Il Castello di Rivoli, in bilico tra passato e presente A mezz'ora da Torino, il cuore dell'arte contemporanea
A circa 15 km a ovest di Torino, raggiungibile in auto tramite il “tutto dritto” corso Francia, l’antica strada verso la Francia, ma anche facilmente con i mezzi pubblici: è il Castello di Rivoli, posto su un’altura, visuale inconfondibile per chi si avvicina.
Il primo nucleo del Castello di Rivoli risale quasi certamente al IX secolo: era una piccola roccaforte difensiva per sfruttare l’altura della collina su cui sorge, dalla quale si gode una visuale che tutt’oggi nelle giornate serene attraversa la piana di Torino e si estende fino alla collina di Superga.
La storia
Un primo documento scritto risale all’epoca di Federico Barbarossa che cedeva il territorio al vescovo di Torino.
La struttura fortificata iniziò ad essere recuperata e ampliata solo un secolo più tardi da Amedeo IV di Savoia; e nel XV secolo fu punto d’appoggio per uno dei primi arrivi della Sindone a Torino, dato che all’epoca era conservata nella capitale, a Chambery. Fu Iolanda di Savoia, duchessa consorte di Amedeo IX e poi reggente, a ordinare una breve ostensione rivolense.
Con il trattato di Cateau-Cambrésis la capitale del ducato di Savoia venne spostata a Torino, ma venne stabilito che Emanuele Filiberto non potesse abitarci prima di avere un erede maschio. Il Castello di Rivoli diviene quindi la sua sede e viene affidato ad Ascanio Vitozzi e ampliato. Proprio qui nel 1562 nasce Carlo Emanuele, dall’ormai attempata consorte Margherita di Francia di 39 anni. L’evento straordinario è ricordato dalle iniziali di Carlo Emanuele sul soffitto di una delle sale, dove probabilmente la sua nascita e le circostanze della sua morte vennero divinate dal celebre Nostradamus.
A quel punto, con capitale in Torino, il Castello di Rivoli entrò a far parte della corona di delizie che circonda tutta la città: residenze extraurbane che valorizzano il territorio, che sono talvolta dimore di vacanza e di loisir per i duchi e successivamente per i sovrani, sontuose costruzioni, volte a comunicare ricchezza e potere.
Il castello di Rivoli diventa subito, per tradizione, il luogo dove nascono i sovrani di casa Savoia, completato dall’immaginaria direttrice che lo congiunge alla basilica di Superga, dove invece i Savoia vengono tumulati. Alla manica lunga (completata poi nel 1644) si sommano lavori di intervento e completamento del grande “cubo” del castello, che coinvolgono architetti di fama come Francesco Paciotto e Domenico Ponsello; più avanti Michelangelo Garove e Antonio Bertola; mentre Filippo Juvarra interviene largamente nel ‘700 e Carlo Randoni nel ‘800.
Il castello fu la prigione tutt’altro che angusta di Vittorio Amedeo II, dopo che aveva abdicato per il figlio Carlo Emanuele III: in quell’occasione vennero aggiunte grate alle finestre e bloccato il collegamento con la manica lunga.
Il declino recente
Nel 1863, dopo l’Unità d’Italia, il castello divenne caserma. In una parte del castello si istituì una biblioteca e una rimessa per gli antichi mobili dei Savoia. La Seconda Guerra Mondiale fece danni molto ingenti.
Nel 1949 il Castello di Rivoli venne adibito a Casinò Municipale, ma solo per pochi mesi.
Dopo ci fu l’abbandono totale fino al 1979 quando venne riaperto il cantiere e iniziarono i lavori di recupero e restauro.
La rinascita
Nel 1984 venne inaugurato il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli.
Quel poco che è recuperato dai gravi danni di 1000 anni di storia e dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fa da cornice a una mostra permanente che comprende opere datate dalla fine degli anni sessanta agli anni duemila e a periodiche mostre temporanee.
Celeberrima, nella collezione permanente, l’opera di Maurizio Cattelan “Novecento”:
evoca la tensione frustrata rispetto alle potenzialità (anche in riferimento all’insensatezza delle guerre del XIX secolo, che debilitano l’uomo allontanandolo dalla propria evoluzione), emblematicamente rappresentata da un cavallo, simbolo di forza, imbalsamato ed appeso
O la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto:
la riproduzione di una statua greca, la Venere Callipigia, metafora della memoria, si relaziona con una massa variopinta di indumenti dismessi, emblema del quotidiano, in un dialogo serrato tra passato e presente.
O ancora l’opera di Bertrand Lavier che esplora il rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione:
Se siete in zona, non potete perdervi il ristorante Manifatture Piol.