Le Mistocchine per Emilia Mon Amour parte II
Ho vagato alla ricerca di quelle ricette che non sono sulla bocca di tutti ed infine ho scelto le mistocchine o mistochine, con una sola c, che dir si voglia.
La parola mistocchina sembra derivare dal verbo latino miscere, che significa mescolare e fa riferimento al gesto di mischiare insieme acqua e farina, girando con il cucchiaio fino ad ottenere un impasto lavorabile.
Delle mistocchine bolognesi si ha traccia fin dal Seicento, in numerosi bandi e pubblicazioni ufficiali conservate in archivio storico. Talvolta il commercio di queste focaccine venne addirittura proibito, per ragioni ignote, altre volte ne vengono regolamentati i prezzi, diversi dalla città alla campagna.
Le mistocchinaie erano munite di un paravento per proteggere il fuoco dal vento, e di un trespolo su cui era sospesa la piastra per la cottura. Erano vestite tutte di bianco, con un fazoletto attorno al capo e dei manicotti anch’essi bianchi.
Una delle piu’ note mistocchinaie aveva il suo laboratorio-negozio a Bologna sotto gli antichi portici di via Marsala all’angolo con via Mentana, dove vi era anche un affresco raffigurante la sua professione, ma già da molto tempo, affresco e mistocchinaia sono solo un ricordo nelle menti dei più anziani.
Carlo Goldoni ne L’impresario delle Smirne ce ne ha lasciato una fuggevole immagine in queste poche battute.
«Che vuol dir Mistocchina? Come quella giovane è bolognese, e che a Bologna chiamano mistocchine certe schiacciate fatte di farina di castagne, le hanno dato un soprannome, che conviene alla sua patria ed alla sua abilità.»
Le mistocchine sono immortalate dai versi di questa poesia, che trascrivo pari pari, se vi voleste cimentare con la comprensione del dialetto!! (C’è anche la traduzione in fondo!!)
una mistocchinaia con il tipico fazzoletto bianco in capo |
La mistuchinèra l’è tôta biènca:
biènch al fazzulèt ch’la pòrta in cò;
biènch al grimbialò-n ch’l’agh ha adòss;
biènch i calzzêt a mèza gamba;
biènchi il patèl inti pia;
biènchi parssê-n il zzid e i sóvrazzêli.
Un spirai ad ssól al filtra da ‘na sfèssa
fra i tandê-n dla fnèstra e al dvénta ènca lô
biènch par al spulvrazzê-n suspés a mèz’aria.
La zdóra l’è dria impastèr la farina castagna
ch’l’è tènt fina da ssulivèrla ssól a muvrass.
La fa un pastò-n bel ssòd,
e l’in staca di baluchê-n tôt prècis
ch’la pògia, ô.n dria ‘ch’l ètar, ssôl tuliri.
Pù, cul sgnadur pêcul, quèl da pulénta,
la i tira ssutil e tónd tôt intna manira:
il mistuchin igli è bèla chè fati!
L’ali infarina da tôti dó il band,
parchè in’s ataca brisa ala piastra ruvénta
induv ch’ali pògia, tré o quatar par vòlta.
Maninma-n ch’ali prêla, as liva un sbôf’d fôm ch’al spargôia un udór da fèr gnir mêl vôi.
Agh vòl puch, trê-quatar minôt piô ò mè.n,
parchè ch’il môcia al ssu bèl culór caramèla.
Al mucèt ssòt’al tvaiòl al crèss ala svèlta.
Tèndri, musin, prufumèdi, igli è prónti.
Igli è una luvisia.
Le Mistochine
La donna delle mistochine è tutta bianca:
bianco il fazzoletto che porta in testa;
bianco il grembiuleche indossa;
bianche le calze a mezza gamba;
bianche le ciabatte nei piedi;
bianche finanche le ciglia e le sopracciglia.
Un filo di sole penetra da una fessura
fra le tendine della finestra e diventa esso pure
bianco nel pulviscolo sospeso a mezz’aria.
La massaia sta impastando la farina castagna
tanto fine da sollevarsi solo a muoversi.
Ne fa un pastone ben compatto
e ne distacca dei pezzetti tutti uguali, che
appoggia uno accanto all’altro sul tagliere.
Poi, col matterello piccolo, quello da polenta,
li fa sottili e rotondi, tutti allo stesso modo:
le mistochine sono già confezionate!
Le infarina da ambo i lati
perché non si attacchino alla piastra rovente
sulla quale le appoggia, tre-quattro per volta.
Nel rigirarle si alza un sbuffo di vapore
Occorre poco, più o meno tre-quattro minuti,
perchè assumano il loro bel color caramella.
Il cumulo coperto dal tovagliolo cresce presto.
Tenere, mucine, odorose, sono pronte.
Sono una ghiottoneria.
Ormai pare che sopravvivano soltanto nelle sagre di paese, nelle province di Bologna, Modena e Ferrara; nelle città, probabilmente, solo i più anziani le ricordano.
Ed è proprio agli emiliani più anziani che voglio dedicare questo post del ricordo. Sono gli anziani coloro che più soffrono a dover lasciare, anche momentaneamente, la propria casa e le proprie abitudini di una vita intera. Tin bota!!!
Le mistocchine altro non sono che focaccine appena dolci, fatte con farina di castagne, semi di anice e, volendo, buccia di limone. In alcune versioni sono proposte con l’aggiunta di uva passa nell’impasto.
Si accompagnano bene ai passiti e ai vini da meditazione. Io, per enfatizzare il sapore di anice, le ho accompagnate ad uva passa ammollata nella sambuca. E’ un dolce semplice dal sapore veramente antico.
Vanno servite calde, ed io le ho accompagnate all’uvetta che nel frattempo si era assorbita tutta la sambuca!!
cara Ale…a valorizzare ancora di più questo tuo bellissimo racconto, ti dico che dalle nostre parti l'anice è proprio il profumo dei nonni…tant'è che quando uno di noi compra le caramelle all'anice (io sono una fan……) viene preso in giro e detto "vecchio"…!! 🙂
Ahah! Allora ci ho preso!! 😀
Comunque riscoprire queste ricette è davvero entusiasmante!! W i mercoledì social per l'Emilia!! 😀
Che forte la storia di queste focaccine! Il gusto è davvero particolare! Quante cose mi fai imparare con il tuo blog! 😉
Quando trovo queste curiosità mi entusiasmo come un investigatore… 😀
che bellissimo post, bellissima tutto il racconto sulle mistocchine, io le ho sempre sentite nominare ma mai mangiate, magari le provo.. e forza sempre emiliani, da una sorella romagnola!!! ciao ciao
Grazie Tiziana!! Leggere la storia delle mistocchine e trovare tanti spunti in rete mi ha davvero entusiasmato! Adoro provare le ricette di gusto antico!! 😀
prima di tutto complimenti!! sei stata bravissima a trovare tutte queste informazioni!! Io non avevo mai sentito parlare delle mistocchine!! ora ho una curiosità incredibile di assaggiarle! la farina di castagne abita nella dispensa da troppo tempo… è arrivato il momento di usarla!! 😀
un bacione
laura
Io le ho spolverate di zucchero a velo, per renderle più dolci…ma il profumo che emanano sulla piastra, di un dolce di altritempi, è impareggiabile!! 🙂
e' sempre bellissimo leggerti…davvero, le tue ricette parlano e sanno di buono!
Grazie!! <3 Mi hai scritto proprio una cosa bella!! 😀
Scovi sempre ricette e storie davvero interessanti!!
Complimenti Ale!
Grazie, Paola!! Aspettiamo anche te con una ricetta per l'Emilia!! 🙂
Ciao! mi piace il tuo blog!!! tutti questi post pieni di racconti, chissà quante ricerche, sono interessantissimi!!! mi unisco ai tuoi lettori fissi, certamente seguendoti scoprirò molte cose 😉
passa da me se ti va di conoscermi, claudia.
Queste me le ero perse…ma io non tollero l'anice, per colpa delle TAC (storia lunga…) dici che posso eliminarlo, facendo sparire anche la sambuca o quella che hai usato è proprio la ricetta originale?
A Ferrara, le mistocchine si trovano ancora. Agli angoli delle strade, in piazza a metà del listone, in via Bersaglieri del Po, in piazza Travaglio (si chiama così perché vi si eseguivano le esecuzioni capitali) d'inverno, naturalmente, l'odore delle mistocche si spande nell'aria e, vi assicuro, è una delizia! A Ferrara, però, la mistocchina è un po' diversa: la forma non è rotonda ma allungata con un disegno inconfondibile, non c'è l'anice e neppure l'uvetta è non sono bruciacchiate come quelle delle vostre foto. Vengono cotte lentissimamente su testi di ferro arroventati, un tempo con legna e carbone, oggi con il gas di una bombola. Il sapore, in ogni caso, è buonissimo! Odore e gusto delle mistocche fanno parte, inconfondibilmente, dei ricordi più cari della mia infanzia e giovinezza.
Lol