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Le friselle, il buco con il pane intorno Il tipico pane biscottato pugliese, la sua storia

Di recente mi sono avvicinata alle friselle, mentre preparavo la ricetta Bonduelle per la Puglia (a proposito la trovate qui), ed ho scoperto una bella, bellissima storia da raccontare…

I pani regionali italiani sono una mia passione da sempre, o almeno da quando ho iniziato a scrivere sul blog. Ognuno nasconde una storia e la racconta poi, morso dopo morso.
Quindi mi sono ritrovata nuovamente ad impastare e ad attendere che acqua e farina diventassero un pezzettino di storia italiana.

L’origine si perde nella leggenda.

Gli studiosi occhieggiano al “pane nautico”, citato da Plinio il Vecchio nei suoi scritti, perchè la Frisa ha avuto proprio la caratteristica di essere cibo da naviganti, trasportata senza problemi da secca, e successivamente imbevuta e insaporita di acqua di mare, prima di essere consumata. Ma più dei romani andavano per mare i greci e i fenici. Allora un volo pindarico (ma io credo senza scetticismi a tutte queste storie, che mi sembrano tutte ugualmente affascinanti) fa derivare il nome “frisa” da Phrigia, ovvero l’antico territorio di Troia, e attribuisce al viaggio di Enea l’arrivo delle frise in terra salentina. A conferma di questa teoria esiste un pane greco, le kulùres, che sembra il gemello della frisa: una ciambella tagliata a metà longitudinalmente, che dà origine a due parti, quella inferiore e quella superiore.

Tirandola per i capelli, qualcuno ha visto più di una semplice somiglianza con questi knäckebröd:

 

e d’altronde i vichinghi erano l’altro popolo di navigatori per eccellenza e probabilmente trasportavano il loro pane facendovi passare una cordicella nel buco centrale.

Il pane dei Crociati

Le prime testimonianze storiche si hanno però soltanto attorno al ‘300, quando la frisella viene indicata come Pane dei Crociati diretti in Terrasanta, soprattutto dai porti della Puglia. L’alimentazione era un elemento essenziale per la riuscita di una guerra o di un assedio, come ci ricorda Franco Cardini nel suo romanzo storico “L’avventura di un povero crociato” dove si pone il giusto accento sugli aspetti quotidiani del viaggio e della guerra. I Crociati passavano dal Sud Italia durante il viaggio verso la Terrasanta e i porti di Campania, Puglia e Calabria erano l’ultima “terraferma” prima del viaggio per mare, quindi proprio qui i Crociati facevano scorta di pane biscottato, in questi luoghi rappresentato dall’immancabile frisella o dal vascuotto (il biscotto).

Il rito dell’inzuppo

Da allora ad oggi le regole di cottura e d’inzuppo si sono articolate in un codice complicato e precisissimo, nel quale, un vostro approccio eccessivamente semplificato alla Nobile Frisella, potrebbe rivelarsi un errore, se non addirittura un’eresia.
Il pane appena sfornato va tagliato con uno spago a metà, in modo da ottenere la caratteristica superficie ruvida. Questo taglio va effettuato poco dopo la cottura, quando il pane è ancora tiepido: assolutamente vietato battere la fiacca e rimandare a più tardi. I pani tagliati da freddi, biscottano in modo diverso e diventano troppo secchi per essere imbevuti nel modo corretto.
Fondazione Terra d’Otranto ci spiega:

«Alcuni la profanano direttamente sotto il rubinetto, altri la pongono in
una ciotola e sommergono di acqua, altri, la bagnano a rate con
piccole, timide mestolate d’acqua.
»
Tutte queste pratiche sono errori e sebbene la solennità del gesto corretto ci strappa un sorriso, l’unico modo per ottenere una frisella davvero appetitosa è questo: in tavola va posta una ciotola piena d’acqua fresca e ciascun commensale deve essere dotato di fondina; la frisella deve essere afferrata con tre dita, bagnata 3 volte nell’acqua della ciotola, con la parte rugosa verso l’alto, poi posta nella fondina, dove sarà già stata messo qualche cucchiaio di acqua fredda. A questo punto si può procedere con il condimento. Un giro di parole per dire “la frisella è mia e me la bagno e condisco io”.

Le friselle originali sono di farina di grano duro e di orzo, anzi quelle più popolari erano confezionate interamente con farina d’orzo. Le più nobili, al contrario, sono preparate con farina di grano tenero e con l’aggiunta di poco olio che le rende acora più friabili.

Friselle di grano tenero

250 g di farina di grano tenero tipo 0
135 g di acqua
3 g di lievito di birra fresco
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva

Sciogliere il lievito nell’acqua ed impastare almeno per dieci minuti. Aggiungere l’olio ed infine il sale e continuare ad impastare finchè l’impasto non è perfettamente liscio ed elastico.
Lasciar riposare al coperto per 1 ora circa o poco più finchè non sarà raddoppiato. Dividere l’impasto in 4 pezzi uguali per ottenere 8 friselle. Lavorare ogni porzione come un lungo filone.
Il procedimento per la formatura lo trovate da Tinuccia, spiegato benissimo.
Vi aggiungo anche le foto, prese direttamente dal suo blog:

A questo punto coprire le friselle ottenute con un panno pulito e infarinato e lasciarle lievitare fino al raddoppio già su teglie coperte da carta forno
Se il buco centrale si stringe troppo allargarlo delicatamente con tre dita ed infornare a 200° per 5 minuti circa e poi a 180° per 10 minuti.

Prima che siano completamente fredde tagliarle in due con un coltello affilato (con lo spago bisogna essere più pratici) e mettere poi le metà in forno a biscottare per 20 minuti a 150°C con la faccia rugosa verso l’alto.

Per condire le friselle: pomodorini, cetriolo, olio buono, origano… e ancora tonno, acciughe, olive: quello che più vi piace!

 

 

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