a farlo ed il risultato mi ha sorpreso. Credo che sia una di quelle ricette dalla forte ritualità che una volta che vengono avvicinate e riprodotte in casa abbiano un risultato obbligatoriamente più saporito e accattivante di qualsiasi dolce “perfetto” e impeccabile dal punto di vista estetico.
L’ingrediente principale della pastiera napoletana è il grano cotto, un elemento fortissimo, dal punto di vista della simbologia pasquale. Il grano che “muore” e dà la spiga e ancora i piccoli chicchi di grano, che messi tutti insieme, fanno una cosa buona: le immagini preferite dal cattolicesimo.
Nella pastiera però intervengono altri elementi forti: sono sette gli ingredienti salienti di questo dolce.
Si narra che anticamente le popolazioni del golfo di Napoli alimentassero il culto della sirena Partenope, offrendole doni in cambio di correnti marine favorevoli. Ogni primavera la sirena emergeva dalle acque allietando i napoletani con il suo canto melodioso. Una volta sette uomini erano partiti in mare e avevano trovato una tempesta, ma la sirena, memore del’amicizia con la città di Napoli, li riportò a terra sani e salvi. Sette donne, spose di questi marinai, vollero ringraziare la sirena Partenope e le portarono in dono, sulla riva del mare, i sette più preziosi doni della loro terra: il grano, la ricotta, le uova, i fiori d’arancio, lo zucchero, le spezie e la frutta candita.
La sirena prese tutti questi doni e li pose al cospetto degli dei. Il giorno seguente i napoletani trovarono sulla spiaggia la pastiera, confezionata proprio con tutti questi ingredienti preziosi.


Questo narra la bellissima leggenda; di per certo si sa che la pastiera esisteva ed era diffusa nel ‘600, poiché lo scrittore Gianbattista Basile la cita nella sua favola “La gatta Cenerentola”, molto simile alla fiaba di Perrault. La pastiera con il casatiello fa la sua comparsa durante il banchetto offerto dal re per trovare la proprietaria della scarpetta perduta.


Sul sito Pastiera trovo anche questi bei versi in rima, con la storia legata a Maria Teresa d’Austria e al Re Ferdinando di Borbone:


A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”

 

Maria Teresa era soprannominata “la regina che non ride mai” ma pare che un giorno, assaggiando per la prima volta la pastiera, schiuse  le labbra in un sorriso. Il marito Ferdinando di Borbone ordinò che la Pastiera venisse servita più spesso in tavola, almeno per veder ridere la moglie ogni tanto!!

Per la cronaca, la prima delle nostre piccole pastiere ha fatto sorridere anche noi! 😉
Per vedere come sono venute le altre 4 aspettiamo domani, quando ci saranno anche alte foto!
 

La ricetta: Pastiera Napoletana (con queste dosi ne ho fatte cinque: tre piccole, quadrate, di 15 cm di lato e altre due tonde di 20 cm di diametro. Non ho fatto il ripieno molto alto. Queste dosi vengono anche indicate per una grande pastiera di 36 cm di diametro)

Per la pastafrolla:
500 g farina
250 zucchero
250 burro
2 uova

Per il ripieno:
580 g grano cotto
400 g latte intero
480 g ricotta vaccina (la tradizionale è quella di pecora)
450 zucchero
5 uova
2 fialette di acqua di fiori d’arancio (o 2 cucchiai e mezzo se avete la boccetta grande)
70 g di macedonia candita (o di cedro)
1 cucchiaino colmo di cannella

Ho preparato la pastafrolla e l’ho messa a riposare in frigo per 1 ora.
Ho fatto sobbollire il grano con 250 g di latte per almeno dieci minuti. Poi ho aggiunto una fialetta di acqua di fiori d’arancio e la cannella e ho lasciato raffreddare.
Ho stemperato la ricotta con i restanti 150 g di latte, fino a farla diventare cremosa, poi ho aggiunto la seconda fialetta di acqua di fiori e i canditi.
Da parte ho sbattuto le uova con lo zucchero, poi ho miscelato i tre composti: grano, uova e ricotta.
Ho steso la pasta frolla per la prima teglia, l’ho riempita di composto lasciando circa 1 cm e mezzo di bordo, poi ho ricavato delle striscioline di pasta per formare una griglia come con la crostata. Le strisce vanno appoggiate delicatamente sull’impasto che sarà piuttosto liquido.
Poi ho infornato la prima pastiera (tonda) a 180° per circa 50 minuti.
Nel frattempo ho preparato le altre, aspettando all’ultimo per disporre le striscioline sopra. Quelle quadrate sono andate in forno in due, sempre a 180° per 40 minuti.

La pastiera va fatta raffreddare molto bene e poi cosparsa di zucchero a velo prima di servire. Si conserva in frigo e durante i giorni che precedono Pasqua i suoi aromi si bilanciano perfettamente: per la domenica sarà perfetta!!
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Lo Tsoureki, il pane greco con l’uovo rosso Un pane decorato con un uovo rosso, ricco di simbologia e di tradizione

Pasqua e uova vanno a braccetto. Così come nella simbologie dello tsoureki.
L’uovo rappresenta la rinascita e la primavera in cui tutto fiorisce e dà vita.  Chissà da quanti secoli si usava regalare uova come buon auspicio di fecondità e ricchezza nel raccolto e nelle nascite di bestiame, molto prima dell’avvento dei riti cristiani della Pasqua.
 

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Tortine al cioccolato e peperoncino con farina di grano saraceno

Il Manicaretto.it da anni pubblica ricette per tutti gli appassionati di cucina. Quest’anno si è reso promotore di un’iniziativa benefica dedicata a coloro che del cibo non riescono più a godere, ovvero a chi soffre di disturbi alimentari, di anoressia e bulimia. Per queste persone il cibo è un nemico e ha perso la sua funzione di veicolo di ricordi e di calore.
Per recuperare questa dimensione e per fare un passo in questa direzione, Il Manicaretto.it ha chiesto a 21 tra le migliori foodbloggers italiane di recuperare dai cassetti della memoria una ricetta dolce e un dolce ricordo ad essa legato, con cui comporre un ebook il cui ricavato andrà all’associazione La Bici di Rosalina Onlus, che lo impiegherà per informazione, prevenzione e orientamento terapeutico sulla tematica dei disturbi alimentari. Qui trovate le informazioni sull’iniziativa.

Anche i lettori sono stati chiamati in causa e chi voleva poteva inviare una propria ricetta da inserire nella pubblicazione e naturalmente non potevo mancare!

Ho pensato alle serate davanti a un bel film, sul divano, con il mio Amore, mentre sgranocchiamo qualche quadretto di cioccolato; ho pensato al peperoncino che molto spesso dà un tocco di calore in più alle nostre cene… e ho preparato queste tortine, semplici e insieme speciali; vanno bene per il dopocena o per la colazione e, a seconda di come le si vuole completare, possono essere leggerissime o più strutturate.
Negli ingredienti c’è la panna, che può anche essere sostituita con yogurt intero, e l’olio di mais al posto del burro.
Per renderle più leggere ho usato la farina di grano saraceno, un cereale che è naturalmente senza glutine; così sono adatte a tutti, ma proprio a tutti!

La farina di grano saraceno, naturalmente senza glutine, rende gli impasti particolarmente leggeri, evanescenti e friabili. Per questa ragione queste tortine sono delicate e a rischio rottura, ma anche straordinariamente piacevoli all’assaggio.
Il peperoncino non si percepisce immediatamente, non è pungente, ma scalda la bocca dopo qualche istante.
Le tortine sono adatte ad essere ricoperte di zucchero a velo o da uno strato di glassa oppure da un frosting più corposo. O ad essere decorati da qualcosa di dolce, ad esempio un pupazzetto di marshmallow fondant, visto che Pasqua è alle porte, io ci ho messo un coniglietto.

La ricetta: Tortine al cioccolato e peperoncino con farina di grano saraceno

100 g di cioccolato fondente (70% cacao)
2 cucchiai di latte
40 ml olio di mais
75 ml di panna
1 uovo grande
125 g di farina di grano saraceno
110 g di zucchero
1 cucchiaino di lievito in polvere per dolci
1 cucchiaio colmo di cacao in polvere
½ cucchiaino di peperoncino in polvere o macinato finissimo

Ridurre in scaglie il cioccolato fondente e farlo sciogliere a bagnomaria con il latte.
Farlo intiepidire, poi mescolarlo in una terrina con l’olio di semi, la panna e l’uovo.
In un’altra terrina miscelare la farina di grano saraceno con lo zucchero, il lievito, il cacao in polvere e il peperoncino in polvere.
Mescolare insieme, rapidamente, i due impasti, fino ad ottenere un impasto omogeneo, ma senza mescolare troppo a lungo. Dividerlo in sei pirottini da muffin e infornare in forno già caldo a 170° per 20-25 minuti.

Si possono spolverare semplicemente di zucchero a velo o pennellare con una glassa fatta con due cucchiai d’acqua e 75 g di zucchero a velo, o ricoprire con un frosting a base di formaggio cremoso e zucchero.

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Pulcini nell’uovo

L’ho fatto anch’io!! Impazzano su molti blog (tra i molti questi bellissimi di Giulia) e anch’io non ho resistito a provare a farli…
Io ho fatto le classiche uova ripiene, prelevando i tuorli sodi e miscelandoli con altri sapori, scegliendo di non usare la maionese, così sono più leggere!
I pulcini nella foto sono tutt’altro che avvenenti, ma la ricetta del ripieno è davvero buona!! 

La ricetta: Uova ripiene a forma di pulcino

6 uova
2 filetti di acciuga
100 g di tonno sott’olio
50 g di robiola
5/6 capperi

Ho rassodato le uova con 8 minuti di cottura, dopo che avevano raggiunto il bollore.
Quando erano tiepide le ho sbucciate e ho tagliato la calottina superiore, guardando in controluce dove fosse il tuorlo, in moda da facilitarne l’estrazione.
Ho messo da parte le uova svuotate del tuorlo e le calottine.
Ho frullato nel mixer i tuorli sodi sbriciolati, il tonno schiacciato con la forchetta, i capperi, le acciughe e la robiola, formando una crema densa e non troppo fine, qualche pezzettino di tonno si deve sentire. Se serve per emulsionare aggiungere un filo d’olio.
Con la crema ho riempito i bianchi precedentemente svuotati, mettendo in cima le calottine, e li ho adagiati tutti su foglie di verdura lessata. Avanzerà un po’ di ripieno, che è ottimo anche nelle foglie di indivia belga.
Con pezzettini di carota e di olive nere ho fatto becchi e occhi dei pulcini.

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Cipolla finalista nella Carabaccia!

Un mese e mezzo fa ho cucinato questo piatto particolarissimo, la Carabaccia Fiorentina, con cui ho partecipato al contest di Cuoco per Caso che aveva come protagonista la Cipolla in tutte le sue forme.
Ieri ho scoperto con grande piacere che la mia ricetta è entrata a far parte delle dieci finaliste cipollose.
Se avete apprezzato la mia ricetta, mi votate sul blog di Cuoco per Caso? Trovate l’elenco delle finaliste sulla colonna di destra del suo blog. Basta un click e potete anche selezionare più ricette!!

Grazie a tutti! 😀

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I Läckerli di Basilea e il Pu Erh alle spezie

Per il Tea Time di questa settimana ho scelto un tè profumatissimo. Si tratta di una miscela di Pu Erh con diverse erbe e spezie: vi troviamo finocchio, anice, semi di cardamomo, pepe nero, cannella di ceylon, zenzero a pezzi e chiodi di garofano. Già all’apertura del sacchetto il profumo delizioso riempie l’aria, quando poi si mette in infusione è davvero un concerto di profumi diversi perfettamente equilibrati. Mentre
l’acqua si colora, i profumi si evolvono sempre più e se all’inizio è
più pungente il chiodo di garofano, poi sboccia la freschezza dei semi
di finocchio e anice. All’assaggio il tè fa da direttore d’orchestra con il suo tocco che ricorda l’affumicato, rispondono tutti gli altri gusti perfettamente armonici.
Il suggerimento di Coccole è di gustarlo anche freddo e sicuramente ci proverò. Questa volta invece l’ho assaggiato caldo con un biscotto che avesse la forza di bilanciarlo.


Ho scelto i Läckerli [o Leckerli] di Basilea. Si tratta di biscotti antichissimi, tradizionali proprio della città svizzera sul Reno, che si trova quasi al confine tra Germania e Francia.
La leggenda legata alla loro nascita parla del 1431 e del Concilio di Basilea. Si dice che per ristorare i prelati dopo le giornate intense del concilio fu creato per loro questo nutriente biscotto. Altre storie narrano di una torta, fatta con questo impasto e dalla forma rotonda come il tamburo simbolo della città, già esistente a Basilea fin dall’antichità e preparato dai monaci. All’arrivo in città degli alti prelati, i monaci, detentori della ricetta, non fecero altro che aggiungere una buona quantità di spezie adatte alla classe sociale elevata dei partecipanti al Concilio.
La ricetta tradizionale prevede solo miele  e non zucchero, come veniva fatto nel 1431, e una glassa superficiale al kirsch.
La presenza di spezie e canditi rende questo biscotto molto vicino al panpepato e ad altri dolci nordici a base di spezie. La consistenza è morbida e, come mi è stato suggerito [grazie Silvia! ;)], visto che non ho mai assaggiato gli originali, è vicina al marzapane o al panforte.
Se fate un salto a Basilea, potete trovarli alla Läckerli Huus, dove vengono sfornati di continuo, e sappiate che sono davvero più buoni dopo uno o due giorni!!
Io ho variato leggermente la ricetta, mettendo buccia di limone e arancia al posto dei canditi e un goccino di grappa al posto del kirsch.
Le spezie di questi biscotti si sposano perfettamente con i profumi del tè Pu Erh alle spezie. Ci siamo avvolti, gustando questo abbinamento, in una profumata e calda nuvola di spezie!!


La ricetta: Läckerli di Basilea
Ingredienti (circa 30 pezzi):
70 g di zucchero di canna
30 g di miele
2 uova
1 pizzico di sale
125 g di nocciole e mandorle tritate (io circa 80 g di nocciole e 45 g di mandorle)
30 g di burro fuso intiepidito
scorza di mezzo limone
scorza di mezza arancia [oppure 30 g di canditi tritati]
1 cucchiaio colmo di spezie (cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano)
125 g di farina (o piccola percentuale di integrale)


In un recipiente ho mescolato insieme le uova con un pizzico di sale, lo zucchero e il miele e montato finché non sono diventi chiari.
Ho aggiunto le nocciole e le mandorle, il burro fuso e intiepidito, la scorza di limone e arancia e le spezie, mescolando bene. Chi vuole può aggiungere in questo momento i canditi.
A questo punto ho aggiunto la farina, mescolando per farla assorbire del tutto.
L’impasto risulta come quello di una torta non troppo liquida.
L’ho steso sulla teglia (22x26cm)foderata di carta da forno, livellandolo allo spessore di 1 cm o poco più.
Ho infornato a 180°, nella parte centrale del forno per circa 20 minuti.
Subito prima di sfornare, ho preparato una glassa con 75 g di zucchero a velo, due cucchiai d’acqua e 1 cucchiaino di grappa.
Ho steso la glassa con un pennello sul “läckerlone” ancora caldo avendo l’accortezza di tagliare mezzo cm di bordo esterno che risulta più cotto. In questo modo i biscotti verranno tutti uguali.
Dopo aver steso la glassa ho subito tagliato in rettangoli di 3×4 cm, e poi lasciato asciugare la glassa prima di riporli in una scatola di latta.

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Mezzelune ripiene di porro e patate al sugo di vongoline

Passa il tempo delle zuppe e arriva quello della pasta. Non che ci siano distinzioni così nette, ben inteso, ma in questa stagione che ci fa già assaporare un clima più mite e giornate che sembrano più lunghe – ma ahimè hanno sempre lo stesso numero di ore e di cose da fare che non riesco a fare per mancanza di tempo – viene voglia di cenare con una pasta insolita, ancora ricca come una pasta invernale, ma con un tocco di sapore di mare.
Così è nato questo abbinamento, con una pasta ripiena che è davvero facile da realizzare e un sugo che richiede davvero pochi minuti. Buonissima!!
La ricetta: Mezzelune ripiene di porro e patate al sugo di vongoline
Per la pasta:
150 farina
acqua q.b.
sale
Per il ripieno:
2 porri (la parte bianca)
1 patata media
maggiorana
timo
lauro
olio
sale
vino bianco
Per il condimento:
130 g (un barattolino) di vongole nella loro acqua (ci riproverò con le vongole fresche che stavolta non avevo a disposizione)
brodo vegetale
1 cucchiaino colmo di farina
olio 
sale
1 spicchio d’aglio
Ho fatto lessare la patata, sbucciandola prima. Poi l’ho schiacciata con una forchetta.
In una padella larga ho messo un filo d’olio e i porri tagliati a rondelle sottili, facendo loro raggiungere la rosolatura. Ho sfumato con il vino bianco e aggiunto gli aromi, lasciando poi ammorbidire sul fuoco per 7-10 minuti.
Ho mescolato i porri alla patata schiacciata, regolato di sale e lasciato intiepidire.
Ho preparato la pasta versando nella farina a fontana un pizzico di sale e acqua sufficiente a formare un impasto morbido ma consistente. Ho impastato per 5 minuti e poi fatto riposare, avvolgendo l’impasto in un panno.
Passata un’oretta ho steso l’impasto in una sfoglia sottile e ho ricavato con un coppapasta circa 24 cerchi. Al centro di ciascuno ho messo un cucchiaino colmo di ripieno e ho chiuso a mezzaluna schiacciando bene i bordi.
Ho preparato una padella con olio e un grosso spicchio d’aglio. L’ho fatto soffriggere per qualche minuto, poi ho aggiunto le vongole e poco dopo due dita di vino. Successivamente ho aggiunto un po’ di brodo vegetale in modo da coprire le vongole e ho fatto proseguire la cottura.
In una tazzina ho mescolato un po’ di brodo con un cucchiaino colmo di farina. Ho ricavato una pappettaliscia che ho tenuto da parte per qualche minuto.
Quando è giunto il momento di cuocere i ravioli, ho salato l’acqua bollente e ho versato le mezzelune ad una ad una. Poi ho aggiunto la pappetta di brodo e farina prima messa da parte al brodino di cottura delle vongole. Ho mescolato bene e ho spento.
Dopo qualche minuto i ravioli erano cotti e tutti a galla. Li ho estratti con delicatezza e li ho messi nella padella larga del condimento. Ho fatto riscaldare il sugo per qualche istante e poi ho composto il piatto.

Se i porri vi piacciono provate questi ravioli perchè sono stra-buoni!!! 😀

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Torta Monferrina Bocca di Dama

Ho perso per un attimo il filo del blog… in effetti non pubblico dal 19 marzo, ma sono stati giorni intensi, comprensivi di una torta su commissione che mi ha fatto venire voglia di provare a dedicarmi un po’ di più alle decorazioni. Di norma preferisco le torte al naturale, dall’aria un po’ rustica e tradizionale, ma in effetti affinare un po’ la mia manualità in previsione di qualche torta di compleanno o per ricorrenze particolari non sarebbe male!
Nel frattempo pubblico una ricetta “classica”, una torta tradizionale sulla quale non sono riuscita a reperire molte informazioni.
Si tratta della Torta Monferrina-Bocca di Dama. Non bisogna confonderla con altre torte chiamate Bocca di Dama e preparate con le mandorle tritate. 
Questo è un dolce tipico piemontese, che in realtà in tanti anni non avevo mai avuto la fortuna di incrociare in nessun locale né agriturismo piemontese. Si prepara indifferentemente sia con le pesche sia con le albicocche sciroppate. E’ un dolce abbastanza rapido, ma dal sapore intenso e avvolgente, adattissimo per chiudere il prazo della domenica.
La ricetta l’ho trovata sul blog Farina Lievito e Fantasia e l’ho leggermente modificata per le quantità degli ingredienti e le proporzioni.

La ricetta: Torta Monferrina Bocca di Dama
Io ho fatto una torta da 6-7 porzioni in uno stampo di 20 cm di diametro:
per la pasta frolla:
150 g di farina 00
65 g di burro
65 g di zucchero
1 uovo
la punta di un cucchiaino di lievito per dolci
per il ripieno:
80 g di amaretti secchi
pesche sciroppate (5 mezze pesche)
70 g di nocciole tritate
50 g di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di grappa
Ho impastato la pasta frolla con la ricetta che trovate qui. L’ho messa in frigo a riposare per circa 1 ora.
Passato il tempo ho steso la frolla su un foglio di carta forno leggermente infarinato e ho rivestito lo stampo lasciando un po’ di pasta sporgere oltre il bordo della teglia. Ho disposto sul fondo uno strato di amaretti (circa metà del totale) sbriciolati grossolanamente.
Poi ho messo uno strato di pesche messe a raggiera. Sopra le pesche ho sbriciolato gli amaretti restanti. Li ho bagnati con qualche cucchiaio di sciroppo mischiato al cucchiaio di grappa. Infine ho disposto uno strato di nocciole tritate grossolanamente.
Ho ripiegato la frolla che sporgeva verso l’interno creando un bel bordo rotondo e alto.
Ho sbattuto l’uovo con lo zucchero, fino a renderlo chiaro e gonfio. Ho versato il composto sopra le nocciole ed ho infornato subito a 175° per 30 minuti, controllando poi che il bordo fosse ben dorato.
Si può spolverare con un leggero strato di zucchero a velo.
E visto che l’ho portata dai miei “semi-suoceri”, l’ho pure impacchettata bene!! 😀
primi piatti, zuppe e vellutate

Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga

 
L’indivia è una delle verdure più dietetiche che esistano, ha solo 15 calorie per 100 g. Ha un sapore leggermente amarognolo, ma freschissimo. E’ l’ideale per fare il pieno di minerali, quali potassio, magnesio e fosforo.
Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="facebook-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="twitter-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" class="googleplus-share"> Vellutata di indivia belga al parmigiano con pere speziate e crostini La dolcezza delle pere, accostata all'amaro dell'indivia belga" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/03/2012_03_19-Vellutata-di-indivia_pere-speziate-%281%29.jpg" class="pinterest-share">
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Amaretti morbidi al limone e il tè nero Golden dello Yunnan

Questa settimana vorrei parlare di nuovo del tè in Cina e in particolare di alcune usanze legate a rapporti interpersonali e tè, per far comprendere quanto questa bevanda faccia parte della cultura cinese.
Troviamo il tè nel corteggiamento e nel matrimonio.
Fa parte della tradizione la proposta di matrimonio fatta con il tè. A casa della giovane viene inviato un intermediario che porti in dono alla famiglia delle foglie di tè. Se inizialmente venivano donate solo quelle, successivamente fra i doni ci furono anche abiti lussuosi, gioielli e bestiame. La famiglia della giovane prepara il tè e lo beve assieme all’ospite, ma è sulla ragazza che vengono puntati gli occhi: se lei berrà il tè accetterà il corteggiatore, se non lo berrà, il suo sarà un rifiuto.
La stessa famiglia può ricevere fino a quattro visite, ma se la ragazza non beve mai il tè , la proposta è stata rifiutata definitivamente.
Il tè torna in gioco durante la celebrazione del matrimonio nel  momento in cui marito e moglie dividono una tazza di tè che deve essere forte come il loro amore. Nella tazza vengono messi anche una noce di loto e un dattero rosso, simboli della fecondità e della felicità.
Un tempo la sposa andava a vivere, dopo il matrimonio, a casa dei suoceri ed ogni mattina le toccava servir loro il tè in segno di rispetto.

Offrire il tè indica riverenza anche in altri casi: chi reca offesa ad un anziano non ha altro modo di chiedere scusa se non offrire del tè in ginocchio; se l’anziano accetta le scuse, il tè viene bevuto insieme. Così accade per allievo e maestro in molte arti e discipline: bere il tè insieme significa accettare il nuovo discepolo.

Anche gli antenati vengono omaggiati con il dono del tè. Sul piccolo altare casalingo esso viene deposto assieme a frutta e incenso in onore dei cari defunti e degli dei.

Questa settimana ho scelto di degustare un tè nero Golden Yunnana di Coccole. Proviene dallo Yunnan, la regione cinese al confine con il Vietnam e il Laos e la Birmania. In questa regione montuosa si è cominciato a coltivare tè solo dal 1939, ma in breve tempo si è affinata la produzione e da qui oggi proviene il miglior tè della Cina.
E’ questo il tè che i cinesi accompagnano più spesso anche alle pietanze salate. In particolare è adattissimo con il pollo alle mandorle.
Io ho pensato di accompagnarlo agli amaretti morbidi, preparati con l’aggiunta di scorza di limone. La delicatezza di questo tè si sposa perfettamente con il sapore delle mandorle e il retrogusto leggero della buccia di limone. La nota tostata non è per nulla invasiva anzi si accorda perfettamente con l’evanescente retrogusto amarognolo dei biscotti.


La ricetta: Amaretti morbidi al limone

Per circa 24 amaretti:
110 g di mandorle spellate 

20 g di mandorle con la pelle (la ricetta prevedeva quella amare, ma non le ho trovate)
140 g di zucchero
buccia grattugiata di ½ limone non trattato
1 albume

Ho tritato nel mixer le mandorle, con la pelle e senza, con un paio di cucchiai di zucchero, ad intermittenza, senza far scaldare le lame.
Ho mescolato la farina di mandorle con lo zucchero restante e la buccia grattugiata del limone.
Ho montato l’albume a lungo, circa 7-8 minuti, aggiungendo poi gradualmente la farina, mescolando dall’alto in basso.
Ho coperto la scodella con pellicola e ho messo a riposare in frigo per una notte.
Il giorno seguente ho fatto delle palline e lo ho deposte distanziate sulla carta da forno. Gli amaretti in cottura raddoppiano di diametro.
Ho infornato a 160° per 15 minuti. Gli amaretti devono restare chiari per essere della giusta morbidezza, altrimenti raffreddandosi diventano croccanti.