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Alla Fiera della Toma di Condove

Ieri sono stata alla Fiera della Toma di Condove, giunta ormai alla XXIII edizione.
Lascio che siano le immagini a parlare e a raccontare (solo in parte) questa ricchissima manifestazione, assolutamente imperdibile per chi ama il formaggio.

Siamo stati realmente travolti da una miriade di colori e profumi, come accade nelle autentiche Fiere di montagna. Non solo formaggi, la toma e tutte le sue varianti, ma i biscotti, canestrelli ancora caldi, e torcetti, le caldarroste, le mille sfumature del miele, e tante tante mele di montagna.
Al banchetto allestito per le foodbloggers, che proponevano una ricetta all’ora, ho avuto il piacere di salutare Ambra, Silvia, Anastasia e Ale. C’erano anche Alessandra e Lia.
Ma l’esperienza che ricorderò con più piacere è stata la visita guidata alla Cascina Vercellino, inserita nel programma Cascine Aperte.
Abbiamo avuto la possibilità di visitare la loro piccola impresa a conduzione completamnete familiare,  dove tutti sono coinvolti nel lavoro del caseificio, dall’anziana nonna, ai figli più giovani; abbiamo visto le mucche da latte, il piccolo laboratorio, la cascina tutta e abbiamo gustato formaggi e yogurt deliziosi, che conservano tutto il sapore dell’autenticità. Niente a che vedere con i caseifici dove ormai la produzione è del tutto industriale. Anche i loro prezzi di vendita sono estremamente competitivi, a prova che un prodotto veramente genuino non sempre si deve pagare di più.

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Il Tuffo del Pinguino – Pepino is on MyTable

Domani 11 ottobre sarò, insieme ad alcuni chef di ristoranti torinesi del circuito MyTable.it ed alcune foodblogger, Un Tocco di Zenzero, Cucina Precaria e Cucina e Cantina, in piazza Carignano a Torino a festeggiare un super gelato torinese.
Protagonista della festa sarà il Pinguino Pepino, il primo gelato da passeggio su stecco, che domani verrà proposto anche come dessert da fine pasto.
Ma per introdurre questa storia tutta torinese, occorre fare un passo indietro nel tempo, anzi un bel balzo, perché arriviamo fino al 1884, quando Domenico Pepino gelataio napoletano arrivò a Torino ed aprì una gelateria in piazza Carignano, la stessa che potete vedere ancora oggi.
Nel 1916 egli cedette per la somma di 10.000 lire la sua attività al Commendator Giuseppe Feletti, che già si occupava di cioccolato, e a suo genero Giuseppe Cavagnino. I rilevatori dell’impresa danno un nuovo impulso commerciale alla gelateria Pepino, adottando il ghiaccio secco per facilitare il trasporto dei gelati, così il gelato Pepino arrivò ovunque.
La gelateria venne insignita negli anni di numerosi riconoscimenti diventando anche fornitrice della Real Casa.
Nel 1939, dopo anni di studio e di ricerca a riguardo, venne “inventato” il gelato da passeggio su stecco: il gelato Pepino alla vaniglia venne immerso in una colata di cioccolato fuso e divenne il Pinguino, conoscendo nuova celebrità e successo.
All’epoca costava una lira e quindi con 2 lire si poteva andare al cinema e prendere un Pinguino.
Negli anni vennero messi sul mercato nuovi gusti di Pinguino, oggi sono sei: crema, gianduja, nocciola, viola, menta e caffé. Cambiò soltanto il packaging del prodotto, adeguandosi ai tempi, ma conservando sempre quell’aria d’antan, delle cose buone di un tempo.
Domani il Pinguino, dopo 73 anni di successo, diventerà anche un dessert. Noi foodblogger insieme agli chef torinesi siamo chiamati a reinterpretare il Pinguino Pepino come un dessert da fine pasto e una giuria di giornalisti assaggerà le nostre opere golose.
Per la mia rivisitazione ho cercato un prodotto che, proprio come il Pinguino, potesse raccontare una storia. 
È il caso dei Nocciolini di Chivasso.
Intorno al 1850 un pasticcere chivassese, Giovanni Podio, creò i primi Nocciolini, con albume, zucchero e Nocciole Tonde Gentili del Piemonte, li chiamò Noasèt, o Noisettes per i clienti d’oltralpe. Nel 1900 suo genero Ernesto Nazzaro portò i Noasèt all’Esposizione Universale di Parigi e nel 1911 a quella di Torino, riscuotendo un enorme successo e facendo sì che il suocero ricevesse un brevetto per questa sua creazione. Poco dopo Podio fu insignito del titolo di “fornitore della Real Casa” da Vittorio Emanuele III, per i Noasèt, proprio come era accaduto con i gelati Pepino.
Il loro nome venne italianizzato in Nocciolini durante il fascismo, e tale restò anche in seguito.
A Chivasso due pasticcerie si contendono il primato per i preziosi bottoncini alle nocciole, la Bonfante, pasticceria storica del 1922, un piccolo gioiello in stile liberty, e la pasticceria Fontana del 1965. 
Dall’incontro di questi due dolci golosi del territorio nasce un dessert davvero principesco.
Ho abbinato una crema al cioccolato fondente con il Pinguino al gianduja, l’ho completata con la croccantezza dei Nocciolini di Chivasso e con una morbida meringa svizzera con yogurt bianco. Per completare qualche scaglia di fondente e naturalmente il Pinguino al gusto gianduja!
Il Tuffo del Pinguino nel bicchiere
La ricetta: Il Tuffo del Pinguino
(per 4 coppe)
per la meringa svizzera con yogurt:
75 g di albume (circa 2 albumi)
150 g di zucchero
3 gocce di limone
100 g di yogurt bianco intero
per la crema al cioccolato:
100 g di mascarpone
50 g di cioccolato fondente
1 Pinguino Pepino al gusto gianduja
80 g di Nocciolini di Chivasso 
per decorare 4 coppe: 4 Pinguini al gianduja
Procedimento:
Preparare la meringa svizzera: mettere in una ciotola, o in un pentolino che vada a bagnomaria, gli albumi con un cucchiaio di zucchero e ¾ gocce di limone; mettere questa ciotola dentro quella piena d’acqua sul fornello acceso e cominciare a montare aumentando man mano la velocità, quando gli albumi sono bianchi aggiungere lo zucchero restante e continuare a montare finchè la meringa non diventa bella lucida. L’operazione dovrebbe essere svolta a 60°, con l’aiuto di un termometro da cucina, riducendo eventualmente il bollore dell’acqua sottostante. 
Una volta che la meringa è ben montata mettere da parte.
Preparare la crema al cioccolato fondente: sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente precedentemente sminuzzato. Farlo intiepidire e mescolarlo al mascarpone e alla crema di un Pinguino al gianduja ammorbidito a temperatura ambiente. Porre in frigo per un quarto d’ora. 
Mescolare la meringa allo yogurt bianco e comporre il dolce.
Sul fondo delle coppe mettere uno strato di crema al mascarpone e cioccolato. Sulla superficie adagiare i Nocciolini di Chivasso, sopra questi mettere una cucchiaiata di meringa svizzera con yogurt. 
Decorare con qualche scaglietta di fondente e “tuffare” un Pinguino al gianduja.
Il Tuffo del Pinguino ancora nel bicchiere
Il Tuffo del Pinguino presentato in coppetta

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Alla Fiera del Miele di Marentino…

Chi mi segue su Facebook e Twitter sa che in occasione della Fiera del Miele di Marentino, svoltasi il 29 e 30 settembre, ho partecipato al concorso gastronomico “C’era una volta il miele”.
Il tema del concorso era naturalmente il miele e dunque bisognava presentare una ricetta con questa significativa presenza tra gli ingredienti. Erano ovviamente benvenuti anche tutti gli altri prodotti del nostro territorio.
Io ho presentato i miei ravioli al formaggio di capra insaporiti con miele e more e sono stata scelta tra le cinque finaliste, andando poi proprio lì a Marentino a cucinare la mia ricetta sotto gli occhi vigili dei giudici.

La giuria era composta da tre membri dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche del Piemonte, Andrea Mè, Marco Carena e Federico Bianco, dalla scrittrice e  blogger Norma Carpignano e dallo chef Davide Fiore del ristorante La Locanda delle Marionette di Sciolze.

E’ stata un’esperienza divertente e molto molto piacevole: per chi ama cucinare è sempre molto stimolante ricevere un giudizio da esperti del settore, e non da semplici assaggiatori occasionali… quando poi questo giudizio porta anche alla vittoria, potete immaginare che la soddisfazione è a mille!!!

Con le altre partecipanti ci siamo sistemate sull’ampio tavolo, abbiamo disposto i nostri ingredienti e attrezzi e abbiamo subito dato il via alle danze. Qualche tentennamento l’abbiamo avuto soltanto con l’approccio alle piastre ad induzione, ma anche quello è stato risolto.

Tra le ricette partecipanti c’erano altri ravioli, con il miele nel ripieno, un secondo di pesce e due dolci: dei muffins e dei biscotti.

Dopo le foto di rito, la giuria si è raccolta in camera di consiglio e dopo una decina di minuti la classifica era stilata: primo posto per me!! 😀
La mia ricetta sarà pubblicata nei ricettari dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche del Piemonte; a casa ho portato gli attestati del Comune di Marentino e dell’Accademia e un invito a cena per due al ristorante Le Marionette di Sciolze. 
I complimenti che più mi hanno fatto piacere sono stati quelli di Davide Fiore che, rimasto particolarmente colpito dalla mia ricetta, la inserirà nel suo menù.
In attesa di raccontarvi anche della cena in questo ristorante particolarissimo, pubblico ancora il momento della premiazione che dice tutto sulla mia contentezza.

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Nice To “TwEAT” You alla Social Media Week di Torino

Venerdi 28 settembre io e le bloggers di Due Cuori e Una Forchetta  e Cucina Precaria, siamo state invitate ad assistere all’incontro Nice To “TwEAT” You, nell’ultima giornata della Social Media Week che si è appena conclusa a Torino e in altre dodici città in tutto il mondo.
Il tema della conferenza era #turismo & #social media, ovvero come cambia il mondo del turismo e della valorizzazione del territorio con la crescita dei canali social e del web 2.0, organizzata da Sviluppo Piemonte Turismo, promotore del #BITEG, la Borsa Internazionale del Turismo EnoGastronomico. (Per seguire l’evento su Twitter gli hashtag sono #biteg e #nicetotweatyou.)

Ospiti sul palco, moderati dalla bravissima e competente Maria Elena Rossi di Sviluppo Piemonte Turismo, c’erano Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Langhe e Roero, Fabrizio Musso, General Manager del Grand Hotel Sitea di Torino, Luca Bernardini dell’ufficio stampa di Slow Food, Guido Castagna, Maestro Cioccolatiere e Maestro del Gusto Slowfood, Alessandro Morichetti di Do You Wine, enoteca on line dell’azienda vitivinicola Ceretto e Silvia Cartotto, travel blogger di The Girl With The Suitcase.

Mentre mi metto al lavoro per ricapitolare i temi affrontati, mi faccio aiutare da un pezzetto di cioccolato gianduja di Guido Castagna; nel momento in cui il cioccolato si scioglie contro il palato parto per un viaggio dei sensi e in un attimo vedo già le nocciole e le fave di cacao che sono servite per confezionare quel cioccolato perfetto ad ogni morso. Subitanea è la voglia di approfondire, di visitare i luoghi in cui si creano queste meraviglie del gusto che fanno l’eccellenza del nostro territorio. 

Quello che accade con i social è un percorso simile, anche se talvolta in senso inverso: bisogna emozionare prima ancora di far gustare, prima ancora di vendere; la comunicazione attraverso i social deve invogliare all’esperienza.

Mauro Carbone di TuLangheRoero sottolinea come sia ormai indissolubile il rapporto tra internet e turismo, ma è fondamentale un lavoro di rete tra i produttori per valorizzare un intero territorio e non solo il singolo

Guido Castagna aggiunge, nel suo intervento, quanto sia importante fornire ad un turista che viene da lontano un’ampia gamma di eventi e visite perché possa scegliere quelle a lui più congeniali; anche qui la comunicazione e lo scambio tra le varie realtà produttive e le strutture ricettive è importantissimo, ma anche l’utilizzo dei social da parte dei professionisti del settore diventa fondamentale per invogliare il viaggiatore alla visita reale.

Un discorso a parte viene fatto da Fabrizio Musso del Grand Hotel Sitea riguardo ai riscontri che arrivano dalle recensioni in rete. Non solo su TripAdvisor ma anche su Facebook le critiche vengono lette attentamente e diventano sempre nutrimento motivazionale e spunto per migliorare. Twitter e Instagram invece, nella loro immediatezza e nella loro essenza di strumenti a caldo, aiutano nella condivisione totale dell’esperienza di soggiorno: da qui si vede come le promesse vengano mantenute e questo sicuramente rappresenta un valore aggiunto.

Luca Bernardini di Slowfood afferma quanto sia leggibile, osservando Twitter, il movimento di utenti verso gli eventi del Salone del Gusto e di Terra Madre che si svolgeranno dal 25 al 29 ottobre a Torino; approdata alla rete relativamente tardi, solo da 3 anni, la macchina organizzativa di Slowfood trae dai social una miniera di informazioni utili e li ritiene essenziali nel momento di monitoraggio ed ascolto. Dove ci sono ancora problemi di accesso alla rete elettrica, come accade nelle comunità del cibo africane, la comunicazione avviene tramite tecnologie telefoniche (sms e tablet), ma non è meno efficace allo scopo.

Purtroppo la risposta dei partner sul territorio non è ancora così omogenea e Alessandro Morichetti di Do You Wine fa notare come nel settore vinicolo dove lui opera esistano ancora molti produttori che ignorano nel modo più assoluto cosa sia Twitter o Facebook e scelgano ancora canali tradizionali per il loro commercio. Do You Wine infatti si colloca come costola social di un’azienda di impianto tradizionale: lavora al fianco dell’azienda vitivinicola Ceretto, rispondendo all’esigenza di interattività e raggiungendo ancora più utenti che potranno in seguito decidere se acquistare on line o in modo tradizionale.

La travel blogger Silvia Cartotto racconta come un diario di viaggio in rete può diventare un travel blog e rispondere alle esigenze di altri viaggiatori: bisogna rispondere alle domande, conquistare il lettore con belle immagini e fornire un itinerario pensato e sperimentato, ricco di consigli utili. Silvia preferisce godersi il viaggio e fare scorta di immagini e suggestioni per poi portare sulle pagine virtuali del blog un resoconto ormai maturo e digerito.

Da Nice To TwEAT You è però emerso come l’immediatezza di Twitter sia essenziale nella valorizzazione di un’esperienza turistica: il tweet fornisce l’emozione istantanea e lo spunto per approfondire, quindi rappresenta uno strumento validissimo nella promozione e valorizzazione di un territorio ampio e variegato come quello piemontese. Allo stesso tempo le nuove tecnologie e i nuovi canali social offrono opportunità di lavoro nel mondo del turismo e nelle attività ad esso collegate.
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Torta Monferrina Bocca di Dama

Ho perso per un attimo il filo del blog… in effetti non pubblico dal 19 marzo, ma sono stati giorni intensi, comprensivi di una torta su commissione che mi ha fatto venire voglia di provare a dedicarmi un po’ di più alle decorazioni. Di norma preferisco le torte al naturale, dall’aria un po’ rustica e tradizionale, ma in effetti affinare un po’ la mia manualità in previsione di qualche torta di compleanno o per ricorrenze particolari non sarebbe male!
Nel frattempo pubblico una ricetta “classica”, una torta tradizionale sulla quale non sono riuscita a reperire molte informazioni.
Si tratta della Torta Monferrina-Bocca di Dama. Non bisogna confonderla con altre torte chiamate Bocca di Dama e preparate con le mandorle tritate. 
Questo è un dolce tipico piemontese, che in realtà in tanti anni non avevo mai avuto la fortuna di incrociare in nessun locale né agriturismo piemontese. Si prepara indifferentemente sia con le pesche sia con le albicocche sciroppate. E’ un dolce abbastanza rapido, ma dal sapore intenso e avvolgente, adattissimo per chiudere il prazo della domenica.
La ricetta l’ho trovata sul blog Farina Lievito e Fantasia e l’ho leggermente modificata per le quantità degli ingredienti e le proporzioni.

La ricetta: Torta Monferrina Bocca di Dama
Io ho fatto una torta da 6-7 porzioni in uno stampo di 20 cm di diametro:
per la pasta frolla:
150 g di farina 00
65 g di burro
65 g di zucchero
1 uovo
la punta di un cucchiaino di lievito per dolci
per il ripieno:
80 g di amaretti secchi
pesche sciroppate (5 mezze pesche)
70 g di nocciole tritate
50 g di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di grappa
Ho impastato la pasta frolla con la ricetta che trovate qui. L’ho messa in frigo a riposare per circa 1 ora.
Passato il tempo ho steso la frolla su un foglio di carta forno leggermente infarinato e ho rivestito lo stampo lasciando un po’ di pasta sporgere oltre il bordo della teglia. Ho disposto sul fondo uno strato di amaretti (circa metà del totale) sbriciolati grossolanamente.
Poi ho messo uno strato di pesche messe a raggiera. Sopra le pesche ho sbriciolato gli amaretti restanti. Li ho bagnati con qualche cucchiaio di sciroppo mischiato al cucchiaio di grappa. Infine ho disposto uno strato di nocciole tritate grossolanamente.
Ho ripiegato la frolla che sporgeva verso l’interno creando un bel bordo rotondo e alto.
Ho sbattuto l’uovo con lo zucchero, fino a renderlo chiaro e gonfio. Ho versato il composto sopra le nocciole ed ho infornato subito a 175° per 30 minuti, controllando poi che il bordo fosse ben dorato.
Si può spolverare con un leggero strato di zucchero a velo.
E visto che l’ho portata dai miei “semi-suoceri”, l’ho pure impacchettata bene!! 😀
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Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate

frittelle-mele
Carnevale si avvicina e anche qui è scattata l’operazione frittella.
E visto che ci piace vincere facile, cominciamo dalle basi con le frittelle di mele, friceuj ‘d pom in piemontese!
 
Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate" class="facebook-share"> Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate" class="twitter-share"> Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate" class="googleplus-share"> Frittelle di mela o friceuj ‘d pom, la mia ricetta Le frittelle più semplici e amate" data-image="https://www.ricettedicultura.com/wp-content/uploads/2012/02/frittelle-di-mele_2_ev.jpg" class="pinterest-share">
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La Fetta di Polenta e la Polenta alla Piemontese

Ci sono giornate in cui sembra tutto vicino. Le montagne ad ovest, luccicanti di neve e svettanti sull’orizzonte come una corona, ancor di più la collina, verso est: case fitte fitte di Borgo Po, tutte affacciate sulla città, con la Villa della Regina che fa l’occhiolino, a due passi da piazza Vittorio, Superga vicinissima che quasi la si può toccare e il Monte dei Cappuccini che si specchia nel Po.
E’ merito della luce particolare – nessuna nube è rimasta, tutte spazzate dal vento tiepido che qui chiamano phön – e di un clima fresco ma temperato che fa sentire vicina la primavera.
Di solito queste giornate si manifestano a marzo, quando è tutto un turbinio di foglie secche ancora per le strade da novembre e risparmiate dalle piogge dell’inverno…Quest’anno il clima è invece particolarmente mite, lo è stato a dicembre ed è ancora così in questi primi giorni di gennaio.
E’ ora di pranzo, il sole è alto, il cielo è azzurro e limpido ed io faccio una passeggiata senza guanti e con il naso in su, guardando i bei palazzi di una Torino di altri tempi, una Torino signorile e discreta, forse silenziosa come questa mattina, quando corso San Maurizio era sgombro di macchine e i semafori sembravano funzionare inutilmente.

Se devo raccontare di un’opera che rappresenti la mia città penso subito ad un’architettura di Alessandro Antonelli.
La Mole Antonelliana? No, quella è davvero troppo conosciuta ed è il simbolo di Torino…io penso ad una casa che alcuni torinesi non conoscono affatto, ma che si trova a pochi passi dalla Mole, in borgo Vanchiglia: la Fetta di Polenta.

Una porzione del centro di Torino, si vede quanto siano vicine la Mole e la Fetta di Polenta

A guardarne la forma la ragione di questo soprannome è ben evidente. Le pareti sono dipinte di giallo vivace e la pianta di questo edificio è trapezoidale, con una facciata stretta ed un altro lato addirittura strettissimo!!!
Tutte le visuali della Casa Scaccabarozzi, detta Fetta di Polenta

Nacque per una scommessa con la Società Costruttori di Borgo Vanchiglia, e Antonelli dovette insistere a lungo prima di poter acquistare questa porzioncina di terreno d’angolo, intestato poi alla moglie Francesca Scaccabarozzi. Ma l’architetto era troppo eccentrico per farsi sfuggire la possibilità di costruire in condizioni “estreme”. Progettò quindi una casa per abitazione, con l’intenzione di destinarla all’affitto, con la scala a chiocciola e la canna fumaria incastrate nell’angolo più angusto.
I primi tre piani vennero completati nel 1840 e già nel 1851 dovettero resistere allo scoppio del Polverificio di Borgo Dora. Superarono la prova forse grazie alla fondamenta profonde due piani interrati, mentre altri edifici, in apparenza più solidi, vennero lesionati.
Non contento Antonelli innalzò la sua creatura sempre di più, fino a raggiungere l’ultimo piano, il sesto fuori terra, nel 1881. L’altezza complessiva è di 27 metri, così come la profondità sul lato lungo. La facciata che si affaccia su corso San Maurizio è lunga 5 metri, mentre lo spigolo più stretto di soli 70 centimetri.
La facciata su corso San Maurizio, larga 5 metri
Lo spigolo più stretto, di 70 centimetri di larghezza, dove sono incastrate le scale a chiocciola

Inizialmente molti si rifiutarono di andarci ad abitare, per paura di un crollo, ma la casa resistette nel 1887 quando un terremoto rase al suolo molti degli edifici del Borgo Vanchiglia. Anche i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale risparmiarono la casa Scaccabarozzi, e la diffidenza fu definitivamente vinta. La casa fu abitata per molti anni e solo ultimamente, dopo un periodo di decadenza, è stata trasformata nella Galleria d’Arte Franco Noero dove, per un certo periodo, sono state esposte sulle pareti interne, dipinte di bianco, le foto di tutti gli edifici più bizzarri del mondo.
Il lato verso via Giulia di Barolo. I mobili vennero portati in casa dalle finestre, poichè la scala era troppo angusta

Tornare alla Fetta di Polenta mi fa tornare indietro al tempo in cui passeggiavo più spesso con il naso in su, entusiasmandomi alla scoperta dei tanti palazzi che giocano a mimetizzarsi in questa città che a detta di alcuni può sembrare monotona. Non è così, dietro alla ricerca di un’uniformità di facciata, alla pretesa di disegnare tutte le strade con incroci ad angolo retto, ci sono tante storie, piccoli particolari sui frontoni delle finestre o sotto i balconi che differenziano ogni pezzo del puzzle della mia bella ed elegante città.
Antonelli poteva guardare la punta della sua Mole dalla finestra di casa, mentre si gustava la sua polenta alla piemontese

La ricetta che mi è parso più naturale abbinare a questa architettura è la Polenta alla Piemontese. 

Non ho cotto la polenta per ore, ho usato quella già precotta a vapore, che cuoce velocemente. Rispetto alla ricetta più tradizionale che vuole solo il soffritto di verdure ho aggiunto solo dei funghi, che si sposano a meraviglia con gli altri sapori.

La ricetta: Polenta alla Piemontese (per 2 persone)

125 g di polenta istantanea
25 g di semolino
50 g di fontina
2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
25 g di burro
½ l di brodo vegetale (preparato con cipolla, sedano, patata, carota e aglio) 
½  bicchiere di latte
3 cucchiai di olio d’oliva extra-vergine
1 cipolla
1 porro
2 spicchi di aglio
1 costa di sedano 
250 g di funghi orecchioni e chiodini
alloro
salvia
vino bianco
sale
pepe
 
Per prima cosa ho preparato il brodo vegetale con verdure a piacere: io ho messo patata, carota, sedano, cipolla e uno spicchio d’aglio, con un filo d’olio e un po’ di sale. 
In una padella larga ho preparato il soffritto mettendo in una padella i tre cucchiai di olio extravergine e facendovi rosolare la cipolla, il porro, gli spicchi d’aglio, il sedano e l’alloro e la salvia. Quando le verdure hanno cominciato a sfrigolare ho aggiunto i funghi tagliati a pezzetti e sfumato con un goccino di vino bianco e ho proseguito la cottura finchè tutte le verdure erano morbide e ben rosolate. Ho eliminato l’aglio.
Ho tagliato a dadini la fontina, grattugiato il parmigiano e pesato il burro in modo da averlo a portata di mano.
Ho mescolato le due farine.
Ho portato ad ebollizione il brodo preparato in precedenza con il mezzo bicchiere di latte.
Ho versato la farina a pioggia e ho iniziato a mescolare. Quando la polenta ha cominciato a raddensarsi ho aggiunto il burro, la fontina, il parmigiano ed infine il soffritto, mescolando bene.
Noi l’abbiamo fatta rassodare un po’ e l’abbiamo accompagnata da una parte del soffritto di verdure caldo.
Con questa ricetta, il consiglio di andare a vedere la Fetta di Polenta e queste tante foto, partecipo al contest Cib’Arte di Simona del blog Simona’s Kitchen in collaborazione con l’editore d’arte Claudio Martini.
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