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Rijstevlaai, il dolce di riso dei Paesi Bassi per l’Abbecedario Culinario

Il primo paese europeo a diventare protagonista dell’Abbecedario Culinario è, sul blog Gata da Plar, l’Olanda o più precisamente i Paesi Bassi, dalla cucina a me completamente sconosciuta… 
Mi sono documentata un poco ed ho scoperto che i Paesi Bassi sono costituiti da 12 distinte province, con piatti tipici diversi o versioni diverse dello stesso piatto, e che l’aggettivo “olandese” si può attribuire solo a 2 delle province costituenti la Federazione.
L’origine del nome dei Paesi Bassi l’abbiamo imparata a scuola, quando ci han detto che buona parte del suo territorio si trova al di sotto del livello del mare (precisamente il 20%). Il 50% invece giace ad un’altezza inferiore al metro sul livello del mare…ed io mi immaginavo una cucina composta quasi esclusivamente di aringhe e molluschi… Invece devo dire che i piatti sono piuttosto vari e che alcuni dolci sono davvero invitanti!!
Ho scelto proprio un dolce per aprire la mia partecipazione alla raccolta. 
Si tratta della Rijstevlaai, dalla regione della Limburg, una delle più meridionali dei Paesi Bassi. Le vlaaien  sono una sorta di crostata, con la differenza della più importante presenza di lievito nell’impasto rispetto a una normale pastafrolla. A volte viene usato il lievito di birra, altre volte un semplice lievito istantaneo; il ripieno è costituito da una crema di riso cotto nel latte e aromatizzato alla vaniglia.
In rete ho trovato solo ricette in inglese e quindi ho dovuto tradurre tre o quattro ricette prima di decidere quale mi fosse più congeniale ed inevitabilmente ne è venuta fuori una versione personale, correggendo le dosi a seconda del mio gusto.
Rispetto a molte ricette ho aumentato leggermente la quantità di zucchero nella crema di riso; poi ho aggiunto un poco di farina di avena nell’impasto che ha dato una consistenza più rustica alla base; tradizionalmente la Rijstevlaai è piuttosto bassa, io, sulla suggestione  di alcune foto trovate in rete, l’ho fatta un po’ più alta e l’ho spolverata leggermente di zucchero a velo.

Eccola a voi, compagni di viaggio!!

La ricetta: Rijstevlaai

Per la crema:
70 g di riso
420 ml di latte intero
i semini di una bacca di vaniglia
1 uovo
1 pizzico di sale
50 g di zucchero
Per la pasta:
90 g di farina bianca 00
35 g di farina di avena
1 cucchiaino di lievito in polvere per dolci
30 g di burro morbido
30 g di zucchero
qualche cucchiaino di latte
1 uovo 
Ho sciacquato il riso sotto l’acqua corrente.
Ho messo a scaldare il latte in un pentolino capiente  con i semini della bacca di vaniglia e quando stava per bollire vi ho gettato il riso. L’ho fatto cuocere finchè non era morbido, poi ho spento e messo a intiepidire: il riso assorbirà tutto il latte, mentre raffredda.
Ho preparato la pasta, mischiando alla farina lo zucchero e il lievito in polvere. Ho aggiunto il burro morbido a cubetti, impastando e poi l’uovo, fino a formare un impasto soffice, un po’ più morbido di una normale pasta frolla: se occorre si aggiunge qualche cucchiaino di latte. Ho fatto riposare l’impasto per una ventina di minuti.
Ho ripreso la crema: diviso il tuorlo dall’albume ed ho lavorato il tuorlo con metà dello zucchero fino a farlo diventare chiaro; ho aggiunto lo zucchero restante alla crema di riso e latte mescolando bene ed ho montato a neve l’albume.
Ho steso la pasta in una sfoglia sottile ed ho foderato con essa uno stampo imburrato del diametro di 21 cm.

Ho aggiunto il tuorlo con lo zucchero al riso e latte e, a completo assorbimento, ho amalgamato anche l’albume a neve.
Ho versato questa crema all’interno della teglia ed ho infornato il tutto a 170° per 35 minuti.
Prima di togliere dal forno ho fatto la prova stecchino e poi ho spolverato con zucchero a velo.

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Galette des Rois per l’Epifania Il dolce parigino dell'Epifania per eccellenza

Oggi non poteva mancare un dolce, per di più dal momento che l’Epifania è l’unica occasione dell’anno in cui questa prelibatezza si dovrebbe gustare: la galette des Rois parisienne.

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# 8 – Calendario dell’avvento – Mandarino Day

Io non sono una grande estimatrice di questo frutto, ma dall’anno scorso, con la marmellata di mandarini, ho deciso che il profumo del mandarino debba essere il profumo del Natale, come una volta…
Eccoci giunti quindi alla seconda edizione del Mandarino Day!!
Questa volta ho voluto preparare una torta e partendo da una ricetta senza farina, trovata su un libricino di Anne Wilson, dove il dolce era fatto con la polpa frullata dei mandarini, ho fatto delle modifiche e delle aggiunte arrivando ad una vera e propria golosità.
Non possono mancare la farina di grano saraceno, che secondo me dà un grande carattere alle torte soffici, e le nocciole che mitigano l’asprigno dell’agrume.
Ne viene fuori  una torta gonfia e soffice, che spande il suo profumo per la casa già dalla preparazione della polpa di mandarino, fino a quando viene sfornata ormai pronta.

E’ il regalo perfetto per l’anziana signora che ancora si ricorda del Natale al profumo di mandarino e frutta secca.
La ricetta: Torta al mandarino e nocciole con farina di grano saraceno
180 g di polpa di mandarini (3 o 4 mandarini crudi)
2 uova grandi
120 g di zucchero di canna
40 g di panna liquida (o latte o yogurt bianco)
25 g di olio di semi

80 g farina 00
80 g di farina grano saraceno
50 g di nocciole sminuzzate grossolanamente

1/2 bustina di lievito per dolci
Per prima cosa bisogna preparare la polpa di mandarini. Ho messo i mandarini in una pentola, coperti di acqua fredda e ho portato a bollore. Ho fatto bollire per circa 40 minuti. Poi ho scolato i mandarini e li ho fatti intiepidire. Li ho tagliati a metà, ho eliminato i semi e poi li ho passati al frullatore, con tutta buccia. Ho raccolto la polpa ottenuta, pesandone 180g.
Ho montato le uova con lo zucchero finché sono diventate chiare e spumose; ho aggiunto la polpa di mandarino, l’olio di semi, la panna, mescolando bene ogni volta. Ho amalgamato al composto le due farine setacciate con il lievito in polvere ed infine ho aggiunto i pezzetti di nocciola.
Ho versato in una teglia da 20 cm di diametro e fatto cuocere in forno caldo a 175° per 30 minuti, controllando poi la cottura con uno stecchino.
Quando la torta era fredda l’ho spolverata con lo zucchero a velo.

Con questa torta al mandarino partecipo al contest di Morena in Cucina, Un Dolce al Mese, che per dicembre è incentrato sugli agrumi.

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# 5 – Calendario dell’Avvento – Carmignanini

La casellina di oggi del calendario dell’avvento è dedicata a Simona’s Kitchen che ha un blog che amo e che l’anno scorso, più o meno in questa stagione, grazie alla scusa del suo contest, mi ha dato la possibilità di andare a spasso per la mia città a fotografare un monumento che adoro, in una giornata freddissima e assolata come quella di oggi!
Al mio post sono poi arrivati dei premi, dei libri graditissimi, e una bellissima lettera dell’editore Claudio Martini, che mi ha commosso, e che mi ha incoraggiato a continuare la bellissima avventura del blog, regalandomi indirettamente tante altre bellissime soddisfazioni.
Il tempo è passato…ma da uno di quei libri ho voluto recuperare una ricetta adattissima a questo periodo. 
Dovete sapere che nel territorio pratese esiste una Strada dei Biscotti. Noi qui in Piemonte abbiamo la Via Francigena e la Via del Sale… loro hanno la Strada dei Biscotti: un percorso (che mi immagino profumato! ;)), che si snoda attraverso la Val di Bisenzio, i comuni di Prato e Montemurlo e poi i territori di Poggio a Caiano e Carmignano. Ognuno di questi luoghi ha i suoi biscotti tipici che sono stati raccolti, con tutte le varianti, in un libricino distribuito anche dalla Provincia di Prato. 
L’arrivo del Natale e la necessità di comporre dei piccoli doni per le persone care, rende questo librino particolarmente prezioso!!
Per questa occasione ho scelto un biscotto tipico di Carmignano, il Carmignanino.
Carmignano un tempo era detta Carmignan de’ fichi e i suoi fichi secchi, diventati prodotto agroalimentare tipico e presidio SlowFood nel 2001, cominciarono ad essere citati ufficialmente già dal XV secolo dal mercante Francesco Datini. Negli anni ’50 la coltivazione di questo prodotto cadde in disuso, come accadde per molti altri prodotti scarsamente produttivi. Oggi vengono valorizzati e fatti conoscere grazie a Benvenuto Fico Secco, la fiera che si svolge a fine ottobre, anche se un tempo la messa in commercio ufficiale avveniva proprio ai primi giorni di dicembre.
I fichi di Carmignano sono un’eccellenza che bisogna assaggiare almeno una volta nella vita, ma anche se in questo momento non li avete a disposizione, nulla vi vieta di provare a fare (e, se volete, regalare)  i Carmignanini che sono semplicissimi e una vera delizia.
La ricetta: I Carmignanini
100 g di burro
100 g di zucchero
2 tuorli d’uovo
200 g di farina
1 pizzico di sale
la punta di un cucchiaino di lievito per dolci
vaniglia (qualche semino schiacciato o qualche goccia di essenza)
marmellata di fichi
250 g di fichi secchi (1/4 di fico per ogni biscotto)
Ho lavorato insieme burro e zucchero. Ho poi aggiunto i tuorli d’uovo.
Quando si era formata una crema omogenea ho amalgamato all’impasto la farina, il sale, il lievito e la vaniglia.
Ho formato una palla di impasto e l’ho lasciata riposare per circa 1 ora.
Ho ricavato una sfoglia alta 3-4 mm e vi ho ritagliato tanti cerchi del diametro di 4 cm. Su ogni cerchio ho spennellato la marmellata di fichi leggermente diluita e poi li ho accoppiati a due a due con 1/4 di fico secco al centro.
Ho fatto cuocere in forno caldo a 180° per circa 10 minuti.
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Fave dei morti per Halloween Tutta la tradizione della festa di Halloween

 
I telegiornali dicono che Halloween è la festa per bambini importata dagli Stati Uniti, ma non sempre dicono che negli Stati Uniti questa festa è arrivata dall’Europa, grazie agli immigrati irlandesi e scozzesi: All-Hallows-Eve significa infatti Vigilia di Ognissanti in scozzese antico.

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Il Taste & Match di Torino e la mia dolce ricetta

Quando l’oste Fernando di Winexplorer mi ha proposto di partecipare alla seconda edizione torinese del Taste&Match ho fatto un salto di gioia. Mettersi alla prova in cucina, soprattutto misurarsi con il gusto di assaggiatori esigenti è sempre una bella sfida per me. Certo non è semplice far calzare perfettamente un piatto ad un vino, ma quando l’esperimento riesce son gioie per il palato.
Il vino che mi è stato assegnato è un passito molisano DOC, Apianae Di Majo Norante, al 100% Moscato Reale. Ancor prima di assaggiarlo mi sono un po’ documentata sulla storia di questo vino, Apianae altro non è che l’antico nome del vitigno Moscato Reale, coltivato fin dal 200 a.C. e forse ancor prima. Questo vino ha viaggiato nei secoli, passando per le corti papali fino ai giorni nostri e all’assaggio conserva tutto il gusto del sole molisano. Per questo nello studiare un dolce da abbinargli ho pensato subito a qualcosa che richiamasse la tradizione del Meridione: mandorle, miele, acqua di fiori d’arancio, in una gustosa crema di uova.
Così ho ricordato certe tortine di origine medievale, che avevano proprio il miele e l’aroma di fiori d’arancio tra gli ingredienti principali. Dall’idea alla prova pratica il passo è stato breve e sono nati questi dolcini che ho dedicato al mio personaggio medievale preferito, Federico II di Svevia, amante della poesia e delle arti, che scorrazzando per il sud Italia, forse ha anche avuto la possibilità di assaggiare questo pregiato vitigno.
E voi, non siete curiosi di assaggiare questa e le altre ricette degne di un imperatore?
Il Taste&Match si svolgerà il 10 novembre a Torino, nell’elegante cornice del Circolo dei Lettori. Ci saranno 8 vini in degustazione, abbinati ad 8 ricette cucinate da altrettante foodbloggers. La serata ha un costo di 35 € e i posti sono limitati. Acquistando i biglietti online direttamente sul sito di Winexplorer avrete uno sconto del 10%, quindi… prenotatevi subito a questo link!!! 😀

La ricetta: Alla corte di Federico II, mini quiches alle mandorle, miele e acqua di fiori d’arancio, con salsa al moscato reale e zafferano.
Per la pasta brisé:
200 g di farina 00
90 g di burro
70 ml d’acqua freddissima
1 cucchiaino di aceto
1 cucchiaio di zucchero
Per il ripieno:
1 uovo
50 g di mandorle pelate e tritate grossolanamente
50 g di miele (di tiglio oppure di fiori di agrumi)
125 ml di panna liquida
acqua di fiori d’arancio
cannella
Per la salsa:
1 uovo
2 cucchiai di miele
1 cucchiaio di maizena (o di farina 00)
150 ml di latte
1/2 bicchiere di moscato reale Apianae Di Majo Norante
zafferano
Ho preparato la brisè: ho mescolato la farina con lo zucchero e versato un cucchiaino di aceto nell’acqua fredda di frigo. Poi ho impastato la farina con il burro freddissimo a cubetti ed aggiunto gradualmente l’acqua fino a formare una palla di impasto. Poi, senza far scaldare l’impasto, l’ho riposta in frigo fino al momento di stenderla.
Ho preparato il ripieno: ho montato le uova con lo zucchero e il miele, aggiungendo l’acqua di fiori d’arancio e la panna liquida e mescolando con cura; ho cosparso il fondo delle tortine di granella di mandorle e poi ho colmato con un mestolino di crema
Ho messo a cuocere in forno caldo a 180° finché la crema non era rassodata e leggermente caramellata.
Ho preparato la salsa di accompagnamento, mescolando 1 uovo con la maizena setacciata e 100 ml di latte intiepidito. Ho aggiunto 1/2 bicchiere di vino e poi, mettendo sul fuoco a bagnomaria, ho dolcificato  con il miele. Ho lasciato rassodare mescolando in continuazione, finché non ha preso un po’ di tono, ma senza che la salsa rassodasse troppo.
Ho composto il piatto con una tortina ed una cucchiaiata di salsa, decorando con un pizzichino di zafferano in polvere.

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Tea Time con gli alfajores de maicena e il tè nero Darjeeling

Con il Tea Time di oggi assaggiamo profumi e sapori di due luoghi lontanissimi tra loro.
Incontriamo i celebri Alfajores de Maicena dall’Argentina e il tè Darjeeling di Coccole dall’India.

Gli Alfajores sono diffusi in tutto il sud America, non sono tipici soltanto in Argentina, anche se all’Argentina, oggi, si deve la loro maggior popolarità, grazie a marchi importanti.

Ma partiamo dalle origini: lo dice chiaramente la radice al- del nome, l’Alfajor non può che avere origini arabe – alfajor deriva da al-hasù, che significa ripieno.
Di cosa fossero ripieni i primi alfajores non si può dire con certezza, molto probabilmente una crema o una marmellata. Durante la dominazione araba della penisola iberica, gli alfajores furono importati in Spagna e ancora oggi, in Andalusia, si utilizza questo tipo di farcitura. Gli Alfajores andalusi sono tipici delle festività natalizie e vengono arricchiti con noci, mandorle e miele; in alcuni casi sono ripieni di pasta di miele.

Una volta conquistati i golosi di Spagna, questi dolcetti erano pronti a fare un altro viaggio: li ritroviamo in America Latina al seguito delle truppe dei conquistadores, precisamente in Venezuela e in Perù, menzionati nelle razioni dei soldati.
Gli Alfajores del Nuovo Mondo mutarono e ben presto ebbero assai poco a che vedere con i genitori spagnoli, diventano semplicemente due biscotti farciti, con l’immancabile ripieno al centro. Pian piano, diventando dolci prodotti sul territorio, venne mutato anche il ripieno; pare che proprio in Perù si cominciarono a farcire di manjar blanco, la versione peruviana del dulce de leche argentino.

Pare che il primo dulce de leche venne prodotto accidentalmente quando nel XIX secolo, una mulatta a servizio presso il General Rosas, militare e politico argentino, dimenticò sul fuoco la lechada, latte caldo con zucchero per aromatizzare il matè; passato il punto di cottura il latte con lo zucchero cambiò colore e consistenza, diventando cremoso.
Il dulce de leche, dalla consistenza densa e cremosa, venne subito ritenuto adattissimo per farcire gli alfajores che, proprio con il dulce de leche e una copertura di cioccolato fondente conquistarono tutto il Sud America.
Pare che soltanto in Argentina ne vengano consumati 6 milioni al giorno…un cifra straordinaria. Gli alfajores rappresentano anche il classico souvenir da portare dai luoghi di villeggiatura. I più celebri sono infatti di marca Havanna e Balcarce, nati negli anni ’50 a Mar de la Plata,  nota località marittima.

La caratteristica più sorprendente degli alfajores, è la straordinaria consistenza friabile data dalla maizena, che ben si sposa con il morbido ripieno interno.

Questi biscottini golosissimi mi sembravano abbinarsi bene con il tè nero del Darjeeling di Coccole.
Il termine Darjeeling deriva da dorjie, fulmine, e ling, luogo; significa perciò terra dei fulmini. Il suo clima la rese famosa al tempo dell’impero Britannico in India, quando gli occidentali scappavano dal clima asfissiante delle pianure per rifugiarsi in montagna.
Il Darjeeling è noto principalmente oggi per due cose, il suo straordinario tè nero, detto lo champagne dei tè, e la ferrovia himalayana del Darjeeling, patrimonio mondiale UNESCO.


In realtà la coltivazione del tè in questa zona iniziò soltanto nel 1841, quando il medico Dr. Campbell importò in questa zona semi di tè provenienti dalla Cina, con l’intento di provare a coltivarli. La produzione viene fatta tutt’oggi nei Tea Garden e lo straordinario terroir del Darjeeling contribuisce assieme al clima ventilato a rendere questo tè unico. 
La coltivazione viene svolta al 60% da donne, a livello poco più che familiare, nonostante si nutra un commercio a livello mondiale. Non per nulla questo tè è anche quello più falsificato: di 40.000 tonnellate messe in commercio, solo 10.000 tonnellate sono di “vero” darjeeling.

Con un’infusione corretta si ottiene un tè chiaro, dal gusto dolce e delicatamente tannico.
Questo tè si è sposato ottimamente con i morbidi alfajores, perché tende a temperare l’eccessiva dolcezza del dulche de leche: abbinamento bilanciatissimo e sicuramente da ripetere!

La ricetta: Alfajores de Maicena con dulce de leche
Ingredienti (per circa 20 alfajores):
50 g di zucchero
65 g di burro morbido
37 g di tuorlo (circa 2)
90 g di maizena
60 g di farina 00
1/2 cucchiaino di lievito per dolci
1 punta di cucchiaino di bicarbonato
1 pizzico di sale

Per il dulce de leche trovi la ricetta qui.

Ho montato con la frusta burro morbido e zucchero fino ad ottenere un composto molto omogeneo e spumoso.
Ho aggiunto poco per volta i tuorli con un pizzico di sale.
Ho setacciato insieme farina lievito e bicarbonato e li ho amalgamati delicatamente al composto di burro e tuorlo.
Ottenuta una palla molto morbida, l’ho avvolta in pellicola e l’ho messa a raffreddare in frigo per circa 1 ora.

Ripreso l’impasto l’ho steso in piccole quantità in una sfoglia spessa 4-5 mm. Ho ricavato dei tondi con un bicchiere del diametro di 4 cm e nella metà di questi tondi ho ricavato un buco centrale con un tappo. Ho deposto i biscotti su una teglia coperta di carta forno e infornato a 180° per 10-12 minuti, eventualmente abbassando leggermente se il vostro forno, come il mio, tende ad aumentare di temperatura, senza far prendere colore e procedendo così fino ad esaurimento dei biscotti.
Li ho lasciati raffreddare e poi accoppiati a due a due mettendo al centro del biscotto senza buco un cucchiaino di dulce de leche e coprendolo con un biscotto bucato.

Volendo si possono coprire di un sottilissimo strato di cioccolato fondente fuso, ma io li ho mangiati così!

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I Läckerli di Basilea e il Pu Erh alle spezie

Per il Tea Time di questa settimana ho scelto un tè profumatissimo. Si tratta di una miscela di Pu Erh con diverse erbe e spezie: vi troviamo finocchio, anice, semi di cardamomo, pepe nero, cannella di ceylon, zenzero a pezzi e chiodi di garofano. Già all’apertura del sacchetto il profumo delizioso riempie l’aria, quando poi si mette in infusione è davvero un concerto di profumi diversi perfettamente equilibrati. Mentre
l’acqua si colora, i profumi si evolvono sempre più e se all’inizio è
più pungente il chiodo di garofano, poi sboccia la freschezza dei semi
di finocchio e anice. All’assaggio il tè fa da direttore d’orchestra con il suo tocco che ricorda l’affumicato, rispondono tutti gli altri gusti perfettamente armonici.
Il suggerimento di Coccole è di gustarlo anche freddo e sicuramente ci proverò. Questa volta invece l’ho assaggiato caldo con un biscotto che avesse la forza di bilanciarlo.


Ho scelto i Läckerli [o Leckerli] di Basilea. Si tratta di biscotti antichissimi, tradizionali proprio della città svizzera sul Reno, che si trova quasi al confine tra Germania e Francia.
La leggenda legata alla loro nascita parla del 1431 e del Concilio di Basilea. Si dice che per ristorare i prelati dopo le giornate intense del concilio fu creato per loro questo nutriente biscotto. Altre storie narrano di una torta, fatta con questo impasto e dalla forma rotonda come il tamburo simbolo della città, già esistente a Basilea fin dall’antichità e preparato dai monaci. All’arrivo in città degli alti prelati, i monaci, detentori della ricetta, non fecero altro che aggiungere una buona quantità di spezie adatte alla classe sociale elevata dei partecipanti al Concilio.
La ricetta tradizionale prevede solo miele  e non zucchero, come veniva fatto nel 1431, e una glassa superficiale al kirsch.
La presenza di spezie e canditi rende questo biscotto molto vicino al panpepato e ad altri dolci nordici a base di spezie. La consistenza è morbida e, come mi è stato suggerito [grazie Silvia! ;)], visto che non ho mai assaggiato gli originali, è vicina al marzapane o al panforte.
Se fate un salto a Basilea, potete trovarli alla Läckerli Huus, dove vengono sfornati di continuo, e sappiate che sono davvero più buoni dopo uno o due giorni!!
Io ho variato leggermente la ricetta, mettendo buccia di limone e arancia al posto dei canditi e un goccino di grappa al posto del kirsch.
Le spezie di questi biscotti si sposano perfettamente con i profumi del tè Pu Erh alle spezie. Ci siamo avvolti, gustando questo abbinamento, in una profumata e calda nuvola di spezie!!


La ricetta: Läckerli di Basilea
Ingredienti (circa 30 pezzi):
70 g di zucchero di canna
30 g di miele
2 uova
1 pizzico di sale
125 g di nocciole e mandorle tritate (io circa 80 g di nocciole e 45 g di mandorle)
30 g di burro fuso intiepidito
scorza di mezzo limone
scorza di mezza arancia [oppure 30 g di canditi tritati]
1 cucchiaio colmo di spezie (cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano)
125 g di farina (o piccola percentuale di integrale)


In un recipiente ho mescolato insieme le uova con un pizzico di sale, lo zucchero e il miele e montato finché non sono diventi chiari.
Ho aggiunto le nocciole e le mandorle, il burro fuso e intiepidito, la scorza di limone e arancia e le spezie, mescolando bene. Chi vuole può aggiungere in questo momento i canditi.
A questo punto ho aggiunto la farina, mescolando per farla assorbire del tutto.
L’impasto risulta come quello di una torta non troppo liquida.
L’ho steso sulla teglia (22x26cm)foderata di carta da forno, livellandolo allo spessore di 1 cm o poco più.
Ho infornato a 180°, nella parte centrale del forno per circa 20 minuti.
Subito prima di sfornare, ho preparato una glassa con 75 g di zucchero a velo, due cucchiai d’acqua e 1 cucchiaino di grappa.
Ho steso la glassa con un pennello sul “läckerlone” ancora caldo avendo l’accortezza di tagliare mezzo cm di bordo esterno che risulta più cotto. In questo modo i biscotti verranno tutti uguali.
Dopo aver steso la glassa ho subito tagliato in rettangoli di 3×4 cm, e poi lasciato asciugare la glassa prima di riporli in una scatola di latta.

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Torta Monferrina Bocca di Dama

Ho perso per un attimo il filo del blog… in effetti non pubblico dal 19 marzo, ma sono stati giorni intensi, comprensivi di una torta su commissione che mi ha fatto venire voglia di provare a dedicarmi un po’ di più alle decorazioni. Di norma preferisco le torte al naturale, dall’aria un po’ rustica e tradizionale, ma in effetti affinare un po’ la mia manualità in previsione di qualche torta di compleanno o per ricorrenze particolari non sarebbe male!
Nel frattempo pubblico una ricetta “classica”, una torta tradizionale sulla quale non sono riuscita a reperire molte informazioni.
Si tratta della Torta Monferrina-Bocca di Dama. Non bisogna confonderla con altre torte chiamate Bocca di Dama e preparate con le mandorle tritate. 
Questo è un dolce tipico piemontese, che in realtà in tanti anni non avevo mai avuto la fortuna di incrociare in nessun locale né agriturismo piemontese. Si prepara indifferentemente sia con le pesche sia con le albicocche sciroppate. E’ un dolce abbastanza rapido, ma dal sapore intenso e avvolgente, adattissimo per chiudere il prazo della domenica.
La ricetta l’ho trovata sul blog Farina Lievito e Fantasia e l’ho leggermente modificata per le quantità degli ingredienti e le proporzioni.

La ricetta: Torta Monferrina Bocca di Dama
Io ho fatto una torta da 6-7 porzioni in uno stampo di 20 cm di diametro:
per la pasta frolla:
150 g di farina 00
65 g di burro
65 g di zucchero
1 uovo
la punta di un cucchiaino di lievito per dolci
per il ripieno:
80 g di amaretti secchi
pesche sciroppate (5 mezze pesche)
70 g di nocciole tritate
50 g di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di grappa
Ho impastato la pasta frolla con la ricetta che trovate qui. L’ho messa in frigo a riposare per circa 1 ora.
Passato il tempo ho steso la frolla su un foglio di carta forno leggermente infarinato e ho rivestito lo stampo lasciando un po’ di pasta sporgere oltre il bordo della teglia. Ho disposto sul fondo uno strato di amaretti (circa metà del totale) sbriciolati grossolanamente.
Poi ho messo uno strato di pesche messe a raggiera. Sopra le pesche ho sbriciolato gli amaretti restanti. Li ho bagnati con qualche cucchiaio di sciroppo mischiato al cucchiaio di grappa. Infine ho disposto uno strato di nocciole tritate grossolanamente.
Ho ripiegato la frolla che sporgeva verso l’interno creando un bel bordo rotondo e alto.
Ho sbattuto l’uovo con lo zucchero, fino a renderlo chiaro e gonfio. Ho versato il composto sopra le nocciole ed ho infornato subito a 175° per 30 minuti, controllando poi che il bordo fosse ben dorato.
Si può spolverare con un leggero strato di zucchero a velo.
E visto che l’ho portata dai miei “semi-suoceri”, l’ho pure impacchettata bene!! 😀
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Amaretti morbidi al limone e il tè nero Golden dello Yunnan

Questa settimana vorrei parlare di nuovo del tè in Cina e in particolare di alcune usanze legate a rapporti interpersonali e tè, per far comprendere quanto questa bevanda faccia parte della cultura cinese.
Troviamo il tè nel corteggiamento e nel matrimonio.
Fa parte della tradizione la proposta di matrimonio fatta con il tè. A casa della giovane viene inviato un intermediario che porti in dono alla famiglia delle foglie di tè. Se inizialmente venivano donate solo quelle, successivamente fra i doni ci furono anche abiti lussuosi, gioielli e bestiame. La famiglia della giovane prepara il tè e lo beve assieme all’ospite, ma è sulla ragazza che vengono puntati gli occhi: se lei berrà il tè accetterà il corteggiatore, se non lo berrà, il suo sarà un rifiuto.
La stessa famiglia può ricevere fino a quattro visite, ma se la ragazza non beve mai il tè , la proposta è stata rifiutata definitivamente.
Il tè torna in gioco durante la celebrazione del matrimonio nel  momento in cui marito e moglie dividono una tazza di tè che deve essere forte come il loro amore. Nella tazza vengono messi anche una noce di loto e un dattero rosso, simboli della fecondità e della felicità.
Un tempo la sposa andava a vivere, dopo il matrimonio, a casa dei suoceri ed ogni mattina le toccava servir loro il tè in segno di rispetto.

Offrire il tè indica riverenza anche in altri casi: chi reca offesa ad un anziano non ha altro modo di chiedere scusa se non offrire del tè in ginocchio; se l’anziano accetta le scuse, il tè viene bevuto insieme. Così accade per allievo e maestro in molte arti e discipline: bere il tè insieme significa accettare il nuovo discepolo.

Anche gli antenati vengono omaggiati con il dono del tè. Sul piccolo altare casalingo esso viene deposto assieme a frutta e incenso in onore dei cari defunti e degli dei.

Questa settimana ho scelto di degustare un tè nero Golden Yunnana di Coccole. Proviene dallo Yunnan, la regione cinese al confine con il Vietnam e il Laos e la Birmania. In questa regione montuosa si è cominciato a coltivare tè solo dal 1939, ma in breve tempo si è affinata la produzione e da qui oggi proviene il miglior tè della Cina.
E’ questo il tè che i cinesi accompagnano più spesso anche alle pietanze salate. In particolare è adattissimo con il pollo alle mandorle.
Io ho pensato di accompagnarlo agli amaretti morbidi, preparati con l’aggiunta di scorza di limone. La delicatezza di questo tè si sposa perfettamente con il sapore delle mandorle e il retrogusto leggero della buccia di limone. La nota tostata non è per nulla invasiva anzi si accorda perfettamente con l’evanescente retrogusto amarognolo dei biscotti.


La ricetta: Amaretti morbidi al limone

Per circa 24 amaretti:
110 g di mandorle spellate 

20 g di mandorle con la pelle (la ricetta prevedeva quella amare, ma non le ho trovate)
140 g di zucchero
buccia grattugiata di ½ limone non trattato
1 albume

Ho tritato nel mixer le mandorle, con la pelle e senza, con un paio di cucchiai di zucchero, ad intermittenza, senza far scaldare le lame.
Ho mescolato la farina di mandorle con lo zucchero restante e la buccia grattugiata del limone.
Ho montato l’albume a lungo, circa 7-8 minuti, aggiungendo poi gradualmente la farina, mescolando dall’alto in basso.
Ho coperto la scodella con pellicola e ho messo a riposare in frigo per una notte.
Il giorno seguente ho fatto delle palline e lo ho deposte distanziate sulla carta da forno. Gli amaretti in cottura raddoppiano di diametro.
Ho infornato a 160° per 15 minuti. Gli amaretti devono restare chiari per essere della giusta morbidezza, altrimenti raffreddandosi diventano croccanti.

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Estonian Kringle, la brioche che viene dal Nord

Il Kringle Estone è una brioche profumata, tradizionalmente farcita con burro, cannella e cardamomo. La cucina estone ha ereditato molto dalla Germania e dalle cucine vicine. 
La parola kringle in norvegese significa “chiocciola” ed esistono kringla (al plurale si dice così!) danesi e norvegesi che ricordano molto i pretzel tedeschi. Sul kringle estone, invece, non si trovano molte informazioni. Evidentemente la parola kringle (ma anche kringel e kringla) è usata solo per far riferimento alla forma, che anche in questo caso è intrecciata ed arrotolata, ma l’impasto è completamente diverso. 
Grazie a Edda vengo a sapere che questo dolce viene preparato per festeggiare i compleanni. La forma circolare, naturalmente, è carica di significati, penso al ciclo della vita e al rincorrersi delle stagioni…d’altronde abbiamo visto spesso la corona, la treccia, il vortice…tutte forme che ci riportano lontano nel tempo a piatti carichi di simbolismo.
Quando ho visto queste foto sul blog di Claudia me ne sono innamorata. Ho cercato diverse ricette per confrontarle e per quanto riguarda l’impasto differiscono di poco, ciò che si presta a mille rivisitazioni è proprio il contenuto.
La ricetta di impasto che ho trovato a me più congeniale è quella che trovate su questo bellissimo sito francese: ho tradotto il tutto e poi ho apportato le mie variazioni.
Per il ripieno ho deciso di restare sul classico, con la cannella, naturalmente, che con il sopraggiungere della primavera manderò in vacanza per un po’ [forse…] ma per ora è troppo presto, l’uva passa e le mele.
Con questa ricetta la pasta della brioche è sofficissima, forse merito della farina di segale che l’ha resa anche un po’ più scura di colore e dalla mollica finissima e aromatica. La crosticina esterna, grazie allo zucchero di canna, è croccante e dolce. Il tutto emana un profumo delizioso, irresistibile. In più la preparazione, pur trattandosi di un lievitato è abbastanza veloce. La riproporrò sicuramente, provando anche altre farciture, perchè la forma è davvero scenografica!
La ricetta: Estonian Kringle alla cannella, uvetta e mele
ingredienti:
100 g di farina 00
200 g di farina di segale per pane (+ altra per impastare)
120 ml di latte tiepido
4 cucchiai di miele
1 uovo intero
30 g di burro
10-12 g di lievito di birra
un pizzico di sale
per il ripieno:
50 g di uva passa
un bicchierino di grappa
1 mela verde ( non si disfa e resta a pezzettini)
zucchero di canna
30 g di burro
Ho messo l’uva passa a bagno nella grappa
Ho disposto le due farine setacciate a fontana in una ciotola grande.
Ho sciolto il lievito in qualche cucchiaio di latte e ho lasciato riposare un paio di minuti mentre scioglievo il miele nel latte restante.
Ho cominciato a impastare nella ciotola, prima con il lievito, poi con il latte e miele, mescolando bene. Poi ho aggiunto l’uovo leggermente sbattuto con un pizzico di sale.
Quando l’impasto era già ben formato ho trasferito sulla spianatoia e ho iniziato ad aggiungere il burro a pezzettini, impastando bene, con l’aggiunta di poca farina, finchè l’impasto non era più appiccicoso.
Ho trasferito in una ciotola e messo a lievitare al caldo per un’ora e mezza.
Ho tagliato la mela a cubetti di un centimetro di lato.
Ho ripreso l’impasto, l’ho schiacciato leggermente con le mani e poi steso con il mattarello fino a formare un rettangolo.
Sul rettangolo ho spalmato il burro sciolto con un pennello, poi vi ho disposto un po’ di zucchero di canna e poi l’uvetta strizzata e i pezzettini di mela.
Ho arrotolato il rettangolo dal lato lungo, fino a formare un rotolo.
Con un coltello affilato ho tagliato il rotolo in due parti uguali per il lungo e, senza farle aprire troppo, le ho attorcigliate tra loro. Non bisogna stringere troppo.
Poi ho chiuso il rotolo a forma di cerchio e l’ho messo sulla teglia da forno. (qui foto molto esaurienti per ricrearne la forma)
Ho coperto con pellicola unta e fatto rilievitare per un’ora. 
Ho spennellato con latte sbattuto con un tuorlo e ho cosparso di zucchero di canna. 
Ho infornato in forno caldo a 180° per 20 minuti. 
La mia versione del kringle è piaciuta! Se siete curiosi andate a leggere qua!

Aggiornamento del 28 ottobre 2013: questa ricetta è inserita nella raccolta Abbecedario Culinario d’Europa per l’Estonia.

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