ai fornelli

Un piccolo dolce-poco-dolce per una serata estiva

Poche parole per questo dessert semplice, ma dal gusto molto particolare.
La ricetta: Frittelle di pesche con miele al rosmarino e gelato al pistacchio.
Ingredienti (per 2 persone):
1 pesca
100 g farina
100 ml di birra
1 albume
1 cucchiaio di zucchero
3 cucchiai di miele d’acacia
un rametto di rosmarino
1 cucchiaio d’aceto
1 cucchiaio d’acqua
Ho preparato prima la pastella per friggere le pesche, mischiando la farina con la birra e lasciandola riposare per circa un’oretta.
Nel frattempo ho sbucciato e affettato la pesca e fatto scaldare in un padellino il miele con il rametto di rosmarino. Quando il miele è caldo, aggiungere l’aceto e l’acqua, mescolando e far sobbollire per poco e infine spegnere. (se occorre riscaldare leggermente prima di servire, per rifluidificare il miele)
Passata l’ora di riposo della pastella, ho montato a neve ferma l’albume con un cucchiaio di zucchero e l’ho aggiunto alla miscela di farina e birra, mescolando dall’alto in basso.
Ho bagnato le fettine di pesca in un po’ di farina e poi nella pastella e le ho fritte in olio d’arachidi, finchè non erano ben gonfie e leggermente dorate.
Nel comporre il piatto ho messo le frittelle in fila, le ho irrorate di miele al rosmarino e completate con una pallina di gelato al pistacchio.
ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

I Cjarsons della Carnia per il contest di Dolci a Gogò

In Carnia – G. Carducci
Su le cime de la Tenca
Per le fate è un bel danzar.
Un tappeto di smeraldo
Sotto al cielo il monte par.
Nel mattin perlato e freddo
De le stelle al muto albor
Snelle vengono le fate
Su moventi nubi d’òr. […]
Così scriveva Giosué Carducci, ispirato dai verdi prati della Carnia, descrivendo nel suo carme la Tenca, il torrente But, la rupe del Moscardo. La sua poesia è pervasa di fantasia, quando parla del danzare delle fate e del loro canto. E questa è la suggestione che ancora pervade l’animo di colui che in Carnia si avventura.
Il Friuli è stato annesso al resto d’Italia solo nel 1866, dopo la terza guerra d’indipendenza, ma nell’antichità tutto il Friuli era definito attraverso il nome di una delle sue odierne regioni, Carnorum Regio, dal nome della popolazione celtica che vi abitava, prima dell’annessione all’impero romano.
Oggi la Carnia è una regione dell’Alto Friuli, in provincia di Udine, situata tra le montagne, tra il Cadore e la Carinzia. Per raggiungerla bisogna addentrarsi nelle Alpi più profonde, in una quiete irreale resa variegata dal susseguirsi di pascoli, malghe, vallate e torrenti. Questo popolo ha vissuto per secoli in uno stato di perfetta conservazione della propria identità. I sapori dei piatti caratteristici conservano un qualcosa di medievale, con il dolce che si fonde con il salato e le spezie. Le preparazioni sono semplici e rituali, i gusti pieni, con alcune punte ispirate ad un qualche carattere mitteleuropeo.
Inoltre la Carnia è la zona d’Europa più ricca di specie botaniche e per secoli i cremar, venditori ambulanti, si sono spostati in Europa e nel nord Italia, con il loro zaino di legno a cassettini, per vendere le erbette e le spezie acquistate dai mercanti veneziani.
Il momento più propizio per gustare le erbe della Carnia all’interno dei cibi è l’estate, quando le erbe sono fresche. Ma per i mesi freddi il popolo della Carnia ha ideato il savors, una sorta di conserva sotto sale di aromi ed erbette, pronto per insaporire i cibi durante tutto l’inverno.
Si dice che le mogli dei cremar festeggiassero il ritorno a casa dei mariti, dopo i lunghi periodi di viaggio, raccogliendo ciò che era rimasto sul fondo dei cassettini, mischiandolo insieme e formando così il ripieno dei cjarsons.
Si tratta di una ricetta che più tradizionale non si può! È una ricetta antica che ogni famiglia prepara con qualche variante, ma che rappresenta l’intera regione.
In effetti il ripieno si crea ad ispirazione, non ci sono dosi precise, e da villaggio a villaggio il gusto varia leggermente.
Così ho scelto questa ricetta per partecipare al contest di Dolci a Gogò, “La perla della cucinaitaliana“. Arrivo quasi alla scadenza del contest, così come il Friuli si è potuto annettere tardi al resto d’Italia.
La ricetta dell’involucro di pasta l’ho presa dal sito della Scuola Alberghiera di Aviano, il ripieno l’ho creato a piacere, usando alcuni degli ingredienti tipici, facendone una versione dolce e una salata.
La ricetta: Cjarsons della Carnia
Con queste dosi verranno circa 36 cjarsons.
Per l’involucro:
300g di patate
250g di farina

1 tuorlo
1 pizzico di sale
Ho fatto lessare le patate, le ho sbucciate e poi passate con lo schiacciapatate. 
Quando erano ancora tiepide, le ho mischiate con la farina, il sale e il tuorlo, fino ad ottenere un impasto compatto ed omogeneo.
Nel frattempo ho preparato i due ripieni.
Il ripieno salato si ottiene mischiando:
150 g di ricotta
3 piccoli mazzettini di melissa, menta e prezzemolo
1 manciata di uva passa ammollata 
la scorza di mezzo limone
cannella a piacere
1 chiodo di garofano sminuzzato
1 presa di sale.
Il ripieno dolce si ottiene mischiando:
1 mela tagliata a pezzettini e fatta ammorbidire nel burro e in due cucchiai di zucchero di canna
2 cucchiai di marmellata
4 biscotti secchi sbriciolati finemente
1 manciata di uva passa ammollata
1 manciata di pinoli
cannella a piacere
Una volta che i ripieni erano pronti ho steso la pasta dello spessore di due millimetri, ricavando dei cerchi con un bicchiere (se avete un apposito coppapasta è ancor meglio!!!)
In ogni cerchio ho deposto un cucchiaino di ripieno (dolce o salato).
Ho rischiuso i cerchi a mezzaluna, schiacciando sul bordo con le dita.
I cjarsons vanno lessati in acqua bollente (salata per i salati!) finche non vengono a galla.
Poi li ho passati in un padellino con burro fuso e cannella abbondante.
Quelli dolci li ho anche rifiniti con una spruzzata di cacao in polvere.
Come detto sopra con questa ricetta partecipo al contest di Imma di Dolci a Gogò, “La Perla della Cucina Italiana
ai fornelli

Cavoli a Merenda ovvero la Sfoglia del Cavolo!!! (per il contest di Cristina di Pan per Focaccia)

Il sottotitolo sarebbe “come trasformare una ricetta dal nome poco appetibile in una vera prelibatezza“.
In effetti sfido molti di voi a farsi venire l’acquolina davanti a una pausa pranzo a base di pastasfoglia farcita di cavolo. E io stessa, fino a poco tempo fa non me lo sarei sognato neppure!! Poi è arrivato questo periodo di sperimentazioni – e il blog – e il cavolo è entrato a pieno titolo nella mia cucina. Con successo direi.
Ho pensato che questa ricetta fosse adatta al contest “Una gita senza formaggio” di Cristina del blog Pan per Focaccia , perchè è ad alta percentuale di portabilità, perchè il cavolo si trova tutto l’anno, perchè è più buona fredda che appena sfornata e sicuramente non è la solita torta!!!
Inoltre la preparazione è veloce ed occorrono pochi insaporitori, che di solito abbiamo in casa!
Un’idea in più potrebbe essere fare delle monoporzioni, ancora più comode da mangiare fuori casa.
Per una tortiera da 23 cm ho usato:
mezzo cavolo bianco
1 spicchio d’aglio
3 filetti di acciuga
olive verdi e nere a piacere
fettine di speck (circa 100 g, in quantità tale da rivestire il fondo della teglia)
1 peperoncino
olio evo
sale
Ho pulito il mezzo cavolo e l’ho affettato finemente, per ottenere delle striscioline di mezzo cm di larghezza.
Intanto in una padella larga ho messo qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un grosso spicchio d’aglio a soffriggere leggermente. Se vi piace potete aggiungere un peperoncino secco sbriciolato [a me piace!!! :)].
Poi ho tolto la padella dal fuoco, ho fatto intiepidire leggermente l’olio, perchè non schizzasse, e vi ho versato le acciughine, facendole sciogliere.
Ho rimesso la padella sul fuoco, ho aggiunto quasi subito il cavolo tagliato finemente facendolo insaporire. Ho aggiunto le olive verdi e nere snocciolate, ho aggiustato di sale e ho fatto cuocere per circa dieci minuti, rigirando ogni tanto. Il cavolo deve restare croccante e quindi non deve cuocere di più.
Ho lasciato intiepidire il tutto.
Poi ho riscaldato il forno a 180°.
Ho steso la sfoglia nella teglia e l’ho rivestita con le fette di speck, salendo anche un pochino sul bordo.
Vi ho versato il cavolo e ho ripiegato il bordo di sfoglia verso l’interno.
Lasciare in forno fino a doratura, dai 30 ai 40 minuti.
Si gusta fredda o leggermente tiepida!!!  Provatela!!!
Con questa ricetta, come ho detto sopra, partecipo al contest di Cristina “Una gita senza formaggio”.
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Le melanzane marinate di Stefania di Food for the Soul

Di nuovo melanzane direte voi!!! 😀
Ho trovato questa ricettina sul blog Food for the Soul  e ho subito provato a rifarla per due motivi:
– adoro le melanzane con quella puntina di aceto, magari anche un po’ piccantine e questo procedimento è veramente veloce e pratico a confronto con la procedura classica;
– non bisogna accendere i fornelli, perché le melanzane cuociono nell’aceto e quindi d’estate sono veramente ideali da preparare così;

Il procedimento è davvero semplice:

Si prende una bella melanzana fresca e liscia, si lava e si sbuccia e si taglia a fette sottili; ogni fetta viene poi tagliata a striscioline di mezzo cm.
La melanzana così affettata viene messa in un colapasta e cosparsa di sale, affinché perda tutta l’acqua e l’amaro.
Dopo circa due ore, le fettine di melanzana vanno strizzate, messe in un recipiente con l’aceto bianco, e lasciate macerare lì per altre due ore, rigirandole di tanto in tanto, in modo che si “cuociano” uniformemente.
Infine si condiscono con olio extravergine, menta e spicchietti d’aglio.
Io, per farle insaporire più in fretta, ho fatto scaldare leggermente l’olio in un padellino con l’aglio, le foglie di menta e un pezzetto di peperoncino. Scaldandosi, ma attenzione perchè non deve diventare bollente, l’olio si insaporisce più rapidamente dei vari aromi e trasmette alle melanzane il sapore più in fretta.
Infine ho messo la ciotola in frigo a raffreddare.
Si possono preparare la sera prima e si conservano in frigo per 3/4 giorni.

Sono veramente deliziose!!! 😉
ai fornelli

Biscotti con le impronte digitali di Pasticci & Pastrocchi

Come ogni domenica mi è venuta voglia di preparare un dolcino. La scelta è caduta sui dei deliziosi biscottini che sembrano pasticcini. Li ho trovati sul blog di Claudia, Pasticci & Pastrocchi e li ho copiati facendo solo delle piccole modifiche.
Sono velocissimi da preparare, perfetti per un improvviso attacco di golosità. E con il cioccolato al caffè sono una pausa merenda perfetta!!!
Ora li metto sottochiave e domattina li riproviamo a colazione!!!

La ricetta: Thumbprints cookies
Per 36 biscotti:
100 g di farina bianca + 60 g di farina integrale (originale: 160 g di farina bianca)
100 g di burro a temperatura ambiente;
100 g di zucchero di canna;
2 cucchiai di latte;
100 g di cioccolato ripieno al caffè Ritter (originale: 100 g di cioccolato al latte Venchi)
In una ciotola ho mescolato burro e zucchero fino ad ottenere un composto cremoso.
Ho aggiunto il latte e continuato a mescolare.
Ho ho incorporato la farina con una forchetta e successivamente ho impastato con le mani.
Seguendo la ricetta originale ho diviso l’impasto in tre parti e fatto 3 rotolini di impasto. Poi ho diviso ciascun rotolo in dodici pezzetti e formato con ognuno di essi una pallina.
Ho posizionato le palline su una placca da forno rivestita di carta da forno e formato una piccola cavità in ognuna di esse infilandoci il pollice.
Infine si inforna a 180° per circa 10/15 minuti, a seconda del forno.
Li ho tolti dal forno e li ho fatti raffeddare.
Poi ho fatto sciogliere a bagnomaria il cioccolato fino a farlo diventare una crema fluida e l’ho fatto colare nei biscotti con un cucchiaino e lasciato asciugare un po’.
Le indicazioni di Pasticci&Pastrocchi sono perfette, vengono esattamente 36 biscotti/pasticcini.
Io ne ho farcito 35, uno era già finito in pancia!!!

ai fornelli, ricette originali, storia & cultura

Spaghetti alla chitarra con peperoni, pinoli e cipolle rosse (anzi viola!) caramellate

«Sembrerebbe un cibo, se non fosse per il suo sapore strano e intenso.» Questa la frase pronunciata da Cristoforo Colombo per presentare all’Europa il peperone, e qui si capisce che Colombo faceva il navigatore e non il pubblicitario. Non credo che in molti potessero essere attratti da una presentazione del genere, ma bisogna capire che il gusto dell’epoca si era formato su ortaggi non troppo saporiti, le rape, ad esempio, o le fave e in pochi potevano essere preparati all’esplosione di sapore del peperone.

Inizialmente fu chiamato pepe d’India, per la sensazione che provocava sulla lingua simile a quella provocata dal pepe, ben conosciuto in Europa e simbolo delle tavole più altolocate.

Gli spagnoli pensarono che anche il peperone potesse servire per ricavarne una spezia e tentarono di farlo conoscere in Europa, cercando di far partire un bel business. I loro sogni di gloria naufragarono però (si può dire, parlando di navigatori???) perché il peperone, sia dolce che piccante, si adattò bene a tutti i climi e in pochi decenni riempì i giardini e gli orti d’Europa e Africa.

Da quel momento anche il più povero contadino poté facilmente fabbricare la sua dose di pepe d’India e parallelamente il gusto sulle tavole nobili, ancora condizionato da zafferano, chiodi di garofano e cannella, cominciò a virare verso l’apprezzamento delle erbette e delle verdurine, cominciando a lasciar un po’ da parte le spezie.

Il peperone intanto si diffuse in Italia da nord a sud, trovando terreno fertile, sia fisicamente, che metaforicamente nelle menti ingegnose dei cuochi improvvisati delle mense povere. Non c’è regione in Italia che non vanti qualche tipica qualità di peperone, da quelli dolci e tondi di Carmagnola in Piemonte, alle varietà più piccanti calabresi. E non c’è regione che non esalti il gusto del peperone con ricette di ogni tipo, dai peperoni con le acciughe piemontesi, alle peperonate venete, al peperone cucinato con il baccalà lungo il Tirreno ai friggitelli pugliesi e ancora alla caponata siciliana. La Calabria ha coltivato il culto di quelli più piccanti, facendone ingrediente irrinunciabile per i prodigiosi salumi e le varie miscele di verdure piccanti sott’olio. Un simbolo dell’Italia nel sud nel mondo? Basti dire che la pizza con il salamino piccante a Los Angeles, Pechino, Sidney e Nairobi si chiama semplicemente “peperoni”. E basta.
[fonti:
http://it.wikipedia.org/
M. Niola, Si fa presto a dire cotto, Il Mulino 2009.]
La ricetta: Spaghetti alla chitarra con peperoni, pinoli e cipolle rosse caramellate.

Avevo trovato questa ricetta sul sito della pasta Garofalo. Senza troppi ingredienti, l’incontro tra i sapori semplici è esaltante, anche con il peperone più insipido, figuriamoci ora che i peperoni sono belli succosi e dolci.
Per due persone, vanno bene:
spaghetti alla chitarra (quanti ne volete)
1 peperone rosso maturo (se vi capita con una nota piccantina, ancora meglio)
1 cipolla rossa di Tropea
1 manciata di pinoli
2 cucchiai di zucchero
1 spicchio d’aglio
1 filetto d’acciuga
olio, sale
Ho pulito il peperone e l’ho tagliato a pezzettini piccoli, tipo dadini.
Ho fatto soffriggere l’aglio in tre cucchiai d’olio, aggiungendo un’acciughina per dare sapore.
Ho versato i peperoni in padella e li ho fatti rosolare un po’, sempre mescolando, e poi ho fatto cuocere aggiungendo un filo d’acqua ogni tanto.
Intanto si può mettere l’acqua per la pasta a bollire.
In un padellino far tostare leggermente i pinoli e metterli da parte.
Ho poi affettato la cipolla finemente e l’ho fatta ammorbidire sul fuoco con un filo d’olio.
Poi ho versato i cucchiai di zucchero. Mentre lo zucchero si scioglie, la cipolla si ammorbidisce, quando è pronta spegnere e tenere al caldo.
Una volta che la pasta era cotta, l’ho scolata e passata in padella con i peperoni.
Poi ho impiattato, mettendo la cipolla sopra la montagnola di spaghetti, in modo che il sughino dolce colasse anche nel centro. Sopra la cipolla e i peperoni ho completato con i pinoli.
L’incontro tra il dolce acidulo e piccantino del peperone e il dolce pieno e rotondo della cipolla è squisito.

ai fornelli, buffet salato, insalate e piatti freddi, storia & cultura

Prosciutto e melone nel cestino di sfoglia

In Italia si usa servire il prosciutto crudo con il melone, come antipasto estivo o come piatto leggero.
Questo accostamento è in realtà frutto di un tramandare secolare di abitudini che affondano le radici in una cultura antica.
Già dal medico e filosofo greco Ippocrate nasce la visione del mondo basata su coppie di contrari: caldo-freddo, secco-umido… così come accade con le filosofie orientali, ad esempio con lo yin e yang taoista, su cui si fonda l’armonia universale.
Dall’antica Grecia quindi deriva anche l’uso di associare ogni cibo con il suo contrario, anche il melone, cibo freddo, con il prosciutto, cibo caldo, ma si veda anche in Vietnam l’abitudine di accostare frutti come meloni o cocomeri, ad un misto di sale e peperoncino. Più vicino a noi, in Francia, il melone viene servito con il sale o a volte, per lo stesso principio, con un vino dolce e forte. Il viaggio nell’antichità trova quindi riscontro anche in un viaggio spaziale, dall’estremo Oriente ai nostri vicini di casa.
 
Dal Medioevo in avanti, per molti secoli, la frigidità del melone, che lo porta oggi ad essere un cibo estremamente desiderabile per trovare ristoro dalla calura, era considerata non solo negativa ma addirittura pericolosa. Teniamo conto che i frutti dell’epoca erano molto vicini allo stato selvatico e quindi maturavano più difficilmente ed erano di sicuro più indigesti. Fatto sta che mangiare un frutto freddo come il melone senza stemperarlo con un cibo caldo, poteva essere la causa di spiacevoli indigestioni.
In particolare è famosa la triste sorte toccata al Papa Paolo II, morto all’improvviso nella notte del 26 luglio 1471. Il colpo apoplettico che lo colpì fu subito attribuito, dai medici che lo avevano in cura, ad una sorprendente scorpacciata di meloni che il Papa si era fatto subito prima di andare a dormire. La testimonianza  di Nicodemo da Pontremoli, parla di «tre poponi non molto grandi» ed «altre cose di triste substantia» verso le dieci di sera; ne parla anche Platina, che scrisse la biografia del Papa, dicendo che «si dilettava moltissimo a mangiare meloni, e da ciò si crede che sia stata provocata l’apoplessia da cui fu strappato alla vita. Infatti la sera prima di morire aveva mangiato due meloni, per giunta assai grandi». Che i meloni fossero tre piccoli o due grandi ha poca importanza, di certo ne mangiò abbastanza perché gli restassero sullo stomaco…anche se a guardare il suo ritratto viene il dubbio che non mangiasse soltanto meloni!!! 🙂
[fonti: 
http://it.wikipedia.org/
M. Montanari, Il riposo della polpetta, Laterza 2011.]
 
Con qualche fetta di melone al pasto non si rischia come con tre meloni interi, però l’abbinamento con il “caldo” prosciutto crudo rimane uno dei migliori, soprattutto per il contrasto di dolce e sapido che personalmente adoro.
 
La ricetta-non ricetta: Insalata nel cestino con prosciutto e melone.
 
Di fatto è una ricetta molto semplice, ma con una presentazione speciale che ho spesso preparato per una cena tra amici.
Ho creato un cestino di pastasfoglia, aiutandomi con degli stampini di alluminio, formato-muffin. Basta ritagliare la pastasfoglia pronta a forma di quadrati e adagiarla sugli stampini, infornando per un quarto d’ora a 170°.
All’interno del cestino, una volta raffreddato, ho messo della valeriana condita con qualche goccia di crema di aceto balsamico, delle roselline di prosciutto crudo (per 4 cestini vanno bene circa 2 etti) e delle palline di melone, ricavate con l’apposito scavino e rotolate nei semini di papavero. Ho completato con la croccantezza di una manciata di anacardi salati.
 
Unica accortezza, riempire i cestini subito prima di portare in tavola per far restare croccante la pasta sfoglia.
 
Con questa insalata nel cestino partecipo alla raccolta di Burro e Miele “Chi mi aiuta a raccogliere l’insalata?”.
 
ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

Le galettes di mare con chips di melanzane

Le galettes altro non sono che delle crêpes in versione salata, tipiche della zona della Bretagna.

Conosciute come specialità della tradizione culinaria francese, in realtà la storia le vuole come originarie dell’Italia.

La leggenda narra che nel V secolo alcuni pellegrini francesi giunsero a Roma stanchi e affamati, per la festa della Candelora,  e che il Papa Gelasio, per rifocillarli, ordinò di preparare un cibo a base di farina e uova. 

I pellegrini, una volta tornati in Francia diffusero queste frittatine increspate con il nome di crêpes, dal latino crispus.
Per tutto il Medioevo furono sempre preparate con farina di vari cereali o di grano saraceno (e non farina bianca di frumento) e con acqua o vino al posto del latte, che venne introdotto solo successivamente.

Secondo la tradizione i mezzadri le preparavano e le portavano in dono ai loro padroni come simbolo di alleanza e amicizia.
Le crêpes dolci (o le galettes salate) in Francia sono rimaste il piatto tipico della Candelora, ma di fatto si preparano in tutte le stagioni, per la loro caratteristica di cibo prêt à porter, preparate non in padella ma sulla tradizionale piastra.
Val la pena di prepararle anche alla Candelora, che si sia superstizioni o no. Infatti si narra che il giorno della festa le crêpes debbano essere girate tenendo una moneta in mano; se le crêpes girano bene allora fortuna e ricchezza vi accompagneranno durante tutto l’anno. 
[fonti:
http://www.taccuinistorici.it
http://it.wikipedia.org
http://www.pilloleculinarie.it
http://buoneforchette.canalblog.com]
Per preparare queste galettes ho messo insieme alcune suggestioni: il fatto che venissero preparate originariamente con grano saraceno e che in Bretagna vengano spesso farcite con crostacei.
Io ho usato della farina di 5 cereali, un ripieno di gamberi e vongole con una leggera besciamella senza burro e ho aggiunto delle sottilissime melanzane fritte ben asciugate dall’olio; il tutto viene velocemente passato in forno.
Sebbene il tempo di preparazione sia un po’ lungo, il piatto è delizioso e può essere preparato in anticipo, lasciando alla fine solo un veloce passaggio in forno.

La ricetta: Galettes ai gamberi e vongole con chips di melanzane

Per prima cosa ho messo le fette di una mezza melanzana a scolare; le fette già salate, vanno messe sotto un peso, poi strizzate e asciugate, prima di essere fritte in olio di arachidi.

Per le galettes, (con il mio padellone da crêpes da 28 cm di diametro, ne vengono 4; se si servono come antipasto, è meglio prepararle con un padellino piccolo, ottenendone il doppio):

100g farina (50g bianca e 50 g ai 5 cereali)
15g olio d’oliva
250 ml di liquido (così suddiviso: 125 ml di latte e 125 ml d’acqua)
1 uovo
1 pizzico di sale
Si mescola la farina con l’uovo sbattuto con un pizzico di sale; ottenuta una pastella densa, ho aggiunto a poco a poco il liquido (latte + acqua) e l’olio.
Ho lasciato riposare per circa 40 minuti l’impasto.
Se dopo il riposo dovesse essere eccessivamente denso, è più difficile ottenere delle galettes sottili, quindi aggiungere ancora un goccino di latte.
Deporre a cucchiaiate l’impasto nel padellino ben oliato e farlo scorrere fino a distribuirlo su tutta la superficie. Quando la sfoglia comincia a staccarsi dai bordi è pronta per essere sollevata con una paletta e rigirata.

Cuocere tutte le galettes prima di farcirle, è più comodo!

Per il ripieno:

una quindicina di gamberetti, sbollentati e sgusciati
40 g di vongole già lessate e sgocciolate

besciamella senza burro (250ml latte, 1 cucchiaio colmo di farina, sale, pepe)

Ho messo in un pentolino il latte; mentre scaldava l’ho aggiunto a cucchiaiate alla farina, fino a formare una pastella. Ho aggiustato di sale e pepe la pastella e l’ho rimessa sul fuoco per addensarsi. Dopo pochi minuti la besciamella è pronta. A piacere si può insaporire ulteriormente con formaggio grattugiato e noce moscata, io l’ho preferita neutra dovendo aggiungerla al pesce.
Intanto ho fatto rosolare uno spicchio d’aglio in padella con due cucchiai di olio, poi ho aggiunto le vongole e i gamberetti, già sbollentati e sgusciati. Ho fatto rosolare per pochi minuti, aggiungendo anche un goccino di vino bianco.
Infine ho aggiustato di sale e poi aggiunto alla besciamella già preparata.

Ho usato questo ripieno per farcire le galettes, completandole con fettine di melanzana fritte ben scolate.
Ho arrotolato e messo in forno a 170° per 10 minuti, basta solo che si riscadino uniformemente.
Le ho poi disposte nel piatto, tagliate a metà, e completate con alcune fettine di melanzana che erano avanzate dal ripieno.

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Cheesecake alle pesche profumate al timo

Ieri mi è venuta voglia di cheesecake e volevo prepararlo con la cottura in forno.
Stando alle mie documentazioni, il cheesecake newyorchese tradizionale prevede proprio il passaggio in forno, ma molte delle ricette che si trovano in rete hanno molte uova, addirittura sei per uno stampo di 26 cm.
Tra quelle archiviate tra i miei appunti ho trovato una ricettina della quale sinceramente non so identificare la fonte. Sicuramente mi era piaciuta perchè non aveva un’eccessiva quantità di burro nella base e soltanto due uova nella crema. Tutto sommato sembrava un po’ più leggero di altri cheesecake.
La ricetta originale era aromatizzata al limone, io ho cambiato completamente e ci ho messo delle pesche all’interno e servito così, al naturale, ma credo che con una copertura di gelatina alla pesche avrebbe avuto un giusto completamento!!!
Le dosi vanno bene per uno stampo rotondo da 26 cm.
La preparazione è abbastanza rapida, sebbene “a fasi”; alla fine si mette il dolce in forno a temperatura moderata e si lascia lì per un bel po’…il mio è rimasto un’ora e mezza. 
L’accorgimento da tenere presente è che, per essere gustato al meglio, il dolce deve essere servito freddo di frigo, quindi è opportuno preparalo al mattino o il giorno prima.
La ricetta: Cheesecake alle pesche profumate di timo
Fase 1, la base:
40 g burro
115 g farina
1 tuorlo
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di acqua fredda
Ho messo nel mixer burro, farina e zucchero e mescolato.
Ho aggiunto il tuorlo con l’acqua fredda e ho dato un’altra mescolata.
Ho disposto il composto in una teglia foderata da un foglio di carta da forno bagnata e poi strizzata.
Ho pareggiato la superficie con un cucchiaio.
Ho messo in frigo per 10 minuti e poi, dopo aver bucherellato la superficie messo  in forno a 180° per 12 minuti.
Fase 2, le pesche:
4 pesche piccole
3 cucchiai di zucchero
1 dito di vino bianco secco
1 cucchiaino di timo essiccato
Ho sbucciato le pesche e le ho tagliate a pezzettini minuscoli.
Le ho messe sul fuoco in una casseruola con lo zucchero.
Dopo un po’ ho aggiunto il vino e il timo e lasciato cuocere per almeno 10 minuti.
Le mie pesche erano piuttosto dure, ma in cottura non si devono disfare.
Fase 3, la crema:
400 g di formaggio cremoso (tipo philadelphia)
100 g di zucchero
2 uova 
180 ml di panna da montare + 1 cucchiaio di zucchero
le pesche preparate in precedenza
Ho lavorato il formaggio con lo zucchero fino a farlo diventare una crema.
Ho aggiunto le uova, uno per volta, mescolando bene.
Ho aggiunto al composto anche le pesche, dopo averle lasciate un po’ intiepidire.
Ho montato la panna con il cucchiaio di zucchero e l’ho aggiunta al composto senza farla smontare.
Assemblaggio:
Ho riempito con questa crema lo stampo dove nel frattempo la base si era raffreddata.
Ho messo in forno caldo a 160° e lasciato rassodare. Dopo circa un’ora ho abbassato la temperatura a 150°, e coperto la teglia con un foglio di alluminio bucherellato, perchè il dolce non era cotto ma si stava scurendo in superficie.
La torta, una volta intiepidita, va messa in frigo e servita fredda.
Alla fine ho semplicemente spolverato di zucchero a velo ed era buona anche così.
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Focaccia integrale per San Giovanni

La ricetta è quella del pane, con l’aggiunta dell’olio.
Non mi dilungo troppo sulla ricetta, che trovate qui, aggiungo solo che per due focacce 20×30 ho utilizzato le solite dosi, (250 g di farina così composta: 180 g di farina bianca e 70 g di farina ai 5 cereali) con l’aggiunta di due cucchiai d’olio d’oliva, e lasciato lievitare due ore abbondanti nel recipiente.
Successivamente ho diviso in due l’impasto, l’ho disteso sulla carta da forno aiutandomi con le dita unte d’olio e lasciato lievitare per un’altra mezz’ora.
Io le ho condite, una con pomodori a fette, l’altra con cipolle fatte rosolare velocemente in padella con un filo d’olio.
Tenerle d’occhio in forno perchè, essendo sottili, cuociono più in fretta del pane.
L’impasto era buono, areato e ben cotto. La prossima volta ci voglio mettere stracchino e rucola!!! 
Poi di corsa a vedere i fuochi che quest’anno mi sono piaciuti particolarmente, anche se le foto non rendono, per la cornice con cui sono stati presentati, musiche e racconti dall’Unità d’Italia ad oggi.
buffet salato, storia & cultura

Gli sformatini di zucchine con il cuore di noci e i dipinti del Pitocchetto

 
Questo è il caso del classico cane che si morde la coda.
Non so dire se sia nata prima l’idea per la ricetta o l’idea per il post…
Avevo due belle zucchine in frigo e volevo farci qualcosa di buono ma anche di carino a vedersi… degli sformatini, ad esempio, che uscissero dallo stampino con i contorni belli netti.
E poi avevo l’idea di un nuovo post ispirato ad un dipinto o ad un pittore.
Cercando in rete una natura morta con le zucchine, ecco cosa mi viene fuori:
Natura morta con zucchina e noci
Questa bella natura morta, su cui si posa una luce soffusa è di Giacomo Ceruti, pittore nato a Milano nel 1698. Nel dipinto c’è una grossa zucchina, pere di due diverse qualità, che forse oggi non vengono più coltivate, e noci.
Natura morta con le noci
 
 
Ceruti aveva un po’ la fissazione per le noci, che in effetti sono belle da dipingere, così come sembrano dei piccoli cervelli. In un altro dipinto sono rappresentate con pane e salame, una brocca e l’ottima resa della trasparenza del bicchiere.
Vecchio mendicante
Ma la vera specialità di Ceruti, non sono le nature morte, bensì i ritratti di poveri, contadini e mendicanti. La sua seconda patria fu Brescia e proprio al dialetto bresciano deve il suo soprannome, il Pitocchetto, dai pitocchi, i contadini, per la sua predisposizione a riprodurre scene di vita popolare.
Egli viaggiò per tutto il Nord Italia, dando significativo apporto alla Basilica di Sant’Antonio da Padova e soggiornando per un periodo a Piacenza e a Milano. Dipinse scene sacre per numerosi committenti, ritornando però sempre ai ritratti di povera gente, il genere di pittura che lo rese famoso. La pittura di genere era già da anni diffusa in Lombardia, ma Ceruti ne dà un’interpretazione personalissima.
 
Considerato una sorta di successore del più celebre Caravaggio, non mise i poveri come soggetto di scene bibliche o evangeliche, ma li ritrasse nel loro contesto naturale, in dipinti dal grande formato, dove essi esprimono tutta la loro umanità.
Ragazzo con la cesta

I soggetti guardano dritto negli occhi l’osservatore, come a volergli raccontare una storia, senza indorare in alcun modo una certa crudezza documentaria.

Si veda Il ragazzo con cesta, colto in un attimo di riposo durante il suo lavoro. Questi sono occhi che parlano, che esprimono una quantità di messaggi a saperli ascoltare.

O Il ragazzo con cesto di pesci, dall’aria furba, che sembra voler invitare l’osservatore ad acquistare gli scintillanti crostacei.

Ragazzo con cesto di pesci
I due pitocchi
E poi ancora  I due pitocchi, ritratti con i loro vestiti laceri e un piccolo gatto in grembo, o i tanti dipinti di donne al lavoro; tutti questi personaggi guardano negli occhi l’osservatore, sono umani, partecipi, veri.  
Emozionanti in una parola.
 
Donne al lavoro
La piccola mendicante e la filatrice
 
E qui il Pitocchetto mi è entrato nel cuore.
Da qui, a sceglierlo come ispiratore delle mie zucchine, il passo è stato breve… avrei fatto dei semplici sformatini, ma con un originale ripieno di noci.

Ci ho provato, abbiamo assaggiato in due… l’abbinamento è delizioso!!! 🙂

La ricetta: Sformatini di zucchine, con cuore di noci e stracchino

ingredienti (per 2 sformatini):
1 grossa zucchina tonda tagliata a julienne 
1 uovo
2 cucchiaiate di stracchino
3 noci
un pezzo di cipolla (1/3 circa)
maggiorana
olio, sale, pepe

Ho fatto soffriggere la cipolla senza farla dorare troppo.
Ho aggiunto le zucchine tagliate a julienne.
Ho fatto insaporire e poi aggiunto un po’ d’acqua per farle stufare.
Ho regolato di sale e pepe e aggiunto un cucchiaio di maggiorana tritata.
Quando le zucchine cominciavano a perdere la croccantezza le ho tolte dal fuoco e lasciato che intiepidissero.
Ho poi aggiunto l’uovo sbattuto e ho cominciato a comporre gli sformatini in due stampini di alluminio usa e getta (quelli da muffin) ben unti di burro: prima un po’di zucchine poi, al centro, lo stracchino con le noci tagliate grossolanamente a pezzettini, infine ancora il composto di uovo e zucchine!

Ho infornato a 180° e fatto cuocere fino a rassodamento!!
Ecco lo sformatino nel piatto, in compagnia di un altro pezzo di stracchino
 
Ed eccolo che mostra il suo cuore di noci