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primi piatti, ricette tradizionali, storia & cultura, zuppe e vellutate

La pappa col pomodoro e il contest di La cucina di Barbara Una delle più popolari ricette toscane

La pappa col pomodoro è una delle più tradizionali ricette toscane, in realtà poco conosciuta e poco preparata fuori dai confini della regione.

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ai fornelli

Cuori di raviolo alle melanzane

La melanzana non è nata ieri.
Conosciuta da 2500 anni, pare originaria della regione di Assame in Birmania,
ma rimane sconosciuta o ignorata in area greca e romana. Il suo nome
presso di noi, infatti, deriva da parole arabe e non ha un nome in
latino o in greco. In sanscrito era detta vatingana, per i Persiani era batingan, vicino comunque alla nostra melanzana.
In Europa giunse portata dai
nordafricani durante l’invasione della Spagna; comparve in Andalusia
all’inizio del Medioevo e presto venne adottata dai popoli mediterranei,
mentre gli inglesi continuarono per secoli a coltivarne una qualità dal
frutto molto grosso, come pianta ornamentale.
Gli arabi la chiamavano badnjan e da melo-badnjan deriva melanzana; in altre regioni il prefisso fu petro- da cui petronciano e petonciano, come viene ancora chiamata in alcune regioni d’Italia. 
Nella tradizione mediorientale le
melanzane sono legate a qualche idea di decadenza tropicale. Un
piatto turco di melanzane viene chiamato  Imam Bayeldi, che significa
“l’Imam trapassato”. L’Imam in questione fu così sopraffatto dal
sapore glorioso di questo piatto servitogli dalle concubine, che morì
sul colpo.
Per alcuni botanici era anche soprannominata Mela di Sodoma e sospettata di provocare l’epilessia: “Solanum insanum”, cioé malsana, cattiva e letteralmente dal gusto che rende folli.
In effetti il frutto acerbo contiene solanina, un veleno, come altre
piante appartenenti alla famiglia delle solanacee, come anche la
patata. 

 Melanzana – “mela insana” o “pomo sdegnoso” si trova anche nell’opera di Scappi.

Per  Mattioli era una <<pianta
volgare>> e il suo utilizzo era legato ad una cucina popolare:
<<mangiansi volgarmente fritte nell’olio con sale e pepe, come i
fonghi.>>
Nel XVII secolo Frugoli scriverà che
<<non devono essere mangiate se non da gente bassa o da
ebrei>>, una credenza che durò negli anni fino all’Ottocento.
Con Linneo preferì darle un nome più gentile: “Solanum melongena”, cioé mela sempre cattiva, ma rassicurante.
Pellegrino Artusi per primo rovesciò finalmente il senso di tante ingiuste credenze, notando che se i petonciani
<<erano tenuti a vile come cibo per gli ebrei>> ciò
confermerebbe che <<in questo, come in altre cose di maggior
rilievo, esso hanno sempre avuto buon naso, più de’ cristiani.>>

[fonti: wiki
http://www.ilgiornaledelcibo.it/tra-frigo-e-dispensa/prodotto.asp?scheda=Melanzana&id=27
http://www.nelgiardino.it/archivio/melanzana.html
M. Montanari, La cucina italiana, Laterza, Bari 2005.]

Volevo fare dei ravioli per inaugurare il mio nuovo mattarello!!! Finalmente ne ho uno e non dovrò più prenderlo in prestito dalla mamma o usare una bottiglia per stendere la pasta.
I ravioli di inaugurazione dovevano essere particolari, però, e quindi li ho fatti a forma di cuore. Nel ripieno melanzane a cubetti, semplicissime e saporite, e per condire un sugo di datterini freschi e basilico, delicato al punto giusto da valorizzare e non coprire il ripieno.

La ricetta: Ravioli di melanzane al sugo di datterini (per due persone)
per la sfoglia ho usato:
200 g di farina 00
2 uova circa (un po’ meno perchè la pasta deve essere molto asciutta per una migliore resa)
sale
per il ripieno ho usato:
1 grossa melanzana
50 g di feta greca
olio
sale
per il condimento ho usato:
circa 15 pomodori datterini
olio
1 spicchio d’aglio
sale
Preparazione:
Per prima cosa ho sbucciato e tagliato a cubetti la melanzana e l’ho cosparsa di sale, lasciandola scolare nel colapasta per circa un’ora.
Nel frattempo ho messo la farina in un grosso recipiente; ho sbattuto due uova con un bel pizzico di sale e le ho versate quasi completamente al centro della farina. Bisogna aggiungerle alla farina man mano ed intanto impastare, facendo sì che il composto non diventi troppo morbido: sarebbe più facile da lavorare, ma terrebbe meno la cottura.
Una volta che la farina era tutta impastata, ho lavorato l’impasto per dieci minuti sul tavolo, molto energicamente; poi ho messo la pasta a riposare, avvolta nella pellicola per almeno mezz’ora.
Poi ho ripreso le melanzane a cubetti e le ho fatte rosolare in una padella antiaderente ben calda, senza aggiungere olio. Solo quando erano ammorbidite ho aggiunto due cucchiai d’olio e un grosso spicchio d’aglio e le ho fatte rosolare per qualche minuto.Poi ho spento e lasciato intiepidire. 
Ho steso la pasta con il mattarello finchè non era sottilissima, ci vorrà un po’ e anche un po’ di pazienza. Se avete la macchinetta farete molto più in fretta.
Poi ho tagliato tanti cuori con una formina per biscotti e su metà di questi cuori ho deposto un cucchiaino di ripieno di melanzana, dopo avervi aggiunto la feta sbriciolata grossolanamente.

Ho ricoperto il ripieno con un altro cuore di pasta, dopo aver inumidito i bordi di quello inferiore con un goccio d’acqua. 

Messa l’acqua per cuocere i ravioli a bollire, ho fatto rosolare uno spicchio d’aglio nell’olio in una padella larga. Poi ho tuffato in padella i pomodorini lavati e tagliati a metà o in quarti e ho proseguito la cottura del sughetto, aggiustando di sale e aggiungendo il basilico,  finchè non erano cotti anche i ravioli.
Infine, dopo un veloce passaggio in padella, ho impiattato.

Con questa ricetta partecipo al contest “La pasta fatta in casa” di Natalia del blog Fusilli al Tegamino.

ai fornelli, ricette tradizionali

Lisbona e il Caldo Verde


Immaginate una coppia che parte per un viaggio – il primo viaggio che fanno solo in due –  i primi giorni di gennaio alla ricerca di un posto caldo, culturalmente stimolante, dove si mangia bene e non troppo affollato di turisti chiassosi.
il famoso electrico 28

La nostra scelta cade su Lisbona, la temperatura a gennaio oscilla fra i 10 e i 15 gradi, di norma piove, ma il vento del vicino oceano spazza in fretta le nubi e noi amiamo il vento e quel clima variabile e imprevedibile. 

Arriviamo la sera con il buio e la pioggia, un acquazzone incredibile che ci accoglie e ci infradicia e ci fa comprare un ombrellino che ci verrà in soccorso nei quattro giorni seguenti.
Largo di Carmo, Chiado
Lisbona con la pioggia assomiglia alla nostra Torino, dove ci siamo conosciuti e innamorati; è lucida e silenziosa, mentre le sagome scure dei passanti frettolosi compaiono sotto i lampioni e scompaiono subito dopo.
Gironzoliamo per il Barrio Alto, senza una vera meta, godendoci quel luccicare discreto e un’incantevole vista notturna della città dal miradouro de Sao Pedro de Alcantara.
la bianca Torre di Belem in stile manuelino

Il mattino seguente Lisbona brilla, il sole splende incredibilmente, tanto da farci girare con il cappotto aperto, e brilla anche la Torre di Belem, bianchissima e cesellata come se fosse di porcellana finissima.
Dopo un pranzo divino a base di açorda de marisco, una zuppa di pane e pesce, affondiamo i denti nei famosi Pasteis de Belem, tartellette di sfoglia ripiene di crema al latte caramellata, acquistate proprio dove si dice che siano nate, all’Antica Confitaria de Belem e ce le pappiamo ancora tiepide e spolverate di cannella.

il ponte 25 de abril e il Tago

Torniamo verso il centro, al Terreiro do Paço, anche detto
Praça do Comercio, sulle rive del Tago, un superbo ed enorme
quadrilatero che si svela in tutta la sua bellezza e che così si svelava
ai mercanti che approdavano dal Tago. 

L’enorme spianata di Praça do Comercio – Terreiro di Paço

io nella Rua Augusta
Lisbona qui mostra il suo lato regale, ai lati della Rua Augusta, che da qui comincia, si vede la collina di Castelo, con in cima il Castelo de Sao Jorge, dall’altro lato la collina de Sao Pedro de Alcantara e al centro si apre la Baixa, reticolo di strade dritte e ortogonali, fatto costruire in tutta fretta dal marchese di Pombal, ministro del re Joao I, dopo il devastante terremoto del 1755 che aveva lasciato in piedi solo il quartiere arabo dell’Alfama. 
Gli elevadores ci portano nei punti più panoramici di Lisbona, ma ce n’è uno particolare, quello de Santa Justa, che fu progettato da un allievo di Gustave Eiffel (quello della torre). Dalla cima di questa struttura neogotica in metallo che ci porta fin dentro il Chiado, vediamo la Baixa illuminata e tutta la Lisbona vecchia fino al Tago. 
L’elevador de Santa Justa
Affacciati sui tetti dell’Alfama

Il giorno dopo saliamo alla Feira de Ladra, il caratteristico mercato delle pulci del sabato, dove si dice che si possa trovare di tutto e dove bisogna stare attenti ai borseggiatori. L’Alfama invece svela a noi il suo lato più gentile, non sembra affatto rischiosa e il tram 28, un’istituzione per i turisti e i lisboneti, ci porta fino in cima e poi ci lascia al Miradouro di Santa Luzia dove c’è una delle più pittoresche viste dei tetti della Lisbona vecchia. 

l’Alfama dal Miradouro di Santa Luzia

Anche qui un acquazzone memorabile ci coglie di sorpresa e noi ci rifugiamo in un ristorantino dall’aria datata, con gli azulejos alle pareti, le caratteristiche piastrelle che rendono ogni locale vagamente anni ’50. Mangiamo strabene anche qui e, con la pancia piena, ritroviamo una città di nuovo illuminata dal sole. 

Estaçao do Rossio

Ripercorriamo la via Augusta fino alle piazze Dom Pedro IV e Restauradores e scopriamo la splendida Stazione del Rossio, un vero miracolo di arte liberty.
Da qui partiamo il mattino seguente per una gita all’incantevole cittadina di Sintra, che fu una delle residenze estive dei sovrani del Portogallo. Ci rimane impresso nel cuore il suo verde e l’arditezza di certe costruzioni, a volte fin troppo marcate e pesanti, ma che portano agli occhi e all’anima il senso di un popolo così antico e variegato. Influenze arabe e moresche, religiosità cristiana portata all’eccesso e mille altri particolari che sembrano essere un libro di decorativismo medievale a cielo aperto. Visitiamo il Castello dos Mouros e il Palacio de Pena costruito nel 1840, denso di tutti gli stili, dal gotico al manuelino, passando per il rinascimentale e il barocco.

Palacio de Pena
A Brasileira

La sera ci immergiamo nelle suggestioni di una Lisbona malinconica. Il solitario Pessoa di bronzo che, seduto su una panchina davanti al caffé A Brasileira, ci invita per una foto, la magia del fado, una cenetta romantica in un posticino delizioso.
Mangiamo il famoso Caldo Verde, una zuppa semplice e deliziosa, del chourizo affumicato, un saporitissimo formaggetto di capra e annaffiamo il tutto con buon vino e un bicchierino di Porto.

l’ultima sera a Lisbona

L’ultimo giorno vediamo Lisbona dal punto più alto del Parque Eduardo VII.

Parque Eduardo VII

L’urbanistica della città ci è ancora più chiara da quassù. Un ultimo veloce saluto alla Praça de Touros e poi via, con un ricordo di viaggio che ci porteremo dentro per sempre.



La ricetta: Il Caldo Verde di Lisbona 
E’ una zuppa semplicissima, ma veramente saporita. Avevo provato a cucinarla prima di partire, senza aver ben chiaro quale potesse essere il risultato finale… Una volta gustata sul posto, ho provato a rifarla ed è venuta quasi uguale all’originale assaggiato a Lisbona.


Io ho usato per due persone:
250 g di patate già sbucciate
7/8 foglie esterne di una verza
mezza cipolla
uno spicchio d’aglio
olio evo


Ho messo in un pentolino, abbondante acqua per lessare le patate, già sbucciate e tagliate a pezzetti. Ho salato l’acqua e vi ho aggiunto tre cucchiai d’olio, la cipolla e lo spicchio d’aglio spezzato.
Mentre le patate cuocevano ho lavato la verza, l’ho arrotolata su se stessa come un sigaro e l’ho tagliata finemente: deve assomigliare ad erba.
Quando le patate erano morbide, le ho tirate fuori dal brodo e le ho schiacciate ben bene con la forchetta, fino a ridurle in purea. Poi ho versato questa purea di nuovo nel brodo, aggiustando di sale. 
Quando la zuppa riprende bollore, si aggiunge la verza a striscioline. Deve cuocere per circa 10 minuti. L’ho lasciata ammorbidire, ma bisogna stare attenti che tutto il Caldo Verde resti verde e non viri verso il giallo, con una cottura eccessiva.
Questa zuppa si serve aggiungendo un filo d’olio nella scodella e fette di pane di miglio (o integrale, come ho fatto io) e talvolta anche olive nere.
Il fiore all’occhiello sono fettine di chourizo affumicato, circa tre per ogni commensale, aggiunte all’ultimo!

ai fornelli

Rotolo di sponge-cake al lemon curd

Per il mio compleanno, un paio di giorni fa, ho studiato una torta che potesse accogliere il prodigioso lemon curd, preparato la sera prima.
Ho trovato una torta soffice in rete, una versione della sponge-cake, che subito mi è sembrata adatta a quel tipo di farcitura. All’interno ne è bastato uno strato abbastanza sottile, perchè molto aromatico.
La resa anche visiva è ottima! E la torta è talmente soffice e leggera che non se ne possono prendere meno di due fette!!!
La ricetta originale la trovate qui, sul blog The Gingerbread Road
Io ho dimezzato le dosi, modificando leggermente le proporzioni, ed ho usato una teglia rettangolare lunga 30 cm, ne vengono circa 12 fette.
La ricetta: Torta-sponge da arrotolare al lemon curd
2 uova grandi + 1 tuorlo
20 g di farina setacciata
15 g di maizena
50 g + 10 g di zucchero semolato
qualche goccia di succo di limone 
lemon curd, preparato come indicato qui
Ho messo in una ciotola 1 uovo intero e due tuorli e li ho portati a temperatura ambiente, mentre l’albume restava in frigo.
Ho riscaldato il forno a 220° C.
Ho preparato la teglia con la carta forno leggermente inumidita in modo che aderisse bene.
Ho lavorato l’uovo intero e i tuorli con 50g di zucchero e poi ho aggiunto farina e maizena setacciate.
Una volta che il composto era ben amalgamato ho montato a neve l’albume con qualche goccia di limone. Poi ho aggiunto i 10 g di zucchero semolato e montato ancora per qualche istante.
Ho amalgamato l’albume ai tuorli senza smontare il composto ed ho trasferito il tutto nella teglia preparata in precedenza.
Ho infornato per 7 minuti, ad altezza centrale nel forno.
Una volta sfornato si cosparge subito di zucchero semolato, si rovescia sulla stagnola e si cosparge di zucchero anche l’altro lato.
Una volta che la torta era intiepidita, l’ho splamata con il lemon curd e l’ho avvolta a rotolo e fermata con la stagnola.
La torta si conserva in frigo fino al momento di servire, quando si cosparge di zucchero a velo, si taglia a fette e svela il suo ripieno!!!

Con questa ricetta, partecipo al contest “Cucinando… dolcemente” del blog “Io… così come sono” di Pippi.

ai fornelli

Salsa Verde alla Ligure e il contest della Cuochina

L’ispirazione è ligure e si tratta di una ricetta antica che si perde nella notte dei tempi. Pellegrino Artusi la cita nel suo La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, tralasciando però di citare il famoso Cappon Magro, che la salsa andava a farcire, e la definisce semplicemente “Salsa per il pesce lesso”.
La ricetta originale della salsa verde ligure non mi sembra che preveda il basilico, ma io lo metto perché dà un tono decisamente più estivo alla salsa. Tutti gli altri sapori sono perfettamente equilibrati dopo il riposo in frigo!!
Io ho sostituito l’aceto di vino bianco con l’aceto di mele, che è più delicato.
Bisogna dosarlo man mano, essendo parsimoniosi all’inizio perché il gusto si svilupperà poi, pena il rischio che la salsa diventi troppo “acetosa”…
 
Il bello di questa salsa è che è molto versatile; viene usata per il cappon magro, tra uno strato e l’altro di verdure e pesce, o per il pesce bollito nudo e crudo o alla griglia oppure ancora per la cima genovese. Secondo me è perfetta anche per accompagnare elegantemente delle semplici verdure bollite o meglio ancora delle frittelle di cavolfiore o con l’acciughina.
Dopo il riposo “rituale” di 24 ore, si conserva, grazie all’aceto, per diversi giorni.

La ricetta: Salsa verde alla Ligure

1 mazzetto prezzemolo
1 manciata basilico
1 o 2 fette di pan carré bagnate nell’aceto di mele
1 grosso spicchio d’aglio
2 cucchiai pinoli
2 cucchiai capperi
4/5 acciughe
1 tuorlo d’uovo sodo sbriciolato
una decina di olive verdi
aceto di mele q.b.
olio extravergine d’oliva q.b.

Il procedimento è semplicissimo, ovviamente è la qualità degli ingredienti a fare la differenza.

Ho ammollato il pane in aceto di mele.
Ho lavato e asciugato le erbette e le ho tagliate grossolanamente, così come l’aglio.
Ho messo tutti gli ingredienti in un frullatore, e l’ho azionato ad intermittenza, aggiungendo l’olio a filo.
Deve uscire un composto omogeneo, ma denso.
Infine ho travasato il tutto in un barattolino e l’ho messo in frigo per 24 ore.
Il giorno seguente bisogna assaggiare la salsa e se il gusto acetoso non è predominante, magari aggiungerne qualche cucchiaino.

Questa volta l’ho preparata per il Cappon Magro, ma prima l’abbiamo assaggiata su crostini di pane…per vedere se era venuta bene!!! 🙂

Con questa ricetta partecipo al contest Aceto Sopraffino di Veru, La Cuochina Sopraffina, in collaborazione con R2M.

ai fornelli

Confettura verde di zucchine, mandorle e menta e il contest di Dolcezze di Nonna Papera

Cucurbita pepo, ovvero la zucchina! O lo zucchino…perché è un frutto neutro di nome e di fatto. Anche il suo sapore è delicato e quasi acerbo, immaturo, perché la zucchina se colta troppo matura fa i semi – tanti semi – e non è più commestibile.
Questo frutto proviene dagli Altopiani del Messico e i primi a cucinarlo furono gli Atzechi, ma una volta giuntoa qui in Italia non l’ha più abbandonata trovando il terreno ideale per esprimersi in tantissime preparazioni, offrendosi come contenitore dal sapore lieve per un gustoso ripieno o come generoso sostituto delle melanzane nella parmigiana. Ma è nel fritto che ha ottenuto maggior successo, diventando con lo scapece una vera base della cucina italiana.
Poi è decollata verso l’estero dove la parola “zucchini” è sinonimo di verdura ed è rimbalzata, rinnovata, di nuovo in Italia ed ora non più solo con il salato, ma anche nelle preparazioni dolci, fa bella mostra della sua timida delicatezza.

Una confettura alla zucchina vi sembra azzardata? Provate a farla e scoprirete quanto è deliziosa.
L’avevo già vista in rete tempo prima, ma solo di zucchine e zucchero. 
Pensando ad un qualche abbinamento sensato mi sono venute in mente le mandorle, che ben si sposano con la freschezza dell’ortaggio, e le foglie di menta, reminescenza dello scapece!!!

La ricetta: Confettura verde di zucchine, mandorle e menta
500 g di zucchine freschissime
350 g di zucchero semolato
90 g di mandorle sminuzzate a pezzetti grossi (io, velocemente nel frullatore)
succo di mezzo limone (o uno intero, se è piccino)
30/40 foglioline di menta (se possibile appena colte, che mantengano il loro profumo)

Ho grattugiato le zucchine a julienne.
Ho sminuzzato grossolanamente le mandorle.
Ho messo tutto in una pentola con lo zucchero e ho cominciato la cottura, mescolando fin quando lo zucchero non era completamente sciolto.
Ho lasciato cuocere e quando ha cominciato a bollire ho aggiunto il succo di mezzo limone.
A questo punto ho proseguito la cottura mescolando, e quando la marmellata ha cominciato a rassodarsi (per verificare fare la prova su un piattino, deve fare il velo) ho aggiunto le foglie di menta.
Ho lasciato sul fuoco ancora per un paio di minuti, poi ho riempito i barattoli, li ho chiusi e capovolti, finche non si è formato il sottovuoto.

Con questa ricetta partecipo al contest di Dolcezze di Nonna Papera ” Metti la Natura sotto vetro” 

ai fornelli

Cavoli a Merenda ovvero la Sfoglia del Cavolo!!! (per il contest di Cristina di Pan per Focaccia)

Il sottotitolo sarebbe “come trasformare una ricetta dal nome poco appetibile in una vera prelibatezza“.
In effetti sfido molti di voi a farsi venire l’acquolina davanti a una pausa pranzo a base di pastasfoglia farcita di cavolo. E io stessa, fino a poco tempo fa non me lo sarei sognato neppure!! Poi è arrivato questo periodo di sperimentazioni – e il blog – e il cavolo è entrato a pieno titolo nella mia cucina. Con successo direi.
Ho pensato che questa ricetta fosse adatta al contest “Una gita senza formaggio” di Cristina del blog Pan per Focaccia , perchè è ad alta percentuale di portabilità, perchè il cavolo si trova tutto l’anno, perchè è più buona fredda che appena sfornata e sicuramente non è la solita torta!!!
Inoltre la preparazione è veloce ed occorrono pochi insaporitori, che di solito abbiamo in casa!
Un’idea in più potrebbe essere fare delle monoporzioni, ancora più comode da mangiare fuori casa.
Per una tortiera da 23 cm ho usato:
mezzo cavolo bianco
1 spicchio d’aglio
3 filetti di acciuga
olive verdi e nere a piacere
fettine di speck (circa 100 g, in quantità tale da rivestire il fondo della teglia)
1 peperoncino
olio evo
sale
Ho pulito il mezzo cavolo e l’ho affettato finemente, per ottenere delle striscioline di mezzo cm di larghezza.
Intanto in una padella larga ho messo qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un grosso spicchio d’aglio a soffriggere leggermente. Se vi piace potete aggiungere un peperoncino secco sbriciolato [a me piace!!! :)].
Poi ho tolto la padella dal fuoco, ho fatto intiepidire leggermente l’olio, perchè non schizzasse, e vi ho versato le acciughine, facendole sciogliere.
Ho rimesso la padella sul fuoco, ho aggiunto quasi subito il cavolo tagliato finemente facendolo insaporire. Ho aggiunto le olive verdi e nere snocciolate, ho aggiustato di sale e ho fatto cuocere per circa dieci minuti, rigirando ogni tanto. Il cavolo deve restare croccante e quindi non deve cuocere di più.
Ho lasciato intiepidire il tutto.
Poi ho riscaldato il forno a 180°.
Ho steso la sfoglia nella teglia e l’ho rivestita con le fette di speck, salendo anche un pochino sul bordo.
Vi ho versato il cavolo e ho ripiegato il bordo di sfoglia verso l’interno.
Lasciare in forno fino a doratura, dai 30 ai 40 minuti.
Si gusta fredda o leggermente tiepida!!!  Provatela!!!
Con questa ricetta, come ho detto sopra, partecipo al contest di Cristina “Una gita senza formaggio”.
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