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Pizza in teglia con funghi e Camembert Con porcini, champignon e Camembert, gustosissima pizza

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Non avevo mai pubblicato una pizza sul blog… tante focacce, quelle sì, ma la pizza è cibo da sabato sera. Da venerdì tutt’al più!

E dunque mi ci sono messa proprio d’impegno per impastare al mattino, tra l’altro con una ricetta che ormai è talmente consolidata che si fa da sé, con poco lievito e tanta acqua, lasciando che l’impasto maturasse da solo, prima di una lavorazione più accurata e una lievitazione più lunga, aggiungendo solo dopo il sale: un metodo che è frutto dell’esperienza e non risponde a nessuna scuola precisa.

Se volete buttare una sguardo sulla nascita della tradizione della pizza, prima che conquistasse il mondo intero, potete dare un’occhiata al mio articolo qui: la storia della pizza. Read more

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Focaccia della Befana La tradizionale focaccia dolce dell'Epifania

La focaccia della Befana è il dolce  che qui in Piemonte si mangia per l’Epifania. E’ una focaccia soffice, dall’impasto profumato di arancia, simile a quello della Colomba pasquale. Read more

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Scaccia Ragusana con ripieno continentale, per la farina Qb Kronos, Molino Grassi

Per la seconda ricetta per il contest di NonDiSoloPane e Molino Grassi, voliamo in Sicilia.
Per la farina Qb Kronos, semola di grano duro, selezionata a partire dagli anni ’80, corposa e profumata, non ho trovato utilizzo più azzeccato di una ricca e saporita “scaccia”, la tipica focaccia ripiena dell’Altopiano Ibleo. La semplicità di questa ricetta si sposa a meraviglia con la texture ruvida della Kronos: con pochissimi ingredienti si ottiene un gusto eccezionale, proprio grazie alla qualità di questa semola.

La ricetta della scaccia, tradizionale della zona di Ragusa, Modica e di tutti i monti Iblei, nella propaggine sud della Sicilia, è giocata su pochi ingredienti basici: farina di semola di grano duro, acqua, olio extravergine d’oliva, sale e poco lievito di birra. Dopo aver fatto lievitare l’impasto, si stende sottile, si farcisce e si ripiega su se stesso, fino a formare una tasca di bontà. I ripieni tradizionali sono pomodoro e cipolla, pomodoro e melanzane (precedentemente fritte, of course), ricotta e pomodoro, ricotta e salsiccia, salsiccia e prezzemolo come se piovesse…spesso si usa il caciocavallo ragusano, prodotto della zona.
In origine questo cibo povero e nutriente raccoglieva tutte le verdure che l’orto forniva; veniva preparato in casa, con un procedimento tramandato oralmente da made in figlia, e cotto in forno a legna. La chiusura a piccoli pizzicotti era la firma dell’autore, inconfondibile ad un occhio allenato.
Oggi la scaccia rappresenta un apprezzato street food, proprio per la comodità di poterlo mangiare con le mani, senza perdere neanche una goccia del prezioso contenuto. Alcune rosticcerie preparano la scaccitedda, una mini versione della scaccia, che di solito – per restare leggeri – viene accompagnata ad un arancino o arancina (a seconda della zona della Sicilia in cui vi trovate).
Se in passato la scaccia era quasi un cibo quotidiano, oggi lo si ripropone per la cena di magro della vigilia di Natale, accanto a tante altre portate.

Il ricordo che ho di Ragusa è incastonato in un tramonto di fine agosto. La ricordo, assieme al caldo e alla stanchezza, immersa in un’atmosfera silenziosa e surreale. Era l’orario in cui le strade erano già semivuote. Quasi tutta la città era a cena e il nostro scalcagnato gruppetto si aggirava confuso, dal basso verso l’alto, per le stradine di Ragusa Ibla, simili a quelle di antico quadro o di un presepe. Prima di giungere alla chiassosa piazza principale ci abbiamo messo un po’, fotografando ogni scorcio, desiderando di perderci in quel silenzio, inusuale nella frenetica e chiassosa Sicilia che avevamo conosciuto fino a quell’istante.
Guardate qui se non sembra un presepe:
[fonti: http://www.scampomatto.it/post/4543/scaccia-rausana
http://it.wikipedia.org/wiki/Scaccia
http://www.coffeemattarello.com/2013/08/focacce-modicane-con-pomodoro-e-cipolla.html]

Per la scelta del mio ripieno, come al solito, ho viaggiato per l’Italia. Ho usato cavolo nero ed ho veleggiato ancora più a nord per il sapore esplosivo del gorgonzola. Ho messo un po’ di croccante dolcezza con le mandorle intere e una sferzata di energia con il peperoncino. Ne è uscito un capolavoro che non vi farà rimpiangere la classica e deliziosa scaccia con pomodoro e cipolle!

Un messaggio per qualche siciliano che detesta le verdure a foglia: <<scusa per la mia interpretazione sopra le righe, ma ti assicuro che è buonissima anche così! ;)>>

La ricetta: Scaccia ragusana con ripieno continentale

250 g di farina di semola Kronos Molino Grassi
130-140 g di acqua leggermente intiepidita
6 g di lievito di birra fresco (un pizzicotto)
1 cucchiaio colmo di olio extravergine d’oliva
1 cucchiaino di sale

3-4 cespi di cavolo nero freschissimo
1 grosso spicchio d’aglio
1 piccolo peperoncino
2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
1 manciata di mandorle
100 g di gorgonzola

olio extravergine d’oliva per irrorare

Preparare l’impasto della scaccia. Sciogliere il lievito nell’acqua e poi cominciare ad aggiungerlo alla farina setacciata in una grossa ciotola. Avviare l’impasto ed aggiungere poi l’olio e il sale. Lavorare l’impasto finché non risulta perfettamente omogeneo. Metterlo a lievitare coperto e al tiepido.
Nel frattempo dedicarsi alla preparazione del ripieno.
Lavare il cavolo nero e liberare i cespi dalle parti più dure del gambo.
In una pentola capiente, rosolare per qualche istante l’aglio e il peperoncino in due cucchiai d’olio. Aggiungere le foglie di cavolo nero e saltarle, seguendole per un paio di minuti. Sfumare con acqua e stufare, regolando di sale, finchè non si abbasseranno e risulteranno morbide. Lasciare raffreddare altrimenti il ripieno tenderà a bucare l’impasto.

Quando l’impasto risulterà raddoppiato, sgonfiarlo e dividerlo in due panetti.
Scaldare il forno a 250°C.
Stendere ogni porzione di impasto in una sfoglia rettangolare sottile, spessa circa 2 mm. Disporre sulla sfoglia il cavolo nero, le mandorle intere, e il gorgonzola a pezzettini, lasciando un bordo di circa 2 cm tutto intorno. Irrorare con un filo d’olio.
Ripiegare i due lati lunghi del rettangolo verso l’interno, fino a circa metà della sfoglia. Poi ripiegare ancora uno di questi lati, fino a coprire totalmente l’altro. (qui le foto del procedimento).
Sigillare i lati corti con dei piccoli pizzicotti e pungere la superficie della scaccia con una forchetta perchè non si gonfi in cottura; la mia si è gonfiata ugualmente, quindi verificate che i buchi siano ben fatti e non richiudano immediatamente.
Ripetere l’operazione per la seconda scaccia.
Infornare per circa 20 minuti. Una volta sfornato lasciar riposare 5 minuti prima di affettare. Tiepida è ancora più buona e sprigiona tutto il suo sapore.

Con questa prima ricetta partecipo al contest Blogger Love Qb di Impastando S’Impara con Molino Grassi nella categoria Kronos.

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Pane dolce allo zafferano per Cerealia Wellness

Il nome dello zafferano deriva dal latino safranum e dall’arabo zaʻfarān (زعفران), giallo, che alludeva alla colorazione che gli stimmi, che in natura si presentano rosso-arancio vivo, davano alle stoffe per le quali venivano utilizzate come colorante.
Proprio con la funzione di trasmettere il colore acceso, che ricordava quello del sole, veniva utilizzato anche dagli egizi, per le bende delle mummie o per le tuniche dei sacerdoti e degli alti funzionari.
In epoca relativamente più recente Alessandro Magno lo adoperava come cicatrizzante per le ferite che si procurava in battaglia e Cleopatra utilizzava gli stimmi del prezioso fiore per regalare alla propria pelle una sfumatura dorata, un velo di autoabbronzante ante-litteram.
Nel frattempo in Grecia e a Roma erano “fiorite” – è proprio il caso di dirlo – numerose leggende riguardo la pianta e i suoi vivaci stimmi. Una di queste narrava del tragico amore tra il giovane Krocus e la ninfa Smilace, osteggiato dagli dei per il voto di castità della ninfa. Per separare per sempre i due amanti, gli Dei trasformarono la ninfa nella pianta di bosso e Krocus nel fiore di croco, dagli stimmi profondamente rossi.

Un’altra leggenda, questa volta romana, narra del dolore del dio Mercurio, che dopo aver ucciso inavvertitamente l’amico Croco, durante i suoi esercizi di lancio del disco, lo trasformò nel bellissimo fiore, macchiato di rosso a ricordo del sangue versato.
Intanto lo zafferano prosperava in medicina per le proprietà afrodisiache e antibatteriche che gli erano state assegnate e diventava, dall’Antica Roma a tutto il Medioevo e Rinascimento una sorta di status symbol. Chi poteva permettersi, tra tutte le spezie, anche questa preziosa polvere dorata erano solo le classi molto agiate.
Archestrato, cuoco e poeta greco, sosteneva che lo zafferano in un piatto lo rendeva “degno delle divinità immortali”, mentre i Romani erano soliti utilizzare la polvere dorata per preparare vini speziati e per nobilitare ulteriormente le già pregiate carni del pavone, con una salsa a base di zafferano, miele e nocciole.
Nel 1450 è ingrediente di ben 70 ricette di Mastro Martino di Como, il celebre cuoco della
famiglia Sforza, mentre a Venezia, nel momento più fiorente della Serenissima Repubblica, fu necessario istituire un ufficio dedicato esclusivamente ai commerci che riguardavano la preziosa spezia.

Dal Mediterraneo si spostò anche in Francia, dove diede vita alle preziose coltivazioni provenzali, e in Inghilterra e in Nord Europa, dove la memoria si conserva nei dorati dolci delle feste, ad esempio i Lussekatter svedesi, i panini di Santa Lucia.
Il pane dolce della Cornovaglia è uno di questi. Un pane ricco, da giorni di festa, arricchito da spezie e frutta secca e colorato dal giallo dello zafferano che in Cornovaglia rappresentava un’importante coltura nel XVI secolo.

Alcune note sulla farina che ho utilizzato per questo dolce: si tratta di Cerealia Wellness.
Come si nota nel loro marchio coi tre mulini, Cerealia nasce nel 2013 dall’unione di tre impianti molitori tra Lombardia e Piemonte, Molino Fiocchi, Molino Saini e Molino Seragni, nati tra la fine dell’800 e gli anni ’30 del XX secolo. L’unione fa la forza e il fatto di avere tre impianti che lavorano in sinergia ha permesso a Cerealia di diversificare la produzione a seconda delle necessità ed esigenze e di prestare più cura al cliente e al prodotto finale che si vuole ottenere. Unire le forze in questo caso ha permesso di svolgere analisi sempre più approfondite, per garantire una qualità ineccepibile ed investire nella ricerca per prodotti all’avanguardia.
Così oltre alle farine ad uso professionale, apprezzate da molte aziende, nasce la farina Wellness. Cerealia Wellness si presenta ad occhio nudo come una farina bianca;  in realtà essa è ricchissima di fibre, ma non contiene la parte più esterna del chicco, la vera e propria buccia che, avendo altissimi contenuti di lignina risulta più difficile da masticare ed è, a volte, irritante per l’intestino. Il contenuto di fibra, però, tolto il tegumento del chicco, è ugualmente molto alta, permettendo così un ridotto apporto di calorie e un sapore più pieno e gradevole.
Se avete ancora dei dubbi riguardo alla qualità di questa farina, pensate che la buccia esterna del chicco è quella che raccoglie tutti gli agenti atmosferici e le microtossine e quindi eliminarla rappresenta una garanzia per la salute, mentre il costo della Wellness, grazie alle tecniche approntate da Cerealia, resta comparabile con quello di farine tradizionali.
Qui i valori nutrizionali del prodotto:

[fonti sulla storia dello zafferano:
http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/l_antica_magia_dello_zafferano_di_provenza_e_ritornata_realta
http://www.lespezie.net/abc/391-zafferano.html
http://www.zafferano-leprotto.it/Lo-zafferano/curiosita.html]

La ricetta: Pane dolce della Cornovaglia allo zafferano
(ricetta rivisitata dal libro “Il Pane fatto in Casa”)

(per uno stampo da plumcake 20x10cm):

130 ml di latte
10 g di lievito di birra fresco
2 bustine di zafferano in polvere
200 g di farina Cerealia Wellness
30 g di mandorle tritate
la punta di un cucchiaino di noce moscata in polvere
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
30 g di zucchero di canna
36 g di burro
25 g di uva passa (queste le mie dosi, ma aumentate a piacere)
25 g di mirtilli rossi essiccati (queste le mie dosi, ma aumentate a piacere)
1 pizzico di sale
1 tazzina di rum
2 cucchiai di latte
2 cucchiai di zucchero
mandorle in lamelle
Lasciare ammorbidire il burro fuori dal frigo.
Sciacquare l’uvetta e i mirtilli e metterli a bagno in una tazzina di rum.
Scaldare metà del latte portandolo quasi ad ebollizione, poi fare un’infusione con lo zafferano. Lasciare riposare per 15 minuti.
Intiepidire il latte restante a temperatura ambiente e sciogliervi il lievito e 30 g di farina, lasciando coperto fino a che non inizia a fermentare.
Mescolare la farina restante con le mandorle tritate, le spezie, lo zucchero. Aggiungere il lievitino, cominciare ad impastare, poi aggiungere lo zafferano e infine il burro morbido e il sale, impastando il tutto per 10 minuti, fino a che non diventa omogeneo e liscio, distribuendo in modo uniforme l’uva passa, scolata e asciugata in carta assorbente. Coprire con pellicola leggermente unta e riporre al tiepido fino a raddoppio avvenuto.
Sgonfiare l’impasto e dividerlo in tre pezzi. Ricavare una pagnottina tonda da ogni pezzo e mettere tutte e tre in uno stampo da plumcake appena unto. Coprire nuovamente con pellicola unta e lasciar raggiungere il bordo dello stampo.
Riscaldare il forno a 190°.
Nel frattempo preparare la glassa con latte e zucchero. Spennellare il pane dolce ed infornare per 10 minuti. Poi abbassare a 180° e far proseguire la cottura per un altro quarto d’ora.  Verificare la cottura del fondo del pane, estraendolo dallo stampo, ed eventualmente completandola in forno. Poi spennellare ancora il dolce di glassa e cospargerlo in superficie di scagliette di mandorla.

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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano

È finalmente giunto il momento di raccontare della mia esperienza di visita presso i Molini Bongiovanni di Cambiano
La visita è avvenuta a luglio e già tempo fa ho pubblicato lo storify della giornata, ma da Twitter mi sono giunte richieste di raccontare qualcosina in più riguardo al corso di panificazione tenuto dal Maestro panificatore Giovanni Gandino.

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Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="facebook-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="twitter-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" class="googleplus-share"> Molini Bongiovanni – dal chicco di grano alla pagnotta Un visita ai Molini Bongiovanni di Cambiano" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2013/09/antiqua_5.jpg" class="pinterest-share">
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Cagliette di pane raffermo con Gruyère

Eccomi giunta al momento della seconda ricetta che ho elaborato per il contest dedicato ai formaggi svizzeri, promosso da Teresa di Peperoni e Patate e dal Consorzio Formaggi della Svizzera
Anche questa volta sono rimasta in Piemonte, ma sono salita in montagna, scegliendo di rielaborare una ricetta antica e poco conosciuta, le cagliette di pane.
Sembra che le cagliette o calhëtte o cabiettes, a seconda della zona, siano nate a Rochemolles, frazione di Bardonecchia, ma sono preparare in tutta l’Alta Val di Susa e nella Val Chisone. Si possono preparare seguendo due ricette diverse tra loro. Nel primo caso vengono fatte con le patate crude grattugiate, assemblate con gli altri ingredienti e poi lessate in acqua bollente; nel secondo caso, che poi sarebbe quello più antico, risalente a prima del XIX secolo, quando le patate venivano consumate principalmente dagli animali, sono composte da pane raffermo ammollato e tenute insieme anche in questo caso dagli altri ingredienti. 
Tra questi ingredienti ci sono naturalmente il latte e le uova ed un altro ingrediente tipico delle zone montane, la toma d’alpeggio.
Per la mia versione dedicata alla Svizzera ho scelto di sostituire la toma con il Gruyère AOC Switzerland, prodotto fin dal 1115 nella Svizzera di lingua francese.
Per conoscerlo un po’ meglio vi dico che si tratta di un formaggio fatto con il latte crudo proveniente da mucche che si nutrono di erba d’estate e di fieno d’inverno.. Con 400 litri di questo latte si confeziona una forma da 35 chili. Durante la stagionatura ogni forma viene spazzolata con acqua salata, questo le conferisce il caratteristico aroma.
Ne esistono diverse qualità; forme messe sul mercato dopo un’affinatura di 5-9 mesi ed altre affinate 10 mesi ed oltre, una qualità BIO ed infine il Gruyère Alpage, prodotto d’estate in alpeggio, da latte di vacche nutrite da erbe di alta montagna.
Da queste informazioni sono stata ispirata nella scelta della ricetta da rielaborare, che devo dire perfettamente riuscita grazie all’aroma morbido ed intenso del Gruyère Switzerland.
La ricetta: Cagliette di pane raffermo con Gruyère
ingredienti per 4 persone:
200 g di pane raffermo
1/2 litro di latte
2 uove medie
100 g di Gruyère Doc Switzerland
farina 100 g
Ho tagliato a cubetti il pane secco e l’ho messo ad ammollare nel latte freddo per alcune ore.
Da parte ho preparato il Gruyère, tagliandolo a pezzettini. Quando il pane era ben ammorbidito l’ho strizzato e spappolato con le mani, poi l’ho mischiato alle uova e al Gruyère a cubetti, aggiungendo farina finché il composto non è risultato lavorabile.
Con due cucchaiai ho formato delle quenelles e le ho gettate direttamente in acqua bollente salata, aspetando che riaffiorassero. Per al cottura ci vogliono circa 10 minuti.
Le cagliette si possono condire con burro fuso e con panna e formaggi sciolti a bagnomaria; si può usare anche lo stesso Gruyère per il condimento, come ho fatto io.
Alcuni li gratinano in forno fino a doratura, io invece li ho serviti così, con il formaggio fuso, ma nella scodella si mantengono caldi più a lungo.
Con questa ricetta partecipo al contest La Svizzera nel Piatto organizzato da Teresa di Peperoni e Patate e dal Consorzio Formaggi della Svizzera.
ai fornelli

Zucche di pane di zucca…

Un pane alla zucca a forma di zucca e l’ennesima occasione per farne il pieno questo autunno!!!

Ho trovato la ricetta qui sul blog Melagranata… ho modificato leggermente le proporzioni degli ingredienti e ho aggiunto del rosmarino fresco triturato. Il risultato è stato un pane dal bel colore, lievemente tendente al dolce, profumatissimo di rosmarino e con una forma speciale!!!
La ricetta: Zucche di pan di zucca
400 g di farina tipo 0
20 g di lievito di birra
2 cucchiai di olio evo
240 g di polpa di zucca già cotta in forno e liberata dalla scorza
160 ml di latte
1/2 cucchiaino di miele
1 cucchiaino e mezzo di sale fino
due rametti di rosmarino
Ho frullato la polpa di zucca fino ad ottenere una crema morbida, aggiungendo qualche cucchiaio di latte se la polpa è molto asciutta.
Ho sciolto nel restante latte, leggermente intiepidito, il miele, il lievito di birra ed ho aggiunto anche l’olio d’oliva extravergine.
Ho triturato i rametti di rosmarino, fini fini con le forbici.
Ho aggiunto la polpa di zucca alla farina e poi la miscela di latte, lievito e olio. 
Per ultimi ho aggiunto il sale e il rosmarino triturato.
Ho dato un’impastata veloce e poi rimesso nella ciotola, coperto con pellicola e messo al caldo per far lievitare.
Dopo due ore e mezza ho ripreso il pane, l’ho diviso in due parti e ho fatto ad entrambi un giro di pieghe per pani farciti, come spiegato qui.
Sulla teglia ho messo tre pezzi di spago da cucina disposti a forma di stella, vi ho adagiato metà dell’impasto e ho richiuso sulla sommità dando la forma tipica degli spicchi di zucca. Ho ripetuto la procedura con la seconda pagnotta. Ho ricoperto con farina e un panno pulito e lasciato lievitare un’altra mezz’ora.
Nel frattempo ho scaldato il forno. I miei pani hanno cotto a 180° per 40 minuti.



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La treccia di pane e il 6° World Bread Day

E’ il sesto anno che si festeggia questa ricorrenza, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Il pane è uno degli elementi che ogni giorno si trova sulle nostre tavole, il pane è antico, ancestrale, ma spesso lo diamo per scontato, quando invece per molti abitanti di questo pianeta, anzi per la maggior parte, è fondamento dell’alimentazione e spesso è insufficiente.
Cuocendo un pane non si risolve il problema della fame del mondo, ma è come porgere virtualmente una pagnotta a chi non ce l’ha.
Non ero preparata, me ne sono accorta oggi girando un po’ tra i blog. La ricetta che propongo per questa giornata è un pane che faccio spesso, non è a lievitazione lunga, ma viene ugualmente croccante fuori e morbido morbido all’interno, con la mollica soffice ma compatta. La sua pecca è la conservazione in quanto tende a perdere croccantezza. D’altra parte, facendone piccole quantità per volta, raramente si è presentato il problema della conservazione!
Le foto sono bruttine perchè le ho fatte con il telefono qualche pane fa… quello in foto, comunque è fatto con farina bianca tipo 0.
Giovedì scorso, invece, ho fatto questo stesso pane a treccia usando della farina di segale. Il risultato è stato un pane scuro e più saporito di quello bianco.
La ricetta: Pane a treccia
250 g di farina (bianca o di segale o metà e metà, a seconda del risultato che si vuole ottenere)
170 g di acqua a temperatura ambiente
10 g di lievito di birra
1/2 cucchiaino di miele
1 cucchiaino di sale
Ho sciolto il lievito nell’acqua tiepida con mezzo cucchiaino di miele.
Ho aggiunto l’acqua alla farina impastando con una forchetta.
Quando l’impasto si era rappreso fino a diventate una palla unica, l’ho rovesciato sulla spianatoia infarinata e d ho cominciato ad impastare a mano.
Dopo dieci minuti di impastatura, durante i quali forse (dipende dall’umidità dell’aria) occorre aggiungere ancora qualche cucchiaio di farina, ho messo il sale sulla spianatoia e l’ho incorporato alla pasta, sempre impastando, continuando per almeno 5 minuti.
A questo punto ho messo la pagnottella infarinata in una ciotola capiente, ho coperto con pellicola per alimenti e con una coperta e ho messo il tutto a lievitare in un posto tiepido.
Dopo 4 ore ho ripreso l’impasto, l’ho sgonfiato sulla spianatoia, lavorando per un minuto ed ho formato un rotolo lungo, ma non sottile. Con un coltello si taglia il rotolo, nel senso della lunghezza in tre capi, lasciandoli attaccati per un’estremità. Questi tre capi si devono intrecciare , sovrapponendoli leggermente l’uno all’altro, senza tirare, perchè poi l’ulteriore lievitazione renderà tutto più fitto.
Intrecciato tutto il pane, ho saldato con un goccio d’acqua la seconda estremità e ho deposto delicatamente il tutto sulla carta da forno. Ho infarinato e ricoperto con un panno da cucina pulito e un panno di lana. La forma di pane deve lievitare ancora per mezz’ora almeno.
In questo tempo ho acceso il forno a 220° e l’ho fatto scaldare bene.
Passata la mezz’ora ho messo il pane in forno, abbassando a 200° e lasciando cuocere circa 40°minuti. Se si colora eccessivamente, si può abbassare il forno verso la fine della cottura.

ai fornelli

Si scrive Buchteln ma si legge Danubio

Il Danubio è una tipica torta rustica partenopea composta da palline di pasta lievitata colme di un ripieno dolce oppure salato. 
La frase che avete appena letto non è del tutto corretta.
La storica pasticceria Scaturchio a Napoli
In effetti questa sorta di torta composta da tante briochine a forma di pallina non nasce a Napoli, ma è entrata in pieno nella tradizione con il nome di Danubio o di Torta Danubiana. La “inventa” Giovanni Scaturchio, d’origine calabrese, che nel 1905 aveva fondato una pasticceria a Napoli in piazza San Domenico Maggiore, pasticceria rinomata ancora oggi.
Negli anni ’20 del ‘900 Scaturchio era tornato a Napoli, dopo la Grande Guerra, portando con sé una moglie salisburghese. Della pasticceria Scaturchio erano già note e rinomate la Pastiera, i Babà, le Sfogliatelle ricce, i Roccocò, gli Struffoli, un paradiso per i golosi insieme al Susammiello calabrese; ma proprio dagli anni ’20 iniziano ad esser prodotti dolci nuovi per i palati napoletani: lo Strudel, la torta Sacher e proprio il Buchteln, che per il nome troppo “esotico” viene presto italianizzato in Briochina dolce del Danubio, ripiena di marmellata.
Per la sua versatilità viene presto creata anche una versione salata che si mimetizza con gli “sfizi”, i fuoripasto della tradizione partenopea, farcita con provola e salame.
Il Buchteln però non scompare e resta nella tradizione dei dolci austriaci e trentini. Oggi è ben conosciuto da queste parti con l’antico ripieno di marmellata di albicocche, un must dei dolci austriaci, ed accompagnata ad una leggera crema alla vaniglia.
Credevo di preparare un Danubio, quindi, ma senza saperlo ho fatto un Buchteln!!!
La ricetta: Buchteln alla marmellata di albicocca con crema alla vaniglia
Per l’impasto:
275 g di farina 00
1/2 bustina di lievito di birra secco
125 g di latte
25 g di olio di semi
75 g di zucchero
un pizzico di sale
1/2 uovo (circa 30 g) (l’altra metà serve per spennellare alla fine)
una manciata di zucchero di canna
Ho fatto rinvenire il lievito nel latte tiepido con la punta di un cucchiaino di zucchero.
Ho messo in una ciotola capiente la farina, ho aggiunto lo zucchero, l’olio, l’uovo sbattuto con un pizzico di sale, il lievito precedentemente sciolto nel latte.
Ho impastato a lungo, aggiustando di farina, in modo da ottenere un impasto morbido e liscio.
Ho messo a lievitare in una ciotola coperta con pellicola in un luogo riparato per almeno 1h e mezza. L’impasto deve raddoppiare di volume.
Poi ho cominciato a formare le palline: si prende un pizzico di pasta grande poco più di una noce, si schiaccia tra le dita come per fare una focaccina, poi si mette nel palmo della mano e si farcisce con la marmellata, richiudendo poi i bordi come un fagottino.
Farcitura:
io ho usato un barattolino di marmellata di albicocche (la mia era fatta in casa con la pectina 2:1, quindi non era troppo dolce e conservava una nota acidula). Bisogna avere l’accortezza che la marmellata sia fuori frigo, in modo che il freddo non danneggi la lievitazione della pasta.
Ho formato quindi 22 palline e le ho messe nella teglia, lasciando un po’ di spazio tra l’una e l’altra. Ho rimesso a lievitare per almeno un’altra mezz’ora. Le palline devono crescere fino ad attaccarsi l’una all’altra.
Ho scaldato il forno a 175° e prima di infornare ho spennellato la superficie del dolce con uovo e latte, spargendo poi sopra una manciata di zucchero di canna. La cottura varia dai 20 ai 30 minuti.
La crema che ho usato per accompagnare il Danubio era una crema al latte senza uova.
250ml latte
70g zucchero
20g farina

una stecca di vaniglia

Ho messo a scaldare il latte in un pentolino con i semini di vaniglia. Non deve bollire, ma ho lasciato in infusione per dieci minuti.
A parte ho miscelato farina e zucchero e ho aggiunto qualche cucchiaio di latte per creare una cremina, poi ho amalgamato al restante latte e ho rimesso sul fuoco, mescolando, finchè non comincia a raddensarsi.
Quando la crema sarà fredda, sarà anche completamente densa.
L’ho deposta sul piatto e sopra vi ho posizionato una pallina di buchteln.
Dopo averne mangiato qualcuna senza crema direttamente con le mani, of course!!! 😀

Questa ricetta partecipa alla raccolta Abbecedario Culinario d’Europa, per l’Austria
 

http://abcincucina.blogspot.com.es/2012/12/benvenuti-in-europa.html

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