Maiale e mele con spezie e noci in una crosta graziosa
Le torte di sfoglia ripiene dei più svariati ingredienti sono una preparazione molto antica. Abbozzate, ma mai valorizzate, in epoca romana, ebbero una vera esplosione nel Medioevo e indovinate un po’ da quale paese si diffusero in tutta Europa… dall’Italia, naturalmente, che in fatto di cucina ne sapeva già un bel po’. Le torte compaiono nel menù degli eremiti di Camaldoli già dal XII secolo e nel XIV sono dentro ai ricettari più diffusi. E se inizialmente sono torte di verdura in seguito diventano anche torte di carne e di formaggio e con la cucina rinascimentale anche l’involucro, che prima era semplicemente come un pentolino, diventa commestibile.
1 mela golden grande
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di zenzero in polvere
1 spruzzata di pepe
i gherigli di tre noci a pezzettini non troppo piccoli
vino bianco
sale
olio
Ho tagliato la carne di maiale a cubetti di 1,5cm di lato (più o meno) e l’ho bagnata con mezzo bicchiere di vino bianco.
Ho sbucciato la mela e tagliato a cubetti anche questa.
In una padella ho versato due cucchiai d’olio e ho fatto rosolare la cipolla e la mela per qualche minuto. Poi ho aggiunto il maiale, scolato, e dopo qualche minuto il suo vino bianco. Ho proseguito la cottura, facendo asciugare un pochino e nel frattempo ho aggiustato di sale, pepe e spezie e aggiunto le noci spezzettate. Tagliato a cubetti così piccoli, il maiale cuoce in un attimo.
Poi ho spento e lasciato in caldo, mentre preparavo i gusci di sfoglia.
Ho acceso il forno a 180°.
In ogni stampino da muffin ho messo un cerchio, un terzo del maiale e mele e ricoperto con il cerchio più piccolo, saldando bene i bordi. Poi ho bucherellato con uno stecchino da spiedini.
Quando erano pronti i tre pies, li ho infornati, giusto il tempo di far cuocere e dorare la sfoglia, circa 20 minuti.
A dieci minuti dalla fine della cottura ho aggiunto in forno anche una teglietta di cuoricini, tagliati con uno stampino da biscotti e decorati con i semini di papavero. (Ma andrebbe bene anche della paprika dolce o qualcos’altro che faccia colore).
Una volta sfornati, ho messo un pie in ogni piattino, e decorato con i cuoricini! <3 <3 <3
Se trovate la cosa un po’ sdolcinata…fate delle stelline, ecco! 😀
Con questa ricetta vorrei partecipare nella categoria “salati” al contest “Capolavori da Gustare” di Fujiko del blog “La ricetta della felicità” in collaborazione con ConGusto, scuola di cucina.
Oggi mi leggete anche qui!!!
Ringrazio Veru anche qui per le parole gentilissime che ha avuto per il mio blog. Mi hanno fatto davvero un piacere immenso e sono fonte di incoraggiamento per fare sempre meglio!!!
Mini pancakes alla salsa di mele speziata
Vellutata ai funghi con focaccine di segale alle noci
Funghi & noci…funghi & noci… mi sono ripetuta come un mantra per alcuni giorni, alla ricerca di un’idea carina…poi mi è passato di mente e me ne sono ricordata che il contest era quasi scaduto!!!
Si tratta di Piccola Bottega di Campagna del mese di ottobre di Ambra del Gattoghiotto, in collaborazione con Malvarosa Edizioni. Ogni mese Ambra sceglie due o tre ingredienti, rigorosamente di stagione, con i quali elaborare una ricettina a piacere. Il contest si rinnova di mese in mese con ingredienti sempre nuovi. Trovate tutti i dettagli qui e qui.
Io propongo una ricetta semplice, che è adattissima ai primi freddi che stiamo sentendo in questi giorni.
E’ una vellutata di funghi a cui aggiungo del formaggio spalmabile in vaschetta, per renderla più cremosa, al posto della solita panna, che è più grassa. Di base ho usato i funghi orecchione, che con una delicata stufatura diventano morbidi e perdono la loro caratteristica consistenza coriacea. Alla vellutata ho accompagnato delle focaccine di farina di segale con le noci, velocissime da preparare e cotte rapidamente in padella come fossero piadine. La ricetta da cui ho tratto spunto, l’ho trovata qui, ma io ho ottenuto un risultato più rustico e ruvido con la farina di segale e i pezzettini di noce.
Anche stavolta un piatto unico, sostanzioso, caldo e rassicurante come una coccola…
La ricetta: Vellutata di funghi con focaccine di segale alle noci
per la vellutata, per 2 persone:
400 g di funghi orecchione (Pletorus Ostreatus)
una manciata di funghi porcini essiccati
500 ml di brodo (preparato sul momento con una coscetta di pollo, mezza carota, mezza cipolla, una patata*, alcune foglie di verza, un piccolo gambo di sedano)
un grosso spicchio d’aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
un ciuffo di prezzemolo
un cucchiaio di formaggio spalmabile (tipo philadelhia)
olio evo
sale
pepe
*mezza di questa patata servirà anche per rendere cremosa la vellutata
Ho messo ad ammorbidire in acqua tiepida i porcini secchi.
In un pentolino ho messo a preparare il brodo, con gli ingredienti indicati, un cucchiaio d’olio e un cucchiaino di sale.
In una padella larga e dai bordi alti ho fatto soffriggere in due cucchiai d’olio il grosso spicchio d’aglio, pulito e tagliato a metà, poi ho aggiunto i funghi freschi ben lavati e la manciata di funghi secchi ammollati e strizzati.
Ho aggiunto dopo poco due dita di vino bianco, ho fatto sfumare e poi ho proseguito la cottura, aggiungendo man mano mestoli di brodo bollente.
I funghi orecchione sono coriacei e quindi perchè ben si possano ridurre a vellutata bisogna stufarli a lungo. Dopo un po’ ho aggiunto anche mezza della patata che stava lessando nel brodo e l’ho fatta insaporire con i funghi.
Nel frattempo ho preparato l’impasto per le foccacine.
Poi ho ripreso i funghi, ormai pronti e li ho messi nel mixer e ridotti a crema, aggiungendo il brodo avanzato ed eventualmente dell’acqua.
Poi ho versato il tutto in un pentolino e riscaldato solo al momento di servire, regolando di sale e di consistenza (eventualmente con ancora un pochino di acqua tiepida) ed aggiungendo un cucchiaio di formaggio spalmabile.
per le focaccine, ingredienti per 8-10 pezzi, diametro 6 cm:
125 g di farina per pane di segale
50 g di formaggio spalmabile (tipo philadelhia)
1 cucchiaio d’olio
circa 50 g di acqua
mezzo cucchiaino di sale
i gherigli di 4 o 5 noci
Ho impastato tutti gli ingredienti e formato una palla lavorabile a cui ho aggiunto le noci spezzettate grossolanamente.
Ho lasciato riposare per un quarto d’ora mentre frullavo la vellutata.
Passato questo tempo si divide l’impasto in palline, si stendono con il mattarello, infarinandole, e poi si cuociono in una padella, su cui avevo passato un tovagliolino imbevuto leggermente d’olio. Devono cuocere poco più di un minuto per lato e dorarsi leggermente.
Ho presentato il tutto in ciotoline, accompagnato dalle focaccine con una spolverata di pepe nero e un po’ di prezzemolo fresco tagliuzzato fine.
Concludo con la formula di rito: con questa ricetta partecipo alla Piccola Bottega di Campagna di ottobre di Ambra del blog Gattoghiotto, in collaborazione con Malvarosa Edizioni.
La pappa col pomodoro e il contest di La cucina di Barbara Una delle più popolari ricette toscane
La pappa col pomodoro è una delle più tradizionali ricette toscane, in realtà poco conosciuta e poco preparata fuori dai confini della regione.
La treccia di pane e il 6° World Bread Day

Cuocendo un pane non si risolve il problema della fame del mondo, ma è come porgere virtualmente una pagnotta a chi non ce l’ha.
Dopo dieci minuti di impastatura, durante i quali forse (dipende dall’umidità dell’aria) occorre aggiungere ancora qualche cucchiaio di farina, ho messo il sale sulla spianatoia e l’ho incorporato alla pasta, sempre impastando, continuando per almeno 5 minuti.
Cuori di raviolo alle melanzane
ma rimane sconosciuta o ignorata in area greca e romana. Il suo nome
presso di noi, infatti, deriva da parole arabe e non ha un nome in
latino o in greco. In sanscrito era detta vatingana, per i Persiani era batingan, vicino comunque alla nostra melanzana.
nordafricani durante l’invasione della Spagna; comparve in Andalusia
all’inizio del Medioevo e presto venne adottata dai popoli mediterranei,
mentre gli inglesi continuarono per secoli a coltivarne una qualità dal
frutto molto grosso, come pianta ornamentale.
melanzane sono legate a qualche idea di decadenza tropicale. Un
piatto turco di melanzane viene chiamato Imam Bayeldi, che significa
“l’Imam trapassato”. L’Imam in questione fu così sopraffatto dal
sapore glorioso di questo piatto servitogli dalle concubine, che morì
sul colpo.
In effetti il frutto acerbo contiene solanina, un veleno, come altre
piante appartenenti alla famiglia delle solanacee, come anche la
patata.
Melanzana – “mela insana” o “pomo sdegnoso” si trova anche nell’opera di Scappi.
volgare>> e il suo utilizzo era legato ad una cucina popolare:
<<mangiansi volgarmente fritte nell’olio con sale e pepe, come i
fonghi.>>
<<non devono essere mangiate se non da gente bassa o da
ebrei>>, una credenza che durò negli anni fino all’Ottocento.
<<erano tenuti a vile come cibo per gli ebrei>> ciò
confermerebbe che <<in questo, come in altre cose di maggior
rilievo, esso hanno sempre avuto buon naso, più de’ cristiani.>>
Volevo fare dei ravioli per inaugurare il mio nuovo mattarello!!! Finalmente ne ho uno e non dovrò più prenderlo in prestito dalla mamma o usare una bottiglia per stendere la pasta.
I ravioli di inaugurazione dovevano essere particolari, però, e quindi li ho fatti a forma di cuore. Nel ripieno melanzane a cubetti, semplicissime e saporite, e per condire un sugo di datterini freschi e basilico, delicato al punto giusto da valorizzare e non coprire il ripieno.
Poi ho tagliato tanti cuori con una formina per biscotti e su metà di questi cuori ho deposto un cucchiaino di ripieno di melanzana, dopo avervi aggiunto la feta sbriciolata grossolanamente.
Ho ricoperto il ripieno con un altro cuore di pasta, dopo aver inumidito i bordi di quello inferiore con un goccio d’acqua.
Messa l’acqua per cuocere i ravioli a bollire, ho fatto rosolare uno spicchio d’aglio nell’olio in una padella larga. Poi ho tuffato in padella i pomodorini lavati e tagliati a metà o in quarti e ho proseguito la cottura del sughetto, aggiustando di sale e aggiungendo il basilico, finchè non erano cotti anche i ravioli.
Infine, dopo un veloce passaggio in padella, ho impiattato.
Con questa ricetta partecipo al contest “La pasta fatta in casa” di Natalia del blog Fusilli al Tegamino.
Lisbona e il Caldo Verde
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il famoso electrico 28 |
La nostra scelta cade su Lisbona, la temperatura a gennaio oscilla fra i 10 e i 15 gradi, di norma piove, ma il vento del vicino oceano spazza in fretta le nubi e noi amiamo il vento e quel clima variabile e imprevedibile.
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Largo di Carmo, Chiado |
Gironzoliamo per il Barrio Alto, senza una vera meta, godendoci quel luccicare discreto e un’incantevole vista notturna della città dal miradouro de Sao Pedro de Alcantara.
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la bianca Torre di Belem in stile manuelino |
Il mattino seguente Lisbona brilla, il sole splende incredibilmente, tanto da farci girare con il cappotto aperto, e brilla anche la Torre di Belem, bianchissima e cesellata come se fosse di porcellana finissima.
Dopo un pranzo divino a base di açorda de marisco, una zuppa di pane e pesce, affondiamo i denti nei famosi Pasteis de Belem, tartellette di sfoglia ripiene di crema al latte caramellata, acquistate proprio dove si dice che siano nate, all’Antica Confitaria de Belem e ce le pappiamo ancora tiepide e spolverate di cannella.
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il ponte 25 de abril e il Tago |
Torniamo verso il centro, al Terreiro do Paço, anche detto
Praça do Comercio, sulle rive del Tago, un superbo ed enorme
quadrilatero che si svela in tutta la sua bellezza e che così si svelava
ai mercanti che approdavano dal Tago.
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L’enorme spianata di Praça do Comercio – Terreiro di Paço |
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io nella Rua Augusta |
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L’elevador de Santa Justa |
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Affacciati sui tetti dell’Alfama |
Il giorno dopo saliamo alla Feira de Ladra, il caratteristico mercato delle pulci del sabato, dove si dice che si possa trovare di tutto e dove bisogna stare attenti ai borseggiatori. L’Alfama invece svela a noi il suo lato più gentile, non sembra affatto rischiosa e il tram 28, un’istituzione per i turisti e i lisboneti, ci porta fino in cima e poi ci lascia al Miradouro di Santa Luzia dove c’è una delle più pittoresche viste dei tetti della Lisbona vecchia.
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l’Alfama dal Miradouro di Santa Luzia |
Anche qui un acquazzone memorabile ci coglie di sorpresa e noi ci rifugiamo in un ristorantino dall’aria datata, con gli azulejos alle pareti, le caratteristiche piastrelle che rendono ogni locale vagamente anni ’50. Mangiamo strabene anche qui e, con la pancia piena, ritroviamo una città di nuovo illuminata dal sole.
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Estaçao do Rossio |
Ripercorriamo la via Augusta fino alle piazze Dom Pedro IV e Restauradores e scopriamo la splendida Stazione del Rossio, un vero miracolo di arte liberty.
Da qui partiamo il mattino seguente per una gita all’incantevole cittadina di Sintra, che fu una delle residenze estive dei sovrani del Portogallo. Ci rimane impresso nel cuore il suo verde e l’arditezza di certe costruzioni, a volte fin troppo marcate e pesanti, ma che portano agli occhi e all’anima il senso di un popolo così antico e variegato. Influenze arabe e moresche, religiosità cristiana portata all’eccesso e mille altri particolari che sembrano essere un libro di decorativismo medievale a cielo aperto. Visitiamo il Castello dos Mouros e il Palacio de Pena costruito nel 1840, denso di tutti gli stili, dal gotico al manuelino, passando per il rinascimentale e il barocco.
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Palacio de Pena |
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A Brasileira |
La sera ci immergiamo nelle suggestioni di una Lisbona malinconica. Il solitario Pessoa di bronzo che, seduto su una panchina davanti al caffé A Brasileira, ci invita per una foto, la magia del fado, una cenetta romantica in un posticino delizioso.
Mangiamo il famoso Caldo Verde, una zuppa semplice e deliziosa, del chourizo affumicato, un saporitissimo formaggetto di capra e annaffiamo il tutto con buon vino e un bicchierino di Porto.
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l’ultima sera a Lisbona |
L’ultimo giorno vediamo Lisbona dal punto più alto del Parque Eduardo VII.
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Parque Eduardo VII |
L’urbanistica della città ci è ancora più chiara da quassù. Un ultimo veloce saluto alla Praça de Touros e poi via, con un ricordo di viaggio che ci porteremo dentro per sempre.
La ricetta: Il Caldo Verde di Lisbona
E’ una zuppa semplicissima, ma veramente saporita. Avevo provato a cucinarla prima di partire, senza aver ben chiaro quale potesse essere il risultato finale… Una volta gustata sul posto, ho provato a rifarla ed è venuta quasi uguale all’originale assaggiato a Lisbona.
Io ho usato per due persone:
250 g di patate già sbucciate
7/8 foglie esterne di una verza
mezza cipolla
uno spicchio d’aglio
olio evo
Ho messo in un pentolino, abbondante acqua per lessare le patate, già sbucciate e tagliate a pezzetti. Ho salato l’acqua e vi ho aggiunto tre cucchiai d’olio, la cipolla e lo spicchio d’aglio spezzato.
Mentre le patate cuocevano ho lavato la verza, l’ho arrotolata su se stessa come un sigaro e l’ho tagliata finemente: deve assomigliare ad erba.
Quando le patate erano morbide, le ho tirate fuori dal brodo e le ho schiacciate ben bene con la forchetta, fino a ridurle in purea. Poi ho versato questa purea di nuovo nel brodo, aggiustando di sale.
Quando la zuppa riprende bollore, si aggiunge la verza a striscioline. Deve cuocere per circa 10 minuti. L’ho lasciata ammorbidire, ma bisogna stare attenti che tutto il Caldo Verde resti verde e non viri verso il giallo, con una cottura eccessiva.
Questa zuppa si serve aggiungendo un filo d’olio nella scodella e fette di pane di miglio (o integrale, come ho fatto io) e talvolta anche olive nere.
Il fiore all’occhiello sono fettine di chourizo affumicato, circa tre per ogni commensale, aggiunte all’ultimo!
Rombi al thè verde e vaniglia
