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Le mie Tiriccas, con ripieno di ficotto e mandorle e farine Qb Kronos e Kamut

Arriva una ricetta antica; antica perchè si tratta di un dolce tradizionale, ma anche perchè ha davvero un gusto d’antan, poco dolce, anzi con una punta di amaro, e senza un solo granellino di zucchero.
Più che una ricetta ecco la cronaca di una ricerca, ricerca che è partita pensando a cosa elaborare per il contest di Valentina e del Molino Grassi, con le sue farine biologiche della linea Qb, quelle di grano duro, Kronos e Kamut da grano Khorasan Kamut.
Il pensiero è andato quasi subito alle tiriccas sarde, dolcini tipici del periodo pasquale o, secondo alcune tradizioni, che variano di zona in zona, del periodo di
Sant’Antonio Abate, a gennaio, e regalati ritualmente anche alle famiglie in
lutto.
A seconda della zona in cui si preparano sono detti pani e saba, ovvero dolci di mosto, oppure caschettas nella zona di Alghero o ancora tiriccas o tilliccas, pizzicando la t nella pronuncia, ma anche cocciuleddi in Gallura. Il
significato del nome per me è ancora un mistero: non sono riuscita a
trovare una spiegazione esauriente, anzi l’unica presente online è che
pare che derivi da alcuni riti quaresimali del culto greco (sic!)
Oggi, abbandonata la ritualità religiosa, si trovano in vendita tutto l’anno, in diverse zone della Sardegna, ed attirano l’occhio per la caratteristica forma a spirale o quella più simile a un ferro di cavallo chiuso ad entambe le estremità; sono preparati con un involucro di pasta molto sottile, bianchissima e finemente cesellata, e farciti solitamente di sapa, mosto cotto, oppure di miele e mandorle o di marmellata molto densa.
Alcune ricette fanno riferimento per il guscio di pasta ad una farina di tipo granito, ovvero finissima di grano tenero, ma visto che nella mia famiglia le ho sempre viste fare di grano duro, molto più usato in tutta la cucina sarda, ho usato la farina Molino Grassi Qb Kamut da grano Khorasan, ricca di proteine nobili, acidi grassi insaturi, sali minerali e oligominerali.
Per il ripieno invece si usa una semola grossa, che permette di far inspessire il mosto d’uva; si è rivelato perfetto l’utilizzo della farina Qb Kronos, dalla grana ricca e rustica. Si tratta di un grano duro che venne selezionato a partire dagli anni ’80 nel deserto dell’Arizona; oggi è prodotto e lavorato integralmente in Italia.
Approfondendo la ricerca per essere ancora più certa che il grano duro fosse la scelta corretta, ho scoperto che il nome dell’impasto per il guscio sottile di questi dolci è pasta violata, o violada in lingua sarda. Per alcuni significa “violentata”, e il violentatore sarebbe lo strutto che va a modificarne la fibra, rendola bianchissima e molto più plastica. Ora, siccome lo strutto ha un cuore tenero, non potevo credere che arrivasse a violentare alcunché, e quindi ho cercato ancora l’origine di questa parola:

violà re, vrb: fiolare
ammodhigare, nà ¢du de sa pasta pro fagher pane; fagher carchi cosa
chentza fagher contu de sas lezes, diferente e in contrà riu de su ’e sa
leze s’atelat sa cariadura de sa sà *mula annanghendhe ozu porchinu in cantidade pro chi ndh’inciumat fintz’a violare.


Fiolare
o violare significa quindi ammodhigare, cioè ammorbidire; in questo caso si ammorbidisce con lo strutto: dopo aver ottenuto un impasto molto asciutto con farina di grano duro, macinata finissima, e acqua, si ammorbidisce pian piano l’impasto, aggiungendo gradualmente piccole dosi di strutto.
Come dicevo più sopra, il ripieno dei dolci è tradizionalmente a base di mosto d’uva cotto e semola grossa. Talvolta la saba utilizzata, soprattutto nella zona di Oristano, è quella di fico d’India, saba de figu morisca. Così, per la mia abitudine di voler unificare l’Italia e di fare intersezioni tra le cucine delle diverse regioni, ho pensato di utilizzare nella mia ricetta il ficotto, mosto cotto ottenuto dal fico rosa di Pisticci, paese lucano in provincia di Matera.
[fonti:
-http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/08/18/STEPO_STE04.html
-http://it.wikipedia.org/wiki/Saba_%28gastronomia%29 
http://www.coquinaria.it/forum-tavola-rotonda/]
La ricetta: Tiriccas, dolci sardi ripieni di saba, rivisitati con il Ficotto.
per il guscio:
250 g di farina Kamut Qb Molino Grassi
60 g di strutto
per il ripieno:
70 g di farina Kronos Qb Molino Grassi
40 g di mandorle spellate e tritate
250 ml di ficotto di Pisticci
2 cucchiai di miele di corbezzolo
la buccia grattugiata di un’arancia
Preparare il ripieno: in un pentolino mettere il ficotto, sciogliervi il miele e poi versarvi le mandorle tritate finemente. Scaldare fin quasi ad ebollizione. Versare a pioggia la farina di semola e mescolare ininterrottamenre finché il composto non si addensa. Deve diventare pastoso e lavorabile. Lasciar raffreddare.
Preparare l’impasto del guscio: mettere in una ciotola la farina Kamut, aggiungervi poca acqua tiepida fino ad ottenere un composto farinoso. Aggiungere lo strutto freddo, poco alla volta, facendolo assorbire all’impasto. La lavorazione prosegue per una decina di minuti, aggiungendo poco strutto alla volta, fino ad ottenere una pasta molto liscia e morbidissima.

Stendere una porzione di pasta con la macchinetta (spessore alla tacca più sottile) o con il mattarello. Ritagliare dei rettangoli di impasto con l’apposita rotella, di lunghezze diverse e della larghezza di circa 4 cm.

Ricavare dal ripieno tanti rotolini del diametro di 1 cm. Ogni rotolino va messo al centro del rettangolo di sfoglia che va poi ripiegato verso l’alto e poi arrotolato a spirale o fermato a ferro di cavallo.

Procedere con tutta la pasta e il ripieno. Far asciugare, senza far colorire, in forno già caldo ventilato a 120-130°C per 20-25 minuti ed infine far raffreddare completamente prima di assaggiare.
Con questa prima ricetta partecipo al contest Blogger Love Qb di Impastando S’Impara con Molino Grassi.
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Una nuova serata per Platti Atelier del Gusto, va in scena la cucina lucana

Chi mi segue sa quando è nato il mio recente amore per la Basilicata.
Un amore nato con il contest #IoChef lanciato in occasione del 27°
congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC),
organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si è svolto a
Metaponto dal 7 al 10 ottobre 2013.  
In quell’occasione avevo presentato una ricetta a base di melanzana rossa di Rotonda DOP, pane di Matera IGP e peperone crusco di Senise, insieme a un saporito ragù di polpo e qui potete trovare tante indicazioni su questi prodotti.
La mia conoscenza dei prodotti lucani si è evoluta ancora con un altro contest, #MangiareMatera, dove i protagonisti erano il Pane di Matera e le farine di grano duro lucane, recentemente conclusosi con un riconoscimento anche per me: sono arrivata terza nella categoria primi piatti con i Fagottini di Semola di Grano Duro ripieni di platessa ed erbe fini. Questo contest ha anche portato alla pubblicazione di un libro, Grano Duro, Oro Giallo, con tante ricette di bravissimi bloggers.
Ora sono qui a raccontarvi dell’imminente nuovo appuntamento del Caffé Platti per le serate Atelier del Gusto che si svolgerà il 25 e il 26 febbraio prossimi. La protagonista della serata sarà la Lucania e l’attore un altro promettente chef emergente: Matteo Malacarne, chef del ristorante Don Matteo di Matera, ubicato all’interno di Palazzo Gattini, nel cuore dei Sassi. Ancora una volta si tratta di una storia familiare, la mamma e il papà di Matteo lavorano nel ristorante di famiglia, in cucina e in sala. Ancora una volta la promessa di gusti sorprendenti, grazie ai prodotti del territorio.
Qui il menù della serata:

Aperitivo di benvenuto
Panecotto con le rape e pezzentella al finocchietto con passato di zucca rossa e lampascione leggermente croccante
Carciofo con fonduta al pistacchio, cannolo al pecorino di Moliterno, crema caprina e antica insalata di arance, finocchio e melagrana
Triscidd poverelli di casa 
Olio Nuovo…terriccio di zafaran e polpa di acciughe rifiniti con mollica di pane cafone
Scorzette di mandorle di grano Senatore con salsiccia fresca e funghi cardoncelli delle Murge
Involtino di ricciola alla moda Lucana purea di ceci neri e petali di peperone crusco di Senise
Lo Spumone di Matera agli amaretti e noci mascoline con colatura di cacao amaro e…
…la ricotta di pecora allo strazzone al Cordial Caffè e miele di sulla
i vini in abbinamento:
Metodo Classico “Centosanti – sb.2012 – cantina Michele Dragone
Malandrina 2010 – Moro- Cantina Masseria Cardillo, Bernalda
Cordial Caffè Lucano – Cav. P.Vena – Pisticci Scalo
(il costo della serata è di 65€/vini inclusi)
Molti ingredienti presentati in menù rappresentano alcuni dei numerosi presidi e tipicità lucani.
La Pezzentella, anzitutto, tipico salame della montagna materana e presidio Slow Food; poi il Canestrato di Moliterno, formaggio di pecora e capra, maturato nei caratteristici canestri di giunco e con riconoscimento IGP; i triscidd, sono i famosi strascinati, pasta tipica lucana, fatta in casa; il pane di Matera, tra i più pregiati pani d’Italia; i funghi cardoncelli delle Murge appulo-lucane; i ceci neri della Murgia Carsica (io avevo assaggiato quelli di Pomarico); i peperoni cruschi di Senise IGP (potete trovare qualche cenno sul mio post del contest) e il misterioso Zafaran, che non è zafferano ma polvere di peperoni cruschi, dorata e saporita; poi il grano Senatore Cappelli, una delle più antiche e pregiate varietà italiane; e ancora la ricotta di pecora allo strazzone.
Non vedo l’ora che arrivi il 26 febbraio, quando potrò assaggiare tutte queste specialità nella raffinata interpretazione di Matteo Malacarne. E se non avete in programma un imminente viaggio in terra lucana, vi consiglio di approfittare di questa occasione per assaggiare la cucina del Don Matteo, in trasferta sabauda.

Per informazioni e prenotazioni per le serate del 25 e 26 febbraio, potete chiamare lo 011.5069056. 
E per seguire la mia degustazione: #plattiseratalucana #Platti e #AtelierDelGusto.
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Torta di semola con polpa di pera e cardamomo Profumata, umida e golosa

Arriva ancora una ricetta per #Mangiare Matera, proprio poco prima della scadenza.
Mangiare Matera – Vero Lucano è nata per esprimere con i suoi prodotti la vera essenza di un territorio: dopo l’assaggio di ciò che è giunto fin qui, direi che ci sono proprio riusciti! Il pane, innanzitutto, che da semplice accompagnamento diventa ingrediente per mille altri utilizzi…e poi la pasta ruvida-ruvida-ruvida…e ancora le semole dal buon profumo che mi hanno affascinato tanto che, anche a contest terminato, arriveranno di sicuro altri utilizzi.
Ho concluso in dolcezza, con una torta rustica semplice e aromatica con il cardamomo che in infusione, durante la cottura delle pere, rilascia un profumo delicato. 
P { margin-bottom: 0.21cm; }L’interno del dolce resta umido e fragrante per diversi giorni, senza seccare, grazie alla polpa di pera inserita proprio nell’impasto.È una torta perfetta per accompagnare il té, soprattutto un té nero speziato, ma è resa fresca dalla salsa di pere che l’accompagna e può essere gustata anche da sola.

 
 

La ricetta: Torta di semola con polpa di pera e cardamomo
2 uova intere
280 g di purea di pere
110 g zucchero
40 g di burro
1 cucchiaino di lievito per dolci
 
per la purea di pere:
5 pere grosse
5 bacche di cardamomo
1 bicchierino di grappa
2 cucchiai di zucchero
1 bicchiere d’acqua
 
per rifinire:
zucchero a velo
cannella
 
Per prima cosa ho preparato la purea di pere. Ho messo le pere lavate, sbucciate e tagliate a pezzetti in un pentolino con l’acqua, la grappa, lo zucchero e i semi di cardamomo. Ho fatto cuocere finchè la pera non era morbidissima. Ho scolato dall’acqua in eccesso ed ho frullato il tutto; poi ho passato al setaccio, per ottenere una crema perfettamente liscia. Una parte di questa purea servirà per la preparazione della torta, la restante per accompagnamento.
 
Per la torta: ho lavorato le uova intere con lo zucchero, ho aggiunto poi il burro sciolto e intiepidito, 280 g di purea di pere e gradualmente la farina di semola rimacinata ed infine il lievito setacciato. 
Ho imburrato una teglia del diametro di 22 cm e vi ho versato l’impasto.
Ho infornato a 180°C per 35 minuti.
In superficie ho spolverato di zucchero a velo con una punta di cucchiaino di cannella.
 
Al momento di servire ho accompagnato la fetta con un cucchiaio abbondante di fresca purea di pere al cardamomo. 
 
Torta di semola con polpa di pera e cardamomo Profumata, umida e golosa" class="facebook-share"> Torta di semola con polpa di pera e cardamomo Profumata, umida e golosa" class="twitter-share"> Torta di semola con polpa di pera e cardamomo Profumata, umida e golosa" class="googleplus-share"> Torta di semola con polpa di pera e cardamomo Profumata, umida e golosa" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2013/11/torta-semola_pere_5_w-1.jpg" class="pinterest-share">
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Fagottini di platessa al profumo di erbe fini per #MangiareMatera

I prodotti di #MangiareMatera e VeroLucano non fanno che ispirarmi ricette molto semplici, dove gli ingredienti sono pochi e dal gusto equilibrato. Dopo l’Acquasala (o acquasale) lucana, ecco che arriva questa pasta ripiena, dove la sfoglia è a base di semola di grano duro della varietà pregiata Senatore Cappelli.
Il ripieno è delicato, composto di platessa e patate schiacciate, semplicemente condite con olio extravergine, sale ed erba cipollina sminuzzata.
Il condimento, volto ad esaltare il ripieno, è burro fuso, insaporito con erbette fini, ancora erba cipollina, maggiorana e timo, e aglio in polvere. La delicatezza della salsa e del ripieno permette di gustare pienamente il sapore intenso della sfoglia di granoduro.

Anche con questa ricetta partecipo al contest MangiareMatera con Teresa de Masi di Scatti Golosi!

La ricetta: Fagottini di platessa e patate al profumo di erbe fini

Ingredienti (per 2 persone)
per la sfoglia:
150 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
acqua tiepida
1 pizzico di sale

per il ripieno:
circa 200 g di patate (pesate crude e con buccia)
2 filetti di platessa
1 cucchiaio di erba cipollina tritata
sale
olio extravergine d’oliva

per condire:
burro di alta qualità
erbette aromatiche miste: timo, maggiorana, erba cipollina
aglio in polvere

Preparazione:
Ho messo a lessare le patate sbucciate e i filetti di sogliola, poi ho schiacciato le patate e sminuzzato il pesce. Ho mescolato il tutto, regolando di sale ed aggiungendo l’erba cipollina e un filo d’olio.
Ho preparato la pasta, aggiungendo alla farina un pizzico di sale e acqua tiepida fino a formare un impasto morbido ma asciutto. L’ho lasciato riposare per mezz’ora coperto da una ciotola.
Ho steso la pasta ed ho creato tanti piccoli quadrati con il lato da 6 cm e su ognuno ho posto una pallina di ripieno. Per creare i fagottini è sufficiente unire tutte le punte del quadrato proprio al centro e poi sigillare i quattro lati.

Ho sciolto in padella il burro con le erbette, poi l’ho lasciato riposare ed insaporire mentre l’acqua per i fagottini prendava il bollore. Ho lessato i fagottini e poi li ho spadellati nel burro fuso e servito subito.

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Acquasala lucana, il primo piatto per #MangiareMatera

A casa “Ricette” è arrivato un altro bel pacco proveniente dalla Basilicata. Questa volta era pieno di farina di grano duro, pasta e pane, tutti pronti a trasformasi in golose ricette per il contest #MangiareMatera in collaborazione con Teresa DeMasi.
http://www.scattigolosi.com/2013/10/mangiarematera-un-nuovo-concorso-tutto.html

La prima ricetta che ho elaborato ha proprio il sapore del pane di Matera tra i migliori pani d’Italia per gusto e qualità. Occorre innanzitutto dire che ha ottenuto il marchio I.G.P., e che può essere prodotto soltanto con i migliori grani duri della zona: Senatore Cappelli, Duro Lucano, Capeiti e Appulo.
Viene impastato con il lievito madre, ricavato da 1 kg di farina forte e 250 g di frutta fresca fatta macerare in acqua: una ricetta nata ben prima che Matera e la Lucania diventassero il granaio d’Italia, prima dell’unificazione, in tempi molto antichi. 
Assaggiare questo pane, riporta a tutta la magia dei Sassi. Si percepisce davvero un qualcosa di antico ed ancestrale prima nella sua crosta scura e croccante, che dopo un paio di giorni diviene coriacea, e poi nella sua mollica fitta e soffice, con i buchi irregolari e dal buon profumo di semola.
La ricetta dell’Acquasala lucana, altro non è che un modo per recuperare le fette di questo pane speciale, dopo che divenivano troppo dure per essere mangiate al naturale; al tempo stesso rendevano la zuppa povera dei contadini, un poco più sostanziosa e riempivano la pancia.
Come accade con le ricette contadine antiche non esistono dosi né ingredienti precisi. La zuppa si faceva con le verdure che erano disponibili nell’orto, e nell’acquasale, quando si poteva, si aggiungeva qualche uovo, mescolato in cottura per apportare qualche proteina.

La mia è una versione ricca: un uovo per ogni piatto, facendo rassodare il bianco nel brodo di cottura della zuppa e cercando di tenere il rosso liquido, e l’aggiunta di una fettina di porchetta per aumentare la sapidità.
Nascosto dalla verdura, ma che fa capolino nei cubetti fritti, naturalmente lui, il Pane di Matera IGP.
Se adesso avete la curiosità di assaggiarlo, potete ordinarlo a questo link!
La ricetta: Acquasala “ricca” alla lucana con il Pane di Matera IGP
(per 3 persone)
1 grossa cipolla
1 spicchio d’aglio tritato
1 peperoncino sminuzzato
300 g di cavolo verza
olio evo
sale
peperoncino
3 fette di Pane di Matera IGP alte 1,5 cm + 1 fetta un po’ più spessa
3 uova
3 fette di porchetta (o di prosciutto alle erbe) 
Ho affettato finemente la cipolla e l’ho messa in una pentola dal fondo spesso con due cucchiai d’olio, l’aglio tritato e il peperoncino. Ho fatto ammorbidire la cipolla con qualche cucchiaio d’acqua. Quando era morbida ho aggiunto la verza tagliata a striscioline e ho fatto insaporire il tutto. Dopo 5 minuti ho coperto d’acqua e fatto cuocere con il coperchio finché la verza non era morbida, regolando poi di sale.
Ho tagliato la fetta spessa di pane a cubi grandi, togliendo la crosta più dura, ricavandone circa 2-3 cubetti a testa. Ho fritto i cubi in un padellino con dell’olio e messo da parte.
Ho tagliato ogni fetta di pane a metà ed le ho messe in fondo ai piatti.
Nella zuppa, in pentola, ho versato le uova, distanziate, facendo ben rassodare il bianco. Poi le ho tirate fuori con molta delicatezza e deposte in un piatto. Ho rimestato, qualora ci fosse ancora del bianco d’uovo non cotto, e ho deposto in ogni piatto due mestolate di zuppa, sopra il pane. Ho aggiunto un uovo in ogni piatto, due cubetti di pane fritto e una fetta di porchetta, servendo subito.

 

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Spaghetti alla Norma, fuori norma

Le ultime melanzane della stagione e le ultime parmigiane e paste alla Norma, che per tornare sui miei fornelli dovranno aspettare la prossima estate.
Ho preparato questo piatto innumerevoli volte con le melanzane nere, con quelle lilla (ma sono molto dolci e acquose e poco adatte alla frittura) e anche con queste deliziose melanzanine di Rotonda.
L’ho preparato con la ricotta salata, come vuole la regola, ma in mancanza anche con una spolverata di parmigiano.
Talvolta l’ho preparato anche con le melanzane cotte in forno e poi passate nel sugo.
L’adattabilità di questo piatto è altissima, si può modulare in base al tempo disponibile, ma la vera ricetta è una sola. Le melanzane vanno fritte e poi passate nel sugo di pomodoro, già insaporito con aglio e olio e fatto cuocere per un po’. Le melanzane vanno aggiunte all’ultimo, perchè devono dare sapore e non ammollarsi troppo.
Molte invece sono le leggende legate al nome di questo piatto. 

Alcuni raccontano che la ricetta vide la luce proprio al ritorno di Vincenzo a Bellini a Catania, dopo il clamoroso fiasco della prima della Norma al Teatro alla Scala di Milano. Il compositore era tornato abbattuto e sfiduciato nella sua città natale, quasi convinto di dover cambiare mestiere, quando gustò il piatto cucinato in suo onore da uno chef catanese. Ispirato, compose l’aria “Casta Diva”, la più celebre di tutta l’opera, decretandone il successo nelle rappresentazioni successive. Quest’ultimo particolare però non trova conferma nella stesura dell’opera in quanto Casta Diva faceva già parte della prima partitura.

Si racconta però che la dicitura Pasta
alla Norma facesse riferimento alla soprano Giuditta Pasta, protagonista
eccellente durante il disastro della prima alla Scala.

Un’altra storia è temporalizzata qualche anno più tardi, quando l’opera di Bellini era già conosciuta ed apprezzata. Pare che il commediografo Nino Martoglio, dopo aver assaggiato questo piatto, esclamasse “Questa è una vera Norma“, ad elogiarne la ricetta saporita ed equilibrata. 
Qualsiasi sia stata l’origine del nome, questo piatto è diventato il simbolo della città di Catania, ad eterna memoria del suo cittadino più illustre, e della Sicilia intera.
[http://it.wikipedia.org/wiki/Norma_%28opera%29
http://www.qtsicilia.it/la-satira-e-la-societa/40-societa/570-leggende-da-foyer-pasta-alla-norma.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuditta_Pasta]

Io ho realizzato la ricetta utilizzando i prodotti lucani che mi sono stati inviati per la partecipazione al concorso #IoChef, in
occasione del Convegno Nazionale dei Cuochi Lucani, quindi melanzane di Rotonda e CacioRicotta Lucano. Le melanzane di
Rotonda hanno molti semi, ma sono davvero perfette per essere fritte…se volete saperne qualcosa di più andate a leggere qui.

La ricetta: Pasta alla Norma
(per 2 persone)
1 melanzana viola con la buccia (nel mio caso 3 melanzanine rosse di Rotonda)
olio per friggere
3-4 pomodori pelati
olio
sale
basilico
spaghetti (più o meno abbondanti a vostro piacimento)
ricotta salata (nel mio caso, cacio ricotta lucano)
Ho inizialmente tagliato a dadini le melanzanine con la buccia. Ho anche fatto qualche fettina sottile per la decorazione. Le ho messe in un colapasta con un po’ di sale grosso per farle spurgare.
Ho messo tre cucchiai d’olio evo in un pentolino. Ho rosolato leggermente uno spicchio d’aglio sbucciato e poi vi ho aggiunto i pomodori, precedentemente sbollentati e pelati, schiacciati con la forchetta. Ho lasciato cuocere aggiungendo all’occorrenza un po’ d’acqua e regolando di sale. 
Ho asciugato le melanzane, le ho infarinate e fritte in olio di semi bollente, mettendole poi ad asciugare dall’olio in eccesso su alcuni fogli di carta assorbente.
Nel frattempo ho messo a bollire l’acqua per la pasta e quando era pronta l’ho salata e vi ho tuffato gli spaghetti. 
A cottura ultimata ho passato gli spaghetti nel sugo per condirli, poi ho aggiunto le melanzane fritte, tenendo da parte le fettine e qualche cucchiaio di quelle a cubetti per la decorazione.
Ho spolverato di cacio ricotta grattuggiato grosso al momento.
 

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Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise

Ed ecco finalmente anche la mia ricetta per il contest #iochef che mi ha dato la possibilità di conoscere la cucina lucana e ad alcuni dei suoi prodotti. Di Basilicata si parla davvero poco ed approfondire il discorso non fa male quando si possono incontrare in questa terra alcune vere eccellenze.

L’occasione per assegnare alla cucina lucana il giusto posto che merita, sarà il 27° congresso nazionale della Federazione Italiana Cuochi (FIC), organizzato dall’Unione Regionale Cuochi Lucani, che si svolgerà a Metaponto dal 7 al 10 ottobre.

Per elaborare una ricetta avevamo a disposizione questi prodotti, arrivati via posta:  
Pane di Matera IGP
Olio evo di Oliva Majatica
Cacioricotta o ricotta lucana
Melanzana rossa di Rotonda DOP
Crema di melanzana rossa di Rotonda DOP
Fagioli di Sarconi IGP 
Ceci neri di pomarico
Pomodoro secco Cietticale di Tolve 
Ficotto di Pisticci
 
Peperone di Senise IGP.
 

La ricetta doveva contenere obbligatoriamente almeno uno di questi pesci di stagione:
Mormora
Seppia
Cefalo
Gallinella
Sauro
Pesce serra
Sciabola o bandiera
Triglia agostinella
Polpo
Pettinessa
Palamita
Rombo
Lucerna o pesce prete

Per il mio piatto ho scelto la melanzana rossa di Rotonda DOP, la mollica del pane di Matera IGP, un peperone crusco di Senise IGP sbriciolato, l’olio extravergine di Oliva Majatica e il polpo.
Quando ho condiviso l’immagine della melanzana rossa di Rotonda IGP sui social network molti sono stati ingannati dal colore e hanno creduto di avere davanti un pomodoro. Se la si osserva da vicino, la melanzana di Rotonda ha anche delle sfumature verdi, e tagliata ha una polpa soda e chiarissima, più chiara di quella delle melanzane violette, che non annerisce ed è ricca di semini. Questo ortaggio ha giustamente un’aria un po’ selvatica ed esotica, poichè è stato importato dall’Africa e reimpiantato nel Parco del Pollino, agli inizi del ‘900 da alcuni contadini lucani che avevano partecipato alle missioni coloniali. La sua coltivazione è rimasta a tal punto circoscritta da essere “riscoperta” solo nel 1992 dal CNR. Intorno a Rotonda, invece, è la melanzana per eccellenza dalla quale si ricava anche una deliziosa conserva in crema.
Il pane di Matera IGP si è guadagnato il podio tra i pani più buoni d’Italia; forse merito del lievito madre e della ritualità dell’impasto, forse merito del grano duro utilizzato. Nel 1636 Tommaso Stigliani diceva che Matera “in certi tempi dà grano a tutto il Regno”. La storia racconta di un’economia di stampo feudale dove vigeva ancora il latifondo e dove i contadini e i pastori abbandonavano i paesi per quindici giorni per lavorare nelle immense distese di campi. Ogni due settimane tornavano dalla famiglia per fare un cambio di biancheria e per il pane, che doveva poi mantenersi buono per altri quindici giorni. Per queste ragioni la cura e la ritualità nel fare il pane era ed è importantissima e quasi magica: la lievitazione avveniva nel letto matrimoniale, dal lato dell’uomo, addetto alla “crescita” della vita.
Il peperone di Senise IGP ha la particolare caratteristica di essere molto adatto all’essicazione naturale al sole, in primis perchè ha una polpa molto sottile, in secondo luogo perchè il peduncolo non si stacca neppure con l’essiccazione. Oltre che semplicemente essiccato in caratteristici grappoli a spirale, che raggiungono a volte i due metri di lunghezza, veniva conservato anche già sbriciolato; in dialetto il termine Zafaran rievoca proprio quello del prezioso zafferano. I peperoni di Senise vengono anche fritti per pochissimi secondi in olio bollente: in questo modo diventano “cruschi”, uno snack antelitteram!
L’olio extravergine di oliva Majatica rappresenta uno stretto legame con il territorio, poichè questo particolare tipo di ulivo attecchisce solo in terra lucana. Si è già provato ad impiantarlo altrove ma senza successo. Il sapore dell’olio è particolarmente delicato, secondo me adatto ad un consumo a freddo, soprattutto su piatti di pesce. Nella mia ricetta l’ho usato anche per cucinare. Da ricordare anche l’oliva nera al forno, sempre di Majatica, presidio SlowFood e prodotte fin dal XVIII secolo.
 
Per la mia ricetta sono partita dal presupposto di un incontro nord-sud in cucina.
La
pasta ripiena del nord Italia, ma con una sfoglia a base di solo grano duro
del sud si riempie e si condisce con i prodotti tipici della Basilicata e
viene impreziosita da un ragù dal sapore intenso a base di polpo. Le note croccanti sono date dalla  mollica di pane di Matera fritta e dalle briciole di peperone di Senise IGP.

La ricetta: Tortelli di melanzana di Rotonda e pane di Matera, al ragù di polpo con briciole croccanti di pane e peperone di Senise.
per il ragù di polpo:
mezzo polpo (circa 400 g)
5-6 pelati
1 spicchio d’aglio pelato
olio extravergine di oliva Majatica
vino bianco 
sale

per la sfoglia:

200 g di semola di grano duro
sale
acqua tiepida
per il ripieno: 
5 melanzanine di Rotonda
farina
due-tre cucchiai di sugo del ragù di polpo (senza polpo)
una fetta di pane di Matera spessa 2 cm
olio per friggere
sale

per la guarnizione:
1/2 fetta di pane di Matera da sbriciolare
1 peperone crusco
1 cucchiaiata di melanzane fritte in precedenza

Ragù di polpo:
il polpo era decongelato e quindi non ho avuto bisogno di batterlo. 
Ho fatto dorare uno spicchio d’aglio in due cucchiai di olio di oliva Majatica. Poi ho messo il polpo in pentola e l’ho fatto rosolare a fuoco vivace. Ho sfumato con due dita di vino bianco e poi aggiunto i pelati tagliuzzati piccoli con la loro acqua. Ho lasciato cuocere, aggiungendo un poco d’acqua quando necessario, a fuoco molto basso per un’ora e mezza. Poi ho assaggiato il sugo e regolato di sale. Ho spento il fuoco e fatto raffreddare.
Tolto il polpo dalla pentola, per eliminare la pelle più dura della testa e dei tentacoli più grossi, e l’ho tagliato a pezzettini piccoli. 
Ho aggiunto un poco d’acqua al sugo e vi ho immerso una fetta di pane di Matera per ammorbidirla e l’ho tenuta da parte.
Ho mescolato nuovamente i pezzettini di polpo al sugo e tenuto da parte fino al momento di condire i tortelli.

Ripieno:
ho tagliato le melanzane a dadini, cosparse di poco sale e lasciate riposare per 5 minuti, mentre preparavo l’impasto per la sfoglia; poi le ho passate nella farina e fritte in olio di arachidi. Ne ho tenuto una cucchiaiata da parte per la decorazione, mentre ho mescolato le altre con la mollica di pane ammollato e sbriciolato e un cucchiaio di sugo del polpo.

Sfoglia di grano duro:
ho messo la semola sulla spianatoia, con un pizzico di sale, ed ho aggiunto acqua tiepida mescolando prima con una forchetta e poi con le mani fino ad ottenere un impasto consistente, lavorabile, ma asciutto. L’ho fatto riposare mentre friggevo le melanzane e ultimavo il ripieno.
Ho steso la sfoglia sottile con la macchinetta e vi ho ricavato dei cerchi da 8 cm di diametro.
Ho formato i ravioli con questo metodo:

Finitura:
Ho rotolato in un padellino alcune briciole di mollica di pane di Matera in un cucchiaino di olio di Majatica fino a che non era croccante.
Ho cotto i tortelli in acqua bollente e salata e li ho conditi con il ragù di polpo, rotolandoli in una padella larga, con delicatezza per 1 minuto, aggiungendo un filo di olio di majatica per inumidire.
Ho completato il piatto con briciole di pane di Matera fritto in padella, le melanzanine tenute da parte e un peperone crusco sbriciolato.

Con questa ricetta, come detto sopra, partecipo al contest “Io Chef”

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