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ai fornelli, ricette originali

Torta di pesce bianco con besciamella al porro e Fiordifrutta all’uva spina

Esiste un piatto irlandese che si chiama Fish Pie ed è composto da filetti di pesce bianco insaporiti con porro e cipolla ed altri aromi e ricoperto da un soffice puré di patate che poi viene fatto dorare in forno.
Per la ricetta da dedicare al contest Rigoni di Asiago “Una torta salata ma non troppo” con Fiordifrutta ho pensato di partire da questa ricetta, rielaborandola.
Ho messo innanzitutto una base di pasta brisé che fa da controaltare alle sfoglie di patata deposte sullo strato superiore. Il ripieno è composto di merluzzo fresco, insaporito da una besciamella leggera e da porro stufato in padella con vino bianco, maggiorana e coriandolo.
Il tocco speciale è dato da alcuni cucchiaini di Fiordifrutta all’uva spina, deposti nel ripieno, prima di coprire il tutto con le patate. 
Fiordifrutta all’uva spina è dolce e delicata e si sposa perfettamente con il pesce, avvolto dalla besciamella. La torta si gusta tiepida.




La ricetta: Torta di pesce bianco con besciamella al porro e Fiordifrutta all’uvaspina.
(ingredienti per una monoporzione-piatto unico o bi-porzione da accompagnare a una bella insalata)
1 patata media (circa 150 g)
70 g di pesce bianco a filetti (io ho usato merluzzo fresco)
1/2 porro
mezzo bicchiere di vino bianco secco
sale
pepe
maggiorana
coriandolo
alloro
olio evo
4 cucchiaini di Fiordifrutta Rigoni di Asiago all’uvaspina
1 pasta brisé già pronta (non servirà tutta)





per la besciamella senza burro:
125 ml di latte
35 g di farina
1 cucchiaino abbondante d’olio
sale
pepe




Ho sbucciato la patata , l’ho tagliata in 2 e l’ho messa in acqua fredda a lessare. Non deve cuocersi completamente ma solo ammorbidirsi, (poi finirà di cuocere in forno).
In un pentolino ho lessato il merluzzo, fino a renderlo tenero. Poi l’ho scolato e sbriciolato con la forchetta e condito con un pizzico di sale e un filo d’olio.
In un padellino ho rosolato la parte tenera del porro, tagliato a rondelle, in un filo d’olio. Poi ho aggiunto il vino bianco e ho fatto stufare finchè il porro non è diventato tenero. Ho poi insaporito con sale, pepe, maggiorana, alloro sbriciolato e coriandolo schiacciato. Ho spento e messo da parte.
Ho preparato una besciamella, mischiando il latte con la farina, un pizzico di sale, un cucchiaino d’olio e una spolverata di pepe. Ho fatto raddensare sul fuoco sempre mescolando.
Una volta che la besciamella era pronta e densa vi ho aggiunto il porro e il merluzzo e ho mescolato il tutto.
Ho rivestito con la pasta brisé una pirofila quadrata di 15 cm di lato. Vi ho deposto il ripieno e livellato il tutto. Poi con un cucchiaino ho messo la Fiordifrutta all’uvaspina a intervalli regolari (io ne ho messo 4 cucchiaini).
Ho coperto lo strato di ripieno con fette sottili di patata disposte in cerchi, che ho poi spennellato di olio e spolverato con un pizzico di sale e maggiorana in abbondanza. Per ultima cosa ho rivoltato verso l’interno la pasta brisé in eccesso.
Ho cotto a 175° per circa 30 minuti.
Lasciare intiepidire e poi servire.

Come detto sopra con questa ricetta partecipo al contest Rigoni di Asiago “Una torta salata ma non troppo“.

ai fornelli

Tagliolini di farina di castagne con baccalà

Non avevo un buon rapporto con la farina di castagne, anzi con le castagne in generale… è giusto ammetterlo, nonostante questo ho voluto provare… Insomma l’idea di partecipare a un contest organizzato da La Cucina Italiana in collaborazione con Il Desco mi allettava troppo! 
La Cucina Italiana non occorre presentarla: è la più grande rivista italiana di cucina.

Il Desco è – dal 2009 – una grande manifestazione dedicata al mondo del Food e dei prodotti tipici della provincia di Lucca, provincia ricchissima di gusti e profumi diversi, dalle colline dell’entroterra fino al mare della Versilia. La manifestazione è partita ieri e durerà fino all’11 dicembre per quattro fine settimana.
Il loro contest, riservato a sole ragazze, prevede una ricetta creativa realizzata con la farina di castagne.

Io ho provato diverse ricette e combinazioni, ma la ricetta che più mi ha soddisfatto è stata proprio l’ultima! La farina di castagne conferisce ai cibi un sapore rotondo, dolce e delicato. Per risvegliare il palato serviva qualcosa che desse una scossa di adrenalina alla morbidezza delle castagne. Il baccalà ci è riuscito! Saporito al punto giusto, ammorbidito anch’esso dal latte si è sposato a meraviglia con la pasta di farina di castagne, creando un connubio dolce-salato che resta impresso nelle papille gustative.
 

La ricetta: Tagliolini di farina di castagne al sugo di baccalà
(per 2 persone)
100 g farina di castagne
50 g di farina 00
1 uovo
acqua
sale
200 g di baccalà
1 cipolla grande
200 ml di latte
olio
mezzo bicchiere di vino
6 castagne da far lessare

Due giorni prima ho messo il baccalà in ammollo in acqua per fargli perdere l’eccesso di sale, cambiando l’acqua ogni 12 ore circa. 

La mattina della preparazione l’ho messo a bagno nel latte che poi servirà a preparare il sughetto.
La mattina ho anche preparato le castagne lesse. Ho lavato le castagne, le ho incise sul lato piatto e le ho messe in un
pentolino con acqua fredda abbondante e un cucchiaino di sale. Dopo che
raggiungono il bollore, devono cuocere per circa 50 minuti. Passato il
tempo ho spento il fuoco e fatto intiepidire in acqua, togliendo poi la
buccia e la pellicina interna quando erano ancora calde.
Preparazione dei tagliolini di farina di castagne:

Ho setacciato la farina di castagne e la farina di grano tenero
00 in una larga ciotola. Ho versato al centro l’uovo leggermente
sbattuto con un grosso pizzico di sale e ho cominciato ad impastare. Per
impegnare tutta la farina occorrerà aggiungere un goccino d’acqua. Dopo
poco ho trasferito il tutto sul tavolo, impastando vigorosamente. Ho
ricavato una palla di pasta che ho avvolto nella pellicola  da cucina e
lasciato riposare per una mezz’oretta.

Intanto ho cominciato a preparare il sughetto di baccalà.

Successivamente ho ripreso la pasta e ho cominciato a stenderla a
piccoli pezzi, ricavando una sfoglia mediamente sottile, arrotolandola
su se stessa e ritagliando da questo rotolo i tagliolini.

Man mano li ho messi su un tagliere con abbondante farina perché non si attaccassero gli uni agli altri.

Preparazione del sughetto di baccalà:
Ho tagliato a dadini piccolini la cipolla e l’ho messa a soffriggere leggermente in 3 cucchiai d’olio evo. La cipolla deve diventare trasparente, ma non scurirsi. A un certo punto ho sfumato con due dita di vino e lasciato stufare ancora per qualche minuto. Quando i liquidi erano assorbiti ed evaporati ho messo i pezzetti di baccalà in padella, rigirandoli per farli insaporire. Dopo un po’ ho aggiunto metà del latte, ho coperto e fatto cuocere. Il baccalà comincerà ad ammorbidirsi; poi bisognerà aggiungere anche il latte restante. A cottura quasi ultimata, ho disfatto il baccalà con la forchetta ed ho aggiunto 4 castagne sbriciolate. Lasciare scoperto e far asciugare, poi spegnere.

Preparazione finale del piatto:
Ho lessato in acqua salata i tagliolini, finché non sono venuti a galla: basteranno 2 o 3 minuti. Li ho versati nella padella del sughetto, senza scolarli eccessivamente e li ho fatti insaporire per un minuto a fuoco alto. Poi ho impiattato completando con una castagna lessa in cima.

Come mi aspettavo, la dolcezza dei tagliolini di castagne stempera il saporito del baccalà! Da provare – anche per gli scettici – perché il connubio è perfetto!!!


ai fornelli, ricette tradizionali, storia & cultura

Il Cappon Magro dell’estate

Il Cappon Magro è un piatto di origine antica. 
Le leggende sulla sua nascita sono tante ed ognuna sembra raccontare una parte di verità.
Alcuni dicono che una preparazione simile veniva portata dai marinai sulle navi, l’aceto infatti permette la conservazione dei cibi deperibili.
Altri fanno risalire l’origine del nome alla contrapposizione tra il pesce cappone e il cappone da cortile. Per rispettare le regole alimentari del periodo quaresimale e delle altre vigilie, il cappon magro appagava l’occhio e il gusto, senza essere carne.
Altri ancora parlano della composizione scenografica a strati come di un’invenzione rinascimentale o barocca, quando le tavole imbandite davano lustro ad una casata anche con bizzarre sculture di cibo.
Altri ancora dicono che il cappon magro in origine era un cibo tutt’altro che nobile e che si facesse con gli avanzi dei banchetti recuperati dalla servitù.
Tante diverse spiegazioni per un piatto che affascina, innanzitutto per i suoi colori, per la sua struttura che sfida la gravità e infine per la freschezza datagli dall’aceto. 
Cibo tradizionale della vigilia di Natale, ma anche per il periodo quaresimale, recentemente è riproposto in ristoranti raffinati, con bellissime monoporzioni.
La sua preparazione, un po’ lunga, è facilissima e può essere preparato in casa, in anticipo e sfoderato in un battibaleno.
Io ho fatto una versione con verdure estive, quindi non ci sono broccoletti, cavolfiori e rape rosse, ma altre verdure colorate che si trovano in questo periodo.
La decorazione superficiale può essere fatta con qualsiasi frutto di mare voi abbiate a disposizione. Nelle mie monoporzioni c’era una semplice seppiolina infilzata.

La ricetta: Cappon Magro estivo
ingredienti (per 4 monoporzioni – le coppette erano di 10 cm di diametro)
4 rapanelli (più qualcuno per decorare)
una manciata di fagiolini
2 carote
2 patate medie
1 peperone
3 nasellini (piccoli, va bene qualsiasi pesce a carne bianca, quello che trovate o che vi fa più comodo utilizzare; anche avanzato, purchè sia sufficiente per fare un bello strato)
gallette del marinaio (io non sapevo dove andare a pescarle e ho usato delle gallette integrali, vanno bene anche sottili fette di pane raffermo a mollica fitta) 

per intervallare ogni strato: salsa verde alla ligure preparata almeno 24 ore prima
Ho fatto lessare in acqua salata le verdure separatamente, in modo che fossero al dente, le ho affettate e condite in tanti piattini separati con olio e qualche goccia di aceto. Man mano che si raffreddano si possono mettere in frigo, in attesa che tutte le verdure siano pronte.
Ho lessato il pesce e l’ho condito con olio e limone.
Ho rivestito le ciotole con pellicola per alimenti, poi ho cominciato a mettere gli strati di verdurine.
Prima le fettine di ravanello, poi fagiolini, rondelle di carota, fette sottili di patata, listarelle di peperone, uno strato spesso di pesce a filetti. Ogni strato deve essere intervallato dalla salsa verde alla ligure.
Sopra il pesce ho messo la galletta, pressando bene e poi spruzzandola di aceto.
Ho ripiegato i lembi di pellicola sulla galletta, richiudendo il tutto e mettendo le ciotole in frigo.
Io ho lasciato in frigo una notte intera, tutti gli ingredienti si compattano ben bene e si insaporiscono di salsa.
Al momento di servire, ho capovolto le ciotole nel piatto e decorato con una seppiolina sbollentata e portato in tavola con focaccia genovese ancora tiepida fatta con questa ricetta di Vittorio Viarengo.

ai fornelli

Il calamaro che scoppia di sapore!!!

Ahimé, oltre a scoppiare di sapore, grazie al gusto avvolgente della mozzarella di bufala, i miei calamaretti sono proprio esplosi durante la cottura!!!
Forse li ho riempiti troppo… Così, però hanno dato un ottimo sapore anche al sughino sottostante. 
Avrei potuto scegliere dei calamari più grandi, anche più facili da farcire… però questi cuociono veramente in pochissimo tempo, restando teneri, e per il tipo di ripieno erano i più adatti. 
La ricetta: Calamari ripieni di mozzarella di bufala su una stuoia di fagiolini
ingredienti (per 2 persone)
500 g circa di calamaretti
100 g circa di mozzarella di bufala
200 g di fagiolini
2 grossi spicchio d’aglio
1 cucchiaino di capperi
prezzemolo e basilico
1 fetta di pane (la mollica)
vino bianco
Per prima cosa ho lessato al dente i fagiolini. Li ho divisi in due parti, una per il ripieno, l’altra per decorare il piatto.
Nel frattempo ho pulito i calamari, mettendo da parte le sacche.
Ho messo la fetta di pane ad ammollare in un dito di vino, e poi l’ho strizzata e sbriciolata.
Ho tritato i tentacolini e li ho messi a rosolare in due cucchiai d’olio con un grosso spicchio d’aglio.
Dopo qualche minuto ho aggiunto una parte dei fagiolini lessati, tagliati a pezzettini lunghi un cm. Ho rigirato per qualche minuto. Ho sfumato con il vino bianco e poi ho aggiunto prezzemolo e basilico tritati e i capperi, sciacquati ben bene. Infine ho aggiunto la fetta di pane sbriciolata.
Prima di spegnere, eliminare l’aglio, assaggiare ed eventualmente regolare di sale.
Ed ora, Calamaro, a me! 
Armata di santa pazienza, perchè erano piccolini, ho riempito le sacche dei calamari con il ripieno, aggiungendo in ciascuno qualche pezzettino di mozzarella di bufala, lasciata a scolare dal latte per una decina di minuti.
Fatto ciò occorre chiudere i calamari con uno stecchino.
Io li avevo dimenticati e quindi ne ho fatto a meno, anche perchè in cottura il calamaro si restringe e quindi il ripieno esce difficilmente con una cottura così breve.
I miei, purtroppo, hanno avuto un altro genere di incidente e si sono aperti in lunghezza. Dalla foto sembrano quasi più belli così!!!
Li ho fatti rosolare velocemente in olio e aglio, aggiustando di sale e di pepe.
Una volta cotti ho messo in fila una manciata di fagiolini sul piatto e sopra ho fatto sdraiare i miei calamaretti, che sono velocemente finiti in pancia!!
E sopra ci abbiamo bevuto un Gavi del 2009, dell’azienda agricola di Cinzia Bergaglio, acquistato personalmente in cantina!
ai fornelli, storia & cultura

Sformatini di couscous con pomodorini, vongole e feta

Il couscous è un piatto antichissimo che affonda le sue radici nella leggenda, infatti si narra che Re Salomone se ne fosse cibato per trovare sollievo dalle pene d’amore provate per la Regina di Saba.
Lasciando la leggenda per la storia, la prima menzione del piatto con questo nome è in un libro andaluso di cucina del XIII secolo. L’autore del volume parla di una meravigliosa ricetta da lui gustata a Marrakesh, l’alcuzcuz fitiyani, descrivendone la ricetta e specificando che esso era già ben conosciuto in tutto il mondo. Non esagerava, visto che durante la dinastia Nasrid, che governò Granada in quegli anni, al couscous era stato addirittura dedicato un poema.
In Andalusia e in tutta la Spagna il couscous era arrivato con gli arabi, ma è assai più probabile che la più importante diffusione sia avvenuta attraverso le migrazioni delle popolazioni berbere del Nord Africa. Infatti in lingua berbera il couscous viene chiamato kuskusu, kisksu, siksu, kusksi, kuskus, a seconda dei dialetti, ma non è mai preceduto dall’articolo al, come avviene nelle pietanze di origine araba.
Linguisti e antropologi, non sazi di notizie e couscous, ipotizzano che le radici di questo cibo si possano far risalire all’Africa sub sahariana e che quello che è stato poi traslato in Europa non sia altro che una rielaborazione di un piatto preparato dalle schiave nere dei tuareg e delle facoltose famiglie marocchine. Il piatto d’origine è ancora ben noto in Senegal e viene chiamato bassi salté; si tratta di un piatto da pastori che ben si adattava al nomadismo degli antichi berberi.
Esiste anche una geografia del couscous che scorrendo la superficie del Nord Africa si ferma all’improvviso al golfo della Sirte, a metà della costa libica, cedendo il passo, verso Oriente al bulghur, letteralmente “grano spezzato”.
Oggi indichiamo con couscous sia la semola preparata appositamente, sia il piatto finito con accompagnamento di carni e verdure. In Nord Africa si serve tradizionalmente in un grande vassoio rotondo, dove attingono tutti i commensali. Basta questo per capire la ritualità e convivialità di questo piatto. Esso segna anche la fine del Ramadan, assumendo una connotazione positiva di abbondanza e benedizione divina.
Rituale anche la sua tradizionale preparazione, alla quale si dedicavano, naturalmente, le donne; esse si riunivano tutte insieme per vari giorni, per preparare una grande quantità di cous cous in grani che si poteva poi conservare per dei mesi. Durante la cottura a vapore della semola non bisognava parlare di cose nefaste ma solo di affetti e di buoni propositi, ma il carattere rituale della preparazione attirò in Spagna l’attenzione nefasta dell’Inquisizione che arrivò a proibirne l’uso!!! Non con grande successo, a quanto pare, visto che il piatto proibito è arrivato fino ai giorni nostri e ormai dappertutto, tanto che si potrebbe creare una mappa dei flussi migratori, seguendo i granelli di couscous.
Lo troviamo in Italia, nel trapanese, cucinato sotto forma di zuppa di pesce ma, fatto ancor più sorprendente, lo troviamo a pieno titolo nella cucina brasiliana, unico risultato positivo della nefasta tratta degli schiavi dall’Africa occidentale, fino a diventare piatto simbolo di Sao Paulo sotto forma di sformato e di dolce.
Per noi mangiarlo è molto più semplice! Il couscous si trova precotto e dà rapidi ed ottimi risultati! L’ideale è accompagnarlo alle carni e verdure della tradizione o a un piatto umido di pesce, ma per uno spuntino leggero, durante la calura estiva, ce lo concediamo anche così.

La ricetta: Sformatini di couscous con pomodorini, vongole e feta
Non faccio la lista degli ingredienti, perchè mi sono regolata ad occhio.
Il cous cous basta reidratarlo ed è pronto in un attimo; le vongole erano in barattolino, e le ho fatte solo saltare in padella con olio, aglio, un dito di vino bianco e prezzemolo, badando a lasciarle umide, perchè il loro sughino condirà il couscous; la feta l’ho tagliata a dadini, i pomodorini anche e li ho conditi con olio e sale e lasciati insaporire per una ventina di minuti.
Poi ho mischiato tutti gli ingredienti al couscous appena tiepido, ho unto due stampini e vi ho messo il tutto all’interno. Poi ho pressato bene e messo in frigo.
Al momento di servire ho capovolto lo stampino nel piatto e via!
La cosa più lunga da fare sono state le foto!!! 😀

ai fornelli

Mezzipaccheri al Curry e Gamberi

Il curry ormai, fra ristoranti etnici e ricette fusion, lo conosciamo tutti. Si tratta di una miscela di spezie, tra cui pepe nero, coriandolo, cumino, curcuma e cannella; a volte vi si trovano anche cardamomo, chiodi di garofano, zenzero, noce moscata, fieno greco e peperoncino.
Il termine deriva da cari che in lingua indiana tamil significa zuppa o salsa, facendo riferimento alla preparazione che questa miscela di spezie andava ad insaporire. I britannici hanno fatto confusione ed hanno chiamato curry l’insaporitore e non il piatto finito. 
La miscela in sé in realtà si chiama masala ma proprio per la grande varietà di spezie che ne fanno parte esistono decine di risultati finali differenti, a seconda della preponderanza di una o dell’altra. Il garam masala o il tandoori masala sono i più conosciuti. Quando la miscela viene prodotta artigianalmente, essa rappresenta una sorta di marchio di fabbrica e decreta il successo o l’insuccesso di un cuoco o di una padrona di casa. 
Viene fatta anche un’altra distinzione tra mild curry, più delicato, e sweet curry, più piccante, al contrario di quel che il nome potrebbe suggerire.
Il curry è anche un amico per la salute perchè stimola la digestione, eccitando i succhi gastrici e disinfetta blandamente l’intestino. Ha proprietà antinfiammatorie ed antiossidanti e, grazie alla curcuma, pare proteggere i neuroni da malattie degenerative come il morbo di Alzheimer.
Ed ecco, con il curry, una ricetta per una pasta veloce!!! 

Non ci sono dosi, perchè ci si regola a piacere!!
Occorre in anticipo lessare i gamberi e sbucciarli.
Ho messo la pentola per la pasta sul fuoco e mentre l’acqua raggiungeva il bollore, ho versato in una padella larga due cucchiai d’olio con mezza cipolla (media). L’ho fatta soffriggere un pochino, ci ho aggiunto un dito di vino bianco e ho fatto sfumare.
Ho aggiunto i gamberi, li ho fatti saltare qualche minuto, poi ho versato in padella mezzo bicchiere d’acqua, aspettando che sobbollisse.
Intanto ho salato l’acqua e buttato la pasta.
Ho versato il curry, abbondantemente, perchè ci piace, ma potete regolarvi a vostro gusto, e mescolato.
Quando i gamberi erano ben insaporiti ho spento, aspettando la cottura della pasta.
Dopo aver scolato i paccheri, li ho passati in padella nel sugo al curry, rendendo tutto più cremoso con un cucchiaio di panna.
secondi di pesce, secondi piatti, storia & cultura

Il merluzzo sulla tavolozza

Il film La ragazza con l’orecchino di perla di Peter Webber, ispirato al romanzo omonimo di Tracy Chevalier, a sua volta ispirato al dipinto La ragazza col turbante di Jan Vermeer è stato candidato a suo tempo ad un sacco di premi ed una valanga ne ha poi portati a casa… 
Già solo il confronto tra Scarlett Johansson e la fanciulla del quadro stupisce per l’accuratezza dei particolari. Questo fa capire molto sulla cura che è stata messa in questa piccola opera d’arte.
 
 
Tra i tanti premi portati a casa dal film, un bel gruzzolo di riconoscimenti è andato ad Eduardo Serra per la Migliore Fotografia.
 
Secondo me la fotografia, le luci, il succedersi delle inquadrature fanno di questo film un piccolo gioiello. Per tutta la durata, sebbene sia lento, non si percepisce lo scorrere del tempo, ma l’attenzione viene focalizzata sugli sguardi, bellissimi primi piano, intervallati da quadri più ampi.
 
Ognuna di queste inquadrature sembra ispirata dai quadri della tradizione olandese e fiamminga.
 
 
 
Una di queste è proprio all’inizio del film, quando ancora scorrono i titoli d’inizio.
Griet si trova nella sua casa di Delft e sta tagliando la verdura. Non la ammucchia disordinatamente, come una qualsiasi massaia affaccendata farebbe. Lei no, lei la dispone ordinatamente in un piatto come fosse una tavolozza. 
La scena del film in cui Griet affetta e dispone le verdure
La telecamera si sofferma sulle sue mani al lavoro, un lavoro preciso, lento e regolare, nell’affettare e nel disporre, roba che farebbe impallidire i moderni cuochi campioni di velocità. Ma chi ama stare in cucina sa che il piacere di cucinare è anche questo, prendersi i propri tempi, gustare i profumi e i colori, provare abbinamenti e accostamenti, lasciarsi andare a un piacevole flusso di pensieri.
La tavolozza di verdure del film mi è rimasta impressa e l’altra sera mi è tornata in mente, durante quel flusso di pensieri, mentre affettavo le verdure per cucinare il pesce.
 
La mia tavolozza è un po’ più modesta…ma ugualmente ho voluto fotografarla.
Domina il giallo delle patate, messo in risalto dal verde intenso del peperone; poi la sfumatura tenue e violetta della cipolla di Tropea e il rosso dei pomodori che si confonde con quello del tagliere.
 
Ho usato tutte queste verdure per insaporire dei filetti di merluzzo. Alla fine anche questa è un’opera d’arte.
 
la ricetta: Merluzzo alle verdure (per 2 persone)
per circa 250 g di filetti di merluzzo ho usato:
due patate grosse
due cipolle medie
un peperone
due pomodori
olio, sale,
un peperoncino secco
un grosso spicchio d’aglio
due filetti di acciuga 
prezzemolo tritato
vino bianco q.b.
 
Per prima cosa ho pulito e affettato le verdure.
Poi ho messo a soffriggere l’aglio e il peperoncino nell’olio, senza farlo dorare troppo.
Ho tolto la padella dal fuoco e ho fatto sciogliere i filetti d’acciuga nell’olio caldo.
Ho rimesso la padella sul fuoco mentre cominciavo a disporvi a strati le verdure, prima le cipolle, poi le patate, i pomodori e i peperoni, intervallando a ciascuno strato un bel pizzico di sale.
Sopra tutte le verdure ho posato i filetti di merluzzo, irrorato con un filo d’olio, un pizzico di sale e abbondante prezzemolo tritato.
Ho versato vino in abbondanza, perchè è l’unico liquido che si aggiunge, e coperto bene la padella perchè non sfiatasse.
Il pesce cuoce nei vapori di vino e verdure, insaporendosi meravigliosamente.
Ogni tanto bisogna dare una scrollatina alla padella perchè le verdure non si attacchino, aggiungendo, ma solo se occorre, un filo d’acqua.
Il piatto è pronto quando le verdure sono cotte.
Disporre nei piatti un tappeto di verdure miste e sopra i filetti di merluzzo.
 
 
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