Il quadro con cui si apre questo post è La venditrice di fritole di Pietro Longhi, dove una popolana veneziana, vestita di abiti dimessi, vende le frittelle carnevalesche a un signore ben vestito e dall’espressione decisamente poco simpatica, che sventola un grande fazzoletto con il quale, probabilmente, si proteggeva dai terribili miasmi che provenivano dai canali di una Venezia settecentesca.
Le fritole dipinte
Pietro Falca nasce a Venezia nel 1701. Si ignora la ragione per la quale abbia scelto il cognome d’arte Longhi, usato soltanto per le questioni riguardanti la sua attività artistica.
Inizialmente segue la moda dell’epoca dedicandosi essenzialmente a pitture di argomento sacro e mitologico. Quella che è interessante è invece la svolta che la sua pittura ha già a partire dagli anni 30 del Settecento, seguendo gli influssi della pittura bolognese. Diventa un pittore di genere, ovvero inizia a raffigurare nei suoi dipinti scene di vita quotidiana vicine allo stile fiammingo, con motivi rustici, contadini e lavoratori delle classi basse; in questa fase molte sue opere vengono erroneamente attribuite ad un altro pittore al quale probabilmente deve molta ispirazione: il bolognese Giuseppe Crespi, lo Spagnoletto.
Dagli anni 40, cambiano gli argomenti rappresentati. Dalle parole del figlio Alessandro, «avendo uno spirito brillante e bizzarro, posesi a dipinger in certe piccole misure Civili trattenimenti, cioè Conversazioni, Riduzioni; con ischerzi d’amore, di gelosie» avvicinandosi alle tematiche inglesi e francesi: scene di conversazione e scene di corteggiamento. I colori da fortemente contrastati diventano intensi e luminosi e le scene ricche di particolari, con un’atmosfera serena e piacevole.
Intorno al 1750 vengono ripresi i temi di genere, con una serie di pitture dedicate ai mestieri come ad esempio “Il cavadenti”, “L’indovino” o la nostra “Venditrice di fritole”, figura assai comune nella Venezia di allora in tempo carnevalesco.
A voler ben vedere Longhi non si inventa quasi nulla, visto il dipinto di Gerrit Dou (1613-1675), “La venditrice di frittelle”:
Oppure la stampa di Gaetano Zompini (1700-1778), “Venditore di frittelle”, e in questo caso non si sa se lui si sia ispirato a Pietro Longhi o viceversa.
Da queste immagini possiamo dedurre due cose:
– i cibi fritti, venduti agli angoli delle strade erano diffusissimi in diverse parti d’Italia – e d’Europa – già da centinaia di anni, tanto da essere entrati nella raffigurazione di mestieri al pari del calzolaio o del macellaio;
– in alcuni casi le frittelle venivano infilate in uno spiedo per poter essere mangiate ancora calde, senza ungersi le dita.
La storia
In particolare le fritole veneziane vantano una storia che risale alla seconda metà del ‘300 e la loro ricetta è una delle più antiche conservate su un documento di gastronomia, oggi custodito a Roma presso la Biblioteca Casanatense. La versione rinascimentale delle fritole fu inserita nel ricettario di Bartolomeo Scappi.
Nei Seicento i fritoleri erano diventati tanto numerosi da aver costituito addirittura un’associazione che contava 70 componenti ad ognuno dei quali era assegnata una precisa zona di Venezia in cui esercitare la professione; l’attività era tramandata rigorosamente di padre in figlio.
Nel Settecento fu proclamata “Dolce Nazionale dello Stato Veneto” ma non è chiaro se nel solo periodo carnevalesco, visto che la frittura veniva fatta in grasso di maiale, o durante tutto l’anno con la versione fritta nell’olio.
Testimonianze dell’epoca descrivono i fritoleri.
Pietro Gasparo Moro, nobiluomo veneziano scrive: «Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?»
Lo storico Giovanni Marangoni, invece, racconta: «Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini».
Anche in letteratura
Carlo Goldoni, nel suo immortalare la quotidianità veneziana al pari di Pietro Longhi, inserì le fritole nella sua commedia Il Campiello del 1756, in cui la protagonista, Orsola, è una fritolera.
L’attività e i suoi pittoreschi rappresentanti sparirono dalle calli e dai campielli veneziani solo alla fine dell’800, ma ancora oggi è molto sentito il consumo domestico, tra Natale e Carnevale.
Via allora alle fritole, quelle veneziane, con uva passa e pinoli, o quelle di Verona, con la mela a pezzettini nell’impasto.
Sono sfiziose e leggere, assolutamente da preparare per il Carnevale di quest’anno.
La ricetta
Fritole Veneziane
250 g di farina
150 ml di latte
50 g di uva passa
40 g di zucchero
40 g di pinoli
8 g di lievito di birra fresco
2 uova piccole
1 cucchiaino di buccia di limone grattugiata
grappaolio di arachidi per friggere
zucchero a velo
Mettere ad ammorbidire l’uvetta in un bicchiere con un cucchiaio di grappa e un po’ d’acqua.
Sciogliere il lievito in una tazzina di latte leggermente intiepidito.
Mischiare la farina con lo zucchero.
Sbattere leggeremente le uova con il sale, con una forchetta.
Aggiungere in latte con il lievito alla farina, cominciando ad impastare con la forchetta; aggiungere poi le uova e il latte restante. Aggiungere nell’impasto un cucchiaio di grappa e la buccia di limone.
Riporre in luogo tiepido, facendo crescere per 1ora o poco più.
Aggiungere l’uva passa scolata e i pinoli, mescolando con delicatezza e far riposare ancora una ventina di minuti.
Nel frattempo scaldare l’olio.
Friggere le fritole aiutandosi per fomarle con due cucchiai, facendole scendere direttamente nell’olio bollente, badando che crescono in cottura, senza farle dorare troppo.
Spolverare abbondantemente di zucchero a velo e servire subito.
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Bellissimo post, tra storia, arte e letteratura! Brava! 😉
Grazie…questo post mi faceva gola da tempo!! 🙂
Mi piace molto questo post. Ci sono tutte le mie passioni, arte, letteratura e cibo. Complimenti!
Da provare queste frittole.
Ciao Fra! Mi fa piacere che ti sia piaciuto, sono i post che più amo scrivere!
Prova le fritole, sono delicate e soffici!!
Intressante cio' che hai scritto e deliziose queste frittole! Piacere, ti scopro ora e ti seguo, se hai voglia passa da me ti aspetto. Ciao
Grazie Letizia! Ricambio il follow con piacere! 🙂
Il tuo blog è straordinario, la cucina è anche cultura e storia ed è bellissimo conoscere i rapporti ed i collegamenti tra le cose 🙂 Poi a me l'arte piace tantissimo, ma sono più ferrata su quella contemporanea, che ho studiato all'università! Mi piacerebbe da sempre approfondire anche i secoli precedenti, colmare le lacune 🙂 Bellissimo post e le tue fritole sono da svenimento, io non amo le chiacchiere, ma davanti a una fritola non resisterei ^_^ anche perché la ricetta non è affatto lontana da quella delle frittelle preparate dalle mie parti, in Ciociaria, sotto Natale e per me sono una droga!!
Grazie mille An!! Quando mi preparo a scrivere un post così, mi documento e vorrei dare notizie quanto più possibile attendibili e precise, ma senza tediare i miei 5 lettori…a quanto scrivi, un poco ci riesco!! Grazie ancora di <3!! 🙂
Ho trovato alcuni antichi piatti di ottone che sembrerebbero fatti apposta per le fritoe e usati solo da Natale all’inizio della Quaresima. Questo tuo scritto è la cosa più completa e più interessante che ho letto finora. Grazie ! Se mi scrivi, ti tengo informata sull’argomento, sul lato “artistico” però, non su quello gastrononico perchè io non so cucinare e qui a Venezia fino all’anno prossimo le fritoe non me le fa nessuno 🙁