Pandolce genovese o pane del marinaio Il dolce classico del Natale in Liguria
Da tanto volevo cimentarmi con il pandolce genovese basso, anche conosciuto come pane del marinaio, quello più facile, con il lievito in polvere.
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Da tanto volevo cimentarmi con il pandolce genovese basso, anche conosciuto come pane del marinaio, quello più facile, con il lievito in polvere.
Il brandacujun non è tra le ricette liguri più conosciute, ma è indubbiamente una di quelle dalla storia e dal nome più particolari.
La focaccia con queso de Recco es la receta típica de un pueblecito de la provincia de Genova, en la costa de Liguria. Es una focaccia muy fina, rellena de un queso fresco similar a la crescenza, que al calentarse se deshace volviéndose cremoso. Read more
Altre voci più prosaiche raccontano semplicemente che gli scaricatori venivano pagati in natura con l’aggiunta di tutto ciò che si recuperava dai sacchi andati rotti durante le operazioni di imbarco.
Qualunque sia stata l’origine, questo piatto è davvero un toccasana nelle fredde giornate invernali ed ha il pregio di essere preparato in modo molto essenziale e leggero.
Per i legumi secchi bisogna tener conto dell’ammollo:
per i fagioli è sufficiente una notte, per i ceci anche di più. Se non
volete che i fagioli si rompano in cottura, evitate l’aggiunta di
bicarbonato. Il grano o il farro perlato che di solito compro al
supermercato non ha bisogno d’ammollo. Questa volta io ho usato
dell’orzo per sostituirlo, ma il risultato è lo stesso.
La ricetta: Mescciüa ligure
100 g di ceci
100 g di fagioli cannellini
40 g di farro (o grano, o orzo come nel mio caso)
Cuocere separatamente i legumi: per i ceci ci vogliono 2 ore, per i cannellini 1 ora e mezza, per l’orzo circa 1 ora.
Una volta cotti e scolati ho fatto scaldare 2 cucchiai d’olio in una pentola con la cipolla tagliata finemente; ho poi aggiunto i legumi con una parte dell’acqua di cottura ed ho lasciato insaporire per un quarto d’ora, regolando di sale ed aggiungendo verso la fine l’orzo.
Servire la zuppa in fondine, ben calda, con olio crudo e pepe da macinare direttamente nel piatto.
Vi ricordate della giornata alla focacceria Lagrange? E vi ricordate del contest e della mia focaccia genovese-piemontese?
Ecco, con quella focaccia ho catturato l’attenzione di Salvatore Lo Porto e presto (spero) la prepareremo insieme.
Nell’attesa vi racconto cosa è successo il 3 dicembre in un’altra focacceria del circuito, precisamente alla Focacceria Sant’Agostino di via San’Agostino 6 a Torino.
A darsi appuntamento qui, due dei miti liguri del cibo da strada: Biagio Palombo, il mitico Biagio della Baracchetta di Recco, e Vittorio Caviglia, in un momento di godereccia condivisione di saperi.
Biagio della Baracchetta ha portato con sé tutto il sapere maturato in anni di produzione di una delle più buone e autentiche focacce di Recco; Vittorio ha condiviso invece tutte le regole per produrre la farinata perfetta, del giusto spessore, croccante in superficie e morbida all’interno.
Questa disfida tra Farinata e Focaccia di Recco è stata giocata all’insegna della più grande umiltà, con la regola, ripetuta più volte, che alla base di un ottimo risultato c’è un duro e costante lavoro.
Abbiamo scoperto che la focaccia di Recco richiede una buona manualità, ma il segreto sta nell’elasticità dell’impasto e che la farinata vuole soprattutto un buon equilibrio tra gli ingredienti e un forno molto caldo e che sia perfettamente in bolla.
Abbiamo scoperto che le teglie tonde non sono tutte uguali e che richiedono un trattamento speciale.
abbiamo scoperto soprattutto che le cose più buone sono quelle più semplici: pochi ingredienti di qualità e la passione di una vita.
Qui sotto trovate alcune foto della serata e in fondo la mia focaccia di Recco e la mia farinata (prima della disfida focaccia…non credevate mica che vi avrei rivelato tutti i segreti di Biagio e Vittorio?!?).
Per conoscere altre curiosità sulla farinata e la ricetta potete fare un salto sul blog di MyTable.
Il diserbante utilizzato è idrosolubile e quindi con il lavaggio delle olive viene poi eliminato competamente. Anche lo strumento per scuotere le fronde è stato studiato per non apportare alcun danno alla pianta.
L’oliva è pronta per essere raccolta quando è ancora per metà verde, e deve essere lavorata entro 24-48 ore, pena l’ossidazione del frutto.
Da ciò si comprende come la raccolta e la lavorazione debba seguire determinati ritmi, che sono poi quelli seguiti da migliaia di anni, anche se le tecniche di lavorazione si affinano e diventano più efficienti. Da 12 kg di olive vengono prodotti circa 2 kg di olio, quindi lo scarto di foglie e noccioli è preponderante.
Il patriarca della famiglia Carli raccoglie reperti sull’olio e sulla sua storia con grandissima passione da moltissimi anni. La visita, come potete immaginare, mi ha affascinato: l’olio d’oliva può raccontare una storia lunga 7000 anni. Appartiene al passato delle civiltà mediterranee e si fonde alle loro vicende storiche, alla loro arte e al loro vissuto quotidiano, restando attuale fino ad oggi.
Il reparto imballaggio è impressionante: migliaia di bottiglie marciano inarrestabili verso i loro scatoloni, dove viaggeranno verso i consumatori finali. L’olio è filtrato per allungarne la vita, in questo modo non si ossida e può durare fino a 2 anni.
La ricetta: Salsa verde alla Ligure
1 mazzetto prezzemolo
1 manciata basilico
1 o 2 fette di pan carré bagnate nell’aceto di mele
1 grosso spicchio d’aglio
2 cucchiai pinoli
2 cucchiai capperi
4/5 acciughe
1 tuorlo d’uovo sodo sbriciolato
una decina di olive verdi
aceto di mele q.b.
olio extravergine d’oliva q.b.
Il procedimento è semplicissimo, ovviamente è la qualità degli ingredienti a fare la differenza.
Con questa ricetta partecipo al contest Aceto Sopraffino di Veru, La Cuochina Sopraffina, in collaborazione con R2M.